Negata la pubblicità dell’udienza in Corte d’Appello

Nonostante una Corte europea dei diritti dell’uomo apparentemente contraria. La pubblicità dell’udienza non è richiesta in ogni caso di riparazione per l’ingiusta detenzione. E forse nemmeno in Cassazione.

In principio fu una misura cautelare mossa nei confronti di un indagato, poi assolto con formula piena per fatti di spaccio di droga. L’assolto chiese riparazione per l’ingiusta detenzione , ai sensi dell’art. 314 c.p.p. L’indennizzo fu negato dalla Corte d’appello, in udienza camerale, il comportamento dell’indagato durante le indagini preliminari era stato in alcuni casi omissivo s u quanto a conoscenza, tale da fuorviare le attività investigative della polizia giudiziaria. La Cassazione, Sez. Unite Penali, n. 51779, depositata il 24 dicembre 2013, a valle invocata da una sezione remittente, offre una ricognizione dei requisiti per il riconoscimento dell’indennizzo, non pronunciandosi tuttavia sul punto di cui al rinvio al Collegio allargato, ossia sulla necessaria pubblicità dell’udienza in Cassazione che decide sulla riparazione per l’ingiusta detenzione, quando invocata in sede di gravame della decisione della corte territoriale. Deve essere pubblica l’udienza in Cassazione nelle more del ricorso per la riparazione per l’ingiusta detenzione ex art. 314 c.p.p.? Un dubbio che la Corte costituzionale non chiarisce. In breve, vigono due opinioni contrapposte. La prima è supportata dalla sentenza c.d. Lorenzetti c. Italia” della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 10 aprile 2012, e ritiene la segretezza del procedimento in camera di consiglio in Corte d’appello, in sede di ricorso ex art. 314 c.p.p., contrastante con l’art. 6 della CEDU – diritto all’equo processo - e con le convenzioni internazionali. Di seguito ritiene che i medesimi requisiti di trasparenza e di pubblicità debbano vigere anche presso la Cassazione, di regola procedente in via camerale, qualora l’interessato lo richieda in sede di ulteriore gravame. La seconda opinione, più restrittiva, nega siffatta estensione, perché più limitato sarebbe il campo di applicazione di quelle convenzioni internazionali. La Corte Costituzionale, invocata dalle Sezioni Unite, delude tutti e non si pronuncia. Mancava la pregiudizialità, ossia la volontà univoca del ricorrente di invocare la pubblicità dell’udienza in Cassazione, laddove ne fosse stato riconosciuto il diritto. Non mancheranno ulteriori occasioni, vista la delicatezza e la decisività della questione di diritto mossa. Fra le righe, la soluzione delle Sezioni Unite no al vincolo della pubblicità dell’udienza in Corte d’appello per il ricorso ex art. 314 cit. Le Sezioni Unite parrebbero limitare lo spettro applicativo delle succitate convenzioni, per l’effetto escludendo il carattere generalmente pubblico dell’udienza in Corte d’appello e in Cassazione per il riconoscimento della riparazione per l’ingiusta detenzione ex art. 314 c.p.p. Sostengono le Sezioni Unite che sia il patto internazionale sui diritti civili e politici di New York del 1966, trasposto in Italia con la legge n. 881/1978, sia l’art. 5, par. 5 della CEDU – invocati dalla succitata pronuncia della Corte europea – si riferiscono, imponendo la pubblicità dell’udienza in cui si decide, ai soli provvedimenti giudiziali ingiustamente restrittivi della libertà personale e di carattere arbitrario , iccome disposti in palese violazione di legge. Dunque illegittimi ex ante . Residua che le convenzioni cit., ed il vincolo del carattere pubblico dell’udienza che decide, parrebbero riferirsi ai soli casi enucleati dall’art. 314, secondo comma, c.p.p. – misure custodiali disposte in assenza dei requisiti di legge -. In ogni altro caso – di restrizione della libertà personale a causa di un provvedimento conforme a legge ma smentito in sentenza, si tratta della c.d. illegittimità ex post – pienamente lecita è la segretezza dell’udienza camerale che decide, sia in Corte d’Appello che in Cassazione. L’integrazione della colpa grave”, ostativa al riconoscimento della riparazione per l’ingiusta detenzione. Utilizzare frasi in codice” con l’interlocutore poi dichiarato colpevole già basta a sviare le indagini, rendendo improba la ricostruzione dei fatti di reato. La Cassazione precisa osta alla riparazione ex art. 314 c.p.p. anche l’aver cambiato versione sui fatti, anche se sui punti non essenziali al reato. Oppure tacere avvalendosi della facoltà di non rispondere ex art. 64, terzo comma, c.p.p. Seppur la Cassazione, in relazione alla giurisprudenza sul punto, dichiari di comprendere le ragioni della strategia difensiva dell’indagato , nei fatti estende i casi di colpa grave”, ostativi alla riparazione, anche all’utilizzo di facoltà processuali pienamente previste per l’accusato di un fatto di reato.

Corte di Cassazione, sez. Unite Penali, sentenza 28 novembre - 24 dicembre 2013, n. 51779 Presidente Santacroce – Relatore Macchia Ritenuto in fatto 1. N.I. è stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere dal 16 ottobre al 21 dicembre 2001 ed a quella degli arresti domiciliari dal 21 dicembre 2001 al 10 giugno 2002, nell’ambito di un procedimento penale promosso nei suoi confronti e di altri coimputati per il reato di illecita detenzione di sostanza stupefacente a fini di spaccio, conclusosi con la sua assoluzione per non aver commesso il fatto. Da qui la richiesta avanzata dal medesimo di riparazione per l’ingiusta detenzione subita, a norma dell’art. 314 cod. proc. pen La Corte di appello di Catania, con ordinanza del 26 marzo 2010, respingeva la domanda sul presupposto della sussistenza di un comportamento dell’istante connotato da colpa grave, tale da integrare condizione sinergica ai fini dell’emissione e del mantenimento della ordinanza cautelare. Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione il N. tramite il proprio difensore, deducendo che la Corte territoriale aveva omesso del tutto di esporre le ragioni in base alle quali aveva ritenuto integrati gli estremi del dolo o della colpa grave, ostativi al riconoscimento del diritto all’equa riparazione. La Quarta sezione penale della Corte di cassazione, con sentenza del 1 febbraio 2011, annullava l’ordinanza impugnata con rinvio alla stessa Corte territoriale, rilevando che nel provvedimento censurato si era omesso di spiegare quale contributo, con la condotta di acquisto della sostanza stupefacente assertivamente inficiata da colpa grave, il N. avesse in concreto apportato ai fini della emissione e del mantenimento del provvedimento custodiale, in modo tale da indurre in errore l’autorità procedente circa la detenzione per uso non personale della sostanza stupefacente. Né risultava preso in esame il contenuto delle intercettazioni ambientali, ai fini della eventuale valutazione delle espressioni usate, sotto il profilo della negligenza o della imprudenza, quali cause del prevedibile, anche se non voluto, intervento degli inquirenti. La Corte di appello di Catania, giudicando in sede di rinvio, perveniva ad analoga decisione reiettiva con ordinanza in data 5 luglio 2011, avverso la quale è stato proposto nuovo ricorso per cassazione. Deduce in particolare il ricorrente come nel nuovo provvedimento non risulti fornita alcuna motivazione circa la sussistenza delle condizioni ostative al richiesto beneficio, dal momento che i giudici a quibus avrebbero preso in considerazione, ai fini della decisione, telefonate intercettate tra altri soggetti, senza che ciò potesse dispiegare rilevanza alcuna agli effetti di una condotta colpevole posta in essere dal ricorrente La Corte, dunque, non avrebbe offerto alcuna motivazione sul perché l’aver ammesso il ricorrente l’acquisto di sostanza stupefacente per uso personale, costituisca dolo o colpa grave ritenuta tale da inibire il diritto all’indennizzo per ingiusta detenzione, alla luce dei principi a tal proposito enunciati dalla giurisprudenza di legittimità. Il Procuratore generale, in sede di requisitoria scritta rassegnata a norma dell’art. 611 cod. proc. pen., ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza, rilevando che la Corte di appello, non uniformandosi ai principi enunciati dalla Corte di cassazione nella sentenza di annullamento, aveva ravvisato la sussistenza della colpa grave da parte del ricorrente, sostanzialmente sulla base degli stessi elementi in forza dei quali il medesimo era stato a suo tempo assolto dalla imputazione di detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente cosicché nel giudizio di rinvio, all’esito del quale la Corte ha ritenuto di confermare la precedente decisione, non risultava fornita effettiva spiegazione in ordine al ritenuto contributo colposo fornito dal N. e reputato come ostativo alla misura riparatoria richiesta, alla stregua dei principi richiamati nella pronuncia rescindente. Di contro, con diffusa memoria datata 5 maggio 2012, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o respinto. Si sottolinea, al riguardo, come la condotta dolosa o gravemente colposa debba essere apprezzata nel momento genetico della detenzione e si rileva come, alla stregua della giurisprudenza di legittimità, diffusamente passata in rassegna, la condotta del N. sia stata, sopratutto in una prima fase, improntata al mendacio, svolgendo, dunque, un ruolo sinergico nel trarre in errore” l’autorità giudiziaria. 2. La Terza Sezione penale, cui il ricorso era stato tabellarmente assegnato, con ordinanza in data 23 maggio 2012 ha rimesso il ricorso medesimo alle Sezioni Unite, deducendo un profilo in rito che poteva dar luogo all’insorgenza di interpretazioni contrastanti. Rileva, infatti, la Sezione rimettente che, nelle more, è intervenuta la sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani in data 10 aprile 2012, nel caso Lorenzetti c. Italia, che, proprio con riguardo al procedimento per l’accertamento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione di cui agli artt. 314 e s. cod. proc. pen., ha ravvisato la violazione dell’art. 6 della CEDU in tema di diritto ad un equo processo, per la mancanza di pubblicità del rito camerale, quale è quello che si celebra davanti alla Corte di appello a norma degli artt. 643, 646 e 127 cod. proc. pen., richiamati dall’art. 315 del medesimo codice, per la trattazione della domanda di riparazione per ingiusta detenzione. La Corte di Strasburgo - ha sottolineato la Sezione rimettente - dopo aver rammentato l’importanza che assume la pubblicità del dibattimento nel quadro delle garanzie di trasparenza del processo e di salvaguardia dei diritto ad un equo processo, secondo i principi tracciati dalla Convenzione, e rammentati altresì, alla luce della propria giurisprudenza, i casi in cui può ritenersi consentito derogare alla pubblicità della udienza, ha osservato che, nel caso del procedimento per la riparazione della ingiusta detenzione, il giudice è chiamato a valutare se l’interessato abbia contribuito a provocare la sua detenzione intenzionalmente o per colpa grave. Pertanto, ha concluso la Corte europea, nessuna circostanza particolare giustifica la esclusione della pubblicità della udienza, non trattandosi di questioni di natura tecnica che possano essere regolate in maniera soddisfacente unicamente in base al fascicolo”. Preso dunque atto di tale pronuncia, la Sezione rimettente, dopo aver rammentato che la Corte territoriale ha nella specie proceduto in camera di consiglio e che la stessa Corte di cassazione è chiamata a procedere parimenti con rito camerale, nella specie non partecipato, a norma dell’art. 611 cod. proc. pen., sottolinea come si ponga il problema di stabilire se il principio sancito in tema di udienza pubblica dalla CEDU - per come interpretato dalla Corte di Strasburgo - debba essere assicurato anche nel procedimento davanti alla Corte di cassazione, essendo stata esclusa la legittimità del rito camerale davanti alla Corte territoriale, e stabilire, altresì, se la medesima esigenza di pubblicità della udienza, estesa nella sentenza della Corte Europea al procedimento ex art. 127 cod. proc. pen. davanti alla Corte di appello, imponga in questa sede l’annullamento con rinvio della sentenza di secondo grado per violazione dell’art. 6 CEDU”. 3. Il Primo Presidente, con decreto del 21 agosto 2012, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando la relativa udienza di trattazione. 4. La Procura Generale ha, all’esito di articolati rilievi, chiesto a di affermare il principio secondo cui la pubblicità della udienza, con riferimento al procedimento di riparazione per ingiusta detenzione, non deve essere necessariamente assicurato nel procedimento innanzi alla Corte di cassazione e che ciò vale per il caso in esame b di affermare il principio secondo cui la violazione della esigenza di pubblicità dell’udienza davanti alla Corte di appello non impone, per ciò solo, in questa sede, l’annullamento con rinvio della ordinanza di secondo grado per violazione dell’art. 6 CEDU c di annullare la impugnata ordinanza per le ragioni già illustrate nella requisitoria del medesimo Ufficio del 6 dicembre 2012, e della quale si è già detto. 5. Con memoria depositata il 20 ottobre 2012, l’Avvocatura generale dello Stato, nel riportarsi alla precedente memoria rassegnata nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha prospettato la irrilevanza della questione rimessa dalla Terza Sezione, osservando che il procedimento camerale davanti alla Corte di appello ha assicurato al soggetto interessato le garanzie partecipative e di assistenza tecnica, in un procedimento che si caratterizza per i connotati prettamente civilistici. Il che giustifica la deroga della pubblicità, in linea con le deroghe ammesse dalla stessa giurisprudenza della Corte EDU. 6. Con ordinanza emessa all’esito della udienza camerale del 18 ottobre 2012, le Sezioni Unite hanno sollevato, in riferimento agli artt. 117, primo comma, e 111 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 315, comma 3, in relazione all’art. 646, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati - alla luce di quanto affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza del 10 aprile 2012 nel caso Lorenzetti c. Italia - il procedimento per la riparazione per l’ingiusta detenzione si svolga, davanti alla corte di appello, nelle forme dell’udienza pubblica. La Corte costituzionale, con sentenza n. 214 del 2013, ha dichiarato la questione inammissibile, per carenza del presupposto della pregiudizialità nel giudizio a quo, conseguentemente disponendo la restituzione degli atti alle Sezioni Unite. In particolare, la Corte cost., dopo aver rievocato i dieta posti a fondamento della sentenza n. 80 del 2011 - ove venne ritenuta non rilevante una questione di legittimità costituzionale relativa alla mancata previsione della possibilità di fruire di una pubblica udienza nel procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione - ha osservato che, in assenza di una manifestazione di volontà da parte dell’interessato, anche la questione sollevata dalle Sezioni Unite risultava proposta in termini meramente ipotetici. L’applicabilità ha sottolineato la Corte nel giudizio principale, della norma che le Sezioni Unite vorrebbero vedere introdotta tramite una sentenza additivo-manipolativa di questa Corte resterebbe, infatti, subordinata ad un accadimento non solo futuro, ma anche incerto e, cioè, alla circostanza che, a seguito di una pronuncia di accoglimento, l’interessato si avvalga effettivamente della facoltà attribuitagli”. Circostanza, questa, che, in relazione al disinteresse per l’udienza pubblica manifestato sin qui dall’interessato, varrebbe anche a dissolvere - secondo il Giudice delle leggi - qualsiasi profilo di ingiustizia del processo, nei sensi lumeggiati dalla Corte di Strasburgo nel caso Lorenzetti. Considerato in diritto 1. Come emerge dagli accenni già svolti in ordine alla ricostruzione dell’iter che ha contrassegnato il presente procedimento, con la sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità sollevata da queste Sezioni unite, si è esaurito il tema specifico in relazione al quale il ricorso era stato devoluto alla cognizione del Collegio allargato. Non resta, dunque, che affrontare il merito delle questioni proposte dal ricorrente. Ad avviso di quest’ultimo, infatti, la Corte territoriale, in sede di rinvio, avrebbe offerto una motivazione carente sulle ragioni per le quali la condotta dell’imputato sarebbe stata gravemente colposa o dolosa, in particolare concentrandosi su intercettazioni riguardanti altri soggetti e senza scrutinare in modo autonomo e completo tutti gli elementi disponibili. 2. Il ricorso non è fondato. La giurisprudenza costituzionale ha, come è noto, via via ampliato lo spettro applicativo dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione si vedano, in particolare, le sentenze n. 310 del 1996, n. 446 del 1997, n. 109 del 1999, n. 284 del 2003, nn. 230 e 231 del 2004, n. 219 del 2008 , mettendo in luce, fra l’altro, la circostanza che il riconoscimento del beneficio non può ritenersi precluso dalla legittimità del provvedimento che ha determinato la restrizione della libertà personale, né presuppone che la detenzione sia conseguenza di una condotta illecita. Ciò che rileva, infatti, è la obiettiva ingiustizia di quella privazione che, in ragione della specifica qualità del bene coinvolto, postula una misura riparatoria. Pertanto, l’erogazione dell’indennizzo non si configura come misura di tipo risarcitorio derivante da fatto illecito, ma come misura riparatoria e riequilibratrice, e in parte compensatrice della ineliminabile componente di alea per la persona, propria della giurisdizione penale cautelare. La riparazione dell’ingiusta detenzione è dunque dotata - ha puntualizzato il Giudice delle leggi di un fondamento squisitamente solidaristico in presenza di una lesione della libertà personale rivelatasi comunque ingiusta con accertamento ex post, la legge, in considerazione della qualità del bene offeso, ha riguardo unicamente alla oggettività della lesione stessa” Corte cost., sent. n. 446 del 1997 . Ci si muove, dunque, in un ambito diverso da quello tracciato dall’art. 9, paragrafo 5, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato a New York il 16 dicembre 1966, reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881 ed entrato in vigore per l’Italia dal 15 dicembre 1978. Stabilisce, infatti, l’art. 9, paragrafo 5, del Patto che chiunque sia stato vittima di arresto o detenzione illegali ha diritto a un indennizzo”. Da tale disposizione, nonché da quanto stabilito dall’art. 3 della legge n. 881 del 1977, in base al quale deve ritenersi illegale l’arresto o la detenzione arbitrariamente” disposti, in difetto dei motivi” ed in contrasto con la procedura” stabiliti dalla legge, si deve dedurre che la fonte pattizia abbia ad oggetto le sole ipotesi iscrivibili nella previsione dettata dal comma 2 dell’art. 314 cod. proc. pen., per le quali indipendentemente dall’esito del giudizio di merito, difettassero ab origine, le condizioni per applicare o mantenere una misura custodiale. Del pari estranea alla ipotesi che viene qui in rilievo è la previsione dettata dall’art. 5, paragrafo 5, CEDU, in base al quale ogni persona vittima di arresto o di detenzione eseguiti in violazione della disposizione di questo articolo ha diritto ad un indennizzo”, giacché, anche alla luce della giurisprudenza della Corte di Strasburgo soffermatasi sul tema, occorre pur sempre individuare elementi di arbitrarietà nella condotta dei pubblici poteri, quale presupposto per il riconoscimento di un ristoro di tipo indennitario Corte cost., sent. n. 218 del 2008 . Neppure del tutto congruo si rivelerebbe il richiamo all’art. 24, quarto comma, Cost., in riferimento alla riserva di legge in tema di riparazione degli errori giudiziari, dal momento che, anche a voler prescindere dalla riferibilità del parametro al concetto di giudicato erroneo, è proprio il requisito dell’ errore a risultare in definitiva eccentrico rispetto all’istituto che viene qui in esame, ben potendo la riparazione riconnettersi a ipotesi del tutto legittime di custodia cautelare, accertata, ex post, come inutiliter data il caso scrutinato dalla Corte costituzionale nella richiamata sentenza n. 219 del 2008 ne è emblematico esempio, giacché è stata estesa la indennizzabilità della custodia inutile anche alle ipotesi in cui l’imputato non sia stato prosciolto nel merito . 3. Ma se la indennizzabilità della carcerazione può anche prescindere dall’ errore giudiziario venendo in considerazione soltanto l’antinomia strutturale tra custodia e assoluzione, o quella funzionale tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena, è del tutto evidente che, in tanto la privazione della libertà personale potrà considerarsi ingiusta , in quanto l’incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa, attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacché, altrimenti, l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la ratio solidaristica che sta alla base dell’istituto. È del tutto evidente, infatti, che quel principio rinviene un limite nel dovere di responsabilità di tutti i cittadini, i quali non possono, evidentemente, invocare benefici tesi a ristorare pregiudizi da essi stessi colposamente o dolosamente cagionati” Sez. 4, n. 6628 del 16/02/2009, Rossi, Rv. 242727 . Da qui, la elaborazione di una serie di principi, atti a orientare il giudice nel delicato sindacato relativo alla verifica della sussistenza di una condotta colposa sinergica” Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, D’Ambrosio rispetto alla genesi o al mantenimento della condizione restrittiva ingiusta . Si è infatti innanzi tutto affermato che il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa all’indennizzo, data dall’incidenza causale del dolo o della colpa grave dell’interessato nella produzione dell’evento costitutivo del diritto, deve valutare la condotta da questi tenuta sia anteriormente sia successivamente al momento restrittivo della libertà, e, più in generale, a quello della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico, pur puntualizzandosi che, in relazione ai comportamenti processuali, il relativo apprezzamento non può prescindere dalle cautele insite nel rispetto per le scelte di strategia difensiva che l’interessato abbia ritenuto di adottare Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, Samataro, Rv. 203636 Sez. U, D’Ambrosio, cit. . Accanto a ciò, si è pure sottolineato che, agli effetti dello scrutinio circa la condotta sinergica dell’interessato come causa ostativa al riconoscimento del beneficio, deve intendersi dolosa non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso configgente o meno con una previsione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’id quod plerumque accidit secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo. Poiché, inoltre, anche ai fini che qui interessano, la nozione di colpa è data dall’art. 43 cod. pen., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente macroscopica negligenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta ma prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso Sez. 4, n. 43302 del 23/10/2008, Tucci, Rv. 242034 Sez. U, Sarnataro, cit., Rv. 203637 . Quanto, poi, agli elementi ed ai criteri di apprezzamento che devono assistere il giudice nel procedimento per la riparazione della ingiusta detenzione, si è in più occasioni messa in luce l’esigenza di distinguere nettamente l’operazione logica propria del giudice del processo penale, volta all’accertamento della sussistenza di un reato e della sua commissione da parte dell’imputato, da quella propria del giudice della riparazione, il quale, pur dovendo operare eventualmente sullo stesso materiale, deve seguire un iter logico-motivazionale del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante, anche nel concorso dell’altrui errore, alla produzione dell’evento detenzione , ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione, di natura civilistica, sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione Sez. 4, n. 27397 del 16/06/2010, Rv. 247867 Sez. 4, n. 23128 del 22/10/2002, dep. 2003, Iannozzi Sez. 4, n. 2083 del 24/06/1998, Nemala, Rv. 212114 Sez. U, Sarnataro, cit. . 4. Ebbene, di tali principi il giudice di rinvio ha fatto buongoverno, soddisfacendo appieno i punti oscuri e le lacune motivazionali che avevano determinato il precedente annullamento da parte di questa Corte. L’odierno ricorrente, infatti, è stato privato della libertà personale in esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa a suo carico perché gravemente indiziato di detenzione a fini di illecita cessione di sostanza stupefacente. Puntualizza al riguardo il giudice a quo che nei confronti del N. gli elementi indizianti erano rappresentati essenzialmente dal tenore equivoco delle conversazioni intercettate e intervenute fra soggetti che risultavano pacificamente coinvolti in una attività di traffico di sostanza stupefacente, con i quali l’imputato aveva intrattenuto rapporti, sia pure circoscritti per numero. Nel corso delle conversazioni venivano, infatti, utilizzate espressioni allusive e linguaggio codificato che apparivano ancor più sospetti - tenuto conto dei riferimenti all’acquisizione di filo elettrico , da collocarsi per il tramite del N. , o di un paio di scarpe - alla luce dell’orario di tarda serata ed anche notturno in cui le richieste venivano formulate, nonché della particolare urgenza che connotava le sollecitazioni. La ragionevole decrittazione delle richieste come volte alla acquisizione, attraverso canali illeciti, di sostanza stupefacente, si inquadrava, dunque, in un fatto in sé contra ius, posto che l’acquisto anche per uso proprio di sostanza di tal genere al di fuori delle autorizzazioni di legge, integra condotta illecita assoggettabile alle sanzioni di cui all’art. 75 del d.P.R. n. 309 del 1990. In tale prospettiva, dunque, La condotta occulta e travisante serbata nei colloqui intercettati, in cui le neppure troppo velate allusioni miravano proprio a stornare i sospetti connessi ad una possibile attività di intercettazione proprio di quelle conversazioni, per di più intercorse con interlocutori particolarmente qualificati nello specifico settore del traffico di sostanze stupefacenti, integra senz’altro il requisito della condotta gravemente colposa che ha esplicato efficacia sinergica nella instaurazione del procedimento cautelare, giacché la finalizzazione dell’acquisto di droga per uso esclusivamente personale non soltanto non è stata in alcun modo fatta comprendere agli interlocutori, ma è rimasta, anzi, del tutto occultata anche agli stessi inquirenti. Più che esaurientemente, infatti, la Corte territoriale ha sottolineato la ambigua condotta processuale del N. , il quale, dopo aver anche cercato di glissare sui reali rapporti di conoscenza e di frequentazione con i soggetti” coinvolti nella vicenda, ha sostenuto, in sede di interrogatorio di garanzia, che oggetto delle conversazioni era il cambio rotto della sua autovettura Mercedes ed il regolamento di rapporti economici di dare ed avere fra gli interlocutori prestito di denaro fatto dal N. al M. ” per poi successivamente ammettere, a distanza di due mesi ed in sede di interrogatorio sollecitato con apposita istanza, sia pure in termini poco verosimili e tergiversanti e nel tentativo di dare una spiegazione al mendacio che aveva connotato il primo esame, che invece trattavasi di sostanza stupefacente cocaina di cui aveva fatto uso nell’ultimo anno quattro o cinque volte , della quale invece in precedenza aveva detto di non aver mai fatto uso, come appunto era risultato rispondente al vero anche in sede di visita medica all’atto dell’ingrasso in carcere”. Non senza sottolineare, peraltro, come, in una conversazione, fosse proprio il N. , sollecitato dal M. , ad aver chiaramente alluso ad una partita di sostanza stupefacente che avrebbe fatto in modo di procurarsi per soddisfare l’amico”, in tal modo contribuendo univocamente a rendere particolarmente indiziante la sua condotta nella vicenda. 5. D’altra parte, la circostanza che l’imputato si sia volontariamente fatto coinvolgere in un contesto di acquisizione illecita di sostanza stupefacente, con la consapevole prospettiva di un possibile quanto doveroso intervento degli organi inquirenti in vista della repressione del traffico di tali sostanze - il tutto, per di più, nel quadro di circostanze di fatto che, come si è accennato, non consentivano in alcun modo di ipotizzare l’esclusiva destinazione dello stupefacente ad uso personale non terapeutico, emergendo, anzi, indicatori di opposto segno - assevera lo scrutinio negativo dei giudici a quibus in punto di insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’indennizzo, anche alla luce della giurisprudenza di questa Corte in tema di condotta colposa sinergica alla genesi del fatto custodiale. Si è infatti affermato che costituisce colpa grave, idonea ad impedire il riconoscimento dell’equo indennizzo, l’impiego, nel corso di conversazioni telefoniche, da parte dell’indagato, di frasi in codice , effettivamente destinate -come nella specie - ad occultare un’attività illecita, anche se diversa da quella oggetto dell’accusa e per la quale fu disposta la custodia cautelare Sez. 4, n. 48029 del 18/09/2009, Giovannini, Rv. 245794 a testimonianza di come atteggiamenti consapevolmente elusivi rispetto a fatti connotati di illiceità - e dunque volti a stornare da sé elementi di sospetto, nella prospettiva di investigazioni in corso tale è, infatti, la ragion d’essere di espressioni codificate nel corso di telefonate potenzialmente intercettate - non possano reputarsi elementi neutri ai fini del diritto all’equo indennizzo per la custodia subita. Per altro verso, neppure va trascurato l’ulteriore assunto, più volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale la condotta dell’indagato che, in sede di interrogatorio, si avvalga della facoltà di non rispondere, pur costituendo esercizio del diritto di difesa, può assumere rilievo ai fini dell’accertamento della sussistenza della condizione ostativa del dolo o della colpa grave qualora l’interessato non abbia riferito circostanze, ignote agli inquirenti, utili ad attribuire un diverso significato agli elementi posti a fondamento del provvedimento cautelare ex plurimis e da ultimo, Sez. 4, n. 44090 del 09/11/2011, Messina, Rv. 251325 . Principi, quelli testé richiamati, che valgono ancor più ove si versi in ipotesi, non di esercizio del diritto al silenzio - sicura espressione del diritto di difesa e di garanzia per le dichiarazioni autoincriminanti - ma di dichiarazioni mendaci come quelle rese dal ricorrente nel corso dell’interrogatorio di garanzia , posto che la non punibilità delle stesse non trasforma quella condotta in un fatto indifferente per l’ordinamento e meno ancora permette di configurarlo come esercizio di un corrispondente diritto. Può infine aggiungersi che, in tema di riparazione per ingiusta detenzione e proprio con riferimento alla ipotesi di acquisto o possesso di sostanze stupefacenti, si è ritenuto che costituisce comportamento gravemente colposo, ostativo al riconoscimento dell’indennizzo, il possesso in circostanze indizianti di un quantitativo di sostanze stupefacenti eccedente il valore-soglia previsto dal d.m. 11 aprile 2000, che, seppur ritenuto in concreto penalmente irrilevante, integra comunque gli estremi di un illecito amministrativo idoneo a provocare l’intervento della polizia giudiziaria Sez. 4, n. 10653 del 12/07/2012, Leka, Rv. 255276 . Una illiceità che deve dunque riconnettersi anche alle investigazioni che si fondino sulle intercettazioni e che prendano in esame fatti di cosiddetta droga parlata . 6. Il ricorso deve pertanto essere respinto ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.