Tra moglie e marito non mettere il dito...

Non sussiste il dolo del delitto di calunnia laddove i dubbi sulla colpevolezza del soggetto cui vengono addebitati fatti penalmente rilevanti assumono il carattere della ragionevolezza e serietà, essendo fondati su elementi fattuali veritieri.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, con la sentenza numero 1399 depositata il 15 gennaio 2016. La calunnia non è figlia dell'archiviazione delle denunce. Eppure, stando a quello che spesso succede, sembra invece che vi sia un'incoercibile tendenza a ritenere il contrario e la denuncia per calunnia – la “controdenuncia” per antonomasia – rappresenta il gesto istintivo ma a volte anche calcolato con cui si reagisce alla querela per un qualsiasi reato. La sentenza in commento, quindi, affronta il tema del rapporto tra archiviazione della notizia di reato e responsabilità per calunnia a carico del denunciante. L'occasione è data da una querela per violazione degli obblighi di assistenza familiare sporta da una signora nei confronti del proprio coniuge separato. Archiviato il procedimento penale a carico del marito, i ruoli si ribaltavano, e la consorte finiva imputata, e condannata, per calunnia pare non vi fosse chiarezza sulle somme effettivamente percepite dalla medesima, né sulla “consistenza” dell'inadempimento agli obblighi di mantenimento rappresentati in querela. La condanna reggeva sostanzialmente al vaglio della Corte territoriale, ma gli Ermellini, avuta tra le mani la sentenza, ne ribaltavano sostanzialmente il contenuto, pur dichiarando la prescrizione del reato gli interessi civili dell'ex marito hanno giustificato una disamina “nel merito” del ricorso interposto dall'imputata . E' tutto un problema di dolo. La prima doglianza sollevata dalla difesa è stata anche quella che ha determinato l'affondamento della sentenza d'appello manca l'elemento soggettivo del delitto di calunnia, si duole la ricorrente, che – come si evince dalla sentenza – aveva puntualizzato con un'integrazione la denuncia “incriminata” e archiviata. La Corte di Cassazione ha ritenuto pienamente fondato il motivo di ricorso basato sulla errata applicazione della norma incriminatrice della calunnia Il terreno su cui si muove la sentenza in esame è quello, scivolosissimo, dell'errore in cui incorre il denunciante se, in altri termini, si cade in fallo nel denunciare un determinato fatto si commette automaticamente calunnia? La Cassazione risponde naturalmente di no, e illustra con sintetica efficacia l'insieme degli indici sintomatici che consentono di escludere quando la presunta illiceità di un fatto, portato a conoscenza dell'autorità giudiziaria, possa poi tramutarsi in un processo per calunnia a carico del denunciante. Il discrimine, in questi casi, tra reato e non reato è costituito anche e soprattutto dall'elemento soggettivo, che nel caso della calunnia presuppone, in capo al denunciante, la consapevolezza dell'innocenza dell'incolpato. I ragionevoli dubbi. Non ci riferiamo alla condizione probatoria per emettere una sentenza di condanna, bensì alla situazione soggettiva che deve caratterizzare l'animo del denunciante per far sì che non si possano ravvisarvi gli estremi del delitto di calunnia. I dubbi, specificano gli Ermellini, devono porsi «su un piano di ragionevolezza». Devono, pertanto, avere origine da circostanze di fatto ben precise, serie e veritiere. Certo, quando si sporge una denuncia si può anche sbagliare ma l'importante – per escludere responsabilità calunniose – è che il convincimento erroneo attenga agli aspetti riguardanti la valutazione di fatti, che non dovrà essere mai né «fraudolenta o consapevolmente forzata». Altro paio di maniche è, invece, quello che riguarda l'errore sull'esistenza di un fatto storico a condizione che esso possa, in concreto, essere verificato , o la sua corretta rappresentazione. In questo caso, la perentoria affermazione di un fatto storico mai verificatosi, o la consapevole alterazione narrativa delle sue sequenze dinamiche, rendono assai difficile negare l'esistenza degli estremi della calunnia.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 22 dicembre 2015 – 15 gennaio 2016, numero 1399 Presidente Conti – Relatore Scalia Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Messina, con sentenza pronunciata in data 17 giugno 2013, in parziale accoglimento dell'impugnazione proposta avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Messina, ha confermato la condanna di A.L. alla pena di un anno e sei mesi di reclusione oltre che alle statuizioni civili ed alle spese processuali, queste ultime anche per il grado di appello. L'imputata è stata ritenuta colpevole del reato di calunnia ai danni del marito, B.S. , per avere con querela sporta presso la Stazione dei Carabinieri di Messina - Camaro , accusato il primo, che la prevenuta sapeva innocente, del reato di cui all'articolo 570 cod. penumero . Archiviato il procedimento già avviato nei confronti del marito, la prevenuta A. , all'esito del procedimento penale aperto in suo danno è stata condannata in primo grado per il reato di calunnia, per avere falsamente dichiarato che dal novembre 2006 al febbraio 2007 il coniuge aveva inviato soltanto un vaglia di Euro 360,00, così lasciando la stessa ed i figli in una situazione di indigenza. All'esito della svolta istruttoria dibattimentale, il Tribunale di Messina ha accertato, di contro a quanto dichiarato in denuncia dalla A. , come il B. avesse inviato mensilmente somme, a mezzo vaglia, per il mantenimento di moglie e figli, in favore dei quali lo stesso provvedeva altresì al pagamento di altre spese. La Corte di appello di Messina, riesaminati gli indicati esiti istruttori, confermando il giudizio formulato in primo grado, ha evidenziato l'esistenza di taluni vaglia precedenti rispetto alla data della denuncia intervenuta il 6 febbraio 2007, e, ancora, per detta epoca, l'esistenza di scontrini attestanti ulteriori spese sostenute dal B. in favore della famiglia nonché la non contestazione in ordine a consegna e disponibilità di altre somme in favore dei figli. I Giudici di Appello hanno quindi concluso per l'esistenza della prova che, nell'epoca in cui non era ancora intervenuto alcun provvedimento del Giudice civile diretto a disciplinare il rapporto tra i coniugi, di contro a quanto affermato in denunzia, il B. avesse cercato di fare il possibile per venire incontro alle esigenze di figli e moglie. 2. Avverso l'impugnata sentenza articola quattro motivi di ricorso per cassazione la difesa di A.L. , nell'interesse di quest'ultima. 2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge articolo 606, comma 1, lett. b cod. proc. penumero per inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 368 cod. penumero , per insussistenza del fatto tipico di calunnia in difetto del richiesto estremo soggettivo. La difesa, valorizzando l’aspetto valutativo e quindi una inferenza soggettiva nella condotta contestata, in ciò richiamando giurisprudenza della Corte di legittimità, ha dedotto invero l'inesistenza della contestata illiceità della denuncia. La prevenuta si sarebbe limitata a segnalare in denuncia la situazione di indigenza che avrebbe connotato la vita familiare propria e dei tre figli il disinteresse del marito rispetto agli obblighi di assistenza materiale e morale nei confronti del nucleo familiare la circostanza che il coniuge percepisse un netto in busta paga oscillante tra i milleduecento ed i millequattrocento Euro il fatto che nel periodo in contestazione il B. si fosse limitato a versare alla famiglia la somma di 920,00 Euro. Che poi l’imputata A. avesse, in un secondo ed integrativo atto di querela, indicato in modo analitico la percezione di ulteriori acconti ricevuti in epoca successiva al deposito della prima querela, avrebbe escluso in capo all'imputata l'elemento soggettivo della contestata fattispecie. La difesa lamenta anche il mancato riconoscimento, per le indicate circostanze, dell'attenuante di cui all'articolo 62 numero 6 cod. penumero , reclamando, all'esito, la rideterminazione della pena. 2.2. Con il secondo motivo, la difesa fa valere violazione di legge articolo 606, comma 1, lett. b cod. proc. penumero in relazione all'articolo 570 cod. penumero quale elemento oggettivamente integrativo della contestata calunnia. Si evidenzia, per l'indicato profilo come il Giudice civile avesse posto a carico del B. l'obbligo di versare mensilmente la somma di quattrocentocinquanta Euro, oltre agli assegni familiari spettanti al genitore affidatario dei figli minori. Il fatto che il coniuge si limitasse a versamenti contenuti tra i duecento ed i trecentosessanta Euro poteva quindi essere ben percepito dalla A. come sintomatico della volontà del coniuge di sottrarsi all'adempimento dei propri obblighi di assistenza familiare. 2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente si duole della mancanza o comunque della illogicità della motivazione spesa dai giudici di appello che non si sarebbe confrontata con gli esiti istruttori o che in ogni caso, per la sua stringatezza, non avrebbe consentito siffatta verifica. 2.4. Con il quarto motivo, la difesa fa valere il vizio di inosservanza di legge articolo 606, comma 1, lett. b cod. proc. penumero in relazione all'articolo 157 cod. penumero e quindi, per lo stesso, l'intervenuta prescrizione del reato. La prescrizione sarebbe invero maturata nel lasso di tempo intercorrente, tra l'epoca della denuncia dal contestato contenuto calunniatorio, sporta il 6 febbraio 2007, e la data di deposito della sentenza d'appello, intervenuta il 17 giugno 2013. Considerato in diritto 1. Il reato ascritto al ricorrente, punito con la pena detentiva compresa nella cornice edittale tra due e sei anni articolo 368, comma primo, cod. penumero , è soggetto al termine massimo di prescrizione di sette anni e sei mesi articolo 157, primo comma, 160, secondo comma, e 161, secondo comma, c.p. . Risultando i fatti ascritti avvenuti in data 6 febbraio 2007, la prescrizione è nella specie maturata, in difetto di atti interruttivi, il 6 agosto 2014 e dunque successivamente alla pronuncia della sentenza emessa in grado di appello. 2. All'applicabilità della causa estintiva, di immediata rilevazione articolo 129, comma 1, cod. proc. penumero , nell'intervenuta costituzione di parte civile consegue la necessità che la Corte si pronunci sull'impugnazione, ai soli effetti delle disposizioni e dei capi dell'impugnata sentenza relativi agli interessi civili articolo 578 cod. proc. penumero . 3. Il primo motivo di ricorso è fondato e per esso il dedotto vizio di violazione di legge per errata sussunzione dei fatti contestati nella fattispecie astratta di cui all'articolo 368 cod. penumero . Come evidenziato in ricorso infatti difetta in capo alla prevenuta l'elemento soggettivo del reato di calunnia articolo 368 cod. penumero . Il tema, che viene in tal modo all'esame di questa Corte, è quello del carattere che i sospetti, le congetture o le supposizioni di illiceità del fatto denunciato debbano rivestire perché possa poi escludersi in capo al denunciante, che attribuisca ad altri un reato, la consapevolezza dell'innocenza dell'incolpato, il tutto secondo struttura e contenuti propri del reato di calunnia articolo 368 cod. penumero . Per le indicate premesse, affermate e sviluppate nelle pronunce adottate da questa Corte, il dolo di calunnia resta invero escluso allorché i dubbi sulla colpevolezza del denunciato si pongano su di un piano di ragionevolezza e quindi risultino fondati su elementi di fatto non solo veritieri, ma connotati da un riconoscibile margine di serietà Sez. 6, numero 29117 del 15/06/2012, Valenti . Deve per gli indicati estremi trattarsi di dubbi tali da poter essere condivisi da un cittadino comune che si trovi nella medesima situazione di conoscenza Sez. 6, numero 46205 06/11/2009, Demattè, Rv. 245541 . Nell'apprezzamento condotto sui contenuti dell'errore del denunciante sulla colpevolezza del denunciato, la giurisprudenza di legittimità ha quindi nel tempo puntualizzato che ove il primo riguardi fatti storici concreti, suscettibili di verifica o, comunque, si esprima per una non corretta rappresentazione dei fatti in denuncia, alla omissione della verifica o rappresentazione consegua la dolosità dell'accusa espressa in termini perentori. Quando invece l'erroneo convincimento riguardi profili essenzialmente valutativi della condotta oggetto di accusa - ipotesi in cui l'attribuzione dell'illiceità è guidata da una pregnante inferenza soggettiva - ove la prima non risulti fraudolenta o consapevolmente forzata, quel convincimento è inidoneo ad integrare il dolo tipico della calunnia Sez. 6, numero 22922 del 23/05/2013, Zanardi Sez. 6, numero 37654 del 19/06/2014, Falanga Sez. 6, numero 54254 del 13/11/2015, in motivazione . Per applicazione del riportato principio di diritto finalizzato a fornire del dato normativo sostanziale corretta lettura, si registra un disallineamento del giudizio espresso dalla Corte territoriale rispetto al dato probatorio acquisito, disallineamento a cui si lega poi una errata interpretazione della fattispecie normativa di cui all'articolo 368 cod. penumero . La circostanza invero che la prevenuta avesse aggiornato, con atto di impulso integrativo e successivo al primo del 6 febbraio 2007, aggiornato la iniziale situazione di debito del B. , è espressiva di una volontà della A. di puntualizzare reciproche ragioni di debito-credito, peraltro sortendo, la seconda iniziativa, un effetto di alleggerimento della posizione del coniuge dei cui successivi versamenti l'atto integrativo ha dato contezza. All'indicata volontà risulta del tutto estraneo quell'intento proprio del dolo di calunnia di attribuire ad altri la commissione di un reato, pur conoscendo dell'innocenza del soggetto accusato, esprimendo invece l'articolata iniziativa dell'imputata la diversa volontà di dare chiarezza ad un composito quadro di obbligazioni che ben poteva prestarsi, nella sua obiettiva consistenza, ai dubbi espressi dalla prevenuta, per la proposta querela, sul mancato integrale adempimento del coniuge agli obblighi penalmente sanzionati articolo 570 cod. penumero . Per il condotto sindacato, in accoglimento del proposto ricorso, la sentenza della Corte di appello di Messina, giusta l'indicato preliminare percorso teso a valorizzare gli effetti civili dell'impugnata sentenza, deve quindi trovare annullamento senza rinvio - nel riscontrato difetto dell'indicato elemento soggettivo, destinato a sostenere la contestata fattispecie del reato di calunnia articolo 568 cod. penumero - per la formula il fatto non costituisce reato. Il carattere assorbente del motivo esonera la Corte dal vaglio degli ulteriori motivi di ricorso. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.