Le differenze retributive vanno calcolate detraendo le somme effettivamente corrisposte

Le differenze retributive spettanti al lavoratore si calcolano detraendo dalle somme lorde quelle effettivamente corrisposte dal datore di lavoro, a nulla rilevando la circostanza che il datore non abbai operato le ritenute previdenziali e fiscali.

Lo ha ribadito la Cassazione con sentenza numero 13164/18, depositata il 25 maggio. Il caso. Il Tribunale di Roma condannava una società al pagamento di euro 21.016,26, in favore di una lavoratrice, a titolo di differenze retributive, tredicesima, quattordicesima mensilità, Tfr e permessi maturati durante il rapporto di lavoro intercorso tra le parti tra il 1995 e il 2001. Il Giudice di primo grado aveva effettuato il calcolo detraendo dalle somme lorde relative a quanto spettante per il rapporto part-time il netto delle somme percepite. La Corte d’Appello, tuttavia, ritenendo che il calcolo delle differenze retributive fosse stato eseguito su dati non omogenei, procedendo alla “lordizzazione” di quanto percepito, riconosceva alla ricorrente la minor somma di euro 16.970,65. La dipendente ricorreva in Cassazione. Il calcolo delle differenze retributive. La Corte di Cassazione, nel decidere sulla questione, ha fatto proprio il principio secondo cui «in sede di accertamento contabile delle differenze retributive spettanti ad un lavoratore, dalle somme lorde che spettano allo stesso devono essere detratte le somme corrisposte dal datore nel loro concreto ed effettivo importo, a nulla rilevando che il datore non abbia operato le ritenute previdenziali e fiscali prescritte». Inoltre, hanno proseguito i Giudici, poiché la datrice di lavoro non ha dedotto di aver operato le ritenute contributive ed erariali, le somme corrisposte rappresentano l’importo lordo e dunque «la lavoratrice ha diritto alle differenze retributive calcolate al lordo di ogni ritenuta, mentre il meccanismo di prelievo delle ritenute e l’incidenza di esse sulle parti del rapporto opera solo al momento del pagamento del credito». Per questa ragioni la Suprema Corte ha accolto il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 giugno 2017 – 25 maggio 2018, numero 13164 Presidente Nobile – Relatore Leo Fatti di causa Il Tribunale di Roma, in accoglimento della domanda proposta da R.A. , nei confronti di T.M. e di omissis S.a.s. omissis , condannava le parti resistenti, in solido, al pagamento, in favore della ricorrente, della somma di Euro 24.016,26, oltre accessori, a titolo di differenze retributive, tredicesima e quattordicesima mensilità, TFR e permessi maturati durante il rapporto di lavoro intercorso inter partes dal 24/5/1995 al 30/4/2001. La Corte di Appello, con sentenza depositata il 2/5/2012, in parziale riforma della predetta sentenza, condannava i datori di lavoro, in solido, al pagamento, in favore di R.A. , della somma di Euro 16.970,65, oltre rivalutazione ed interessi legali, in luogo della maggior somma di cui alla sentenza impugnata. Per ciò che ancora in questa sede interessa, la Corte di merito osservava che il calcolo delle differenze retributive era stato eseguito, in primo grado, detraendo dalle somme lorde relative a quanto spettante per il rapporto part-time il netto delle somme percepite nel medesimo periodo, con una operazione su dati non omogenei. Per la cassazione della sentenza la R. propone ricorso articolando un motivo, cui resistono con controricorso T.M. e di omissis S.a.s. omissis . Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’articolo 378 del codice di rito. Il Collegio ha autorizzato la motivazione in forma semplificata. Ragioni della decisione 1. Con l’unico motivo articolato la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli articolo 2099, 2114 e 2115 c.c., lamentando che la Corte distrettuale, anziché confrontare, da un lato, le somme dovute alla lavoratrice e, dall’altro lato, quanto effettivamente versato, abbia ritenuto di dovere creare un dato virtuale e, con il dato virtuale, abbia anche coniato un neologismo, quello della lordizzazione che, operando in tal modo, il calcolo del teoricamente percepito non può che essere come la stessa Corte rileva, riprendendo analoga valutazione del C.t.u. necessariamente approssimativo che, nell’assumere la decisione impugnata, i Giudici di secondo grado non soltanto non abbiano fatto applicazione dei principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità, ma li abbiano del tutto stravolti e negati che, proprio alla luce della giurisprudenza richiamata nella sentenza impugnata in particolare, Cass. numero 18584/2008, con la quale si è ribadito che l’accertamento e la liquidazione dei crediti pecuniari del lavoratore per differenze retributive devono essere effettuati al lordo delle ritenute contributive e fiscali, mentre i problemi connessi con la detrazione di somme per i titoli suindicati riguardano il diverso e successivo momento dei pagamenti dei crediti medesimi , la stessa vada cassata. 1.1 Il motivo è fondato. Invero, alla stregua dei costanti arresti giurisprudenziali di legittimità, in sede di accertamento contabile delle differenze retributive spettanti ad un lavoratore, dalle somme lorde che spettano allo stesso devono essere detratte le somme corrisposte dal datore nel loro concreto ed effettivo importo, a nulla rilevando che il datore non abbia operato le ritenute previdenziali e fiscali prescritte e ciò, in quanto l’accertamento e la liquidazione dei crediti pecuniari del lavoratore per differenze retributive devono essere effettuati al lordo delle ritenute contributive e fiscali, tenuto conto, quanto alle prime, che la trattenuta, da parte del datore di lavoro, della parte di contributi a carico del lavoratore è prevista dall’articolo 19, legge 4 aprile 1952, numero 218 in relazione alla sola retribuzione corrisposta alla scadenza, ai sensi dell’articolo 23, comma primo, medesima legge e che il datore di lavoro, che non abbia provveduto al pagamento dei contributi entro il termine stabilito, è da considerare - salva la prova di fatti a lui non imputabili - debitore esclusivo dei contributi stessi anche per la quota a carico del lavoratore ed atteso, quanto alle ritenute fiscali, che il meccanismo di queste inerisce ad un momento successivo a quello dell’accertamento e della liquidazione delle spettanze retributive e si pone in relazione al distinto rapporto d’imposta, sul quale il giudice chiamato all’accertamento ed alla liquidazione predetti non ha il potere d’interferire v., ex plurimis, Cass. nnumero 18584/2008 6337/2003 9198/2000 13735/1992 più di recente, nello stesso senso, Cass. nnumero 18044/2015 21010/2013 . Riguardo alla dedotta disomogeneità tra i dati relativi agli importi dovuti e quelli relativi ai compensi corrisposti, va osservato che, nella fattispecie, i datori di lavoro non hanno dedotto di aver operato le dovute trattenute contributive ed erariali anche in considerazione del fatto che i medesimi hanno sempre negato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato per la qual cosa, le somme effettivamente corrisposte non possono essere considerate al netto di alcunché e rappresentano, quindi, l’importo lordo corrisposto. Dunque, per tutte le considerazioni in precedenza svolte, la lavoratrice ha diritto alle differenze retributive calcolate al lordo di ogni ritenuta, mentre il meccanismo di prelievo delle ritenute e l’incidenza di esse sulle parti del rapporto di lavoro opera solo al momento del pagamento del credito. La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio della causa alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, la quale provvederà di conseguenza, statuendo anche sulle spese del giudizio di legittimità ai sensi dell’articolo 385, terzo comma, c.p.c P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.