Vizi del bene: il risarcimento si estende a tutti i danni subiti dall’acquirente

L'azione di risarcimento dei danni proposta dall'acquirente, ai sensi dell'articolo 1494 c.c., non si identifica né con le azioni di garanzia, di cui all'articolo 1492 c.c., né con quella di esatto adempimento, in quanto, mentre queste prescindono dalla colpa e sono volte solo ad eliminare lo squilibrio determinato dall'inadempimento del venditore, l'azione risarcitoria, presupponendo la colpa di quest'ultimo, consistente nell'omissione della diligenza necessaria a scongiurare l'eventuale presenza di vizi della cosa. Questa azione può estendersi a tutti i danni subiti dall'acquirente, e quindi non solo a quelli relativi alle spese necessarie per l'eliminazione dei difetti accertati, ma anche a quelli inerenti alla mancata o parziale utilizzazione del bene o al lucro cessante per la mancata rivendita dello stesso. Ne consegue che l'azione di risarcimento può essere proposta in via alternativa, o anche cumulativa, rispetto alle azioni di adempimento, di riduzione del prezzo o di risoluzione del contratto.

E’ stato così stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 13403, depositata il 12 giugno 2014. Il caso. A seguito dell’acquisto di un immobile sul quale erano emersi dei vizi strutturali occultati dagli alienanti, l’acquirente propone l’azione ex articolo 1494, chiedendo la risoluzione del contratto ed in via subordinata l’annullamento del contratto ed il risarcimento del danno. Con la prima memoria ex articolo 183 c.p.c., l’attrice chiedeva anche il risarcimento del danno per l’eliminazione dei vizi. La domanda veniva accolta in prima grado e confermata in appello, seppur con una riduzione dell’importo di condanna. La Cassazione, con la sentenza in commento, precisa preliminarmente quali danni possono richiedersi con l’azione ex articolo 1494 c.c. e, successivamente, chiarisce in che occasioni quali liquidarsi un danno equitativo, che nel caso di specie chiede di valutare nuovamente con un rinvio alla Corte territoriale. Vendita e risarcimento del danno la natura dell’azione ex articolo 1494 c.c. L'azione di risarcimento dei danni proposta, come nel caso di specie, ai sensi dell'articolo 1494 c.c., dall'acquirente non si identifica né con le azioni di garanzia, né con l'azione di esatto adempimento. Infatti, mentre la garanzia per evizione opera anche in mancanza della colpa del venditore, per eliminare, nel contratto, lo squilibrio tra le attribuzioni patrimoniali determinato dall'inadempimento del venditore, l'azione di risarcimento danni, che presuppone di per sé la colpa di quest'ultimo, consistente nell'omissione della diligenza necessaria a scongiurare l'eventuale presenza di vizi nella cosa, può estendersi a tutti i danni subiti dall'acquirente, non solo quindi a quelli relativi alle spese necessarie per l'eliminazione dei vizi accertati, ma anche a quelli inerenti alla mancata o parziale utilizzazione della cosa o al lucro cessante per la mancata rivendita del bene. Da ciò consegue, fra l'altro, che tale azione si rende ammissibile in alternativa ovvero cumulativamente con le azioni di adempimento in via specifica del contratto, di riduzione del prezzo o di risoluzione del contratto medesimo. Il vizio redibitorio come e perché. Si ha vizio redibitorio oppure mancanza di qualità essenziali della cosa consegnata al compratore qualora questa presenti imperfezioni concernenti il processo di produzione o di fabbricazione che la rendano inidonea all'uso cui dovrebbe essere destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, ovvero appartenga ad un tipo diverso o ad una specie diversa da quella pattuita. L’aliud pro alio quando di verifica? Si ha, invece, consegna di “aliud pro alio”, che dà luogo all'azione contrattuale di risoluzione o di adempimento ai sensi dell'articolo 1453 cod. civ., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall'articolo 1495 cod. civ., qualora il bene venduto sia completamente diverso da quello pattuito, in quanto appartenendo ad un genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere la destinazione economico-sociale della res venduta e, quindi, a fornire l'utilità richiesta. In un caso, in particolare, la Cassazione ha confermato la sentenza impugnata che, con riferimento ad un'azione di risarcimento danni relativi ai vizi di una fornitura di pannelli in grigliato pressato preverniciato, aveva escluso che la fornitura di detta merce integrasse la consegna di aliud pro alio, con la conseguente applicabilità della disciplina di cui all'articolo 1495 cod. civ., atteso che la venditrice non aveva mai conosciuto le particolari prescrizioni del rapporto intercorso fra l'acquirente e la società committente, mentre, d'altra parte, non poteva ritenersi l'appartenenza della cosa ad un genere del tutto diverso ovvero che la presenza dei difetti fosse di tale natura da non consentire l'assolvimento della funzione concreta del bene presa in esame dai contraenti. Azioni redibitoria e garanzia per vizi quali differenze? La normativa di cui all'articolo 1492 c.c. dettata in tema di garanzia per vizi della cosa venduta, differisce, inoltre, dalla garanzia dettata dall'articolo 1669 c.c. a garanzia dei gravi difetti di costruzione. A norma dell'articolo 1492, infatti, il compratore può domandare, a sua scelta, la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo, salvo il diritto al risarcimento del danno ex articolo 1494 c.c. Ne consegue che l'acquirente non dispone, neppure a titolo di risarcimento del danno in forma specifica, di un'azione di esatto adempimento per ottenere dal venditore l'eliminazione dei vizi della cosa venduta, motivo per cui, in assenza della richiesta di risoluzione del contratto da parte dell'acquirente, secondo la prevalente giurisprudenza, il Giudice non può imporre al venditore di eseguire direttamente i lavori ritenuti necessari per l'eliminazione del vizio. Vizi del bene, azione in garanzia ed onere della prova. Nell’ambito dell’azione ex articolo 1494 c.c., l'onere della prova dei difetti, delle conseguenze dannose e del nesso causale fra gli uni e le altre fa carico al compratore, mentre la prova liberatoria della mancanza di colpa, incombente al venditore, rileva solo quando la controparte abbia preventivamente dimostrato la denunciata inadempienza. Emandatio o mutatio libelli in tema di risarcimento del danno. La sentenza in commento, analogamente alla giurisprudenza prevalente in materia, ha altresì precisato che ricorre la fattispecie processuale della emendatio libelli, e non anche della non consentita mutatio, nella ipotesi di originaria specificazione del danno in determinate voci, e di successiva deduzione, nel corso del medesimo grado di giudizio, di voci ulteriori, con correlativo ampliamento del petitum mediato, ma all'esito di una variazione nella sola estensione del petitum immediato, ferma restandone l'identità e l'individualità ontologica. Le varie voci di danno non integrano, pertanto, una pluralità e diversità strutturale di petitum, ma ne costituiscono soltanto delle articolazioni o “categorie” interne quanto alla sua specificazione quantitativa. Il danno subito per le spese relative alla eliminazione dei vizi può quindi essere proposto anche con la memoria ex articolo 183 c.p.c., facendo parte, concettualmente, dei danni ipotizzati dall’articolo 1494 c.c. Inadempimento del venditore anche responsabilità extracontrattuale L'inadempimento del venditore può far sorgere, inoltre, una responsabilità anche extracontrattuale ove siano stati lesi interessi del compratore che, essendo sorti fuori dal contratto, abbiano consistenza di diritti assoluti, mentre, qualora il danno lamentato sia la conseguenza diretta del minor valore della cosa venduta o della sua distruzione o di un suo intrinseco difetto di qualità, si resta nell'ambito della responsabilità contrattuale, le cui azioni sono soggette a prescrizione annuale. Danno equitativo come va liquidato? In sede di liquidazione equitativa del lucro cessante, ai sensi degli articolo 2056 e 1226 cod. civ., ciò che necessariamente si richiede è la prova, anche presuntiva, della sua certa esistenza, in difetto della quale non vi è spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale, attenendo il giudizio equitativo solo all'entità del pregiudizio medesimo, in considerazione dell'impossibilità o della grande difficoltà di dimostrarne la misura valutazione, questa, non compiuta dalla Corte di Appello alla quale il S.C. ha rimesso, quindi, l’esame della controversia per tale profilo. L'esercizio del potere equitativo del giudice di merito, peraltro, è censurabile solo nell'ipotesi in cui la liquidazione del danno morale appaia manifestamente simbolica o per nulla correlata con le premesse di fatto in merito alla natura ed all'entità del danno accertato dallo stesso giudice.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 12 marzo – 12 giugno 2014, numero 13403 Presidente Oddo – Relatore Picaroni Ritenuto in fatto 1. - È impugnata la sentenza della Corte d'appello di Roma, depositata il 20 dicembre 2007, che ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Roma, riducendo l'importo dovuto da D.N.M. , S.G. , S.M. e S.A. a N.G. , a titolo di risarcimento danni. 1.1. - La sig.ra N. aveva agito nei confronti dei sigg.ri D.N. - S. , dai quali aveva acquistato l'appartamento sito in omissis , per sentir dichiarare risolto il contratto di compravendita dell'appartamento, in ragione dell'esistenza, taciuta dai venditori, di vizi strutturali che compromettevano la stabilità dell'edificio in cui era collocato il predetto appartamento, con restituzione di quanto versato e risarcimento dei danni. In subordine, l'attrice aveva chiesto l'annullamento del contratto di compravendita per vizio del consenso, nonché, previo accertamento della simulazione del prezzo dichiarato in sede di stipula, la restituzione di quanto versato, delle spese sostenute e il risarcimento dei danni. Si erano costituiti i convenuti ed avevano chiesto il rigetto della domanda. Il contraddittorio era stato integrato con la chiamata in causa del Condominio di via dei omissis . 1.2. - Con memoria depositata ai sensi dell'articolo 183, quinto comma, cod. proc. civ. l'attrice aveva precisato la domanda, chiedendo - per il caso di mancato accoglimento della domanda di risoluzione del contratto - la condanna dei convenuti a risarcirle le spese e i costi che aveva sostenuto per l'eliminazione dei vizi dell'immobile e per il mancato godimento dello stesso. All'udienza di precisazione delle conclusioni, l'attrice dichiarava di rinunciare alle domande proposte con l'atto di citazione. Il Tribunale di Roma aveva accolto la domanda di risarcimento e liquidato il danno, in via equitativa, in 12.000,00 Euro. 1.3. - I sigg.ri D.N. - S. proponevano appello, deducendo che la domanda accolta dal Tribunale, formulata soltanto nella memoria ex articolo 183, quinto comma, cod. proc. civ., doveva ritenersi domanda nuova, in quanto tale inammissibile, e che, in ogni caso, il disposto dell'articolo 1453, secondo comma, cod. civ. vietava di chiedere l'adempimento quando, come nella specie, era stata originariamente chiesta la risoluzione del contratto. In subordine, gli appellanti contestavano la quantificazione del danno effettuata dal Tribunale, in assenza di prove sul punto, e la statuizione sulla spese di lite. La sig.ra N. si costituiva e chiedeva la conferma della sentenza di primo grado. 2. - Con la sentenza oggetto dell'odierno ricorso, la Corte d'appello di Roma accoglieva il gravame, limitatamente alla domanda subordinata di riduzione dell'importo dovuto all'appellata. Osservava la Corte distrettuale che i venditori avevano taciuto, al momento della stipula, che l'appartamento era ubicato in un immobile con cedimenti delle fondazioni, il quale richiedeva interventi urgenti di consolidamento. Doveva ritenersi ammissibile la domanda di risarcimento danni proposta dalla sig.ra N. sin dall'atto di citazione, in via subordinata, e quindi nelle note depositate ai sensi dell'articolo 183 cod. proc. civ In base all'ultimo preventivo, il costo dei lavori di consolidamento che gravavano sulla parte acquirente era di circa 1.800,00 Euro a tale importo doveva aggiungersi quello di 5.200,00 Euro corrispondente all'esborso sostenuto dall'acquirente per i canoni di locazione di un altro appartamento nel periodo di cinque mesi in cui erano stati realizzati i predetti lavori. 3. - Per la cassazione della sentenza d'appello hanno proposto ricorso i sigg.ri D.N.M. , S.G. , S.M. e S.A. , sulla base di nove motivi. Resiste con controricorso la sig.ra N.G. . Il Condominio di via dei omissis è rimasto intimato. Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell'udienza. Considerato in diritto 1. - Preliminarmente deve rilevarsi la tardività del controricorso, che risulta notificato in data 29 luglio 2008, e quindi oltre il termine - previsto dall'articolo 370, primo comma, cod. proc. civ. - di venti giorni dal deposito del ricorso, avvenuto in data 8 luglio 2008. Di conseguenza, va disposta l'espunzione dal fascicolo del controricorso e della memoria depositata ex articolo 378 cod. proc. civ. dalla sig.ra N. . 1.1. - Nel merito, il ricorso è fondato e va accolto, in riferimento al sesto motivo. 2 - Con il primo e con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la violazione degli articolo 183 cod. proc. civ., 1453, secondo comma, 1492 cod. civ., e vizio di motivazione. Le censure investono, sotto diversi profili, la decisione della Corte d'appello sull'ammissibilità della domanda di risarcimento danni conseguenti agli accertati vizi dell'appartamento oggetto di compravendita. I ricorrenti evidenziano che nell'atto di citazione la sig.ra N. aveva proposto domanda di risoluzione del contratto di compravendita per gravi vizi dell'immobile, o di annullamento del medesimo contratto per vizio del consenso, con richiesta risarcitoria conseguente alla declaratoria di risoluzione o di annullamento. Soltanto nella memoria ex articolo 183 cod. proc. civ., senza che vi fosse collegamento con le eccezioni e difese svolte dai convenuti in comparsa di risposta, l'attrice aveva formulato la domanda risarcitoria per i vizi del bene compravenduto. Quanto al profilo sostanziale, i ricorrenti osservavano che una volta proposta la domanda di risoluzione del contratto non era possibile chiedere l'adempimento del contratto, stante il disposto dell'articolo 1453, secondo comma, cod. civ Infine, se anche si qualificava la domanda di risarcimento danni per i vizi dell'immobile oggetto di compravendita come azione di riduzione del prezzo ovvero come azione risarcitoria di tipo aquiliano, fondata sul doloso occultamento dei vizi da parte dei venditori, ugualmente si trattava di domanda nuova, valendo, peraltro, per la domanda di riduzione del prezzo, il limite dell'alternatività alla domanda di risoluzione. In ossequio al disposto dell'articolo 366-bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis, i ricorrenti formulano il seguente quesito “[se] in ipotesi in cui sia stata originariamente richiesta in via esclusiva la risoluzione di un contratto di compravendita per vizi della cosa o il suo annullamento per dolo, previa sua qualificazione giuridica, costituisce domanda nuova quella solo successivamente formulata, prima in via subordinata e poi in totale sostituzione delle prime in quanto espressamente rinunciate, nella quale si richieda il solo rimborso delle spese necessarie per l'eliminazione dei vizi”, e “[se] ai sensi degli articolo 183 cod. proc. civ. previgente formulazione , 1453, secondo comma, e 1492, secondo comma, cod. civ., è ammissibile la proposizione di siffatta domanda solamente nelle memorie di cui al medesimo articolo 183 cod. proc. civ.”. 2.2. - I ricorrenti denunciano anche il vizio di motivazione che segnerebbe sul punto la decisione della Corte d'appello. Si assume, in particolare, che la mera appartenenza delle domande proposte dalla sig.ra N. al genus delle domande risarcitorie per equivalente, di cui l'una rappresenta un minus rispetto all'altra, non varrebbe ad escludere il carattere di novità della domanda formulata successivamente, essendo diversi i presupposti in fatto e in diritto sui quali ciascuna domanda trova fondamento. 2.3. - Le doglianze sono infondate. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l'azione di risarcimento danni proposta ai sensi dell'articolo 1494 cod. civ. può estendersi a tutti i danni subiti dall'acquirente per l'eliminazione dei vizi della cosa venduta, per il mancato utilizzo della stessa, per il lucro cessante da mancata rivendita del bene , ed è ammissibile in alternativa o cumulativamente con le azioni di adempimento del contratto, di riduzione del prezzo, di risoluzione del contratto ex plurimis, Cass., sezione II, sentenza numero 5202 del 2007 e numero 26852 del 2013 . Da ciò discende che la deduzione, nel corso del processo, di ulteriori voci di danno come conseguenza dei vizi del bene oggetto di compravendita, non comporta una diversità strutturale del petitum ma solo una sua specificazione quantitativa ex plurimis, Cass., sezione II, sentenza numero 7275 del 1997 , risolvendosi in una emendatio libelli consentita nella memoria ex articolo 183 cod. proc. civ 2.3.1. - Nella specie, l'attrice N. aveva chiesto, sin dall'atto di citazione, il risarcimento dei danni patiti per effetto del comportamento dei venditori, che avevano taciuto l'esistenza dei vizi dell'immobile, sicché non v'è alcun dubbio che la specificazione contenuta nella memoria ex articolo 183 cod. proc. civ., con rinuncia delle restanti richieste, costituiva una mera specificazione quantitativa della originaria domanda risarcitoria. 3. - Con il terzo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell'articolo 184 cod. proc. civ Essi lamentano che la Corte d'appello abbia confermato la statuizione del Tribunale riguardo alla quantificazione delle spese condominiali gravanti sull'attrice in conseguenza dei lavori di consolidamento dell'edificio, posto che a tal fine il Tribunale aveva valutato la documentazione prodotta dall'attrice ben oltre il termine preclusivo di cui all'articolo 184 cod. proc. civ A corredo del motivo, i ricorrenti formulano il quesito di diritto nei seguenti termini “[se] in assenza di istanza di rimessione in termini o di allegazione di fatti che attestino la formazione in epoca successiva al loro scadere, le produzioni documentali effettuate oltre i termini di cui all'articolo 184 cod. proc. civ. previgente formulazione possono essere valutate ai fini del decidere”. 3.1. - La doglianza è inammissibile perché introduce una questione nuova, che non ha formato oggetto della decisione impugnata. La sentenza d'appello non fa riferimento alcuno alla predetta questione, e i ricorrenti non hanno denunciato l'omissione di pronuncia. 4. - Con il quarto motivo i ricorrenti deducono vizio di ultrapetizione in cui sarebbe incorsa la Corte d'appello nel riconoscere all'attrice, a titolo di risarcimento, l'esborso sostenuto per la locazione del vecchio appartamento, stante la temporanea inabitabilità di quello acquistato dai convenuti. Si tratterebbe di voce di danno non richiesta dall'attrice né riconosciuta dal giudice di primo grado, il quale avrebbe incentrato la liquidazione sulla componente non patrimoniale del danno da disagio abitativo. A corredo del motivo, i ricorrenti formulano il quesito di diritto nei seguenti termini “[se] in ipotesi di domanda risarcitoria di danni per equivalente, viola l'articolo 112 cod. proc. civ. una pronuncia la quale, benché non travalicando i limiti del petitum monetario, enuclei e liquidi una somma di danaro a titolo di risarcimento di un danno patrimoniale non rientrante in quelle componenti di esso espressamente dedotte dall'istante”. 4.1. - La doglianza è infondata. Si deve rilevare che, contrariamente all'assunto dei ricorrenti, il Tribunale aveva riconosciuto, pur senza specificazioni riguardo al quantum, il danno patrimoniale conseguente alla circostanza che l'attrice non aveva alloggiato nell'appartamento oggetto di compravendita fino a tutto il mese di gennaio 2002, in ragione della “pericolosità accertata dell'intero stabile” pag. 5, sentenza di primo grado . Il convincimento del giudice di primo grado si era formato sugli esiti delle prove testimoniali, richiamate puntualmente dalla Corte d'appello per confermare la statuizione sull'an debeatur. Non sussiste, pertanto, la prospettata ultrapetizione. 5. - Con il quinto motivo, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli articolo 2725, secondo comma, e 2726 cod. civ., in relazione all'articolo 1, quarto comma, della legge numero 431 del 1998. Si lamenta che non poteva essere provato per testimoni il contratto di locazione relativo all'immobile che l'attrice occupava anteriormente all'acquisto dell'appartamento oggetto di controversia. A corredo del motivo, i ricorrenti formulano il quesito di diritto nei seguenti termini “[se] in ipotesi di contratto di locazione di immobile ad uso abitativo è ammissibile la prova per testi in ordine all'esistenza del negozio e all'avvenuto pagamento dei canoni di locazione da parte del locatario [se] quando simile prova sia stata erroneamente ammessa ed espletata in primo grado, senza formulazione di riserve od eccezioni della parte interessata, la sua inammissibilità deve essere rilevata d'ufficio dal giudice d'appello pur se non investito di specifico gravame”. 5.1. - La doglianza è inammissibile in quanto prospetta una questione nuova, che non ha costituito oggetto di gravame. Come espressamente indicato nel quesito di diritto, la prova testimoniale riguardo al contratto di locazione era stata ammessa in primo grado senza che fossero formulate eccezioni, e la decisione del Tribunale non era stata appellata sul punto. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, le disposizioni in tema di limitazioni della prova testimoniale sono poste a tutela degli interessi delle parti e non sottendono ragioni di ordine pubblico, sicché l'eventuale violazione di tali disposizioni nel giudizio di primo grado deve essere denunciata in sede gravame e non può essere proposta per la prima volta nel giudizio di legittimità ex plurimis, Cass., sezione II, sentenze numero 21443 del 2013 e numero 28102 del 2009 . 6. - Con il sesto motivo, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell'articolo 1226 cod. civ., in quanto la Corte d'appello avrebbe proceduto alla liquidazione equitativa dell'importo versato dall'attrice a titolo di canone locatizio, in mancanza del requisito della oggettiva impossibilità di provare l'ammontare dello stesso. A corredo del motivo, i ricorrenti formulano il seguente quesito di diritto “[se ] la determinazione in via equitativa ex articolo 1226 cod. civ. dell'ammontare di un dedotto danno patrimoniale conseguente a responsabilità contrattuale è ammissibile, in difetto di comprovata ed oggettiva impossibilità di fornirne prova aliunde”. 6.1. - La doglianza è fondata. Si devono richiamare le osservazioni esposte al paragrafo 4.1., con le quali si è negato che la Corte d'appello sia incorsa in ultrapetizione riguardo al riconoscimento all'attrice del danno patrimoniale derivante dalla occupazione di un immobile in locazione nel periodo di inabitabilità dell'appartamento acquistato dai convenuti. Il Tribunale, infatti, aveva liquidato il predetto danno - unitamente a quello connesso al costo dei lavori di consolidamento dell'edificio -in via equitativa, in complessivi 12.000,00 Euro, senza operare alcuna distinzione tra le voci di danno. La quantificazione del danno ha costituito oggetto di appello sotto il profilo dell'assenza di prova, come è precisato nella sentenza impugnata. A fronte di tale censura, la Corte d'appello ha riesaminato la questione evidenziando, da un lato, che dai bilanci dell'amministrazione condominiale - e in particolare dall'ultimo preventivo ancora suscettibile di variazioni in aumento - risultava il costo di 1.800,00 Euro per i lavori di consolidamento, e, dall'altro lato, che le prove testimoniali assunte in primo grado avevano dimostrato l'avvenuto pagamento da parte della sig.ra N. dei canoni di locazione per un periodo di cinque mesi. In esito a tale specificazione, la stessa Corte d'appello ha quantificato, in via equitativa, il danno complessivamente subito dalla sig.ra N. in Euro 7.000,00, comprensivi della rivalutazione monetaria e degli interessi dovuti per lucro cessante. Come denunciato dai ricorrenti, la Corte d'appello ha determinato l'importo dei canoni di locazione in via equitativa, senza dare conto della impossibilità di prova del relativo ammontare, e quindi in contrasto con il disposto di cui all'articolo 1226 cod. civ 7. - Con il settimo motivo, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli articolo 1223 e 2059 cod. civ Si lamenta che, ove si ritenga riconosciuto all'attrice N. anche il danno per il disagio abitativo, trattandosi di danno tipicamente non patrimoniale esso non poteva essere liquidato come conseguenza dell'accertato inadempimento contrattuale, e neppure come conseguenza di responsabilità extracontrattuale, non ricorrendo nella specie i presupposti per l'applicazione dell'articolo 2059 cod. civ. né la lesione di diritti costituzionalmente garantiti. A corredo del motivo, i ricorrenti formulano il seguente quesito di diritto “[se] in ipotesi di responsabilità contrattuale è ammissibile la liquidazione di un risarcimento per un danno di carattere non patrimoniale al di fuori di espressa previsione di legge o di lesione di diritti costituzionalmente rilevanti”. 7.1. - La doglianza è inammissibile perché prospetta una questione perplessa. Come si evince dalla lettura del quesito di diritto, i ricorrenti sottopongono a questa Corte una questione della cui rilevanza dubitano essi stessi. Il tema della riconoscibilità del danno non patrimoniale da disagio abitativo, nell'ambito di una fattispecie di responsabilità contrattuale, sarebbe rilevante solo presupponendo che, nel caso concreto, tale riconoscimento vi sia stato, diversamente risolvendosi in una questione astratta. 8. - Con l'ottavo motivo, i ricorrenti denunciano vizio di motivazione sulla prova del danno conseguente alla indisponibilità temporanea dell'appartamento oggetto di compravendita. La Corte d'appello avrebbe fatto riferimento acritico all'esito della prova testimoniale già richiamata, ritenendo che la permanenza della sig.ra N. nell'appartamento condotto in locazione fosse da ricondurre eziologicamente al timore di cedimenti strutturali del fabbricato che, in assenza di dati oggettivi, costituiva un mero convincimento soggettivo. In particolare, la Corte d'appello non avrebbe considerato che l'edificio in questione non era stato interessato da ordine di sgombero e che non vi era pericolo di crollo, come emergeva dalla relazione tecnica dell'ing. D. del 18 febbraio 2000, da quella idrogeologica del Dott. V. del 26 luglio 2002, dalla determinazione dirigenziale del Comune di Roma in data 31 gennaio 2003 e dal resoconto delle indagini svolte dal CTU. 8.1. - La doglianza è inammissibile per carenza di autosufficienza. Il motivo non contiene l'indicazione del tenore della prova testimoniale che, in assunto, non sarebbe idonea a giustificare la contestata statuizione della Corte distrettuale. 9. - Con il nono motivo, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli articolo 91, primo comma, e 92, secondo comma, cod. proc. civ., nonché dell'articolo 6, primo comma, D.M. numero 127 del 2004 e vizio di motivazione sulla pronuncia in tema di spese del giudizio. 9.1. - Il motivo rimane assorbito nell'accoglimento del sesto motivo, e pertanto se ne omette l'esame. Per effetto della cassazione della sentenza d'appello, infatti, il giudice del rinvio dovrà necessariamente rinnovare la decisione sulle spese di lite. In quella sede, per altro, saranno regolate anche le spese di questa fase del giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il sesto motivo, assorbito il nono motivo, respinti gli altri cassa e rinvia ad altra sezione della Corte d'appello di Roma, anche per le spese del giudizio di legittimità.