La Cassazione, pur ribadendo l’irrilevanza dei motivi che abbiano in concreto determinato al falso, ha escluso che possa considerarsi una falsità materiale commessa da pubblico ufficiale la formazione di un verbale di sequestro costituito da un foglio recante meri riferimenti grafici del reparto della Guardia di Finanza e, quindi, senza l’uso di timbri o altri contrassegni rispetto alla grafia del testo, e contenente nomi di fantasia.
L’Alta Corte, con la sentenza numero 25011 del 6 giugno 2013, afferma che in una situazione del genere dovrebbe negarsi la sussistenza del fatto ex articolo 476 c.p. in quanto il foglio «avrebbe potuto avere qualsiasi provenienza» insomma non potendosi ricondurre con certezza la formazione dell’atto all’ente pubblico di riferimento, la Guardia di Finanza, mancherebbe il fatto punibile. Si tratterebbe, in sostanza, di un falso “grossolano” di per sé non punibile in quanto incapace di per sé di trarre in inganno. Un falso non punibile. La soluzione della Cassazione, quand’anche ragionevole sotto il profilo dei principi, lascia però alquanto perplessi su alcuni aspetti, posto che non emergono i dati di riferimento effettivi sull’aspetto materiale dell’atto ritenuto “falso” ma non punibile. Infatti, la semplice mancanza del timbro e la non riconducibilità dell’atto ai nomi di fantasia, ivi contenuti, non importano necessariamente la possibilità di attribuire l’atto ad organi diversi rispetto a quelli enunciati nella dichiarazione, non fosse altro perché “talvolta” capita che atti “veri” manchino, per esempio, proprio dei dovuti timbri, la cui presenza peraltro non è mai richiesta – a quanto consta a chi scrive – ai fini della validità giuridica dell’atto. Si può prendere, dunque, atto della decisione, ma si crede altresì che i criteri fattuali ivi espressi non possano essere assunti a regole generali alla luce dell’ordinamento attuale. Redatto un falso verbale. Del resto, la Corte ha sostanzialmente effettuato nella sentenza de qua un apprezzamento di fatto, accogliendo il ricorso sulla contestazione dell’articolo 476 c.p. «per ragioni in parte diverse da quelle dedotte», che nella sostanza erano incentrate sul fatto che il finto verbale era stato redatto dal pubblico ufficiale per dare «una mano al confidente nei confronti del suo ambiente [malavitoso – ndr] dopo un sequestro di orologi con marchi contraffatti reso possibile dalla sua collaborazione». Talvolta la Cassazione va oltre le lagnanze mosse e, quindi, al di là degli stretti limiti imposti dai motivi proposti. Se lo fa e lo fa a ragione dell’innocenza, mediante una consapevole scelta e ponderazione del caso, ogni lamentela risulta sterile. Ciò che non può farsi, però, è pensare che avendo deciso, in maniera in qualche modo “anomala”, la Suprema Corte possa fare di questa eccezione una regola applicabile sic et simpliciter per il futuro a vantaggio di tutti dopo tutto, bisogna sempre essere realisti e guardare in maniera oggettiva lo svolgersi della giurisdizione così come concretamente si manifesta nella prassi. Se non che, ove si voglia avere uno sguardo allo sviluppo dei principi, le peculiarità del caso de quo non sono tali da costituire semplicemente un “curioso” precedente a cui eventualmente aggrapparsi, in mancanza d’altro, per argomentazione di puro stile. Nel caso si specie, infatti, benché nessuno, neppure l’imputato, abbia mai lamentato l’insussistenza del fatto ma solo la sua concreta lesività, l’Alta Corte ha sentito la necessità di assolvere l’accusato con la più ampia formula piena per ragioni di giustizia. Quel che qui davvero si è manifestato, è l’assenza di una volontà effettiva protesa a confermare una duplice condanna di merito avvertita come immeritata e tale esigenza ben può andare oltre i limiti di ogni argomentazione di parte e di ogni altro precedente.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 23 maggio - 6 giugno 2013, numero 25011 Presidente Agrò – Relatore Citterio Considerato in fatto 1. In parziale riforma della sentenza del locale Tribunale in data 21.4.2010, la Corte d'appello di Genova in data 23.5.12 ha confermato la condanna di G P. , all'epoca sottufficiale della Guardia di finanza, per i soli capi A e C , rideterminando conseguentemente la pena infittagli. Al capo A è contestato il delitto di cui all'articolo 476 c.p., per la formazione di un falso verbale di sequestro, apparentemente redatto da componenti del Comando Polizia tributaria della Guardia di finanza, ma con nominativi inesistenti, consegnato a D.F.C. , confidente del P. . Al capo C è contestato il delitto di peculato continuato in relazione all'appropriazione di un numero imprecisato di borse marca Diesel, cedute in parte a D.F. e in parte a tale Pi. altro confidente/collaboratore della Guardia di finanza . 2. Tre i motivi di ricorso enunciati nell'interesse dell'imputato. 1 -. Capo A . Violazione dell'articolo 476 c.p., perché, pacifico in fatto essersi trattato di verbale finto predisposto per dare una mano al confidente D.F. nei confronti del suo ambiente dopo un sequestro di orologi con marchi contraffatti reso possibile dalla sua collaborazione, tale finalità escludeva a priori alcun uso giudiziario o con valore probatorio intrinseco, per evidenti inidoneità . 2 -. Capo A . Violazione degli articolo 530 e 210 c.p.p. in relazione alle lettere B ed E dell'articolo 606.1 c.p.p., con riferimento alle dichiarazioni del D.F. in ordine alla loro valenza ed alla riconducibilità dell'atto falso proprio al P. , secondo il ricorrente avendo la Corte distrettuale argomentato solo della riferibilità di quell'atto all'ufficio del P. e non anche alla sua persona. 3-. Capo C . Violazione dell'articolo 314 c.p. in relazione alle lettere B ed E dell'art, 606.1 c.p.p., per la mancanza di riscontri alle dichiarazioni del D.F. , tali non essendo le dichiarazioni di Pi. che non avrebbe accusato direttamente P. né le parziali ammissioni dello stesso P. di essere stato a conoscenza dell'appropriazione della borsa da parte di Pi. , comunque gli 8000 pezzi mancanti non potendo essere tutti transitati presso la sede della Guardia di finanza, essendo la merce rimasta per diversi giorni nelle mani dei ladri . Ragioni della decisione 3. Il ricorso è parzialmente fondato, a giudizio del Collegio dovendosi accogliere il primo motivo, relativo al capo A, sia pure per ragioni in parte diverse da quelle dedotte. 3.1 Correttamente, infatti, la Corte distrettuale ha ricordato l'insegnamento di questa Corte suprema secondo cui i motivi che abbiano determinato al falso sono irrilevanti, il dolo del reato essendo configurato dalle mere coscienza e volontà delle alterazioni Sez. 5, sent. 2487/1999 Sez. 5, sent. 29764/2010, per tutte . Ma, si deve rilevare, in fatto deve ritenersi pacifico alla luce delle sentenze di merito e dei motivi di impugnazione che il Verbale di sequestro di cui si discute è costituito da un foglio che reca meri riferimenti grafici a reparto della Guardia di finanza senza l'uso di timbri o altri contrassegni ulteriori rispetto alla grafia del testo con l'indicazione di nominativi di fantasia. Si tratta pertanto, stanti questi presupposti di fatto, di un foglio che avrebbe potuto avere qualsiasi provenienza, in particolare per sé assolutamente inidoneo per la ricordata assenza di segni peculiari dell'ufficio apparente intestatario e per la non riconducibilità nominativa a suoi componenti ad attestare la provenienza da ente pubblico. Ciò esclude la configurabilità del reato contestato al capo A. Il che assorbe il tema proposto dal secondo motivo relativo all'attribuzione della condotta ascritta all'imputato, per sé comunque inammissibile perché generico e diverso da quelli consentiti, non essendosi il ricorrente confrontato con le puntuali ed articolate argomentazioni svolte dalla Corte d'appello alle pagine 6 e 7 della sentenza, che hanno sorretto l'apprezzamento di merito dell'indicazione del sottufficiale p. quale soggetto cui riferire la consapevole partecipazione all'iniziativa . 3.2 Il ricorso va invece rigettato quanto al reato di cui al capo C. Infatti il terzo motivo pertinente a tale capo di imputazione è anch'esso generico e diverso da quelli consentiti. In ordine al peculato, la Corte distrettuale ha evidenziato la convergenza tra le dichiarazioni di D.F. , quelle di Pi. , le parziali ammissioni di p. di esser stato consapevole che Pi. - confidente dell'operazione - si era poi allontanato con il proprio camion e le borse, nonché di aver peccato di leggerezza , valutate anche alla luce della mancanza di ulteriori spiegazioni dopo la contestazione dibattimentale delle prime dichiarazioni ed apprezzate in relazione alla dichiarazione di Pi. circa la presenza di un finanziere che aveva acconsentito elementi dai Giudici del merito giudicati costituire convergente ed esaustivo riscontro delle accuse del D.F. . All'evidenza si tratta di apprezzamento di stretto merito sorretto da motivazione articolata ed immune dai soli vizi rilevanti ai sensi della lettera E dell'articolo 606.1 c.p.p., rimasta oltretutto priva di specifico confronto da parte del ricorrente. 4. La pena di due anni e quattro mesi di reclusione, rideterminata dalla Corte d'appello per i soli capi A e C, in ragione della contestuale assoluzione da altro reato, risulta essere stata così computata p. 8 pena base per il delitto di peculato capo C tre anni, ridotta a due per le attenuanti generiche, aumentata di quattro mesi per la continuazione con il delitto di falso di cui al capo A. Va quindi innanzitutto eliminata la porzione di pena relativa all'aumento per la continuazione, di quattro mesi di reclusione. La residua pena di due anni diviene definitiva, in conseguenza dell'odierna contestuale esecutività dell'affermazione di colpevolezza per il capo C. Tuttavia, poiché la Corte d'appello alla stessa p. 8 ha dato atto essere stati richiesti i benefici di legge, che sono stati negati in relazione all'entità della pena complessiva che aveva determinato L'entità della pena, così rideterminata non consente i benefici richiesti , e poiché la pena che va invece oggi in giudicato due anni di reclusione per sé non sarebbe ostativa, si impone l'annullamento sul corrispondente punto della decisione, per procedersi a nuovo giudizio sulla concedibilità dei benefici che la Corte distrettuale ha riferito essere stati richiesti. Su tale punto, infatti, non può allo stato provvedere questa Corte suprema ai sensi dell'articolo 620 lett. L c.p.p., perché la motivazione della Corte d'appello non consente di ritenere che l'entità della pena sia stata considerata come unica ragione impediente, altrimenti ricorrendo invece il presupposto prognostico favorevole apprezzamento per sé di stretto merito , piuttosto che come ragione per sé assorbente rispetto al tema della meritevolezza in concreto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al falso di cui al capo A perché il fatto non sussiste ed elimina la relativa pena di mesi quattro di reclusione. Rinvia per nuovo giudizio sulla concedibilità dei benefici richiesti ad altra sezione della Corte d'appello di Genova. Rigetta nel resto il ricorso.