Risarcimento negato se la condotta del lavoratore esorbita dai doveri lavorativi … ma ne beneficia solo il coobbligato che ha appellato

L’infortunio occorso al lavoratore a seguito di condotta imprudente ed arbitraria, eccedente la normale prestazione lavorativa richiesta, determinata da impulsi puramente personali, non costituisce comportamento colpevole del datore di lavoro con violazione dell’art. 2087 c.c.

Quindi il lavoratore non avrà diritto a vedersi risarcito il danno da parte del datore di lavoro. Ma l’appello proposto soltanto da uno dei condannati in solido non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza nei confronti del coobbligato non appellante, che rimarrà tenuto a pagare quanto stabilito in primo grado. Così ha deciso la Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza numero 28564, pubblicata il 20 dicembre 2013. Il caso. Un lavoratore, autista di autocarro, mentre lavorava presso una cava, rimaneva vittima di grave infortunio premesso che era ritenuta una intermediazione di mere prestazioni di lavoro e la violazione delle disposizioni di cui all’art. 2087 c.c., agiva così in giudizio nei confronti del proprio datore di lavoro e del proprietario della cava, al fine di vedersi riconosciuto il diritto al risarcimento del danno subito in occasione di infortunio sul lavoro. Precisamente l’evento si verificava allorquando il lavoratore, sceso dall’autocarro per rimuovere delle pietre che ostruivano il passaggio, si avvedeva che il mezzo si muoveva da solo sulla discesa tentava così di salirvi ma mentre apriva lo sportello della cabina, veniva sbalzato a terra e travolto dalle ruote posteriori, subendo la paralisi della gamba sinistra. Il Tribunale adito accoglieva in parte la domanda, dando per provata l’asserita intermediazione di mano d’opera e riconoscendo un concorso di colpa nella condotta del lavoratore, condannando in solido datore di lavoro e proprietario della cava al risarcimento dei danni nella misura percentuale stabilita a carico di questi. Proponeva appello il solo datore di lavoro e appello incidentale il lavoratore in punto concorso di colpa. La Corte d’Appello accoglieva l’appello principale, attribuendo la totale responsabilità dell’evento alla condotta imprudente del lavoratore, che aveva affrontato il rischio ponendo in essere comportamenti abnormi e del tutto estranei ai doveri derivanti dalla prestazione lavorativa. Proponeva così ricorso in Cassazione il lavoratore, con alcuni motivi di censura. L’appello proposto da uno solo dei coobbligati non impedisce il giudicato nei confronti degli altri chiamati. Un primo motivo di ricorso riguarda la mancata adozione da parte della Corte territoriale di statuizioni nei confronti dell’altro coobbligato, che non ebbe a proporre appello avverso la sentenza di primo grado e che rimase contumace nel giudizio d’appello. La censura è fondata. Affermano i giudici di legittimità che in ipotesi di responsabilità solidale tra coobbligati si verte in causa scindibile l’appello proposto da uno soltanto dei condannati in solido non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza di condanna di primo grado nei confronti degli altri coobbligati non appellanti, una volta spirati i termini per proporre l’impugnazione. Di conseguenza, permane l’obbligo, a carico degli obbligati non appellanti, di corrispondere quanto statuito a titolo risarcitorio dalla sentenza di primo grado divenuta definitiva nei loro confronti. L’art. 2087 c.c. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva. Altro motivo di censura verte sulla responsabilità a carico del datore di lavoro, ex art. 2087 c.c. La Suprema Corte ebbe ad affermare in precedenza che l’art. 2087 c.c. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva a carico del datore di lavoro quindi non può ritenersi una responsabilità automatica del datore di lavoro ogni volta che si verifichi un danno, ma occorre che l’evento sia a lui riferibile per sua colpa v. Cass. numero 6002/2012 . Nel caso specifico non sono emerse, dall’istruttoria del giudizio di merito, responsabilità a carico del datore di lavoro. L’evento lesivo si è verificato unicamente a causa del comportamento abnorme ed imprudente del lavoratore, il quale, sceso dal veicolo senza inserire correttamente il freno di stazionamento, aveva poi tentato di risalirvi nonostante l’autocarro fosse ormai in movimento e così cadendo dallo stesso e rimanendo travolto. Condotta questa che presentava i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute. Né erano emerse nella fase di merito omissioni da parte del datore di lavoro circa le necessarie informative sull’utilizzo dello strumento di lavoro cioè sull’autocarro il ricorrente era un esperto autista, che oltre tutto ben conosceva il mezzo in questione, avendolo già ripetutamente utilizzato in precedenza, come affermato dai testi escussi in primo grado. Confermata la condanna nei confronti del non appellante. E dunque la Corte di legittimità, accogliendo il primo motivo di ricorso e decidendo la causa nel merito, ha confermato la sentenza di condanna di primo grado, nei confronti del coobbligato per il quale era ormai divenuta definitiva e passata in giudicato mentre ha confermato la sentenza d’appello nelle rimanenti parti, così esonerando il datore di lavoro da ogni obbligo risarcitorio.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 20 novembre - 20 dicembre 2013, numero 28564 Presidente/Relatore Stile Svolgimento del processo Con ricorso depositato il 17 Giugno 1999, M.G. , premesso che in data omissis , mentre lavorava in qualità di autista presso la cava omissis alle dipendenze della CONCEBI SRL subiva un infortunio rimanendo paralizzato alla gamba sinistra, assumeva che la responsabilità dell'evento era da imputare alla società ed a B.S. , nelle rispettive qualità di datore di lavoro e di proprietario della cava. Adduceva che era stata attuata una intermediazione di mere prestazioni di lavoro tra il proprietario della cava e la società e che la responsabilità solidale di entrambi traeva origine dalla violazione delle disposizioni contenute nell'articolo 2087 c.c Chiedeva, pertanto, la condanna dei predetti in solido o pro quota secondo la misura delle rispettive responsabilità , al risarcimento del danno complessivamente determinato nella somma di L. 700.000000 o nella maggiore o minore somma da determinarsi in corso di causa. Si costituiva la CONCEBI SRL, assumendo che nessuna responsabilità poteva ad essa essere attribuita dovendo l'evento infortunistico essere imputato a fatto esclusivo dello stesso M. . Questi, infatti - aggiungeva la società -, alla guida di un autocarro, avendo notato, durante le operazioni di carico del mezzo con terra, delle pietre che ostruivano il passaggio, scendeva dall'autocarro dopo aver inserito il freno di manovra sennonché, accortosi che il mezzo, privo di conducente, aveva iniziato improvvisamente a scendere lungo il pendio, si poneva al suo inseguimento, tentando di aggrapparsi allo sportello, ma, mentre era in procinto di aprirlo, veniva sbalzato a terra con violenza, rimanendo travolto dalle ruote posteriori e riportando lesioni gravissime. L'INAIL, costituitosi, eccepiva il suo difetto di legittimazione passiva. Con sentenza del 28.9.2007 il G.L. del Tribunale di Palermo riteneva provata la sussistenza della dedotta ipotesi di intermediazione vietata di mano d'opera, e, considerata imprudente la condotta del lavoratore, anche se non al punto da interrompere il nesso causale fra le omissioni datoriali e l'evento dannoso, valutava l'incidenza causale della colpa del lavoratore in misura pari ai due terzi inoltre, accertato che dall'infortunio era occorso al M. un danno biologico nella misura del 55%, ed applicati i criteri dettati dal D.Lgs. numero 38/2000 e dalla tabella di cui al DM 12.7.2000, riteneva spettante ai lavoratore al detto titolo la somma di Euro 45.144,63. Riteneva, pure, il G.L. palermitano spettante al M. , a titolo di risarcimento del danno morale, la somma di Euro 11.286,15 corrispondente ad un quarto dell'importo riconosciuto a titolo di risarcimento del danno biologico. Condannava, pertanto, B.S. e la CON.CE.BI s.r.l. a corrispondere, in solido tra loro, la somma di Euro 56.430,78 oltre accessori e spese di lite che compensava per la metà. Avverso tale decisione proponeva appello la società, chiedendone la riforma. Si costituiva il M. , chiedendo il rigetto del gravame e, assumendo che la sua condotta non poteva essere considerata concausa dell'evento, che andava totalmente attribuito al B. e alla società, chiedeva, con appello incidentale, condannarsi gli stessi in solido a corrispondergli la somma di Euro 361.519,83, o quella maggiore o minore che risultasse dovuta. Né l'INAIL né gli eredi del deceduto B. , B.P. , B. e G. , si costituivano. Con sentenza del 14 ottobre 2010-21 febbraio 2011, l'adita Corte d'appello di Palermo, ritenuto che l'infortunio era da imputare esclusivamente al lavoratore, il quale, per una scelta volontaria e del tutto arbitraria, aveva affrontato un rischio diverso da quello inerente all'attività lavorativa, rigettava la domanda proposta con il ricorso introduttivo, condannando il M. alle spese, in favore della CON.CE.BI s.r.l., del doppio grado di giudizio, nulla disponendo nei confronti delle altre parti rimaste contumaci. Per la cassazione di tale pronuncia ricorre M.G. con quattro motivi. Resistono con controricorso la società CON.CE.BI e B.B. e P. , mentre B.G. e l'INAIL non hanno svolto attività difensiva. Motivi della decisione Con il primo motivo il M. , denunciando nullità della sentenza per violazione e/o elusione del giudicato articolo 360 numero 4 c.p.c. , violazione e falsa applicazione dell'articolo 332 c.p.c. articolo 360 numero 3 c.p.c. , violazione dell'articolo 2909 c.c., unitamente a vizio di motivazione articolo 360 nnumero 3 e 5 c.p.c. , violazione e falsa applicazione della L. numero 1369 del 1960, articolo 1 e 3 e degli artt. 1362 ss. c.c., nonché vizio di motivazione articolo 360 nnumero 3 e 5 , sostiene che la Corte d'appello ha errato nel riformare la sentenza del tribunale sia per la parte relativa alla responsabilità della CON.CE.BI sia per la parte relativa alla responsabilità di B.S. , dato che solo la società predetta aveva impugnato la sentenza del tribunale, con conseguente passaggio in giudicato della pronuncia nei confronti del B. . Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando omessa o carente motivazione su punti decisivi della controversia articolo 360 numero 5 c.p.c. , violazione e falsa applicazione dell'articolo 2087 c.c. articolo 360 nnumero 3 e 5 c.p.c. , violazione e falsa applicazione dell'articolo 1218 c.c. articolo 360 nnumero 3 e 5 c.p.c. , violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della L. 23 ottobre 1960, numero 1369 articolo 360 numero 3 e 5 c.p.c. , lamenta che la Corte d'appello abbia genericamente escluso elementi di responsabilità a carico del datore di lavoro senza specificare se abbia inteso riferirsi al B. , che di fatto utilizzava le prestazioni di lavoro, o alla CON.CE.BI., che era il datore di lavoro intermediante, così privando la motivazione di un essenziale chiarimento e, comunque, violando le disposizioni di legge degli artt. 1218, 2087 c.c., e degli artt. le 3 della legge, al tempo vigente, del 23 ottobre 1960 numero 1369. Con ulteriore motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia articolo 360 numero 5 c.p.c. , violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 41 c.p. articolo 360 nn 3 e 5 c.p.c. , violazione e falsa applicazione dell'articolo 2087 cc. in relazione a violazione e falsa applicazione degli artt. 4 del d.p.r. numero 547 del 1955 articolo 360 nnumero 3 e 5 c.p.c. , violazione e falsa applicazione dell'articolo 35 Costituzione articolo 360 nnumero 3 e 5 c.p.c. . Sostiene il M. che la Corte d'appello ha completamente ignorato la rilevanza, sotto il profilo causale, del guasto dell'impianto frenante dell'autocarro, senza del quale il veicolo non si sarebbe mosso ed il sinistro non si sarebbe verificato, erroneamente escludendo ogni responsabilità del datore di lavoro. Con il medesimo motivo il ricorrente evidenzia anche che la Corte territoriale ha del tutto omesso di considerare come sia anche mancata la prova delle necessarie informazioni, al M. del funzionamento dell'impianto frenante del mezzo e come tale carenza probatoria andava colmata dal datore di lavoro e non dal lavoratore. Con l'ultimo motivo si denuncia omessa, carente e contraddittoria motivazione su elementi decisivi della controversia ai sensi dell'articolo 360 numero 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'articolo 2087 cc, in relazione a violazione e falsa applicazione dell'articolo 5 d.p.r 303/56 ai sensi dell'articolo 360 nnumero 3 e 5 c.p.c., nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 6 DPR numero 547/55, 2045 cc. e 54 c.p. articolo 360 nnumero 3 e 5 c.p.c. . Lamenta il M. che il Giudice a quo abbia ritenuto abnorme la condotta dallo stesso tenuta senza considerare che l'errore dell'omesso inserimento del freno di parcheggio era solo dipeso da una carenza di informazione sull'impiego del sistema frenante del mezzo e che neppure abnorme poteva considerarsi il tentativo di salire sul mezzo in movimento per fermarne la corsa dato che quel tentativo non era estraneo alla attività produttiva ed era, comunque, ispirato dalla necessità di salvare un mezzo della azienda e prevenire l'investimento degli altri lavoratori che operavano nel cantiere. Tanto chiarito, va osservato, quanto al primo motivo con cui il ricorrente - come accennato - si duole che la Corte territoriale non abbia tenuto conto del passaggio in giudicato della sentenza nei confronti del B. non costituitosi in grado di appello, che la censura è fondata. E pacifico nella giurisprudenza della Corte il principio secondo il quale, in ipotesi di responsabilità solidale tra coobbligati, si verte in causa scindibile articolo 332 c.p.c. , cosicché, l'appello proposto da uno soltanto dei condannati in solido non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza nei confronti del coobbligato non appellante, qualora, nei suoi confronti, siano decorsi i termini di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c. vedi, tra le numerose, Cass. numero 7308/2007 Cass. 18 ottobre 2005, numero 20140 . Con l'ulteriore precisazione che il principio del giudicato riflesso, ovvero il principio per cui un coobbligato può avvalersi del giudicato favorevole emesso in un giudizio promosso da altro coobligato anche se non vi ha partecipato, può essere invocato solamente da un soggetto che non sia diretto destinatario di un diverso e contrario giudicato formatosi nel frattempo Cass. 6 aprile 2004, numero 6694 . I richiamati principi sono sicuramente applicabili alla fattispecie, ravvisata dal giudice di primo grado, di obbligazione solidale con cui si è posti a carico dei due soggetti, in solido, l'obbligo di pagare la retribuzione dovuta al lavoratore, non ricorrendo l'ipotesi della pregiudizialità - dipendenza tra le posizioni dei coobbligati su cui vedi, per es., Cass. 18674/2005 . Il motivo va, quindi, accolto. Privi di fondamento sono, invece, i successivi motivi, rispetto ai quali, le argomentazioni espresse dalla Corte territoriale, valgono, già di per sé, a fornire elementi di adeguato riscontro. Il Giudice a quo ha, infatti, in primo luogo tenuto a chiarire come le modalità dell'infortunio, per cui è controversia, non fossero contestate dalle parti, sicché doveva ritenersi accertato che il 2 dicembre 1993 M.G. , durante le operazioni di carico di terra effettuate in una zona inumero discesa, dopo avere inserito il freno di manovra scendeva dall'autocarro per togliere dal terreno alcune pietre che ostruivano il passaggio. Accortosi che l'autocarro aveva iniziato improvvisamente a scendere lungo il pendio, si poneva al suo inseguimento e tentava di aggrapparsi allo sportello, ma, mentre era in procinto di aprilo, veniva sbalzato a terra con violenza per effetto del movimento irregolare del mezzo, rimanendo travolto dalle ruote posteriori e riportando lesioni gravissime. Ha poi proceduto ad individuare le responsabilità del sinistro, osservando che dall'ampia istruttoria compiuta in primo grado non erano emersi nei confronti del datore di lavoro elementi di responsabilità in relazione all'infortunio di cui trattasi, né, tanto meno, specifiche violazioni di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro. Si è preoccupato, quindi, di motivare tali conclusioni, osservando che detti elementi non potevano essere costituiti, come ritenuto dal Tribunale, dalla mancata specifica informazione sulle modalità di utilizzo del sistema frenante da parte del datore di lavoro, posto che il M. era ben a conoscenza di tale sistema, essendo un esperto nella guida dell'autocarro in questione per averlo in precedenza condotto per lunghi periodi cfr. dichiarazioni di P.G. e di A.S. , entrambi colleghi di lavoro del M. . Peraltro, anche gli accertamenti eseguiti dal Corpo Regionale delle Miniere - Distretto Minerario di Palermo avevano escluso elementi di responsabilità a carico del datore di lavoro. Alla stregua di tutto quanto precede ha, coerentemente, escluso che l'infortunio in questione fosse stato determinato da condotte od omissioni poste in essere dal datore di lavoro e che queste avessero avuto una benché minima efficienza causale nella determinazione dell'evento, dovendosi invece ritenere che esso era da addebitare alla condotta del lavoratore il quale, da un lato, scendendo dall'automezzo in un terreno in discesa aveva omesso di inserire il freno di parcheggio e, dall'altro, si era posto all'inseguimento dell'autocarro, aggrappandosi allo sportello e tentando di entrare nella cabina di guida. Ha, infine concluso, con una valutazione in fatto, fondata sul descritto accertamento, e con opportuni riferimenti alla giurisprudenza di questa Corte, che una tale condotta presentava i caratteri della abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute con conseguente esonero totale del datore di lavoro da responsabilità Cass. numero 7454/2002 Cass. numero 5920/2004 Cass. numero 4980/2006 . Trattasi di una valutazione del giudice di merito, debitamente argomentata, rispetto alla quale risulta del tutto irrilevante la questione della identificazione del datore di lavoro. Per quanto esposto, va accolto il primo motivo e rigettati gli altri, con conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto. Sussistendo i presupposti per la decisione della causa nel merito articolo 384, 2 comma, ult. parte, c.p.c. , va confermata la sentenza di primo grado nei confronti di B.P. , B. e G. , quali eredi di B.S. , e così pure, nel resto, la sentenza impugnata, con compensazione delle spese di questo giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, conferma la sentenza di primo grado nei confronti di B.P. , B. e G. , quali eredi di B.S. . Conferma nel resto la sentenza impugnata e compensa le spese di questo giudizio.