In materia di condominio, l’articolo 1100 c.c. non svolge un effetto costitutivo della comunione ordinaria, in riferimento alle parti destinate all’uso comune, in quanto la disposizione è diretta semplicemente a definire l’ambito di applicazione della disciplina della comunione, dettata dalle disposizioni successive.
Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza numero 5415/15 depositata il 18 marzo. Il caso. Il proprietario di un fabbricato conveniva in giudizio il proprietario dell’immobile confinante, separato da un muro divisorio in cui era inserita una canna fumaria. L’attore riteneva di aver utilizzato tale canna fumaria per oltre 40 anni, tramite due permanenti aperture di accesso alla medesima per lo scarico dei fumi. Il convenuto aveva sigillato la canna fumaria, impedendo così il riscaldamento dell’abitazione dell’attore, il quale chiedeva dunque, oltre al risarcimento del danno patito per la mancata utilizzazione della casa per un intero inverno, l’accertamento dell’acquisto del diritto di comproprietà o, quantomeno, del diritto di utilizzo della canna fumaria, per usucapione. Il giudice di primo grado respingeva la domanda attorea, così come i giudici d’appello, aditi dagli eredi dell’attore originario, deceduto nelle more del procedimento. La sentenza di secondo grado viene dunque impugnata da quest’ultimi innanzi alla Corte di Cassazione. La presunzione di comproprietà delle parti destinate all’uso comune. Con il primo motivo del ricorso, viene denunciata la violazione dell’articolo 1100 c.c., sostenendo che, nel caso di specie, essendo considerabili le aperture della canna fumaria quali opere destinate permanentemente all’utilità di due unità immobiliari confinanti, dovrebbe operare la presunzione di comunione delle opere medesime. La Corte di Cassazione non considera ammissibile la doglianza così prospettata, poiché, pur vigendo in materia di condominio una presunzione di comproprietà delle parti destinate all’uso comune, l’articolo 1100 c.c. non svolge un effetto costitutivo della comunione ordinaria, in riferimento alle parti destinate appunto all’uso comune, in quanto la disposizione è diretta semplicemente a definire l’ambito di applicazione della disciplina della comunione - della proprietà e di altri diritti reali - dettata dalle disposizioni successive. La comunione del diritto reale è dunque un presupposto rispetto alla norma invocata dai ricorrenti. La non clandestinità del possesso ai fini dell’usucapione. Il secondo motivo del ricorso attiene invece alla concretizzazione dell’usucapione, ponendo ai Supremi Giudici il quesito relativo alla necessarietà dell’effettiva consapevolezza, in capo allo spossessato, dell’impossessamento della cosa da parte di altro soggetto, oppure, e in senso contrario, se sia sufficiente che lo spossessato venga posto nella condizione di venire a conoscenza di detto spossessamento, al fine della concretizzazione dell’acquisto del diritto per usucapione. La pronuncia della S.C. in merito precisa che, ai fini dell’usucapione, la condizione della non clandestinità dell’impossessamento è riferita non agli espedienti che il possessore potrebbe attuare per apparire proprietario, ma al fatto che il possesso sia acquisito ed esercitato pubblicamente, in modo visibile ad un’apprezzabile ed indefinita generalità di soggetti e non al solo precedente proprietario. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha correttamente applicato i predetti principi, affermando la clandestinità del possesso dell’attore originario che si manifestava con opere visibili solo dall’interno della propria abitazione, essendo dunque privo di un requisito fondamentale per l’acquisto del diritto reale per usucapione. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 16 dicembre 2014 – 18 marzo 2015, numero 5415 Presidente Mazzacane – Relatore Giusti Ritenuto in fatto 1. - Con atto di citazione notificato il 20 febbraio 1998, M.S., proprietario di un fabbricato in Rivalta Bor mida, convenne in giudizio davanti al Tribunale di Acqui Terme E.B., proprietario di un immobile confinante, espo nendo che nel muro divisorio dei due fabbricati era inserita una canna fumaria che, dipartendosi dal piano terreno, sfocia va sul tetto della casa che tale canna fumaria era stata da lui utilizzata per oltre quarant'anni mediante due permanenti aperture di accesso per il deflusso dei fumi della stufa che il convenuto aveva sigillato la canna fumaria in due punti, provvedendo solo dopo qualche tempo a rimuovere il telo di materiale plastico posto sulla sommità, ma lasciando il manufat to in muratura posto in corrispondenza dell'apertura al piano terreno che l'impossibilità di riscaldare la casa gli aveva impedito di utilizzare la casa nell'inverno 1997/1998. Tanto premesso, chiese che si accertasse l'intervenuto acquisto per usucapione della comproprietà o, quanto meno, del diritto di servitù di utilizzo della canna fumaria, con conseguente con danna del convenuto a rimuovere la sigillatura ed a risarcire i danni. Si costituì il convenuto, resistendo. Il convenuto chiamò in giudizio S.F., venditrice dell'immobile, chie dendone la condanna a manlevarlo dai danni derivanti dall'eventuale accertamento di diritti in capo all'attore. La F. si costituì a sua volta, chiedendo il rigetto delle domande proposte nei suoi confronti, contestando anzi tutto l'esistenza dei diritti vantati dall'attore. Il Tribunale di Acqui Terme, con sentenza in data 13 di cembre 2004, respinse la domanda dell'attore e quella di ga ranzia del convenuto, compensando tra loro le spese di causa e condannando il convenuto a rifondere le spese alla terza chia mata. Riteneva in particolare il primo giudice che l'attore non avesse dato la prova di avere utilizzato le due aperture della canna fumaria in modo visibile e pubblico e che, anzi, la sua condotta dovesse essere qualificata come possesso clandestino, essendo le aperture presenti nel muro visibili soltanto dalla sua casa e prive di una caratterizzazione idonea a manifestar ne la destinazione alla fruizione della canna fumaria. 2. - Avverso tale sentenza hanno proposto appello G., C. e G. S. e M. F., quali eredi di M.S. si è costituito il B., chiedendo il rigetto dell'impugnazione e proponendo appello incidentale sulle spese la F. è rimasta contumace. Con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelle ria il 28 luglio 2008, la Corte d'appello di Torino ha respin to l'appello principale degli S. e della F., men tre ha accolto l'appello incidentale sulle spese del B 2.1. - Per quanto qui ancora rileva, la Corte territoriale ha rilevato che la clandestinità dell'uso della canna fumaria da parte dello S. non è smentita da nessuno degli ele menti indicati dagli appellanti il fatto che le aperture siano antiche quanto la canna fumaria non significa nulla, perché si tratta comunque di aperture visibili soltanto dalla proprietà S. la visibilità dell'apertura a piano ter ra dalla proprietà B. appare [ .] inverosimile , trattan dosi di un'apertura verso un vano creato all'interno di un mu ro, e risultando comunque ben smentita dal disegno allegato alla c.t.u. e dalla fotografia del caminetto B. l'apertura si trova ovviamente più in alto rispetto alla boc ca del camino e non è visibile, perché non può essere considerato visibile ciò che può essere visto soltanto infilando la testa in un camino . 3. - Per la cassazione della sentenza della Corte d'appello gli S. e la F. hanno proposto ricorso, con atto notificato il 24 settembre 2009, sulla base di cinque motivi. Il B. vi ha resistito con controricorso. L'altra intimata non ha svolto attività difensiva in que sta sede. Considerato in diritto 1. - Il primo motivo denuncia violazione dell'articolo 1100 cod. civ. Premesso che l'articolo 1100 cod. civ. prevede la sussi stenza della comunione quando la proprietà o altro diritto spetta in comunione a più persone, i ricorrenti sostengono che nel caso di specie, ove le aperture e la struttura della canna fumaria sono considerate opere destinate permanentemente alla utilità di due unità immobiliari confinanti, dovrebbe valere il principio secondo il quale sussiste la presunzione di comu nione di quelle cose che sono destinate al servizio dei comu nisti. Di qui l'interrogativo se tale presunzione, iuris tan tum, può essere vinta dal titolo contrario che nella fatti specie non esiste da una specifica destinazione al servizio di una proprietà esclusiva che nella fattispecie non sussi ste ovvero dal possesso in via esclusiva di uno dei comunisti, per il tempo necessario alla usucapione che, nella fat tispecie, non è neppure stata opposta . 1.1. - Il motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi. La Corte d'appello - nel disattendere il motivo con cui gli appellanti lamentavano che il Tribunale avesse escluso la comproprietà sulla canna fumaria in questione e non avesse compreso correttamente la descrizione dei luoghi contenuta nella relazione del consulente tecnico - ha per un verso rile vato che la domanda proposta dallo S. e ribadita in ap pello dai suoi eredi ha ad oggetto l'acquisto della proprietà per usucapione, sicché rispetto a tale domanda sono incoerenti tutte le considerazioni che gli appellanti svolgono per dimo strare l'originaria comproprietà del manufatto in questione per l'altro verso ha sottolineato che dalla relazione del c.t.u. risulta che la parte iniziale della canna fumaria è po sta nella metà del muro sulla proprietà B., anche se poi presenta un andamento obliquo tendente verso la proprietà S., e che questo dato conferma che si tratta di manufat to costruito per l'utilità di un solo fabbricato, essendo de stinata al servizio dell'altro fabbricato un'altra canna fuma ria quella chiusa ed inutilizzabile già da prima che l'attore divenisse proprietario del fabbricato . In questo contesto, la censura articolata dal ricorso non si correla alle ragioni del decidere perché non tiene conto del rilievo della non pertinenza della deduzione in diritto della originaria comproprietà della canna fumaria in presenza di una domanda, non mutata in appello, di accertamento dell'intervenuto acquisto della proprietà per usucapione e perché, nel porre la questione di diritto, muove da un presup posto in punto di fatto - la destinazione delle aperture e della struttura della canna fumaria ad entrambe le unità immo biliari confinanti - smentito dall'accertamento compiuto dalla Corte d'appello, che discorre di manufatto costruito per l'utilità di un solo fabbricato . In ogni caso, il motivo è infondato. Mentre in tema di condominio degli edifici vi è una pre sunzione di proprietà comune delle parti destinate all'uso co mune che, però, può essere vinta dal titolo contrario , la sola utilizzazione di una canna fumaria installata nel muro di proprietà altrui anche da parte del vicino non ne determina l'immediata caduta in comunione ordinaria. L'articolo 1100 cod. civ., infatti, non svolge un effetto attributivo, essendo una disposizione diretta a definire, non già la costituzione della comunione ordinaria la quale, dal punto di vista della sua origine, può essere volontaria, incidentale o forzosa , ma l'ambito di applicazione della disciplina della comunione del la proprietà e dei diritti reali dettata dagli articoli suc cessivi, sul presupposto che la proprietà o altro diritto rea le spetti in comunione a più persone. 2. - Il secondo motivo - con cui si lamenta violazione de gli articolo 1158 e 1163 cod. civ. - è assistito dal quesito se è necessaria la effettiva consapevolezza dell'impossessamento della canna fumaria da parte dello spossessato, oppure è suf ficiente che lo spossessato sia stato messo nella condizione di venire a conoscenza di detto spossessamento, per concretiz zare l'acquisto, per usucapione, della comproprietà della me desima canna fumaria . Il terzo mezzo violazione degli articolo 1158 e 1168 cod. civ. pone lo stesso quesito in relazione al la ulteriore domanda formulata di usucapione della servitù di uso della canna fumaria. 2.1. - Entrambe le doglianze sono infondate. Ai fini dell'usucapione, il requisito della non clandesti nità va riferito non agli espedienti che il possessore potreb be attuare per apparire proprietario, ma al fatto che il pos sesso sia stato acquistato ed esercitato pubblicamente, cioè in modo visibile a tutti o almeno ad un'apprezzabile ed indi stinta generalità di soggetti e non solo dal precedente pos sessore o da una limitata cerchia di persone che abbiano la possibilità di conoscere la situazione di fatto soltanto gra zie al proprio particolare rapporto con quest'ultimo Cass., Sez. II, 9 maggio 2008, numero 11624 Cass., Sez. II, 23 luglio 2013, numero 17881 . Nella specie, la Corte territoriale si è correttamente at tenuta a detto principio, rilevando - con un accertamento di fatto congruamente motivato - che le aperture praticate dallo S. erano visibili solo dalla sua proprietà ed escludendo anche tenendo conto del disegno allegato alla c.t.u. e della fotografia in atti che p[ossa] essere considerato visibile ciò che può essere visto soltanto infilando la testa in un ca mino . 3. - Con il quarto motivo violazione degli articolo 91 e 92 cod. proc. civ. e con il quinto motivo insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della con troversia si lamenta che non sia stata disposta la compensa zione delle spese in ragione del rigetto, da parte del primo giudice, della domanda riconvenzionale del B. volta ad ottenere la cessazione delle immissioni di fumo provenienti dalla combustione di metano o di gasolio dall'abitazione dell'attore. 3.1. - L'uno e l'altro motivo sono infondati. In tema di regolamento delle spese processuali, infatti, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vit toriosa pertanto, esula da tale sindacato, e rientra nel po tere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell'opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite nell'ipotesi di soccombenza reciproca Cass., Sez. lav., 5 aprile 2003, numero 5386 Cass., Sez. V, 19 giugno 2013, numero 15317 . 4. - Il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da di spositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in so lido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dal contro ricorrente, che liquida in complessivi euro 2.200, di cui euro 2.000 per compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.