Tecnologia molesta: centro commerciale condannato per i rumori diffusi nel condominio

A lamentarsi è solo una coppia, che vive in un appartamento al quarto piano dello stabile. Ma la verifica del tecnico dell’Arpa regionale, che registra ben 56 decibel, conferma la percepibilità dei rumori addirittura a finestre chiuse. Coinvolto, almeno sulla carta, quindi l’intero edificio.

Tecnologia sì, ma con moderazione vale – come consiglio – per i singoli individui, vale, ancor più, come diktat per strutture complesse – ad esempio, un’azienda o un’attività commerciale –, soprattutto se il ricorso estremo ad apparecchiature di ultima generazione può diventare molesto Cassazione, sentenza n. 28874, Prima sezione Penale, depositata oggi . Pioggia di decibel. Sotto accusa finisce un cento commerciale, casus belli è l’impiego estremo di impianti tecnologici – condizionatori, soprattutto –, caratterizzato da eccessiva rumorosità. E a lamentarsi, in maniera forte, sono le persone che abitano nel soprastante stabile di civile abitazione, trattandosi dello stesso complesso edilizio . Più precisamente, la coppia, che vive nell’appartamento, ha riferito che i rumori non erano sopportabili . E il tecnico dell’Arpa regionale ha effettuato una verifica nell’appartamento , situato al quarto piano , riscontrando il valore di 56 decibel . Quadro chiarissimo, secondo i giudici, per condannare il legale rappresentante della struttura commerciale per il reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone . A finestre chiuse. E tale prospettiva viene confermata anche dai giudici della Cassazione, i quali partono, in premessa, dalla constatazione, non discutibile e non discussa, che dagli impianti del centro commerciale provenissero rumori eccedenti la normale tollerabilità . Rispetto a questo dato di fatto, è secondario il richiamo, fatto dal legale rappresentante ora sotto accusa, al fatto che la rumorosità deve essere tale da arrecare disturbo ad una pluralità indifferenziata di persone . Ciò perché, chiariscono i giudici, i rumori si percepivano anche a finestre chiuse, e – circostanza particolarmente significativa – assai elevato era il valore dei decibel registrato al quarto piano dell’edificio . Evidentemente, sostengono i giudici, le lamentele della coppia non esaurivano la percepibilità dei rumori molesti, ma ne erano solo registrazione eloquente, indice apprezzabile di più elevata diffusività , anche tenendo presente che i rumori molesti erano diffusi nell’ambito di un condominio . E questa considerazione è rilevante perché, ricordano i giudici, i rumori devono avere una tale diffusività che l’evento di disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone, pur se poi, concretamente, solo taluna se ne possa lamentare .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 28 maggio – 8 luglio 2013, n. 28874 Presidente Bardovagni – Relatore Zampetti Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 02.05.2012, resa in contumacia dell’imputato, il Tribunale di Cosenza in composizione monocratica dichiarava D.N. colpevole del reato di cui all’art. 659, comma primo, Cod. Pen., così condannandolo, in concorso di circostanze attenuanti generiche, alla pena di Euro 200 di ammenda pena sospesa e non menzione. Con la stessa sentenza il Noto era altresì condannato al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, più spese di lite, liquidate come in atti, in favore delle costituite parti civili. Detto giudice riteneva invero provato che gli impianti tecnologici in particolare condizionatori a servizio di un centro commerciale, di cui l’imputato era legale rappresentante, avessero arrecato disturbo non tollerabile agli occupanti del soprastante stabile di civile abitazione, trattandosi dello stesso complesso edilizio. A sostegno probatorio della decisione risultavano le convergenti dichiarazioni dei denuncianti F.L. e C.A., che avevano riferito che rumori non sopportabili erario percepiti negli appartamenti anche a finestre chiuse, e del tecnico dell’ARPA regionale P. che aveva effettuato una verifica nell’appartamento del quarto piano, riscontrando il valore di 56 decibel. 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’anzidetto imputato che motivava l’impugnazione deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, in particolare argomentando in sintesi nei termini seguenti posto che, per giurisprudenza consolidata, il reato era integrato solo da una rumorosità idonea ad arrecare disturbo ad una pluralità indifferenziata di persone e non ai soli vicini, nel caso concreto tanto non era stato rimasto accertato, così difettando un elemento essenziale della fattispecie legale. 3. Con atto depositato in data 08.05.2013 la difesa del ricorrente produceva memoria con la quale rimarcava che, trattandosi di rumori provenienti da attività autorizzata, il superamento dei limiti doveva ritenersi ipotesi depenalizzata e ricadente nel paradigma dell’art. 10 L. 447/95. Considerato in diritto 1. Al ricorso, manifestamente infondato, deve essere dichiarato inammissibile con ogni dovuta conseguenza di legge. Tanto deve dirsi anche in ordine alla questione proposta con la memoria versata in atti. 2. Deve ritenersi, dapprima, dei tutto pacifico in fatto che dagli impianti facenti capo al centro commerciale di cui è responsabile l’imputato provenissero rumori eccedenti la normale tollerabilità. Tale profilo, accertato in termini del tutto convincenti dal giudice territoriale, non è invero oggetto di specifica censura da parte del ricorrente, E’ del tutto infondato, poi, il motivo di ricorso l’unico proposto dal ricorrente. Se è vero, infatti, in linea generale, che il reato di cui l’art. 659 Cod. pen. è inteclrato da una rumorosità tale da arrecare disturbo ad una pluralità indifferenziata di persone, è però altrettanto vero che, nella concreta fattispecie, ciò è stato effettivamente accertato dal Tribunale di competenza. La sentenza impugnata ha invero affermato, avuto riguardo alle risultanze raccolte, che i rumori si percepivano anche a finestre chiuse, e circostanza particolarmente significativa che assai elevato era il valore dei decibel registrati al quarto piano dell’edificio. In tal senso deve concludersi come correttamente ha deciso il primo giudice che le testimonianze del vicini non esaurivano la percepibilità dei rumori molesti, ma ne erano solo registrazione eloquente, indìce apprezzabile di più elevata diffusività. Su tutto ciò, conferme alla c onsolldata giurisprudenza di questa Corte, che qui si richiama e ribadisce, si veda, ex pluribus, Cass. Pen. Sez. 1°, n. 47298 in data 29.11,2011, Rv, 251436, Iori, la cui massima recita La rilevanza penale della condotta produttiva di rumori, censurati come fonte di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, richiede l’incidenza sulla tranquillità pubblica, in quanto l’interesse tutelato dal legislatore è la pubblica quiete, sicché i rumori devono avere una tale diffusività che l’evento di disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone, pur se poi concretamente solo taluna se ne possa lamentare”. E’ poi coerente con la giurisprudenza di questa Corte che la condizione suddetta sia verificata allorché i rumori molesti siano provocati, e si diffondano, nell’ambito di un condominio sul punto, v. Cass. Pen. Sez. 1°, n. 18517 in data 17.03.2010, Rv. 247062, Oppong ecc. . 3. Il motivo proposto con la memoria depositata in data 08.05.2013 deve essere dichiarato inammissibile in quanto introduce un tema nuovo e diverso rispetto a quanto fatto oggetto dell’impugnazione principale, non essendo consentito allargare il ricorso a temi non formalizzati nei modi e nei tempi di legge cfr. Cass. Pen. Sez. 2°, n. 1417 in data 11.10.2012, Rv. 254301, Platarnone ecc. . Deve comunque essere qui rilevato come la deduzione sia in ogni modo infondata, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte che vale richiamare e ribadire si veda, infatti, Cass. Pen. Sez. 1°, n. 39852 in data 12.06.2012, Rv, 253475, Minetti, la cui massima recita L’art. 659 cod. pen. prevede due distinte ipotesi di reato quello contenuto nel primo comma ha ad oggetto il disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone e richiede l’accertamento in concreto dell’avvenuto disturbo mentre quello previsto nel secondo comma riguardante l’esercizio di professione o mestiere rumoroso, prescinde dalla verificazione del disturbo, essendo tale evento presunto iuris et de iure” ogni volta che l’esercizio del mestiere rumoroso si verifichi fuori dai limiti di tempo, di spazio e di modo imposti dalla legge, dai regolamenti o da altri provvedimenti adottati dalle competenti autorità” in proposito si veda anche Cass. Pen. Sez. 10, n. 33413 in data 07.06.2012, Rv. 253483, Girolimetti Il superamento dei valori soglia di rumorosità, stabiliti dalle competenti autorità amministrative, prodotta dall’attività di esercizio di una discoteca integra il reato previsto dal comma secondo dell’art. 659 cod. pen,, che tutela la quiete pubblica, che non è stato implicitamente abrogato dall’illecito amministrativo di cui all’art. 10 comma secondo, legge 26 ottobre 1995 n. 447, che è posto a tutela del diverso bene della salute umana”. È del tutto palese, pertanto, l’infondatezza di siffatto motivo aggiunto. 4. In definitiva il ricorso, manifestamente infondato, deve essere dichiarato inammissibile ex artt, 591 e 606, comma 3, Cpp. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell’art. 616 Cpp, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese dei procedimento ed al versamento della somma, tale ritenuta congrua, di Euro 1.000,00 mille in favore della Cassa delle Ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso palesemente infondato v. sentenza Corte Cost. n. 186/2000 . L’esito processuale conseguito in questa sede comporta che il ricorrente imputato debba essere condannato, altresì, alla rifusione, in favore delle costituite parti civili, delle spese del grado che -valutati l’impegno professionale richiesto ed ogni altra condizione di legge si stima equo liquidare nei termini di cui al seguente dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 mille in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili liquidate in Euro 3.500 tremilacinquecento oltre accessori come per legge.