In relazione alla fattispecie di atti sessuali con minore, la mera differenza di età tra i soggetti non integra di per sé l’estremo della violenza mediante induzione. Occorre che sia il giudice di merito a indicare espressamente le condotte che hanno generato i comportamenti sessuali posti in essere “con modalità insidiose” e quelle costituenti minaccia, non essendo sufficiente il richiamo generico all’esistenza di “minacce velate”.
È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 10823 del 6 marzo 2014. Il caso. Un uomo veniva tratto a giudizio per rispondere del fatto reato previsto e punito dall’articolo 609-bis, comma 2, c.p., in relazione ad un episodio occorso ai danni della persona offesa, di età poco superiore a 14 anni, che dopo aver iniziato una relazione sentimentale con l’imputato, di molti anni più grande di lui, aveva deciso di interromperla. Sulla scorta di detta decisione l’imputato riusciva ad ottenere un incontro presso la propria abitazione e qui, dopo aver ottenuto che il giovane consumasse abbondanti quantità di alcoolici e dopo aver minacciato di rivelare ai genitori la relazione omosessuale intrattenuta, aveva dato corso ad atti sessuali senza il consenso della persona offesa. Condannato in primo grado e riformata la sentenza quoad poenam in senso lui più favorevole, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione denunciando vizio di motivazione ex articolo 606, lettera e , c.p., per non aver dato il Giudice di secondo grado specifica risposta ai quesiti lui sottoposti in relazione alla configurazione delle «velate minacce» e del riflesso che esse avrebbero avuto sulla volontà della persona offesa vizio di motivazione ai sensi dell’articolo 606, lettera e , c.p. ed errata applicazione di legge ex articolo 606, lettera b , c.p. con riferimento alle modalità «insidiose» della condotta alla luce delle dichiarazioni della persona offesa che dichiarava come dopo l’assunzione delle bevande alcoliche essa manifestò il proprio dissenso ad intrattenere rapporti sessuali, dimostrando di avere conservato piena lucidità e, quindi, escludendo i requisiti dell’induzione vizio di motivazione ex articolo 606, lettera e , con riferimento all’elemento soggettivo del reato posto che i comportamenti posti in essere dalla persona offesa potevano apparire al ricorrente in linea col proprio desiderio di riprendere la relazione sentimentale e che all’esplicito dissenso dell’altro il ricorrente desistette da ulteriori azioni, dimostrando così di non avere alcuna consapevolezza né volontà di prevaricare la libertà altrui. La Corte ha accolto il ricorso. L’obbligo di prendere specifica posizione sulle doglianze della difesa. Il presupposto per l’accoglimento del ricorso formulato dall’imputato è certamente costituito dalla mancanza di ogni e qualsiasi specifica risposta resa dal Giudice di seconde cure in relazione alle critiche ed alle doglianze formulate in atto d’appello dalla difesa dell’imputato medesimo. In altre parole, la Corte ha applicato ai Giudicanti quella dottrina di cui ogni tanto parliamo anche sulle pagine virtuali di questo quotidiano e che è nota come dottrina Canzio. Gli atti delle parti, pm, difesa o giudici, debbono essere motivati, indicare espressamente le ragioni ed i punti di doglianza e su di essi deve essere presa specifica e puntuale posizione da parte del Giudice, pena la censura di nullità o di inammissibilità. Dunque, se è onere, nell’ambito del fair trail, delle parti processuali, accusa e difesa, indicare espressamente quali sono i motivi posti a fondamento delle rispettive doglianze e lagnanze, altrettanto sussistente e cogente deve dirsi l’obbligo esistente in capo al giudice di motivare, prendendo specifica e puntuale posizione, su di ogni questione sollevata dalle parti e da esse portate alla sua conoscenza. La violenza mediante induzione. La Corte di Cassazione riafferma un principio ormai costante e consolidato in giurisprudenza ai sensi del quale la mera differenza d’età tra la vittima e l’autore del reato può dirsi possa integrare di per sé sola l’estremo della cosiddetta induzione. Dunque, se così è per evidenziare la sussistenza del requisito è necessario che il giudice del merito indichi specificamente quali sono le condotte che sono state poste in essere e quali effetti esse hanno sortito nei confronti della capacità di autodeterminazione della vittima. In assenza di detta analisi, la Corte non esita a dichiarare privo di motivazione il ragionamento seguito che finisce con l’essere del tutto apodittico posto che esso si fonda su di un postulato inesistente. Le modalità insidiose. Analogo discorso deve essere effettuato in relazione alla sussistenza delle cosiddette modalità insidiose il tenore e la capacità delle stesse di costituire davvero insidia nel senso giuridico che al termine è necessario dare, deve essere valutata in concreto alla luce della effettiva e dimostrata capacità di diminuire la volontà della persona offesa e la capacità di determinarsi autonomamente e liberamente. Laddove detta capacità permanga o non sia possibile dichiararla quale scemata, diminuita o grandemente lesa dall’attività posta in essere dall’agente, il giudice non potrà dichiarare quale sussistente l’insidia. Le «velate minacce». Anche nel caso delle velate minacce è necessario che il giudice si intrattenga ed esplori, dandone contezza, il contenuto dell’aggettivo «velate». In altre parole, le minacce debbono essere profferite ed intese come tali. Il concetto di “velate”, infatti, attiene ad una valutazione effettuate necessariamente da un terzo, il giudice, che, nel momento stesso in cui ritenga di non poter qualificare gli atteggiamenti posti in essere quali e vere e proprie minacce in realtà sta già fornendo univoca risposta al quesito giuridico circa la loro sussistenza negandola. La motivazione necessaria. La Corte, analizzando i quattro profili indicati, giunge a concludere indicando come nel caso di specie il giudice avrebbe dovuto analizzare la vicenda partendo dall’inesistenza di una condizione di inferiorità della vittima in forza della differenza d’età, dunque portarsi ad analizzare la portata delle pressioni e la loro insistenza ai fini di ottenere la presenza del minore presso la propria abitazione, verificare poi gli effetti prodotti sulla volontà del minore dalla profferta di bevande a contenuto alcoolico al fine di verificare se tutti gli elementi indicati potessero dirsi concorrenti a connotare come violento l’atto sessuale. Occorre, pertanto che gli interpreti ricordino come sia necessario ravvisare, rilevare e denotare un necessario profilo causale che deve sussistere ai fini di connotare giuridicamente l’attività dell’imputato.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 13 febbraio – 6 marzo 2014, numero 10823 Presidente Teresi – Relatore Marini Ritenuto in fatto 1. Tratto a giudizio per rispondere del reato ex articolo 81, 609-bis cod. penumero , commesso dal 23/7/2004 al 9/10/2005, il sig. T. è stato condannato con sentenza emessa il 23/10/2007 dal Giudice delle indagini preliminari dei Tribunale di Milano ex articolo 442 cod. proc. penumero in relazione all'episodio avvenuto in data 9 ottobre e condannato, qualificato il fatto ai sensi dell'ultimo comma dell'articolo 609-bis cod. penumero , alla pena di due anni di reclusione, nonché al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita. Il Tribunale ha ritenuto provato che la persona offesa, di età di poco superiore a 14 anni, ha inizialmente instaurato una relazione sentimentale con l'imputato, di molti anni più grande di lui successivamente alla manifestata volontà della persona offesa di interrompere la relazione, l'imputato aveva ottenuto un incontro presso la propria abitazione e qui, dopo avere ottenuto che il giovane consumasse abbondanti quantità di alcolici e dopo avere minacciato di rivelare ai genitori la relazione omosessuale intrattenuta, aveva dato corso ad atti sessuali senza il consenso altrui. 2. Con sentenza del 22/2/2013, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha ridotto a 1 anno e 4 mesi di reclusione la pena inflitta al sig. T. e ha confermato le statuizioni civili imposte con la prima decisione. 3. Avverso tale decisione il sig. T. propone ricorso tramite il Difensore, in sintesi lamentando a. Vizio di motivazione ai sensi dell'articolo 606, lett. e cod. proc. penumero posto che la Corte di appello non ha dato risposta alle questioni poste con l'atto d'impugnazione avendo riguardo all'elemento della minaccia, non chiarendo in cosa sarebbero consistite le velate minacce di informare i genitori della persona offesa e quale riflesso questo avrebbe avuto sulla volontà della stessa persona offesa, così che difetta la prova dell'elemento costitutivo del reato b. Vizio di motivazione ai sensi dell'articolo 606, lett. e cod. proc. penumero ed errata applicazione di legge ex articolo 606, lett. b cod. proc. penumero con riferimento alle indicate modalità insidiose della condotta, posto che la stessa persona offesa ha dichiarato che dopo l'assunzione delle bevande manifestò il proprio dissenso a rapporti sessuali, dimostrando di avere conservato piena lucidità e posto che non sussistono gli estremi della induzione c. Vizio di motivazione ai sensi dell'articolo 606, lett. e cod. proc. penumero con riferimento all'elemento soggettivo del reato, posto che i comportamenti della persona offesa potevano apparire al ricorrente in linea col proprio desiderio dì riprendere la relazione sentimentale e che all'esplicito dissenso dell'altro il ricorrente desistette da ulteriori azioni, così che non ci fu né consapevolezza né volontà di prevaricare la libertà altrui. Considerato in diritto 1. Osserva la Corte che i giudici di appello prendono le mosse pag. 4 della motivazione dalla considerazione, riferita alla sentenza di primo grado, che il giudicante rilevava che l'episodio per cui si procede non poteva essere sussunto nella fattispecie della violenza mediante induzione di cui all'articolo 609 bis II comma numero 1 in quanto il compendio probatorio agli atti non ha evidenziato nessuna ragione di inferiorità psichica del ragazzo e la differenza di età tra i soggetti agenti in un atto di violenza sessuale non integra per giurisprudenza costante di per sé solo l'estremo della induzione . 2. Escluso, così, che sussista l'ipotesi della induzione, i giudici di appello affermano che è pacifico che gli atti sessuali vennero posti in essere dal ricorrente contro la espressa volontà della persona offesa, che in tal senso si è chiaramente espressa nel proprio racconto è altrettanto pacifico che si tratti di comportamenti sessuali posti in essere con modalità insidiose perché successivi all'assunzione di bevande alcoliche inoltre, in condizioni tali da estorcere il consenso, attraverso la minaccia, sia pure velata, di rivelare ai genitori la relazione omosessuale . Le chiare dichiarazioni dei minore sono confortate, a parere della Corte territoriale, dalle circostanze che dopo l'episodio del 9 ottobre 2005 il minore interruppe i rapporti col ricorrente e in data 3 maggio 2006 procedette a presentare querela. 3. Giova rilevare che la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di primo grado, e nella sostanza confermata dai giudici di appello, individua nelle ossessive pressioni e nelle minacce di rivelare a terzi la relazione la condotta minatoria posta in essere dall'imputato, tale da estorcere alla persona offesa l'accettazione di un nuovo incontro individua poi, con riferimento all'incontro del 9 ottobre 2005, nella combinazione tra blandizie, pressioni e offerta di bevande alcoliche le premesse che condussero all'ottenimento della esibizione dei genitali e di un bacio intenso che il minore non avrebbe voluto scambiare e a cui accedette al fine di porre fine alla situazione in cui si trovava ritiene che tali condotte dell'imputato escludano la fondatezza della versione difensiva secondo cui si sarebbe in presenza di normali schermaglie amorose e difetterebbe, quantomeno, l'elemento soggettivo del reato. 4. Tale impostazione presenta alcune criticità che il ricorso ha correttamente messo in evidenza. 5. In primo luogo non è dato comprendere da quale fonte i giudici di merito ricavino la certezza che il ricorrente abbia prospettato alla persona offesa minacce rilevanti e tali da incidere sulla sua libertà di determinarsi. La Corte di appello fa ricorso all'espressione velate minacce con riferimento al rischio di informare i genitori del giovane circa la esistenza della relazione omosessuale. Va evidenziato che l'episodio del messaggio scritto lasciato nei pressi dell'abitazione pag. 5 della motivazione di primo grado appare collocato temporalmente dopo il 9 ottobre 2005 ed è, dunque, da considerarsi irrilevante rispetto alla ipotesi di reato per cui vi è stata condanna. Diversa, invece, risulta la valutazione del Tribunale, che, senza affrontare tale decisivo profilo, alla pag. 7 della motivazione richiama il biglietto come elemento attraverso cui furono esercitate le pressioni che concorsero a comprimere la volontà della persona offesa. Anche la Corte di appello, alle pagine 6 e 7, richiama come rilevante tale elemento, senza peraltro affrontarne i profili critici prospettati dalla difesa. 6. E, infatti, difetta nelle motivazioni delle due sentenze l'indicazione circa il momento e il contenuto delle minacce si veda pag. 6, ultimo capoverso, della sentenza di primo grado e difetta, ancor prima, l'indicazione del contenuto delle dichiarazioni della persona offesa da cui sia ricavabile l'esistenza stessa di minacce rilevanti ai fini della commissione del reato di questo profilo non vi é traccia nelle dichiarazioni della vittima riportate alle pagine 3-5 della motivazione del Tribunale. Ciò nonostante, sia il Tribunale sia la Corte di appello elencano le minacce fra i profili decisivi per il giudizio di responsabilità penale. 7. In secondo luogo, una volta ritenuto che sia necessario approfondire il tema delle minacce, la Corte ritiene che questo riverberi i suoi effetti anche sul giudizio circa la rilevanza delle condotte del ricorrente in occasione dell'incontro del 9 ottobre. Esclusa l'esistenza di una condizione d'inferiorità della vittima in forza della differenza di età, deve esaminarsi se le pressioni e l'insistenza con cui il ricorrente ottenne la presenza della stessa presso la propria abitazione e la successiva offerta di bevande a contenuto alcolico siano elementi che concorrono a connotare come violento l'unico atto sessuale posto in essere il bacio prolungato . Le dichiarazioni della persona offesa riportate nel corpo della sentenza di primo grado non indicano con chiarezza un proprio stato di alterazione dovuto all'assunzione delle bevande e la Corte di appello si limita a richiamare l'esistenza di modalità insidiose senza ulteriormente approfondire tale elemento si tratta, invece, di un profilo causale che merita di essere considerato con attenzione al fine di accertare esattamente i contorni entro cui collocare la condotta del ricorrente, al netto dei presupposti che non risultino effettivamente incidenti sul fatto. 8. Sulla base delle considerazioni che precedono la sentenza deve essere annullata con rinvio al giudice di appello che, valutati i principi fissati con la presente decisione, procederà a nuovo esame. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.