Abitualità e ripetitività degli atti decisive per la condanna

Ai fini della configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia, ai sensi dell’articolo 572 c.p., non è necessario che i singoli atti costituiscano di per sé delle specifiche fattispecie delittuose, dato che, a tal fine, sono valutabili anche condotte aggressive nei confronti del familiare, consistenti in atti di sopraffazione od offese tendenti a svalutare la persona.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 12020 del 13 marzo 2014. Il caso. Nel caso di specie, il Tribunale di Catania annullava la misura cautelare dell’obbligo di allontanamento dalla casa familiare, applicata all’indagato del reato di maltrattamenti, poiché si escludeva la sussistenza della gravità indiziaria in assenza di più atti illeciti integranti la violazione contestata. Natura e ripetitività dei comportamenti vessatori. Proponeva ricorso il pm, adducendo violazione di legge, in quanto il provvedimento impugnato avrebbe erroneamente ritenuto necessario il presupposto della pluralità di atti lesivi di per sé costituenti reato ai fini della configurabilità del delitto di maltrattamenti, in totale contrasto con la giurisprudenza prevalente in materia. Lamentava, inoltre, la erronea valutazione di fatto secondo la quale la pluralità delle condotte venisse meno in ragione della loro vicinanza nel tempo, oltre alla svalutazione delle condotte di sopraffazione ritenute quasi “normali” all’interno di un ménage familiare. La Corte di Cassazione, nella pronuncia in commento, ribadendo i principi oramai consolidati in materia di maltrattamenti in famiglia, ha accolto il ricorso della Procura. Pluralità delle condotte. In primo luogo, ha affermato che il Giudice di merito, nell’escludere la sussistenza dei gravi indizi, non ha correttamente applicato i principi di diritto ribaditi dalla giurisprudenza prevalente. Ed infatti, malgrado nel percorso argomentativo avesse evidenziato la pluralità di condotte aggressive dell’indagato nei confronti della propria moglie, realizzatesi con atti di sopraffazione, consistenti in plurime offese, anche in presenza dei loro figli, tendenti a screditarla e a ledere la sua dignità di donna e di madre, ha, erroneamente ed in totale contrasto con i principi stabiliti dalla Suprema Corte, ritenuto la non configurabilità del delitto di specie, giacché le singole condotte non costituivano autonome fattispecie di reato. Abitualità. Sotto altro profilo, poi, la Corte ha ritenuto che il delitto di cui all’articolo 572 c.p. si concretizza anche quando il periodo di tempo nel quale le condotte vessatorie si realizzano sia limitato e le stesse siano, dunque, ravvicinate. Infatti, per ravvisare l’abitualità in tale tipo di reato, non è necessario che le condotte siano poste in essere in un tempo prolungato, essendo sufficiente la ripetitività di tali atti, la pluralità e la unificazione da un unico scopo.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 29 gennaio – 13 marzo 2014, numero 12020 Presidente Milo – Relatore Petruzzellis Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Catania, con ordinanza del 12/09/2013, ha annullato la misura dell'obbligo dell'allontanamento dalla casa familiare disposta nei confronti di M.A. in relazione al reato di maltrattamenti, escludendo la sussistenza della gravità indiziaria, con riguardo all'indispensabile presenza della pluralità di atti integranti la violazione contestata. 2. Il P.m. presso il Tribunale ha proposto ricorso contestando violazione di legge, in relazione all'applicazione della disciplina incriminatice, con particolare riferimento all'assunto in fatto posto a base della decisione, in forza del quale il reato si riterrebbe integrato esclusivamente con la commissione di plurimi episodi di per sé costituenti autonomi reati, interpretazione contrastata da plurime, difformi applicazioni in sede di legittimità. Si contesta inoltre la valutazione di fatto svolta dal Tribunale, che ha escluso la pluralità delle condotte nel presupposto della natura ravvicinata nel tempo degli accadimenti denunciati, estremo che, in senso contrario, in precedenti di questa Corte, non ha condotto ad analoga interpretazione. Si lamenta la mancata considerazione, nella valutazione del clima familiare, di analoghi episodi aggressivi, di poco precedenti quelli esaminati, che rafforza la provvista indiziaria sull'esistenza del clima di sopraffazione, tipico del reato. Si contesta da ultimo la svalutazione delle condotte denunciate, eseguita rapportando le stesse ad un preteso modello di normalità familiare, che si contesta. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato, con riferimento alle violazioni di legge penale denunciate. 2. Sia pure a fronte di un'innegabile profondità di analisi sugli elementi di fatto contenuta nell'ordinanza impugnata, come denunciato in ricorso la loro valutazione risulta frutto di erronea applicazione di legge, nella parte in cui si è individuato il criterio valutativo sulla sussistenza degli indizi nella ritenuta impossibilità che il reato di maltrattamenti si sostanzi in più atti da soli non costituenti reato, affermazione smentita da plurime e costanti pronunce di questa Corte solo per citare la più risalente e la più recente sul punto Sez. 6, Sentenza numero 4636 del 28/02/1995, dep. 27/04/1995, imp. Cassani, Rv. 201148 e da ultimo Sez. 6, numero 9923 del 05/12/2011 - dep. 14/03/2012, S., Rv. 252350 . Il dato ermeneutico non corretto ha quindi condotto ad una distorta analisi dei fatti, poiché ha sorretto la decisione di escludere la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, malgrado nel percorso ricostruttivo sia stata registrata la presenza di una pluralità di condotte aggressive dell'interessato nei confronti della moglie, realizzatesi con atti di sopraffazione, offese tendenti a svalutare la persona, formulate in presenza dei figli, e quindi potenzialmente ancora più lesive della dignità della parte offesa, che, secondo l'inquadramento giurisprudenziale richiamato, costituirebbero invece, in linea astratta, elementi idonei a configurare la fattispecie delittuosa prospettata. 3. Analogamente erronea risulta la valutazione di insussistenza dell'abitualità del reato nell'ipotesi in cui i fatti si sviluppino in arco temporale ristretto, poiché se è indubbio che il reato richieda la reiterazione di comportamenti, non può condividersi l'individuazione, quale elemento essenziale, di uno sviluppo temporale minimo, ben potendo tali atteggiamenti, rivelatori di sopraffazione e svalutazione della persona sottoposta agli atti aggressivi, svilupparsi in arco temporale di qualche mese, senza per questo perdere la loro caratteristica di abitualità le volte in cui siano tutti dimostrativi di una volontà di sopraffazione e svalutazione della controparte, componente del nucleo familiare, o persona legata da vincoli di convivenza, cui è connessa la non immediata reattività ed il conseguente pericolo che tali condizioni si traducano in auto svalutazione e minorata difesa della vittima. Tale situazione è astrattamente suscettibile di prodursi nelle dinamiche familiari, anche in arco temporale non esteso, ove sia costante, come non può escludersi, in linea teorica, essere avvenuto nell'arco dei mesi in cui le condotte denunciate dalla parte lesa risulterebbero essersi sviluppate, sulla base dell'accertamento svolto. Conseguentemente non risulta corretto sul piano ermeneutico, connettere al limitato periodo di tempo nel quale tali atti si sono sviluppati, l'esclusione dell'abitualità degli atti aggressivi, ove si dia contestualmente conto che le condotte sono ripetitive. Sul punto è stato ripetutamente affermato da questa Corte Sez. 5, numero 2130 del 09/01/1992 - dep. 28/02/1992, Giay ed altri, Rv. 189558 che per ravvisare l'abitualità della condotta non è necessario che la stessa venga posta in essere in un tempo prolungato, essendo sufficiente la ripetizione degli atti vessatori ove questi siano plurimi, caratterizzati ed unificati da un fine comune, anche se sviluppati in un limitato periodo di tempo nello stesso senso, più di recente Sez. 6, Sentenza numero 25183 del 19/06/2012, dep. 25/06/2012, imp. R., Rv. 253041 . Ed in proposito, nel caso di specie si deve osservare che dagli elementi acquisiti, come descritti nel provvedimento, è dato ricavare che le aggressioni costituiscono manifestazioni di natura ordinaria e ripetuta, sia pure connessi causalmente ad una specifica condizione di difficoltà familiare, e che tali atti non risultano alternati da comportamenti non riconducibili a tale schema, e quindi relegabili a circoscritte reattività momentanee, così risultando, proprio per il filo comune che li collega, espressione di una specifica e costante modalità di condotta, che non ne esclude, in linea teorica, l'inquadramento nella fattispecie contestata, contrariamente a quanto ritenuto nel provvedimento oggetto di impugnazione. 4. Ne deriva quindi l'annullamento dell'ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Catania che, nella valutazione indiziaria, dovrà attenersi a tali principi ricostruttivi, accertandone la sussistenza nell'ipotesi di riscontro concreto delle caratteristiche costitutive del reato contestato nel senso sopra tratteggiato. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Catania.