Atto annullato per incapacità naturale: la messa in mora non basta per interrompere la prescrizione

Con riferimento al diritto potestativo dell’incapace di intendere e di volere di impugnare il negozio o l’atto compiuto in detta condizione di transitoria incapacità, la situazione giuridica rappresentata da tale diritto potestativo può essere esercitata e trovare soddisfazione o con l’azione giudiziale di impugnazione per annullabilità del negozio oppure dell’atto o ricercando un accordo con la controparte e provvedendo attraverso un nuovo negozio ad eliminare quello invalido. Pertanto, la prescrizione del diritto potestativo in discorso può essere interrotta solo con l’esercizio dell’azione giudiziale e non con un semplice atto di messa in mora.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella pronuncia numero 121 dell’8 gennaio 2016. Il caso. Un uomo cita in giudizio la Regione Piemonte per ottenere il risarcimento dei danni sofferti a causa di un intervento chirurgico avvenuto presso l’ospedale Molinette di Torino. Nella specie, l’attore chiedeva l’annullamento dell’atto di quietanza sottoscritto nel 2000 con la compagnia assicuratrice della struttura ospedaliera con cui aveva accettato una somma a titolo di risarcimento perché, sebbene egli non fosse interdetto al momento della sottoscrizione, era stato in condizioni di incapacità di intendere e di volere. Considerato che la domanda era stata proposta nel 2007, e dunque ben oltre il termine quinquennale previsto dall’articolo 428, comma 3, c.c. per l’esercizio dell’azione di annullamento, l’attore evidenziava che il corso della prescrizione era stato interrotto con due lettere del 2003 rispettivamente inviate all’ospedale a marzo e alla compagnia assicuratrice a ottobre . La domanda veniva respinta sia in primo che in secondo grado per intervenuta prescrizione, sicché l’attore si rivolgeva alla Corte di Cassazione. Correzione della motivazione senza cassazione della sentenza. A giudizio del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto inesistente una valida interruzione del termine di prescrizione perché avrebbe considerato solo la lettera inviata alla compagnia assicuratrice, ritenendone l’inidoneità sotto il profilo soggettivo, mentre non avrebbe in alcun modo tenuto presente la lettera inviata all’ospedale nel marzo 2003. I Giudici di legittimità, nel confermare il dispositivo di rigetto della domanda per l’intervenuta prescrizione, ritengono però indispensabile procedere alla correzione della motivazione. Effettivamente la Corte di merito ha omesso di considerare, ai fini della soluzione della questione di prescrizione, la lettera del marzo 2003, e dunque sotto tale profilo la censura del ricorrente appare fondata. Ciò nondimeno, il mancato esame della lettera, è ritenuto del tutto ininfluente dal momento che appare infondata la preliminare domanda di annullamento ai sensi dell’articolo 428 c.c Necessario identificare la pretesa nella lettera di messa in mora. Invero, nella lettera del marzo 2003, sebbene fosse manifestata espressamente l’intenzione di far valere un diritto al risarcimento ulteriore rispetto a quello già risarcito con la transazione del 2000, non si manifestava in alcun modo l’intento di voler esercitare il diritto di impugnare la transazione per la pretesa condizione di incapacità di intendere e di volere al momento della sua sottoscrizione. A giudizio degli Ermellini, se anche fosse giuridicamente possibile, per chi abbia stipulato un atto negoziale in condizioni di incapacità di intendere e di volere, compiere, con una lettera enunciante l’intenzione di impugnarlo per quella ragione, un atto interruttivo del corso della prescrizione, la lettera in questione non potrebbe certo ritenersi idonea ad assumere la qualità di atto interruttivo. Essa infatti non conteneva alcuna enunciazione della pretesa annullabilità della transazione perché stipulata in quelle condizioni e prima ancora un pur generico riferimento alla sua annullabilità. Di contro, ai sensi del quarto comma dell’articolo 2943 c.c., l’atto che vale a costituire in mora il debitore rispetto alla pretesa creditoria è un atto che necessariamente deve identificare questa pretesa e, dunque, contenere una indicazione dei termini di essa. La prescrizione dell’azione di annullamento è interrotta solo dall’esercizio dell’azione. Del resto, pur a voler prescindere da tale ultima circostanza, la Corte di Cassazione ritiene che, in ogni caso, la lettera di messa in mora di cui si discute non era idonea ad interrompere la prescrizione. Invero, il diritto potestativo dell’incapace di intendere e di volere di impugnare il negozio o l’atto compiuto in detta condizione di transitoria incapacità può essere esercitato solo con l’azione giudiziale oppure può trovare soddisfazione ricercando un accordo con la controparte e provvedendo attraverso un nuovo negozio ad eliminare quello invalido. Ne segue che il diritto potestativo in discorso non è suscettibile di esercizio mediante un atto stragiudiziale finalizzato a porre il soggetto in posizione di soggezione rispetto al suo contenuto in situazione di mora, cioè di ritardo in una prestazione che egli deve adempiere. E ciò perché una prestazione non si configura, ma si configura appunto la soggezione del soggetto all’altrui impugnativa, che deve avvenire con l’azione giudiziale. Nel caso di specie, dunque, i Giudici di merito, di fronte all’eccezione di prescrizione sollevata dalla regione ai sensi dell’articolo 428, terzo comma, c.c. avrebbero dovuto rilevare che la pretesa del ricorrente di aver interrotto il termine di cui a quella norma in via stragiudiziale e particolarmente con la lettera del marzo 2003 era priva di pregio in iure , perché la prescrizione della pretesa all’annullamento della transazione del 2000 avrebbe potuto essere interrotta solo da un esercizio dell’azione di impugnativa in via giudiziale nel termine di cinque anni.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 6 ottobre 2015 – 8 gennaio 2016, numero 121 Presidente / Relatore Frasca Svolgimento del processo § I. C.F.M. ha proposto ricorso per cassazione contro la Regione Piemonte avverso la sentenza del 3 luglio 2012, con la quale la Corte d'Appello di Torino ha rigettato il suo appello avverso la sentenza del 5 maggio 2009, con cui il Tribunale di Torino, dopo aver disatteso l'eccezione di difetto di legittimazione passiva della Regione, aveva respinto per intervenuta prescrizione la domanda, proposta nell'ottobre del 2007 da esso ricorrente per ottenere il risarcimento dei danni alla persona sofferti a causa di un intervento chirurgico avvenuto presso l'Ospedale Molinette di Torino il 24 gennaio 1992. Detta domanda era stato proposta a sollecitando l'accertamento - in via incidentale secondo la prospettazione della citazione introduttiva - che l'attore, sebbene non interdetto al momento in cui l'aveva sottoscritta, era stato in condizioni di incapacità di intendere e di volere ai sensi dell'articolo 428 c.c., all'atto in cui il 21 marzo 2000 aveva sottoscritto con la compagnia assicuratrice della struttura ospedaliera GGL Centro Liquidazione Danni s.p.a. una dichiarazione di quietanza per la somma di £ 8.500.000 a titolo risarcitorio, di modo che detto atto doveva essere annullato b adducendo che con lettere del 29 marzo 2003 e del 31 ottobre 2003 l'attore aveva interrotto il corso della prescrizione del diritto potestativo di ottenere l'annullamento di quell'atto. § I. 1. La Corte d'Appello torinese, dopo avere accolto il primo motivo di appello del M., censurando l'avviso dei primo giudice che aveva ritenuto non riferibili alla Regione le lettere asseritamente interruttive del corso della prescrizione inviate alla struttura ospedaliera, anziché all'U.S.L. o al suo Commissario Liquidatore, ha invece rigettato il motivo di appello concernente l'idoneità ad interrompere la prescrizione di un'altra lettera indirizzata alla suddetta compagnia assicuratrice. § 2. Al ricorso, che propone due motivi, ha resistito con controricorso la Regione Piemonte. Motivi della decisione § 1. Con il primo motivo si denuncia omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio . Vi si prospetta che la Corte d'Appello avrebbe ritenuto erroneamente la carenza di una valida interruzione del termine di prescrizione quinquennale previsto dall'articolo 428 c.c., perché avrebbe considerato soltanto la lettera del 31 ottobre 2003 inviata alla compagnia assicuratrice, ritenendone l'inidoneità sotto il profilo soggettivo, mentre non avrebbe in alcun modo tenuto presente la lettera del 29 marzo 2003, inviata all'Ospedale Molinette e ricevuta da esso il 2 aprile 2003. La considerazione di quest'ultima lettera - il cui contenuto si riproduce, e che si dice prodotta fin dall'introduzione della causa di primo grado come documento numero 8 e che si indica citata nella conclusionale di primo grado alla pagina 9, nella memoria di replica alla pagina 1, nella citazione di appello alle pagine 8, 11, 12, nonché nella successiva conclusionale e memoria di replica - sarebbe stata, sostiene il ricorrente, dirimente per ritenere interrotto il termine quinquennale di cui all'articolo 428 c.c. decorso dalla data della quietanza del 21 marzo 2000, tenuto conto del riconoscimento - da parte della Corte torinese -- della riferibilità alla Regione di quanto compiuto nei confronti del detto ospedale. Dalla mancata considerazione della lettera de qua, in quanto relativa a fatto controverso e decisivo, sarebbe emersa una lesione dell'articolo 11.5 c.p.c. § 1.1. Con il secondo motivo si deduce contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio il motivo non ha alcuna autonomia rispetto a quello precedente, riproponendo nella sostanza la questione della mancata considerazione della lettera del 29 marzo 2003 come interruttiva del corso della prescrizione di cui all'articolo 428 c.p.c. § 2. Il Collegio rileva che i motivi non sono idonei a giustificare la cassazione della sentenza il cui dispositivo di conferma del rigetto della domanda del ricorrente per l'intervenuta prescrizione dell'azione ai sensi dell'articolo 428 c.p.c. quale presupposto per l'esercizio dell'azione risarcitoria è corretto, ancorché giustificato da una motivazione che non è conforme a diritto e della quale deve farsi correzione sotto un duplice profilo, a norma dell'ultimo comma dell'articolo 384 c.p.c. Queste le ragioni. § 2.1. Effettivamente il ricorrente si duole giustamente della circostanza che la Corte abbia omesso, ai fini della soluzione della questione della prescrizione dell'azione ai sensi dell'articolo 428 c.c. in funzione dell'annullamento della quietanza del 2000, la considerazione della lettera dei 29 marzo 2003. La doglianza è fondata solo sotto il profilo che la Corte territoriale l'avrebbe dovuto considerare tra il materiale probatorio introdotto in causa a sostegno della prospettazione del ricorrente in replica all'eccezione di prescrizione quinquennale ex articolo 428, terzo comma c.c. di quell'azione prospettata come presupposto per l'azione di risarcimento del danno, cioè per eliminare l'incidenza della lettera de qua come risolutiva in via stragiudiziale della controversia sul danno patito . La rilevanza di detta lettera era stata invocata fin dal giudizio di primo grado e, per quel che valeva ad onerare di considerarla la Corte torinese, in sede di appello espressamente nella citazione di appello, dove si era dedotto proprio che le si sarebbe dovuto dare rilievo di atto interruttivo della prescrizione di cui all'articolo 428 c.c. si veda, infatti, la pagina 12 di detta citazione. La Corte territoriale avrebbe, dunque, dovuto farsi carico di esaminare la rilevanza del documento ai fini della decisione sul motivo di appello con cui il ricorrente aveva sostenuto di avere interrotto la prescrizione de qua. Viceversa, la sentenza impugnata non si cura in alcun modo della lettera in questione. § 2.2. Senonché, il mancato esame della lettera, pur una volta considerata la sua pretesa funzione interruttiva secondo l'esatto diritto ad essa applicabile, risulta del tutto ininfluente sulla soluzione della lite e, quindi, sulla conferma del rigetto delle domande proposte dal ricorrente la ragione è che appare infondata la preliminare domanda di annullamento ai sensi dell'articolo 428 c.c. dell'atto contenuto nella lettera del 29 marzo 2003 e ciò in forza di una ragione giuridica che questa Corte deve rilevare come assorbente così appunto correggendo la motivazione della sentenza impugnata. Ragione che era sfuggita al primo giudice e che è sfuggita anche al secondo e la cui rilevazione è in questa sede possibile in quanto non comporta accertamenti di fatto, bensì proprio dell'esattezza in iure della prospettazione della lettera come atto interruttivo della prescrizione di cui all'articolo 428, terzo comma, c.c. Tale ragione si colloca, peraltro, a monte di altra che, se essa non si configurasse, sarebbe stata comunque anch'essa decisiva nel senso di giustificare in ogni caso la ritenuta prescrizione dell'azione ai sensi dell'articolo 428 c.c. § 2.3. Quest'altra ragione si rinviene nella circostanza che nel tenore della lettera del 29 marzo 2003, se è vero che, nel giustificare la richiesta di risarcimento danni ulteriori rispetto a quelli già risarciti con la somma di cui alla transazione del 21 marzo 2000, si diceva, nel post scriptum che «i termini prescrittivi sono stati interrotti come da normativa vigente», così effettuando una dichiarazione esprimente una pretesa risarcitoria ulteriore e, quindi, l'intenzione di far valere un diritto al risarcimento originante dalle lesioni subite per effetto de[l' esecuzione dell'intervento operatorio, tuttavia, non si manifestava in alcun modo l'intento di voler esercitare il diritto di impugnare la transazione per la pretesa condizione di incapacità di intendere e di volere al momento della sua sottoscrizione. Ne segue che, se giuridicamente fosse possibile, per chi abbia stipulato un atto negoziale in condizioni di incapacità di intendere e di volere, compiere, con una lettera enunciante l'intenzione di impugnarlo per quella ragione, un atto interruttivo del corso della prescrizione di cui al terzo comma dell'articolo 428 c.c., si dovrebbe rilevare che la lettera in questione, non contenendo alcuna enunciazione della pretesa annullabilità della transazione perché stipulata in quelle condizioni e prima ancora un pur generico riferimento alla sua annullabilità, era del tutto inidonea ad assumere la qualità di atto interruttivo, alla stregua del quarto comma dell'articolo 2943 c.c. Ai sensi di tale norma, infatti, l'atto che vale a costituire in mora il debitore rispetto alla pretesa creditoria è un atto che necessariamente deve identificare questa pretesa e, dunque, contenere una indicazione dei termini di essa. La lettera in discorso, dunque, se anche fosse stata considerata dalla Corte territoriale, avrebbe dovuto essere valutata come del tutto inidonea a manifestare l'intento di valersi dell'impugnativa della transazione del marzo del 2000. § 2.4. Peraltro, con riferimento al diritto potestativo dell'incapace di intendere e di volere di impugnare il negozio o l'atto compiuto in detta condizione di transitoria incapacità, la situazione giuridica rappresentata da tale diritto potestativo è situazione che può essere esercitata e trovare e soddisfazione o con l'azione giudiziale di impugnazione per annullabilità del negozio oppure dell'atto o ricercando un accordo con la controparte e provvedendo attraverso un nuovo negozio ad eliminare quello invalido. II diritto potestativo in discorso, proprio perché il suo contenuto è espresso da una pretesa a far valere l'invalidità del negozio, è diritto che non conosce forme di esercizio diverse. Ne segue che esso non è suscettibile di esercizio mediante un atto stragiudiziale finalizzato a porre il soggetto in posizione di soggezione rispetto al suo contenuto in situazione di mora, cioè di ritardo in una prestazione che egli deve adempiere. E ciò perché una prestazione non si configura, ma si configura appunto la soggezione del soggetto all'altrui impugnativa. Impugnativa che deve avvenire con l'azione giudiziale, che realizza un caso di giurisdizione costitutiva sebbene non necessaria, atteso che la realizzazione del diritto potestativo è possibile anche con un accordo di eliminazione del negozio invalido, come s'è detto. Si veda, in termini, Cass. numero 25468 del 201.0. II Codice Civile esprime questo modo di essere del diritto potestativo dell'incapace di impugnare il negozio o l'atto compiuti in situazione di incapacità di intendere e di volere qualif candolo come istanza di annullamento e nel terzo comma, dopo che nel secondo già con il riferimento all'annullamento che può essere pronunciato solo a certe condizioni ha suggerito che detta istanza è l'azione in giudizio, espressamente riferisce la prescrizione all' azione. Ne consegue quanto qui di seguito si evidenzia. A ben vedere sia il primo giudice che la Corte territoriale, di fronte all'eccezione di prescrizione sollevata dalla Regione ai sensi dell'ari. 428, terzo comma, c.c. avrebbero dovuto rilevare che la pretesa del qui ricorrente di aver interrotto il termine di cui a quella norma in via stragiudiziale e particolarmente con la lettera di cui si discorre era priva di pregio in iure, perché la prescrizione della pretesa all'annullamento della transazione del marzo dei 2000 avrebbe potuto essere interrotta solo da un esercizio dell'azione di impegnativa in via giudiziale nel termine di cinque anni e non già da atti stragiudiziali. In proposito, con riferimento all'impossibilità di configurare atti stragiudiziali di interruzione della prescrizione delle impugnate negoziali per annullabilità si vedano Cass. numero 3713 del 1971, proprio a proposito di impugnativa di transazione numero 402 de 1984 numero 1965 del 1992, proprio a proposito di pretesa di impugnativa ai sensi dell'articolo 428 c.c., secondo cui «Con riguardo all'azione proposta dal lavoratore subordinato per l'annullamento delle dimissioni comunicate al datore di lavoro ai sensi dell'articolo 428 cod. civ. la prescrizione non può essere interrotta con un atto stragiudiziale di costituzione in mora ai sensi dell'articolo 2943, ultimo comma, cod. civ., essendo tale nonna applicabile soltanto ai diritti di credito, e non anche ai diritti potestativi, per i quali la domanda stragiudiziale costituisce l'unico strumento per realizzare l'interesse protetto dall'ordinamento.» nello stesso senso Cass. numero 11020 del 2000 e numero 25861 del 2010 . § 3. Corretta la motivazione nel senso dell'affermazione di fondatezza della prescrizione dell'azione ai sensi dell'articolo 428 c.c. per mancato esercizio con azione giudiziale nel termine di cui al suo terzo comma, il dispositivo della sentenza impugnata, in quanto confermativo del rigetto dell'azione del ricorrente per intervenuta prescrizione, risulta conforma a diritto. Ne segue il rigetto del ricorso. § 4. La disposta correzione della motivazione integra giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio, ai sensi del testo dell'articolo 92 applicabile al giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di Cassazione.