Chi chiede la demolizione deve dimostrare la violazione della normativa

Spetta al proprietario che chiede la demolizione dell’opera in violazione della normativa sulle distanze dimostrare che al momento dell’entrata in vigore della disciplina più rigorosa l’opera stessa non era completata.

Il caso. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2856 depositata il 7 febbraio scorso, si è occupata nuovamente delle distanze tra edifici. In particolare, nei giudizi di merito, veniva intimato ad un uomo di demolire una costruzione da lui realizzata ad una distanza inferiore ai 10 metri dal fronte del fabbricato di proprietà di una società. La questione ruota intorno a quale PRGI è applicabile e su chi deve provare se le opere violino o meno la normativa sulle distanze. Chi deve provare la violazione? In altre parole, il ricorrente ha chiesto se l’onere della prova, in caso di opere ritenute in violazione della normativa sulle distanze, sia a carico del soggetto che ne chiede la demolizione, il quale è conseguentemente tenuto a provare il momento della realizzazione delle opere, la normativa ad essa applicabili e tutte le altre circostanze presupposto dell’accoglimento della domanda se, di conseguenza, nel caso di specie, in assenza di prova di ultimazione delle opere strutturali successivamente al febbraio del 1987, tempo di entrata in vigore del nuovo PRGC, la domanda della società immobiliare attrice nel processo di primo grado doveva essere respinta. Errata – secondo gli Ermellini – l’affermazione dei giudici di appello secondo cui non vi sono elementi di prova univoci idonei a dimostrare, ad onere del convenuto appellante che aveva intenzione di giovarsene, l’effettiva ultimazione dei lavori, quantomeno strutturali , sul fabbricato di proprietà del ricorrente in epoca precedente all’entrata in vigore del PRGI del 1982, intervenuta nel 1987 . Al proprietario che chiede la demolizione dell’opera? La S.C., cassando con rinvio la sentenza impugnata, ha precisato che spetta al proprietario che chiede la demolizione dell’opera in violazione della normativa sulle distanze dimostrare che al momento dell’entrata in vigore della disciplina più rigorosa essa non era completata, mentre il convenuto può limitarsi a contestare, senza altro onere probatorio, neppure nel caso abbia articolato prova testimoniale sul punto, sempre che non vi sia in equivoca rinuncia ai vantaggi derivatigli dai principi che disciplinano la prova .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 10 ottobre 2013 – 7 febbraio 2014, numero 2856 Presidente Oddo – Relatore Parziale Svolgimento del processo 1. L'Immobiliare Vior proprietaria di un immobile di tre piani fuori terra, oltre sottotetto abitabile e piano interrato, in Cossato, via Mazzini numero 82, adiacente ad altro immobile di proprietà di P.R. , nel dicembre del 1988, conveniva in giudizio quest'ultimo, chiedendo che fosse dichiarato illegittimo quanto da lui costruito in Cossato, via , dal filo del preesistente muro fino al confine con il cortile comune, relativamente al piano terra e al primo piano, e a distanza inferiore a dieci metri dal fronte del fabbricato della società attrice quanto al terzo, quarto e quinto piano, con condanna del convenuto a demolire le edificazioni illegittime e a risarcire i danni. P.R. si costituiva ritualmente, chiedendo, nel merito, il rigetto delle domande formulate nei suoi confronti, rilevando che le opere che aveva realizzato erano giustificate dalla concessione in sanatoria numero 31 del 1984 e dalle successive autorizzazioni numero 231/84 e numero 285/85, aventi ad oggetto rispettivamente l'ampliamento della soletta e il rifacimento del tetto che comunque egli disponeva del diritto di sopraelevare in forza della convenzione del 1975 intervenuta tra lui e la società attrice, che non vi era stato alcun ampliamento e, ancora, che le norme sulla visuale libera non possono essere considerate integrative del codice civile, essendo dirette a tutelare in via principale il pubblico interesse e, solo in via subordinata, l'interesse privato. 2. All'esito dell'istruttoria esperita CTU e testi il Giudice di primo grado accoglieva la domanda, dichiarando illegittimo, con conseguente condanna del convenuto alla demolizione, quanto costruito al piano terreno e al primo piano dal filo del preesistente muro fino al cortile comune, per metri 2,60 circa e per l'intera altezza dei piani, e quanto costruito ai piani terzo, quarto e quinto fuori terra inferiormente alla distanza di metri 10 dal fronte del fabbricato della società, rigettando la domanda di risarcimento del danno. 3. La Corte di appello di Torino rigettava l'impugnazione del P. , basata sui seguenti motivi a errata applicazione della normativa che indicava la distanza minima in 10 metri tra le costruzioni delle parti, perché non vigente all'epoca della costruzione ma solo in salvaguardia . Detta disposizione, contenuta al punto 5 dell'articolo 3 2.2 delle NTA del PRGI adottato con delibera numero 223 del 6.7.1982 era divenuta vigente solo con l'approvazione regionale di cui al DGR numero 88.17090 del 17.7.1987. Le uniche norme applicabili al caso di specie erano quelle vigenti all'epoca dell'esecuzione della costruzione, e cioè quelle del piano regolatore del 1979 b in ogni caso, la costruzione era legittima, anche tenendo conto delle norme di salvaguardia, avendo il CTU commesso un grave errore di calcolo nell'applicare il concetto di visuale libera stabilito dalle NTA, poiché quanto al piano terreno la visuale libera doveva essere misurata dalle pareti dei locali abitabili e non dal filo delle strutture aperte, e quanto ai piani superiori doveva essere determinata in modo normale , e cioè in orizzontale così come descritto dall'articolo 1.2.2 NTA e conformemente al codice civile. L'Immobiliare Vior chiedeva il rigetto dell'appello e, in via subordinata con appello incidentale condizionato, l'applicazione delle norme di salvaguardia. 3.1 La Corte di merito osservava che l'appellante, pur essendo onerato, non aveva fornito la prova di aver realizzato le costruzioni in questione, quanto meno sul piano strutturale va epoca anteriore a quella nella quale era entrata in vigore la normativa edilizia applicata dal primo giudice del 1987 e ciò sulla base della espletata CTU e delle riesaminate risultanze testimoniali. Al riguardo, la Corte di merito osservava quanto segue. È pacifico che P.R. ha eseguito a partire dal 1983 interventi edili sul fabbricato di sua proprietà, che, per la parte che qui interessa, era originariamente formato da due piani fuori terra, collegati al rimanente corpo di fabbrica da una veranda servigio igienico posta al primo piano secondo fuori terra — tfr. la relazione del CTU geom. T.A. . Precisamente l'appellante ha costruito tre pilastri che iniziano con fondazione nel piano terra creando, tramite colonnati e nuove solette, un fabbricato a corpo unico che modifica sostanzialmente il fabbricato esistente facendo nascere quattro nuovi piani cinque fuori terra , che effettivamente sono il primo secondo fuori terra costituito dall'occupazione dell'area della veranda preesistente e dell'area libera rimanente, il secondo terzo fuori terra costituito da terrazza e piccolo ampliamento costituito dal tetto piano del fabbricato prospettante il cortile e dell'area delle demolite latrine, il terzo quarto fuori terra ottenuto creando una nuova soletta che diventa un ampio balcone con un ampliamento prospettante la proprietà VTOR, occupando la superficie coperta che come nel piano sottostante corrisponde alle demolite latrine, il quarto quinto fuori terra nasce da un innalzamento di parte del tetto del fabbricato prospettante la via e la corte comune . che utilizzando la parte di soletta relativa all'ampliamento della parte sottostante per la sola superficie delle ex latrine e parte della soletta ricostruita e innalzata di quota . viene a creare un balcone di larghezza di circa cm 120 e un piano mansardato - cfr. ancora la relazione peritale del geom. T. . Dalle misurazioni effettuate dal CTU geom. T. emerge che la distanza tra l'immobile di proprietà P. e quello di proprietà Vior, che si fronteggiano con l'interposizione del cortile comune, appare essere di metri 5,26 misurata dal filo esterno delle colonne fino all'avancorpo dello stabile della società appellata la stessa distanza è stata misurata per i piani soprastanti, fino al terzo fuori terra, e l'altezza del fabbricato P. e maggiore rispetto a quella degli stabili confinanti e, per metri uno, rispetto al fabbricato iniziale ”. 3.2 La Corte di appello esaminava, quindi, in dettaglio, tutte le istanze presentate dall'appellante al Comune e la relativa documentazione ivi prodotta, nonché tutte le prove testimoniali, giungendo a concludere che Da quanto esposto consegue che non vi sono elementi di prova univoci idonei a dimostrare, ad onere del convenuto appellante che aveva ed ha intenzione d giovarsene l'effettiva ultimazione dei lavori, quantomeno strutturali, sul fabbricato di proprietà P. in epoca precedente all'entrata in vigore del PRGI del 1982, intervenuta nel 1987 si devono pertanto ritenere applicabile al caso di specie le disposizioni del nuovo PRGI richiamato ”. Così concludendo P.R. non ha rispettato, nell'edificazione di cui si discute, la distanza dalla parete finestrata frontistante di metri 10, né, per quanto riguarda i due piani fuori terra realizzati in parziale modifica del preesistente, la distanza dal confine con il cortile di proprietà della struttura preesistente, di metri 2.60” . Ulteriormente anche osservando Si evidenzia che, a fronte dell'appello principale con il quale si rivendica la legittimità dell'intero intervento posto in essere dall'appellante, non vi è appello incidentale quanto all'individuazione della distanza dei piani già esistenti nell'edificazione precedente in relazione al confine con il cortile comune” . 3.3 Quanto, infine alle modalità di calcolo delle distanze, osservava la Corte di merito quanto segue. Le doglianze dell'appellante riguardo alle modalità di misurazione adottate dai CTU sono ingiustificate, per quanto riguarda l'estremo rappresentato dal lato esterno dei pilastri realizzati a piano terra come punto di riferimento per la misurazione della distanza dalla parete del fabbricato frontistante, e inconferenti relativamente alla prospettata modalità di determinazione, ipotizzata come radiale invece che orizzontale, della distanza dal fabbricato di Vior s.s. per quanto riguarda gli altri piani. Per il primo profilo infatti correttamente il CTU, e quindi il Tribunale di Biella, hanno considerato come costruzione ai fini del calcolo delle distanze l'area coperta - senza muri perimetrali verso il cortile -, che fa da soletta per l'edificazione e/o l'ampliamento dei piani sovrastanti, delimitata verso il cortile comune da pilastrini di sostegno, trattandosi di opera stabilmente infissa al suolo, anzi portante per i piani superiori, destinata quindi ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato e non a semplice elemento accessorio ornamentale dello stesso - tfr, per esempio, Cass. numero 5963/04 - per il secondo profilo, l'appellante non giustifica in alcun modo, in particolare sotto il profilo tecnico, la sua critica e da nessun elemento agli atti, considerata prima di tutto la stessa relazione tecnica, è possibile ipotizzare che il geom. T. abbia utilizzato il criterio radiale e non quello orizzontale per quantificare la distanza tra i fabbricati delle parti quanto ai piani superiori, con ciò apparendo superfluo qua/siasi altro approfondimento al riguardo” . 4. Impugna tale decisione il signor. P. , che articola quattro motivi. Resiste con controricorso e avanza ricorso incidentale condizionato la società VIOR. Resiste con controricorso al ricorso incidentale il P. . Le parti hanno depositato memorie. MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso è fondato quanto al terzo motivo, che va accolto, ed infondato nel resto il ricorso incidentale subordinato è inammissibile per quanto di seguito si chiarisce. 1. - Col primo motivo di ricorso si deduce Violazione dell'articolo 873 c.comma come integrato dall'articolo 21 N.T.A. P.R.G.comma 1979 e modificato nel 1985 in seguito a variante specifica violazione dell'articolo 11 delle disposizioni sulla legge in generale Preleggi , in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c. omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all'articolo 360 numero 5 c.p.comma in relazione all'individuazione della normativa applicabile in materia di distanze in caso di successione di leggi nel tempo” . Le uniche norme applicabili nel caso di specie sono costituite dalle disposizioni contenute nel P.R.G.comma del 1979 e, per il periodo relativo all'ultimazione dei contestati lavori, quelle della variante specifica del 1985. Tali norme non prevedono alcuna disposizione sulle distanze, resta applicabile l'articolo 873 c.c., che prescrive una distanza minima di 3 metri. Quest'ultima è ampiamente rispettata come risulta dalla stessa consulenza tecnico d'ufficio. I giudici di primo e secondo grado hanno errato, avendo applicato alla fattispecie la distanza di 10 metri, prescritta dal punto 5 dell'articolo 3.2.2. delle N.T.A. adottate con delibera numero 223 del 6.7.1982 successivamente integrata con delibera numero 68 del 15.2.1983 e divenuta vigente solo con l'approvazione regionale di cui alla D.G.R. N. 88.17090 del 17.2.1987 e quindi successivamente al rilascio dei titoli abilitativi e all'esecuzione delle opere, epoca alla quale va riferita l'applicabilità della relativa normativa Cass. 18 giugno 1999, numero 6093 , o quanto meno quella vigente al momento dell'inizio dei lavori Cass. 14 dicembre 1999, numero 14022 . Poiché l'ultima concessione edilizia, in sanatoria, era stata rilasciata al signor P. il 30 aprile 1986, la distanza applicabile al caso di specie è quella di 3 metri prescritta dall'articolo 873 c.c., dato che le norme contenute nel P.R.G.comma del 1979 e della variante specifica del 1985, allora vigenti, non contenevano alcuna disposizione in materia. Inoltre, la distanza di 10 metri imposta dalla variante al P.R.G.comma approvata con D.G.R. N. 88.17090 del 17.2.1987, è da ritenersi priva di qualsiasi rilievo, dato che tale disposinone, solo in salvaguardia al tempo del rilascio dei titoli abilitativi e della costruzione, non poteva essere considerata integrativa dell'articolo 873 c.comma cfr. ad esempio Cass. Il, 6 novembre 1997, numero 10885 Cassazione, II, 22 marzo 1996, numero 2473 ”. La sentenza impugnata è errata, perché ha preso in considerazione la data di ultimazione dei lavori e non quella del rilascio dei titoli abilitativi o, al più, dell'inizio dei lavori. In ogni caso, la nuova disciplina maggiormente restrittiva in materia di distanze . non è applicabile alle costruzioni che al momento della sua entrata in vigore possono considerarsi già sorte per la già attuata realizzazione delle strutture organiche, che costituiscono un punto di riferimento per la misurazione delle distante in ossequio all'esigenza del rispetto dei diritti quesiti Cass. 18 marzo 1987, numero 2726 ”. Sotto tale profilo, il giudice di appello, al fine di individuare la distanza legale, aveva errato nel prendere in considerazione l'effettiva ultimazione dei lavori e non la realizzarne di quelle strutture solette, colonne e struttura rilevanti per la misurazione del distacco” . Viene formulato il seguente quesito se la normativa edilizia applicabile in materia di distanze è quella vigente al momento del rilascio dei titoli abilitativi o dell'inizio dei lavori se, di conseguenza, nel caso di specie, la distanza tra le costruzioni debba essere determinata in 3 metri, secondo quanto disposto dall'articolo 873 c.comma come integrato dal norme contenute nel P.R.G.comma del 1979 e della variante specifica del 1985 se la normativa edilizia applicabile in materia di distanze è quella vigente al momento della realizzazione delle strutture organiche, che costituiscono un punto di riferimento per la misurazione delle distanze e non al tempo dell'ultimazione dei lavori se, di conseguenza, nel caso di specie, la distanza tra le costruzioni debba essere determinata in 3 metri, secondo quanto disposto dall'articolo 873 c.comma come integrato dal norme contenute nel P.R.G.comma del 1979 e della variante specifica del 1985 ”. 1.2 - Il motivo è infondato. La sentenza ha fatto corretto riferimento, ai fini dell'applicabilità della normativa sopravvenuta, alla mancanza di prova dell'ultimazione dei lavori strutturali prima della sopravvenienza della norma più restrittiva. Al riguardo questo Collegio condivide i principi affermati al riguardo da Cass. SU 1976, numero 3901, secondo cui Nell'ipotesi di successione nel tempo di differenti discipline edilizie, la seconda delle quali sia più restrittiva della precedente, la costruzione eseguita in conformità di una licenza edilizia rilasciata prima dell'entrata in vigore del nuovo piano regolatore, rende inapplicabile quest'ultimo nei rapporti fra privati, nella sola ipotesi che la costruzione medesima sia stata già eseguita, almeno nei suoi elementi essenziali, prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina urbanistica”, nonché da Cass. numero 10351 del 1994, secondo cui In caso di successione di norme edilizie il principio dell'immediata applicazione dello ius superveniens deve essere armonizzato con l'esigenza del rispetto dei diritti quesiti, talché nell'ipotesi che le nuove norme siano più restrittive, la nuova disciplina non è applicabile alle costruzioni che al momento della sua entrata in vigore possano considerarsi già sorte . Occorre osservare, poi, che la questione dell'applicabilità dello ius superveniens prescinde dalla esistenza o meno di una concessione edilizia e dalla eventuale legittimità di essa o sanatoria, ma si ricollega unicamente all'elemento fattuale della esistenza all'atto dell'entrata in vigore della norma sopravvenuta di un'opera qualificabile come costruzione e conforme in quanto tale alle prescrizioni anteriori. Al riguardo viene condiviso il principio affermato da questa sezione Cass. numero 3771 del 15/03/2001 secondo il quale In tema di edilizia quando nel tempo si succedono una pluralità di norme regolatrici, la legittimità o meno di ciascuna attività edificatoria e le relative conseguenze vanno accertate con riferimento alla normativa vigente all'epoca della realizzazione dell'attività stessa . Nella specie la sentenza ha affermato con un apprezzamento di fatto che non era stato provata l'effettiva ultimazione dei lavori, quanto meno strutturali, sul fabbricato in epoca precedente all'entrata in vigore del PRG del 1982. 2 - Col secondo motivo di ricorso si deduce Omessa e contraddittoria motivazione su impunto decisivo della controversia in relazione all'articolo 360 numero 5 c.p.comma in relazione all’ultimazione dei lavori ”. La documentazione prodotta dalle parti, le deposizioni dei testi e la consulenza tecnica d'ufficio svolta nel giudizio di primo grado dimostrano che gli interventi edilizi eseguiti dal signor P. , nella parte influente sulle distanze legali, si erano conclusi in epoca antecedente all'approvazione della variante al P.R.G.comma del 1987. L'ultima concessione edilizia 114/86 del 30 aprile 1986 era stata rilasciata al signor P. in sanatoria, ai sensi dell'articolo 13 della legge 28.2.1985 numero 47. Quindi, le opere in essa rappresentate erano state già eseguite poiché, diversamente, non avrebbe avuto senso presentare la domanda né il Comune avrebbe potuto concederla . I disegni allegati alla sanatoria mostravano la consistenza di quanto realizzato . in essi si distingue chiaramente la parte già edificata sulla base delle concessioni precedenti doccomma 1 e 2 del fascicolo di primo grado e la parte chiesta in sanatoria consistente nei pilastri in elevazione dal piano terreno al terzo, in archi e terrazzi del primo, secondo e terzo piano. I disegni sono poi ulteriormente illustrati e confermati dalle fotografie sempre allegate all'istanza di sanatoria, che mostrano lo stato dei luoghi antecedente alla concessione numero 49 del 1985” . La stessa relazione del CTU, nell'affermare che il 30/4/1986 si richiede una Concessione finale in sanatoria che dovrebbe sanare tutte le opere effettuate senza concessione dal 1983 Concessione 144/1986 allegata al fascicolo avv. Perino . In questa occasione si dichiara chiaramente che i colonnati a partire dal piano terra sono abusivi , sostanzialmente ne confermava l'esistenza a quella data. Anche dalla restante ulteriore e copiosa documentazione prodotta, conseguente all'esecuzione dei lavori in più tempi, si ricavava la conferma di tale circostanza. Quanto alle prove testimoniali, la Corte d'Appello non ha tenuto conto di quelle dei signori Pr. , Ve. e B. che hanno confermato che solette, colonne e struttura erano già realizzate fin dal 1984 , mentre ha invece considerato probanti le dichiarazioni dei signori Be. , G. e D. che, pure, contrastano non solo con le deposizioni degli altri testi ma anche con i documenti allegati alla concessione 49/1985 docomma 2, fascicolo di primo grado , alla concessione in sanatoria docomma 3, fascicolo di primo grado ed alle risultanze della CTU ”. Così il ricorrente conclude l'esposizione del motivo Da quanto precede risulta inaccettabile, sotto il profilo logico-argomentativo, l'affermazione del giudice di appello secondo cui non vi sono elementi di prova univoci idonei a dimostrare, ad onere del convenuto appellante che aveva ed ha intensione di giovarsene, l'effettiva ultimazione dei lavori . in epoca precedente all'entrata in vigore del 1982, intervenuta nel 1987 .” . 2.1 - Il motivo è infondato. Occorre, in proposito, precisare, in via generale, che la denuncia di un vizio di motivazione, nella sentenza impugnata con ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., numero 5 , non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva l'accertamento dei fatti, all'esito della insindacabile selezione e valutazione della fonti del proprio convincimento. Di conseguenza il vizio di motivazione deve emergere - secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte v., per tutte. Cass. S.U. numero 13045/97 e successive conformi - dall'esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impugnata, e può ritenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente ed, in genere, dalle parti. In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto - consentito al giudice di legittimità dall'articolo 360 c.p.c., numero 5 - non equivale alla revisione del ragionamento decisorio , ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata. Tale revisione si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, e risulterebbe estranea alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità. Né, ugualmente, la stessa Corte realizzerebbe il controllo sulla motivazione che le è demandato, ma inevitabilmente compirebbe un non consentito giudizio di merito, se - confrontando la sentenza con le risultanze istruttorie - prendesse d'ufficio in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione, accogliendo il ricorso sub specie di omesso esame di un punto decisivo. Del resto, il citato articolo 360, comma primo, numero 5 , cod. procomma civ. non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione operata dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Cass. numero 4766 del 06/03/2006 - Rv. 587349 . In definitiva, le censure concernenti vizi di motivazione devono indicare quali siano i vizi logici del ragionamento decisorio e non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito Cass. numero 12467 del 25/08/2003 - Rv. 566240 . Ne deriva, pertanto, che alla cassazione della sentenza, per vizi della motivazione, si può giungere solo quando tale vizio emerga dall'esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, che si rilevi incompleto, incoerente o illogico, e non già quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore ed un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte Cass. numero 20322 del 20/10/2005 - Rv. 584541 . Nel caso di specie, quanto alla prova dell'avvenuta esecuzione delle opere strutturali la sentenza ha affermato con motivazione adeguata vedi amplius per la motivazione della Corte di merito la parte della presente sentenza dedicata allo svolgimento del processo , che 1 gli atti amministrativi erano stati rilasciati sulla base di affermazioni e allegazioni del richiedente non necessariamente riscontrate, in fatto, dagli organi concedenti e/o autorizzanti 2 dalle testimonianze assunte non emergevano elementi univoci idonei a datare con certezza l'ultimazione dei lavori strutturali, comprensivi dei muri di tamponamento e perimetrali, anteriormente alla vigenza del nuovo piano regolatore. Va ulteriormente considerato al riguardo che la presunzione di legittimità di un atto amministrativo concessorio od autorizzativo non opera laddove tra privati si controverta in ordine alle lesione derivata ai terzi dall'esercizio dell'attività oggetto di concessione o autorizzazione. In definitiva, parte ricorrente nella sostanza non formula correttamente una censura ex articolo 360, comma 1, numero 5 cod. procomma civ. ma si limita a proporre una propria personale lettura delle risultanze probatorie, chiedendone una nuova valutazione, inammissibile in questa sede. 3 — Col terzo motivo di ricorso si deduce Violazione dell'articolo 2697 c.comma in relazione all'articolo 360 numero 3 cod. procomma civ. ”. Il giudice di appello, con l'affermazione riportata al termine del secondo motivo di ricorso, ha inoltre compiuto un ulteriore errore in diritto violando l'articolo 2697 c.c., in materia di onere della prova. L'onere della prova è a carico del soggetto che chiede la demolizione delle opere ritenute in contrasto con le disposizioni relative alle distanze tra costruzioni Spetta al proprietario che chiede la demolizione dell'opera in violazione della normativa sulle distanze dimostrare che al momento dell'entrata in vigore della disciplina più rigorosa essa non era completata, mentre il convenuto può limitarsi a contestare, senza altro onere probatorio, neppure nel caso abbia articolato prova testimoniale sul punto, sempre che non vi sia inequivoca rinuncia ai vantaggi derivantigli dai principi che disciplinano la prova Cass. 1998, numero 141 . Per questa ragione, contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello, in assenza di prova dell'ultimazione delle opere strutturali successivamente al febbraio del 1987, tempo di entrata in vigore del nuovo P.R.G.C., la domanda della società immobiliare Vior doveva essere respinta. Viene formulato il seguente quesito se l'onere della prova, in caso di opere ritenute in violazione della normativa sulle distante, sia a carico del soggetto che ne chiede la demolizione, il quale è conseguentemente tenuto a provare il momento della realizzazione delle opere, la normativa ad essa applicabili e tutte le altre circostante presupposto dell'accoglimento della domanda se, di conseguenza, nel caso di specie, in assenza di prova dell'ultimazione delle opere strutturali successivamente al febbraio del 1987, tempo di entrata in vigore del nuovo P.R.G.C., la domanda della società immobiliare Vior doveva essere respinta”. 3.1 Il motivo è fondato. La sentenza ha affermato che non vi sono elementi di prova univoci idonei a dimostrare, ad onere del convenuto appellante che aveva ed ha intensione di giovarsene idonei a dimostrare l'effettiva ultimazione dei lavori, quantomeno strutturali, sul fabbricato di proprietà P. in epoca precedente all'entrata in vigore del PRGI del 1982, intervenuta nel 1987 , violando i principi affermati al riguardo da questa Corte. Al riguardo Cass. numero 141 del 09/01/1998 ha affermato il condiviso principio secondo cui Spetta al proprietario che chiede la demolizione dell'opera in violazione della normativa sulle distanze dimostrare che al momento dell'entrata in vigore della disciplina più rigorosa essa non era completata, mentre il convenuto può limitarsi a contestare, senza altro onere probatorio, neppure nel caso abbia articolato prova testimoniale sul punto, sempre che non vi sia inequivoca rinuncia ai vantaggi derivantigli dai principi che disciplinano la prova , principio successivamente confermato da Cass. numero 8661 del 25/06/2001 Cass. numero 22780 del 03/12/2004. 4 - Col quarto motivo di ricorso si deduce Violazione dell'articolo 873 c.comma come integrato dall'articolo 1.2.2. e articolo 3.2.2. N.T.A. del P.R.G.comma del 1987 in relazione all'articolo 360 numero 3 c.numero c. omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all'articolo 360 numero 5 c.p.comma in relazione alla misurazione della distanza tra le costruzioni” . Anche applicando le norme in salvaguardia articolo 1.2.2. e articolo 3.2.2. delle N.T.A. adottate con delibera numero 223 del 6.7.1982 la costruzione del signor P. sarebbe da considerare legittima, La C.T.U., infatti, ha commesso un grave errore di calcolo, non rilevato dal giudice, nell'applicare il concetto di visuale libera stabilito dalle N.T.A Per quanto riguarda il piano terreno, infatti, la distanza tra fabbricati secondo la visuale libera doveva essere misurata dalle pareti dei locali abitabili cfr. articolo 1.2.2. e grafico allegato al P.R.G.C. e non dal filo delle strutture aperte come fatto dal C.T.U. cfr. pagg. 10 e 11 . È noto, infatti, che le norme in materia di distane sono imposte allo scopo di evitare la formazione di intercapedini dannose pertanto sono da considerare irrilevanti e dunque sempre consentite opere che, pur delimitando degli spazi, tuttavia, come nel porticato del signor P. , consentono la circolazione dell'aria e non limitano la luminosità cfr. Cass. 1999 numero 5236, in motivazione, dove si fa espresso riferimento a porticati, logge, balconi, scale esterne in oggetto . La distanza, poi, con riferimento ai piani superiori doveva essere misurata in modo normale, cioè in orizzontale così come prescritto sempre dall'articolo 1.2.2. N.T.A. cfr. anche igrafici allegati alle N.T.A. e conformemente al codice civile In relazione allo scopo delle limitazioni poste dall'articolo 873 c.comma e dalle norme legislative o regolamentari che lo integrano, che è quello di evitare intercapedini dannose, le distanze tra edifici non si misurano in modo radiale, come avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare Cass. 1993, numero 7048 . Viene formulato il seguente quesito se, in relazione agli arti. 1.2.2. e 3.2.2. delle N.T.A. adottate con delibera numero 223 del6.7.1982 approvati definitivamente nel 1987 integrativi dell'articolo 873 c.c., la visuale libera doveva essere misurata dalle pareti dei locali abitabili e non dal filo delle strutture aperte come fatto dal C.'T.U. e in modo lineare e non radiale di conseguente se, applicate correttamente tali norme, la costruzione del signor P. risulti a distanza legale ”. 4.1 Il motivo è infondato. Non sussiste la dedotta violazione di legge, posto che le misurazioni furono effettuate, per come rilevato dalla Corte d'appello, secondo le tecniche previste e in conformità alla relativa normativa e, quanto al vizio di motivazione, la corte d'appello ha chiarito che non risulta che le misurazioni siano state effettuate secondo le indicazioni dell'appellante, che al riguardo nulla aveva dedotto neanche indicando il risultato della diversa misurazione applicabile. 5. Il ricorso incidentale. Con l'unico motivo del ricorso incidentale si deduce Violazione e falsa applicazione dell'articolo 873 c.comma e dell'articolo 9 comma 1, numero 1, del d.m. 2.4.1968, in relazione all'articolo 360, numero 3, del c.p.c.” . Si assume che il base all'articolo 21 prg del 1979 la costruzione del convenuto avrebbe dovuto comunque mantenersi alla preesistente distanza di m. 2,60 dal confine del cortile comune anche per i piani superiori non avendo rispettato la distanza originaria dei volumi preesistenti. Il motivo è inammissibile perché attinge una questione ritenuta assorbita dalla Corte di merito. 6. In definitiva, il ricorso principale va accolto quanto al terzo motivo, mentre va rigettato per gli altri il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile. La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di appello di Torino che si atterrà al principio di diritto esposto con riguardo al terzo motivo di ricorso. P.T.M. La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso principale e rigetta gli altri dichiara inammissibile il ricorso incidentale cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di l'orino, anche per le spese.