Quando la causale di una somma prova troppo!

L’affermazione del datore di lavoro su una diversa causale da quella dichiarata dall’imputato in merito alla somma pagamento di affitto prova troppo.

Con la sentenza n. 37343 depositata il 12 settembre 2013, la Terza sezione Penale della Corte di Cassazione affronta ancora una volta il reato di cui all’art. 73, comma 5, Testo Unico sulla droga in materia di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope. Il caso. In particolare, il ricorrente era stato condannato dal giudice di merito ad 1 anno e 4 mesi di reclusione e € 3000 di multa perché colpevole del reato di cui all’art. 73, comma 5 del D.P.R. n. 309/1990 per aver detenuto circa 20 grammi di cocaina in concorso con altro connazionale. La sentenza veniva confermata in sede di appello, in quanto i giudici non avevano ritenuto credibile né provato che l’imputato fosse dedito all’uso di cocaina né che una somma di € 670 trovata sulla persona dell’imputato fosse ricompresa in quella consegnatagli dal suo datore di lavoro. Il mistero della somma consegnata dal datore di lavoro. La difesa dell’imputato contesta duramente la decisione del giudice di appello sia per avere erroneamente escluso la detenzione della sostanza ad uso personale da parte del ricorrente stesso sia per non aver considerato che la somma di denaro fosse stata consegnata al ricorrente dal datore di lavoro. Inoltre, la difesa evidenzia che il giudice di appello non ha valutato che l’avvenuta restituzione della somma di € 650 all’imputato dimostra l’assenza di condotte di spaccio di droga. Il riferimento alla causale. Gli Ermellini non possono fare a meno di accogliere le censure dell’imputato relativamente al ragionamento che ha condotto all’affermazione della sua responsabilità penale. Infatti, per Piazza Cavour, non risulta immune da vizi logici l’affermazione dei giudici della Corte di Appello territoriale in base alla quale le dichiarazioni del datore di lavoro sulla consegna di denaro all’imputato, a fronte della fattura dal lui emessa, non giustifichino la presenza di oltre € 600 sulla persona dell’imputato stesso e non siano compatibili con l’acquisto della sostanza. In buona sostanza, secondo il Palazzaccio , l’affermazione del datore di lavoro su una diversa causale da quella dichiarata dall’imputato in merito alla somma pagamento di affitto prova troppo. Infatti, se davvero l’imputato avesse avuto necessità della somma per procurarsi la sostanza stupefacente, certo non avrebbe riferito tale causale al datore di lavoro, così che si è in presenza di un contrasto solo apparente che non può essere addotto per respingere la versione difensiva. Restituire il maltolto. Gli Ermellini vanno oltre e bacchettano” i giudici di appello evidenziando che la loro decisione di restituire all’imputato la somma di € 650 appare palesemente incoerente con la ricostruzione che ha condotto alla condanna per essere provata l’esistenza di una condotta finalizzata allo spaccio della sostanza stupefacente. Infatti – si legge nella sentenza -, se si ritiene che per detta somma non vi è prova di illecita provenienza, non può concludersi che gli importi oggetto di dichiarazione annuale dei redditi e la prova della ricezione del denaro dal datore di lavoro risultano ininfluenti rispetto alla genesi e alla destinazione della sostanza sequestrata. Da qui l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla corte di appello.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 18 aprile - 12 settembre 2013, numero 37343 Presidente Lombardi – Relatore Marini Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 17/11/2010 la Corte di appello di L'Aquila ha confermato la sentenza con cui in data 14/11/2007 il Tribunale di Teramo ha condannato il sig. H. alla pena di 1 anno e 4 mesi di reclusione e 3.000,00 Euro di multa, pena condizionalmente sospesa, perché colpevole del reato previsto dall'articolo 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, numero 309, commesso in data omissis , per avere detenuto circa 20 grammi di cocaina in concorso con altro connazionale. I giudici di appello hanno ritenuto non credibile né provato che l'imputato fosse dedito all'uso di cocaina, che la somma di 670,00 Euro trovata sulla sua persona fosse ricompresa in quella consegnatagli dal datore di lavoro, che la sostanza fosse destinata ad uso esclusivamente personale. 2. Avverso tale decisione il sig. H. propone ricorso tramite il Difensore, in sintesi lamentando a. errata applicazione di legge ex articolo 606, lett.b cod. proc. penumero per avere la Corte di appello erroneamente escluso la destinazione della sostanza a uso personale la sostanza era contenuta in due confezioni di uguale peso e nessuna prova esiste che altra sostanza sia stata ceduta a terzi il teste D.P. ha dichiarato di avere pochi giorni prima consegnato al ricorrente la somma di 1.200,00 Euro il ricorrente ha prodotto una dichiarazione dei redditi da cui risulta un imponibile di circa 65.000,00 Euro gli esiti delle analisi prodotte sono compatibili con un utilizzo saltuario di cocaina b. vizio di motivazione ai sensi dell’articolo 606, lett. e cod. proc. penumero per avere i giudici di merito a in modo improprio ed erroneo utilizzato elementi di prova formatisi nel separato giudizio a carico del coindagato e acquisiti ex articolo 238 e 511-bis cod. proc. penumero , norme che se interpretate nel senso seguito dalla Corte di appello devono essere considerate costituzionalmente illegittime b non valutato che l'avvenuta restituzione della somma di 650,00 Euro dimostra l'assenza di condotte di spaccio c omesso di fornire adeguata argomentazione sull'entità della pena inflitta. Considerato in diritto 1. La Corte ritiene di prendere le mosse dall'esame della questione di illegittimità costituzionale, che deve essere considerata generica e manifestamente infondata. Difettano, infatti le stesse premesse in fatto che fondano l'intera argomentazione difensiva, posto che il sequestro del bilancino venne operato nell'unico procedimento, con la conseguenza che i diritti della difesa non possono certo dirsi violati a seguito della successiva separazione degli atti con formazione di autonomo procedimento. 2. Meritano, invece, accoglimento le censure relative al ragionamento che ha condotto all'affermazione di responsabilità penale. Va premesso che non risulta logicamente immune da vizi l'affermazione dei giudici di merito secondo cui le dichiarazioni del sig. D.P. circa la consegna di denaro all'imputato a fronte della fattura da lui emessa e prodotta in giudizio dalla difesa non giustifichino la presenza della somma di oltre 600 Euro sulla persona dell'imputato stesso e non siano compatibili con l'acquisto della sostanza, riferita come corrispondente a un costo di circa 500-660,00 Euro per ciascuno dei detentori. L'argomento secondo cui il datore di lavoro ha riferito di una causale pagamento di affitto diversa da quella dichiarata dal sig. H. all'autorità giudiziaria è argomento che prova troppo se davvero l'imputato avesse avuto necessità della somma per procurarsi la sostanza stupefacente, certo non avrebbe riferito tale causale ai sig. D.P. , così che si è in presenza di contrasto solo apparente che non può essere addotto per respingere la versione difensiva. 3. A ciò di aggiunga che la decisione dei giudicanti di restituire all'imputato la somma di 650,00 Euro appare palesemente incoerente con la ricostruzione che ha condotto alla condanna per essere provata l'esistenza di una condotta di detenzione finalizzata allo spaccio della sostanza stupefacente. Se si ritiene che per detta somma non vi è prova di illecita provenienza, non può concludersi che gli importi oggetto di dichiarazione annuale dei redditi e la prova della ricezione del denaro da D.P. risultano ininfluenti rispetto alfa genesi e alla destinazione della sostanza sequestrata. 4. Sulla base delle considerazioni che precedono la Corte ritiene che la sentenza debba essere annullata e gli atti rinviati al giudice di merito che, alla luce dei principi affermati con la presente decisione, procederà a nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Perugia.