La sottile e difficile linea di discrimine tra il reato continuato e quello abituale

Il reato di molestie non è necessariamente abituale, potendo essere realizzato anche con una sola azione, di tal che la reiterazione delle azioni ben può configurare l’ipotesi della continuazione. Peraltro ciò non impedisce che la fattispecie concreta possa assumere caratteristiche tali da rendere la condotta abituale ed integrare il reato solo nella globalità delle condotte.

Lo ha stabilito la Prima sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 23619 depositata il 5 giugno 2014. Il caso e il biasimevole motivo delle molestie. Un uomo, autore di tre episodi persecutori nel breve giro di due mesi ai danni dell’ex moglie, veniva condannato in primo grado per il reato di violenza privata. La Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza di prime cure, riqualificava i fatti in molestie continuate, rideterminando la pena in quattro mesi di arresto. Riteneva la Corte siciliana che dai fatti si dovesse ritenere integrato il reato ex articolo 81 e 660 c.p., attuato per biasimevole motivo consistente nella volontà di interferire inopportunamente nell'altrui sfera morale, ancorché non vi sia una effettiva coazione della libertà di movimento con conseguente insussistenza del reato di violenza privata così, Cass. numero 18117/2014 dal marito separato che non si rassegnava ed intendeva rendere la vita difficile all’ex coniuge. Il condannato ricorre in cassazione lamentando, invece, l’assenza nella condotta del requisito della petulanza e del biasimevole motivo. La Suprema Corte ritiene infondato tale motivo in quanto, come affermato dalla sua precedente giurisprudenza, per potersi configurare l'illecito è sufficiente «il dolo generico, che risiede nella volontà e nella consapevolezza di arrecare disturbo alla parte offesa la petulanza e il biasimevole motivo delle telefonate disturbatrici costituiscono elementi che confluiscono in quelli oggettivi della fattispecie, restando irrilevanti gli eventuali motivi personali» Cass. numero 1838/2011 . E la Corte territoriale ha ben distinto i due piani, quello oggettivo delle condotte, provate, e quello soggettivo della consapevolezza in capo all’imputato, ben affermando che la causale individuale delle condotte i rapporti logorati tra ex coniugi e le controversie conseguenti non impedisce che le stesse siano attuate con modalità costituenti molestie. Trasformazione delle molestie in reato abituale vista l’assenza del delitto di stalking. L'interesse tutelato dall'articolo 660 c.p. è tradizionalmente individuato nell'ordine pubblico, considerato nel suo particolare aspetto della pubblica tranquillità nella dimensione generale dell'interesse tutelato trovano ragione la procedibilità d'ufficio per la contravvenzione e la conseguente attuazione della tutela penale a prescindere dalla volontà della persona molestata o disturbata. La Cassazione, in passato, per colmare la lacuna della mancata incriminazione dello stalking introdotto solo dal d.l. numero 11/2009 ha talvolta ricondotto gli atti persecutori nel reato di molestie o disturbo alle persone ex articolo 660 c.p. manipolando la relativa contravvenzione attraverso la modifica del bene giuridico tutelato spostando l’attenzione dalla tranquillità pubblica alla quiete privata Cass. numero 12303/2002 , che ha finito per incidere anche sugli elementi costitutivi del reato. Infatti, si è finito in taluni casi per trasformare la contravvenzione da reato di mera condotta che si consuma anche con una sola azione di per sé idonea ad arrecare molestia cfr., Cass. numero 36/2009, per la quale «anche una sola telefonata effettuata dopo la mezzanotte è da considerarsi “molestia” ed integra, pertanto, il reato di cui all’articolo 660 c.p.» nella specie, si è ritenuto che l’ora della telefonata dimostrava l’evidente intenzione dell’ex marito di molestare l’ex moglie e non già di vedere il figlio, che a quell’ora avrebbe dovuto dormire» a reato abituale, integrata, ad esempio, dalla «condotta dell’ex coniuge che ripetutamente e insistentemente segue con l’auto la vittima, per motivi di rivalsa» Cass. numero 2113/2008 . Preferibile il reato continuato e non quello abituale di molestie. Proprio richiamando quest’ultima posizione giurisprudenziale, la Suprema Corte, ritiene che il reato di molestie non è necessariamente abituale, potendo essere realizzato anche con una sola azione, di tal che la reiterazione delle azioni ben può configurare l’ipotesi della continuazione. Peraltro tale impostazione di carattere generale non impedisce di rilevare che, in fatto, la vicenda concreta possa assumere caratteristiche tali da rendere la condotta abituale ed integrare il reato solo nella globalità delle condotte. Poiché nel caso concreto si è trattato di tre episodi racchiusi nel breve giro di due mesi ai danni della moglie separata, bisognava escludere la continuazione. Di conseguenza, i giudici di legittimità hanno eliminato la frazione di pena un mese di arresto irrogata a tale titolo Tale percorso argomentativo non convince in quanto la struttura del reato contravvenzionale dell’articolo 660 c.p. non è quella di reato abituale aggiunta dalla precedente giurisprudenza per cucire tale fattispecie incriminatrice sui fatti di stalking, ove il perno della figura di reato ex articolo 612-bis c.p. è proprio la “reiterazione” delle condotte moleste, oltre che la realizzazione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma , ma di mera condotta per cui ove – come quello oggetto del caso deciso dalla sentenza in rassegna – sia presente la contiguità temporale e la preventiva programmazione dei reati di molestie o disturbo alle persone si configura “l’unicità del disegno criminoso” del reato continuato ai sensi dell’articolo 81 c.p. che presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni anche della stessa legge penale. In tal senso, vi sono state delle pronunce di merito nelle quali non avendo trovato l’originaria contestazione di atti persecutori riscontro probatorio solo con riferimento all’evento, pur assolvendo l’imputato del delitto di atti di cui all’articolo 612-bis c.p., ha derubricato i diversi fatti contestati, in reato continuato di molestie, ai sensi dell’articolo 660 c.p. cfr., Corte Appello Napoli, sez. II, 15 luglio-15 ottobre 2010 , senza che la diversa qualificazione giuridica alla luce del criterio di continenza avesse comportato alcuna lesione del principio di correlazione tra fatto contestato e quello ritenuto in sentenza, in quanto il fatto contenuto non presenta, rispetto a quello contenente, alcun elemento di novità che ne alteri la struttura.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 29 aprile 5 giugno 2014, numero 23619 Presidente Cortese – Relatore Zampetti Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 23.10.2013 la Corte d'appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza di primo grado, qualificati i fatti ascritti a M.R. ex articolo 81 e 660 Cod. penumero , anziché violenza privata, determinava la pena nei suoi confronti in mesi 4 di arresto pena sospesa e non menzione. Con la stessa sentenza il predetto imputato era altresì condannato al risarcimento dei danni, più spese di lite, in favore della parte lesa T.C. , costituita parte civile. La Corte territoriale rilevava come le condotte poste in essere dall'imputato nei confronti della moglie separata non fossero contestate, essendo in discussione solo la loro rilevanza e la qualificazione giuridica. La parte lesa era risultata attendibile e coerente e non mossa da animosità o spirito di vendetta vi erano poi conferme ai fatti provenienti da altre persone, quali la madre della T. e sue colleghe di lavoro. Ciò posto, riteneva la Corte palermitana come nei fatti si dovesse ritenere integrato il reato di molestie continuate attuato per biasimevole motivo dal marito separato che non si rassegnava ed intendeva rendere difficile la vita all'ex coniuge. La pena era determinata sulla base di mesi 4 di arresto, ridotti per le generiche a mesi 3, aumentata di un mese per la continuazione. 2. Avverso tale sentenza di secondo grado proponeva ricorso per cassazione l'anzidetto imputato che motivava l'impugnazione deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, in particolare argomentando -in sintesi nei seguenti termini a mancava nella condotta il requisito della petulanza o del motivo biasimevole, essenziale per l'integrazione del reato di molestie si trattava di tre episodi circoscritti, non collegabili tra loro, occasionati da controversie dovute ai rapporti logorati, specie con riguardo ai figli b la pena non era stata motivata e risultava comunque eccessiva c al reato di molestie non poteva essere applicata la continuazione d le particolari circostanze avrebbero dovuto condurre alla compensazione delle spese di parte civile e la Corte, ritenuta la derubricazione, avrebbe dovuto rimettere in termine esso imputato per poter effettuare oblazione sul punto si proponeva questione di costituzionalità. Considerato in diritto 1. Il ricorso, fondato nei ristretti limiti di cui alla seguente motivazione, deve essere rigettato per il resto. 2. Va premesso che la materialità dei fatti non è contestata. Il primo motivo di ricorso, attinente l'elemento psicologico [v. sopra, sub ritenuto, al p 2.a], non è fondato. Ed invero, secondo consolidata e condivisibile giurisprudenza di questa Corte di legittimità, l'elemento soggettivo del reato di cui all'articolo 660 Cod. penumero è dato dalla coscienza e volontà di attuare condotte che risultino moleste per la parte lesa, a prescindere dai motivi personali che possano avere determinato l'agente. In tal senso cfr., ex pluribus, Cass. Penumero Sez. 1, numero 33267 in data 11.06.2013, Rv. 256992, Saggiomo In tema di molestia e disturbo alle persone, l'elemento soggettivo del reato consiste nella coscienza e volontà della condotta, tenuta nella consapevolezza della sua idoneità a molestare o disturbare il soggetto passivo, senza che possa rilevare l'eventuale convinzione dell'agente di operare per un fine non biasimevole o addirittura per il ritenuto conseguimento, con modalità non legali, della soddisfazione di un proprio diritto . L'applicazione di tale principio al caso di specie rende irrilevanti le deduzioni del ricorrente sul punto. Peraltro è del tutto evidente che la Corte territoriale, in coerenza con la pertinente giurisprudenza, ha ben esaminato i fatti di causa distinguendo i piani, quello oggettivo delle condotte, provate, e quello soggettivo della consapevolezza in capo all'imputato. In definitiva, sul punto, la causale individuale delle condotte i rapporti logorati tra gli ex coniugi e le controversie conseguenti non impedisce certo che le stesse si siano attuate con modalità costituenti molestie. 3. Risulta infondato anche il secondo motivo di ricorso relativo alla dosimetria sanzionatoria [v. sopra, sub ritenuto, al p.2.b]. La Corte territoriale ha infatti ben motivato l'entità della pena ritenuta in concreto equa ed adeguata, sia con motivazione specifica, ancorché sintetica, sia nel complesso della valutazione dei fatti, considerati di non secondaria gravità. Va qui ricordato come la determinazione sanzionatoria sia affidata dalla legge al giudice del merito la cui valutazione, ove adeguatamente motivata, si sottrae per giurisprudenza consolidata alla censura in sede di legittimità. Ciò vale per l'individuazione della pena base in mesi quattro di arresto, peraltro poi ridotta di un mese e dunque a tre mesi per le concesse attenuanti generiche. 4. Pari infondatezza connota anche il motivo di ricorso relativo alla condanna alle spese in favore della parte civile [v. sopra, sub ritenuto, al p.2.d]. Va premesso che non risulta dal testo della sentenza che l'imputato abbia avanzato richiesta di compensazione delle spese al giudice del merito, né tanto è affermato nell'atto di ricorso, per cui non vi era obbligo di motivazione specifica sul punto. Deve essere qui ricordato, peraltro, come si tratti di valutazione su base discrezionale che non può essere oggetto di censura di legittimità, né può il ricorrente avanzare una doglianza su tema non oggetto di specifica richiesta. Infine, risulta con assoluta evidenza che i giudici del merito hanno ritenuto entrambi pur dando diverse qualificazioni giuridiche che nessun rimprovero poteva farsi, quanto alle subite condotte, alla parte lesa, per cui il motivo di ricorso qui in esame si presenta infondato anche con riguardo all'ormai definitivo accertamento dei fatti. 5. Non è fondato neppure il motivo di ricorso che denuncia la mancata rimessione in termine, in relazione alla ritenuta riqualificazione dei fatti, per poter effettuare oblazione [v. sopra, sub ritenuto, al p.2.e]. L'oblazione nel caso, trattandosi di contravvenzione punita con pena alternativa, inquadrabile teoricamente nell'articolo 162 bis Cod. penumero è istituto esperibile solo nel primo grado di giudizio, nei limiti processuali stabiliti. Non vi è obbligo, pacificamente, per il giudice di rimettere in termine l'imputato, ex officio, ove non vi sia stata previa domanda che, nella fattispecie, pacificamente non vi fu, come ammesso nell'atto di ricorso . Comunque, era evidente il giudizio circa la gravità dei fatti tanto da irrogare pena detentiva e la permanenza di conseguenze tanto che vi era costituzione di parte civile , di tal che era comunque implicita l'insussistenza anche sostanziale delle condizioni di ammissibilità. Sul punto dedotto, questa Corte ha già affermato l'infondatezza della questione di illegittimità costituzionale, ora proposta dal ricorrente in questa sede cfr. Cass. Penumero Sez. 3, sentenza numero 12284 del 19.10.2011, Rv. 252244, Vavassori È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli articolo 162 e 162-bis cod. penumero , 521 cod. proc. penumero e 141 disp. att. cod. proc. penumero in riferimento agli articolo 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevedono la restituzione nel termine dell'imputato per la richiesta di oblazione, nell'ipotesi in cui il giudice in sentenza attribuisca al fatto una diversa qualificazione giuridica da quella enunciata nell'imputazione ed a prescindere dalla preventiva istanza dell'imputato . 6. Deve trovare accoglimento, invece, il motivo di ricorso che attiene alla ritenuta continuazione [v. sopra, sub ritenuto, al p.2.e]. Questa Corte ha ritenuto, con giurisprudenza costante, che il reato di molestie non è necessariamente abituale, potendo essere realizzato anche con una sola azione, di tal che la reiterazione delle azioni di disturbo ben può configurare ipotesi di continuazione v. Rv. 248982, 247960 ecc. . Peraltro tale impostazione di carattere generale non impedisce di rilevare che, in fatto, la vicenda concreta si sia snodata con caratteristiche tali da rendere la condotta abituale ed integrante il reato solo nella globalità unitaria delle condotte. Nella fattispecie ciò si rende evidente considerando che si trattò di tre episodi racchiusi nel breve giro di due mesi. Tanto ritenuto, occorre escludere la ritenuta continuazione. Ciò comporta l'eliminazione della frazione di pena, un mese di arresto, irrogata a tale titolo in definitiva la pena finale viene ad essere determinata in mesi tre di arresto, fermo il resto. 7. Il ricorso va dunque rigettato in ogni sua parte, ad eccezione del punto relativo alla continuazione nei termini appena motivati. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all'aumento di pena per la continuazione in mesi uno di arresto che elimina. Rigetta nel resto il ricorso.