In tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, la parte attrice può disporre del quantum della domanda, ma non dell’allegazione dei fatti storico-normativi che ne condizionano l’ammissibilità, nel senso che tali fatti essa non può selezionare e tacere a suo piacimento senza incorrere nella relativa sanzione. La parte, pertanto, ha l’onere di precisare l’intera durata del giudizio presupposto, inclusi i gradi e le fasi di durata conforme agli standard di ragionevolezza. Assolto tale onere, il giudice deve procedere alla valutazione unitaria della durata del processo, anche se nel formulare la domanda la parte si sia precipuamente riferita ai soli segmenti processuali in cui, a suo avviso, sarebbe stato superato il limite di durata ragionevole.
È quanto deciso dalla Corte di Cassazione con la sentenza numero 23105/15, depositata il 12 novembre. Il caso. La vicenda riguarda un ricorso ex lege Pinto respinto dalla Corte d’appello di Perugia, che era stato promosso da una parte per ottenere l’equa riparazione per la durata irragionevole di un processo penale che lo ha visto direttamente coinvolto come imputato. Secondo la Corte, il ricorso era stato limitato solo a singole fasi del procedimento ed era stato così violato il principio dell’infrazionabilità della domanda. Ad abundantiam , i Giudici affermavano che nel merito non era possibile alcun ristoro, dato che la parte aveva comunque tratto giovamento dalla durata del processo finito così in prescrizione. La questione veniva dunque sottoposta all’attenzione della Corte di Cassazione L’attore può disporre del quantum della domanda. Il decreto della Corte d’appello viene ribaltato dalla Cassazione, che accoglie il ricorso dell’imputato invocando la precedente pronuncia analoga numero 4437/2015 . Gli Ermellini partono dalla considerazione che il processo penale, nel suo complesso fino al grado in Cassazione , ha avuto una durata di 17 anni e 7 mesi, largamente superiore a qualsiasi soglia minima tollerabile. Secondo l’articolo 6 della CEDU, al fine di accordare il risarcimento per irragionevole durata bisogna guardare non le singole fasi o i distinti gradi di giudizio, bensì il procedimento nella sua interezza. La parte quindi non può mai basare e riferire la sua domanda in un singolo grado, “scegliendo” solo quello in cui si è prodotta la protrazione oltre il limite di ragionevolezza. Tuttavia, se questo è vero per valutare se esiste il presupposto per l’applicazione della legge Pinto, non è comunque impedito al ricorrente ridurre la propria pretesa. Come noto, infatti, la parte dispone autonomamente del quantum della propria domanda, l’importante è che alleghi gli elementi corretti e completi per evidenziare che tutto il procedimento, inteso dal primo grado fino all’ultimo, ha avuto una durata irragionevole. Così aveva fatto nel caso di specie il ricorrente. Egli infatti non aveva “approfittato” dell’eccessiva durata di un singolo grado al contrario, aveva dimostrato che tutto il procedimento aveva avuto durata irragionevole, salvo sottolineare, solo ai fini del quantum indennizzabile, le fasi e i gradi che, a suo giudizio, avevano superato il margine di ragionevolezza. In chiusura gli Ermellini ribadiscono inoltre che l’indennizzo va corrisposto anche nel caso in cui la durata del processo abbia consentito alla parte di lucrare la prescrizione del reato.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 24 settembre – 12 novembre 2015, numero 23105 Presidente Petitti – Relatore Manna In fatto Con decreto del 19.5.2014 la Corte d'appello di Perugia rigettava l'opposizione ex articolo 5-ter legge numero 89/01 proposta da B.F., confermando il decreto monocratico che aveva dichiarato inammissibile la domanda di quest'ultimo, proposta il 15.10.2013, intesa ad ottenere l'equa riparazione per la durata irragionevole di un processo penale. Osservava che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, il giudizio presupposto non era stato definito con sentenza della Corte d'appello di Roma del 17.5.2012, ma in sede di legittimità con sentenza emessa da questa Corte Suprema in data 18.4.2013, e che, pertanto, il ricorso era inammissibile in quanto limitato ad alcune singole fasi processuali, in violazione del principio d'infrazionabilità della domanda. Ad abundantiam , rilevava che il ricorso avrebbe dovuto essere rigettato anche nel merito, in ragione della costante giurisprudenza che escludeva il risarcimento del danno da ritardo allorquando quest'ultimo avesse consentito alla parte di lucrare la prescrizione del reato. Per la cassazione di tale decreto B.F. propone ricorso, affidato ad un solo motivo, cui ha fatto seguito il deposito di memoria. Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia. Motivi della decisione 1. - Con l'unico motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione dell'articolo 2 della legge numero 89/01 e dell'articolo 111 Cost., nonché dell'articolo 6 CEDU, in quanto il processo presupposto ha avuto una durata complessiva di 17 anni e 7 mesi, largamente superiore a qualsivoglia limite di durata ragionevole. Nel ricorso, inoltre, la parte istante aveva fatto riferimento alle singole fasi processuali al solo fine di individuare il quantum indennizzabile, secondo le indicazioni fornite dalla giurisprudenza di questa Corte e di quella EDU. 2. - Il motivo è fondato. Come questa Corte ha avuto modo di precisare in materia v. sentenza numero 4437/15, la cui motivazione conviene riprodurre per la parte che qui interessa , pur essendo possibile individuare degli standard di durata media ragionevole per ogni fase del processo, quando quest'ultimo sia stato articolato in vari gradi e fasi, agli effetti dell'apprezzamento del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, occorre avere riguardo all'intero svolgimento del processo medesimo, dall'introduzione fino al momento della proposizione della domanda di equa riparazione, dovendosi addivenire ad una valutazione sintetica e complessiva dell'unico processo da considerare nella sua complessiva articolazione. Ne consegue che non rientra nella disponibilità della parte riferire la sua domanda ad uno solo dei gradi di giudizio, optando per quello nell'ambito del quale si sia prodotta una protrazione oltre il limite della ragionevolezza così e per tutte, Cass. numero 14786/13 . Ciò comporta il divieto di frazionare la domanda quante volte tale opzione sia diretta a falsare il giudizio finalizzato all'applicazione della legge c.d. Pinto, cioè ad impedire che la durata più che ragionevole di un grado possa compensare quella eccedente di un altro. Tuttavia ciò non significa che la parte, la quale fornisca tutti gli elementi di valutazione circa la durata della causa presupposta nel suo intero svolgimento, non possa variamente ridurre la propria pretesa salvo specifici profili di correttezza processuale, non ravvisabili nel caso in esame . Il giudice non è per questo espropriato del potere di effettuare una valutazione complessiva della durata del giudizio, poiché il divieto di pronunciarsi ultra o extra petita gli impedisce soltanto di porre a base della decisione fatti non allegati. Ed invero, va chiarito che anche in tema di equa riparazione per l'irragionevole durata del processo la parte attrice può disporre del quantum della domanda, ma non dell'allegazione dei fatti storico-normativi che ne condizionano l'ammissibilità, nel senso che tali fatti essa non può selezionare e tacere a suo piacimento senza incorrere nella relativa sanzione. La parte, pertanto, ha l'onere di precisare l'intera durata del giudizio presupposto, inclusi i gradi e le fasi di durata conforme agli standard di ragionevolezza. Assolto che sia tale onere, il giudice deve procedere alla valutazione unitaria della durata del processo, anche se nel formulare la domanda la parte si sia precipuamente riferita ai soli segmenti processuali in cui, a suo avviso, sarebbe stato superato il limite di durata ragionevole Cass. numero 4437/15 . 2.1. - Nel caso specifico, l'odierno ricorrente aveva indicato correttamente la durata complessiva del processo e le sue fasi dall'interrogatorio del 29.9.1995 alla sentenza conclusiva di cassazione del 18.4.2013, per un totale di 17 anni e 7 mesi , salvo sottolineare, ai fini della liquidazione dell'indennizzo domandato, le fasi e i gradi la cui durata, a suo giudizio, aveva ecceduto il margine di ragionevolezza. Di conseguenza, la Corte territoriale avrebbe dovuto provvedere a considerare l'intero procedimento e processo penale, valutando se ed in qual misura esso avesse avuto una durata eccedente il limite massimo di ragionevolezza, restando irrilevante se tale eccedenza si fosse verificata in una piuttosto che in un'altra fase processuale. 3. - Nessun rilievo, infine, ha la parte della motivazione del decreto impugnato in cui la Corte distrettuale ha osservato che ad ogni modo il ricorso avrebbe dovuto essere rigettato anche nel merito, in ragione della costante giurisprudenza che esclude il risarcimento del danno da ritardo allorquando quest'ultimo abbia consentito alla parte di lucrare la prescrizione del reato. Si tratta di motivazione svolta ad abundatiam che, in quanto tale, non costituisce ratio della decisione, avendo il giudice di merito consumato la propria potestas iudicandi attraverso la statuizione in rito cfr. sul punto, Cass. S.U. numero 3840/07 . 4. - In accoglimento del ricorso, il decreto impugnato va cassato con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Perugia, che deciderà nel merito e provvederà anche sulle spese di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso e cassa il decreto impugnato con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Perugia, che provvederà anche sulle spese di cassazione.