Minaccia sussiste anche se viene lesa la libertà morale e non un bene materiale

Il reato di minaccia è un reato formale di pericolo, per la cui integrazione non è richiesto che il bene tutelato sia realmente leso. Basta che il male prospettato incuta timore nel soggetto passivo, menomandone la sfera della libertà morale.

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 5272 del 3 febbraio 2014. Il fatto. Il Giudice di Pace di Salò assolveva l’imputato dal reato di cui all’art. 612 c.p., per aver minacciato di gambizzare un uomo. Questo perché il fatto non rivestiva sufficiente attitudine lesiva della libertà psichica del soggetto passivo, anche sulla base di alcune testimonianze secondo le quali la vittima non ne risultava intimorita ma solo infastidita. Propone ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Brescia. Bene oggetto di lesione nei reati di pericolo. La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, condividendo quanto affermato dal Procuratore Generale, secondo cui il reato di minaccia è in reato formale di pericolo per la cui integrazione non è richiesto che il bene tutelato sia realmente leso, non essendo necessario che si verifichi concretamente uno stato di intimidazione. È sufficiente, infatti, che il male prospettato incuta timore nel soggetto passivo, menomandone la sfera della libertà morale. Verifica della idoneità lesiva della minaccia. La valutazione dell’idoneità lesiva della minaccia a realizzare tale finalità va fatta avendo di mira un criterio di medialità che rispecchi le reazioni dell’uomo comune . Nel caso di specie, il Giudice di Pace non ha adeguatamente ponderato l’agitazione e il fastidio manifestato dalla vittima, limitandosi a una valutazione sommaria.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 20 dicembre 2013 – 3 febbraio 2014, n. 5272 Presidente Lombardi – Relatore De Marzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 19/04/2012 il Giudice di Pace di Salò ha assolto C.A. dal reato di cui all'art. 612 cod. pen., contestatogli per aver detto a N.G. che, se gli fosse arrivata una lettera di lamentele, in relazione ai lavori edili affidatigli, gli avrebbe mandato degli amici che gli avrebbero sparato alle gambe. Il giudice, pur avendo ritenuto che il fatto fosse confermato dalle dichiarazioni della persona offesa e dal teste Ci. , oltre che verosimile in relazione alla controversia insorta in relazione all'esecuzione dei lavori appaltati dal N. all'imputato, ha, tuttavia, concluso nel senso che esso non rivestiva una sufficiente attitudine lesiva della libertà psichica del soggetto passivo. Al riguardo, la sentenza impugnata ha valorizzato la dichiarazione del N. non ho avuto paura delle minacce, non sono a conoscenza del fatto che il sig. C. avesse delle persone che potessero dare esecuzione a quanto minacciato e del Ci. ho visto il N. tornare agitato, non tanto intimorito, ma infastidito . 2. Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Brescia ha proposto ricorso per cassazione, con il quale lamenta inosservanza dell'art. 612 cod. pen., per avere il giudice di pace trascurato di considerare che la fattispecie contestata costituisce reato formale di pericolo, per la cui integrazione non è richiesto che il bene tutelato sia realmente leso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. Secondo l'orientamento più volte espresso da questa Corte, infatti, il reato di minaccia è un reato formale di pericolo, per la cui integrazione non è richiesto che il bene tutelato sia realmente leso - ossia non è necessario che uno stato di intimidazione si verifichi in concreto - bastando che il male prospettato possa incutere timore nel soggetto passivo, menomandone la sfera della libertà morale la valutazione dell'idoneità della minaccia a realizzare tale finalità va fatta avendo di mira un criterio di medialità che rispecchi le reazioni dell'uomo comune Sez. 5, n. 8264 del 29/05/1992, Mascia, Rv. 191433 Sez. 5, n. 21601 del 12/05/2010, Pagano, Rv. 247762 . Ciò posto, a fronte del tenore oggettivo delle frasi pronunciate, la ritenuta inidoneità lesiva è stata argomentata dal giudice, per un verso, considerando la concreta reazione della persona offesa e, per altro verso, trascurando di adeguatamente ponderare il significato dell 'agitazione e del fastidio manifestato da quest'ultima. La sentenza va, pertanto, annullata con rinvio al giudice di pace di Salò per nuovo esame. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Giudice di pace di Salò.