Istituto della revisione: tra esigenze di giustizia sostanziale e certezza dei rapporti giuridici

L’istituto della revisione costituisce un mezzo straordinario di impugnazione che consente, in casi tassativi, di rimuovere gli effetti del giudicato, legittimandone e giustificandone la rivisitazione.

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 3595 del 24 gennaio 2014. Il fatto. La Corte d’Appello di Salerno respingeva l’istanza di revisione avanzata nell’interesse di un uomo in relazione alla sentenza emessa nei suoi confronti dalla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria che lo aveva condannato a trent’anni di reclusione per omicidio volontario. Il difensore dell’imputato propone ricorso per cassazione, lamentando che la Corte di merito avrebbe rievocato a fondamento della propria decisione le dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia che avrebbero riferito del fatto criminoso in base a notizie apprese de relato , contestando l’attendibilità di nuove fonti di prova. Natura della revisione. Il ricorso deve essere respinto l'istituto della revisione, infatti, non si configura come una impugnazione tardiva che permette di dedurre in ogni tempo ciò che nel processo definitivamente concluso non è stato rilevato o non è stato dedotto, ma costituisce un mezzo straordinario di impugnazione che consente, in casi tassativi, di rimuovere gli effetti del giudicato, dando priorità alla esigenza di giustizia sostanziale rispetto a quella di certezza dei rapporti giuridici. È, dunque, il novum cognitivo a rappresentare l'elemento cardine sulla cui base è possibile tracciare la relazione che viene a stabilirsi, sul piano ordinamentale, tra la irrevocabilità del giudicato e la revisio della condanna, giacché, facendo emergere l’”errore” insito nell'accertamento giudiziario cristallizzato nella sentenza irrevocabile, legittima e giustifica la rivisitazione del giudicato. Favor innocentiae . Tra l’altro, l’istituto in esame ha rilievo costituzionale premessa l’intangibilità del giudicato, è fondamentale, nel nostro ordinamento, eliminare l’errore giudiziario in ossequio al principio del favor innocentiae , in base al quale non si può riaprire il processo, a meno che sia riscontrata la presenza di specifiche situazioni sintomatiche della probabilità di errore giudiziario e dell’ingiustizia della sentenza irrevocabile di condanna. D’altra parte, ciò è in linea anche con l’art. 24 Cost., posto a tutela dell’innocente, in relazione ai diritti inviolabili della personalità. Modello bifasico. Si tratta, pur sempre, di un giudizio di riesame” del precedente statuto di condanna, scandito secondo un modello bifasico, che prevede una fase rescindente e una rescissoria. Le nuove prove offerte hanno natura speculare e contraria rispetto a quelle già acquisite e consacrate nel giudicato penale per cui il giudice della revisione ha il potere-dovere di saggiare, mediante comparazione, la resistenza di queste ultime rispetto alle prime Giudizio di attendibilità di collaboratore di giustizia. Non può trascurarsi, poi, la circostanza che il giudizio di attendibilità di un collaboratore di giustizia, già compiuto nel giudizio di cognizione, non può formare oggetto, di per sé, di riesame in sede di revisione, a meno che si contesti la reale esistenza del fatto storico nel quale è stato rinvenuto il riscontro esterno alle dichiarazioni del medesimo soggetto mentre va rammentato che, nel giudizio di revisione, non può mai costituire nuova prova la testimonianza la cui ammissione sia richiesta al fine di ottenere una nuova e diversa valutazione delle prove già apprezzate con la sentenza di condanna. Ai giudici della revisione è inibito Ne consegue che deve ritenersi inibito ai giudici della revisione di procedere ad una rivalutazione, in sé, delle prove già scrutinate dai giudici del merito, essendo il loro compito perimetrato dalla necessità di esaminare congiuntamente il novum e le pregresse acquisizioni, senza procedere – come pretenderebbero i ricorrenti - ad un riesame” atomistico delle prove a suo tempo acquisite, quasi a rinnovare il precedente sindacato compiuto in punto di affidabilità e di decisività. Dei principi sopra accennati i giudici della revisione hanno fatto corretta applicazione, in particolare sottoponendo ad attento vaglio i singoli apporti dichiarativi, per poi mettere in luce aporie, contraddizioni ed elementi di negativa valutazione in punto di attendibilità, del tutto coerentemente evocate e analizzate non senza iscrivere, poi, il quadro del novum evocato a fondamento della domanda di revisione all'interno di un apprezzamento complessivo rispetto alle prove già acquisite e delibate nel giudizio di condanna. A fronte di tale corretto incedere argomentativo il ricorrente si limita, pertanto, a frapporre, in definitiva, soltanto una critica sommaria, nella quale le puntuali aporie e contraddizioni evidenziate dai giudici a quibus sarebbero tutte connotate dallo scarso rilievo sul piano dimostrativo, mentre si enfatizzano per converso le circostanze di opposto segno, depauperate, tuttavia, di qualsiasi concreto apporto dialettico in punto di attendibilità e di elementi, anche logici, di conferma. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 8 – 24 gennaio 2014, n. 3595 Presidente Petti – Relatore Macchia Osserva Con sentenza del 21 marzo 2013, la Corte di appello di Salerno ha respinto la istanza di revisione avanzata nell'interesse di G.C. in relazione alla sentenza emessa nei suoi confronti dalla Corte di assise di appello di Reggio Calabria con la quale il medesimo era stato condannato alla pena di anni trenta di reclusione per il delitto di omicidio volontario in danno di F.F. e di tentato omicidio di S.V. e S.F. . La Corte territoriale, in particolare, all'esito della assunzione delle testimonianze evocate a fondamento della richiesta di revisione come prove nuove, ne disattendeva il risalto probatorio alla luce della relativa valutazione di attendibilità, nel quadro anche di un apprezzamento unitario rispetto al compendio probatorio a suo tempo già acquisito e delibato, escludendo, dunque, che il novum dedotto potesse valere ad incrinare il giudizio di colpevolezza su cui si era radicata la pronuncia di condanna. Propone ricorso per cassazione il difensore, il quale lamenta violazione dei criteri di valutazione della prova. La Corte, deduce il ricorrente, avrebbe rievocato a fondamento della propria decisione le dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia che avrebbero riferito del fatto criminoso in base a notizie apprese de relato e con diverse imprecisioni e contraddizioni. Su un castello probatorio così labile - sottolinea il ricorrente - la Corte avrebbe dovuto apprezzare l'importanza della collaborazione offerta dal Fr. , così come doveva valorizzare le dichiarazioni rese dai testi M. e B. , acquisite prima del pentimento del Fr. . Si contestano, poi, sulla base di rilievi in punto di fatto, le deduzioni svolte dai giudici a quibus per contestare l'attendibilità delle nuove fonti di prova, non senza sottolineare la lontananza nel tempo dei fatti narrati e la trascurabilità dei particolari su cui la sentenza impugnata ha fatto leva per individuare contraddizioni o aporie nella narrazione dei testi. In prossimità della udienza sono stati presentati dai difensori motivi nuovi e motivi aggiunti nei quali si è sottolineato, come ulteriore elemento con il quale i giudici a quibus si sarebbero dovuti misurare, l'orientamento delle Sezioni Unite nella sentenza Aquilina ed altri del 2012 in tema di chiamata plurime de relato , e la necessità che le nuove prove venissero valutate in un contesto unitario con le precedenti acquisizioni, svolgendosi, anche, una diffusa disamina dei diversi aspetti critici che vanificherebbero la coerenza e la esaustività dello scrutinio effettuato nella sentenza impugnata, tanto sul versante della svalutazione degli elementi a discarico che della esaltazione degli elementi a carico. Il ricorso, ai limiti della ammissibilità, in quanto orientato, nella sostanza, a proporre una non consentita rivalutazione dell'apprezzamento delle prove motivatamente condotto dai giudici a quibus , deve essere respinto. L'istituto della revisione, infatti, non si configura come una impugnazione tardiva che permette di dedurre in ogni tempo ciò che nel processo definitivamente concluso non è stato rilevato o non è stato dedotto, ma costituisce un mezzo straordinario di impugnazione che consente, in casi tassativi, di rimuovere gli effetti del giudicato, dando priorità alla esigenza di giustizia sostanziale rispetto a quella di certezza dei rapporti giuridici. È, dunque, il novum cognitivo a rappresentare l'elemento cardine sulla cui base è possibile tracciare la relazione che viene a stabilirsi, sul piano ordinamentale, tra la irrevocabilità del giudicato e la revisio della condanna, giacché, facendo emergere F errore insito nell'accertamento giudiziario cristallizzato nella sentenza irrevocabile, legittima e giustifica la rivisitazione del giudicato. E ciò sul ragionevole presupposto che una cognizione fondata su un materiale oggettivamente nuova prova sopravvenuta o soggettivamente prova preesistente ma sconosciuta o non apprezzata incompleto, perché depauperato di elementi alternativi di giudizio, non può, infatti, che profilarsi come ontologicamente fallace, proprio per l'esigenza che l'oggetto centrale della valutazione, vale a dire il materiale di prova comunque sedimentatosi, e sul quale si è misurato il contraddittorio, entri nel fuoco effettivo della delibazione giurisdizionale. È noto, d'altra parte, come in giurisprudenza Cass., Sez. un., 26 settembre 2001, Pisano si sia attribuito un diretto rilievo costituzionale all'istituto della revisione, osservando come, rispetto alla regola - anch'essa di rango primario - della intangibilità del giudicato, uno dei valori fondamentali cui la legge attribuisce priorità, è costituito proprio dalla necessità della eliminazione dell'errore giudiziario, dato che corrisponde alle profonde radici etiche di qualsiasi società civile il principio del favor innocentiae , da cui deriva quale logico corollario l'assunto secondo il quale non può essere invocata nessuna esigenza pratica - quali che siano le ragioni di opportunità e di utilità sociale ad essa sottostanti - per impedire la riapertura del processo, allorché sia riscontrata la presenza di specifiche situazioni ritenute dalla legge sintomatiche della probabilità di errore giudiziario e dell'ingiustizia della sentenza irrevocabile di condanna. Si è quindi evidenziato che il richiamo, quanto mai significativo, alla disposizione contenuta nell'ultimo comma dell'art. 24 della Costituzione, riflette il principio della giustizia sostanziale rispondente alla esigenza di altissimo valore etico e sociale, di assicurare, senza limiti di tempo ed anche quando la pena sia stata espiata o sia estinta, la tutela dell'innocente, nell'ambito della più generale garanzia, di espresso rilievo costituzionale, accordata ai diritti inviolabili della personalità” Corte cost., sentenza n. 28 del 1969 . La revisione, dunque, si atteggia alla stregua di istituto per vari profili costituzionalmente imposto, in linea, d'altra parte, con l'esigenza di conformare la condanna a giustizia che sta al fondo della introduzione, ad esempio, dell'art. 625-bis cod. proc. pen., della estensione della revisione anche al patteggiamento, o del rimedio straordinario introdotto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 113 del 2011 in tema di condanna conseguente a processo reputato non equo da parte della Corte Europea dei diritti dell'uomo. Non è un caso, d'altra parte, che, ai fini della revisione, non abbia alcuna rilevanza che il condannato abbia potuto dare causa - per dolo o colpa - alla sentenza da revocare infatti, la esclusione, in tale ipotesi, della riparazione dell'errore giudiziario a favore del prosciolto in sede di revisione, a norma dell'art. 643 comma 1, cod. proc. pen., rivela implicitamente come il legislatore abbia voluto comunque liberare l'operatività della revisione dalla preclusione derivante dal comportamento processuale, negligente o addirittura doloso della parte Cass., Sez. V, 28 maggio 1996, Di Fabio . Resta tuttavia il limite intrinseco a quello della revisione, rappresentato dal fatto che si tratta pur sempre di un giudizio di riesame del precedente statuto di condanna, nel quale possono ancora percepirsi le tracce del previgente modello bifasico - che, come è noto, il codice del 1930 deputava ad organi funzionalmente diversi - scandito secondo una fase rescindente ed una rescissoria. Gli elementi di novità su cui si fonda l'ipotesi di errore del giudicato di condanna, infatti, non vivono di luce propria , avulsa dal tessuto connettivo su cui si è radicata la condanna da rescindere , ma si iscrivono come un necessario supplemento di delibazione, destinato a formare corpo unico con le precedenti acquisizioni e che confluisce nell'alveo di uno scrutinio globale, il cui risultato complessivo deve essere tale - a norma dell'art. 631 cod. proc. pen. - da dimostrare che il condannato deve essere prosciolto a norma degli articoli 529, 530 e 531 del codice di rito. Vi è, dunque, un doppio scrutinio che compete al giudice della revisione da un lato, infatti, occorre una delibazione concentrata sull'apprezzamento del novum e della relativa portata dimostrativa dall'altro, quello connesso alla neutralizzazione che quel materiale è in grado di generare rispetto all'intero complesso probatorio su cui si è radicato il giudicato di condanna. D'altra parte, è del tutto evidente che se le nuove prove offerte dal condannato hanno natura speculare e contraria rispetto a quelle già acquisite e consacrate nel giudicato penale, il giudice della revisione ha il potere-dovere di saggiare, mediante comparazione, la resistenza di queste ultime rispetto alle prime, giacché, altrimenti, il giudizio di revisione si trasformerebbe indebitamente in un semplice e automatico azzeramento, per effetto delle nuove prove, di quelle a suo tempo poste a base della pronuncia di condanna Cass., Sez. IV, n. 24291 del 7 aprile 2005, rv. N. 231734 . In tale quadro di riferimento finisce quindi per assumere un risalto del tutto peculiare il doveroso preliminare vaglio di attendibilità intrinseca delle fonti dichiarative, specie nei casi in cui, a fronte del rilevante clamore suscitato dalla specifica vicenda delittuosa e dei conseguenti sviluppi di indagine e processuali, emergano a distanza di anni narrazioni nuove su aspetti e particolari, già analiticamente scandagliati nel corso del giudizio e, dunque, - è logico presupporre - conosciuti tra quanti ebbero modo di assistere a vario titolo a quella determinata vicenda. La cautela, poi, deve assumere connotati ancor più marcati nelle ipotesi, non infrequenti, in cui dichiarazioni liberatorie nei confronti del condannato provengano da chi si sia poi autoaccusato della partecipazione al medesimo reato è ciò, non solo e non tanto sul piano del rigoroso scrutinio che deve circondare la verifica della credibilità soggettiva del dichiarante - specie nei casi in cui, come nella specie, evochi a conforto del proprio dire la persona di un morto - quanto, e soprattutto, perché anche in riferimento alle dichiarazioni in utilibus opera la regola prevista dall'art. 192, comma 3, cod. proc. pen., con tutto ciò che ne consegue sul piano della portata dimostrativa di quelle dichiarazioni, specie in sede di revisione per un precedente specifico v. Cass., Sez. I, n. 15059 del 19 marzo 2004, rv. 228899 . Accanto a ciò, non può neppure trascurarsi la circostanza che il giudizio di attendibilità di un collaboratore di giustizia, già compiuto nel giudizio di cognizione, non può formare oggetto di per sé, di riesame in sede di revisione, a meno che si contesti la reale esistenza del fatto storico nel quale è stato rinvenuto il riscontro esterno alle dichiarazioni del medesimo soggetto Cass., Sez. I, n. 11261 del 4 febbraio 2009, Caridi mentre va rammentato che questa Corte ha avuto modo anche di sottolineare che, nel giudizio di revisione, non può mai costituire nuova prova la testimonianza la cui ammissione sia richiesta al fine di ottenere una nuova e diversa valutazione delle prove già apprezzate con la sentenza di condanna Cass., Sez. III, n. 19598 del 10 marzo 2011, rv. n. 250524 v., anche Cass., Sez. III, n. 49959 del 28 ottobre 2009 . Né può in alcun modo ritenersi conducente, come i difensori dei ricorrente hanno difesamente richiamato a sostegno dei motivi nuovi o aggiunti, gli approdi cui è pervenuta questa Corte nella sentenza Aquilina delle Sezioni Unite. In tale pronuncia si è infatti affermato il principio secondo il quale la chiamata in correità o in reità de relato , anche se non asseverata dalla fonte diretta, il cui esame risulti impossibile, può avere come unico riscontro, ai fini della prova della responsabilità penale dell'accusato, altra o altre chiamate di analogo tenore, purché siano rispettate le seguenti condizioni a risulti positivamente effettuata la valutazione della credibilità soggettiva di ciascun dichiarante e dell'attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della specificità, della coerenza, della costanza, della spontaneità b siano accertati i rapporti personali fra il dichiarante e la fonte diretta, per inferirne dati sintomatici della corrispondenza al vero di quanto dalla seconda confidato al primo c vi sia la convergenza delle varie chiamate, che devono riscontrarsi reciprocamente in maniera individualizzante, in relazione a circostanze rilevanti del thema probandum d vi sia l'indipendenza delle chiamate, nel senso che non devono rivelarsi frutto di eventuali intese fraudolente e sussista l'autonomia genetica delle chiamate, vale a dire la loro derivazione da fonti di informazione diverse. Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012 - dep. 14/05/2013, Aquilina e altri, Rv. 255143 . Va infatti rilevato, in proposito, che deve ritenersi inibito ai giudici della revisione di procedere ad una rivalutazione, in sé, delle prove già scrutinate dai giudici del merito, essendo il loro compito perimetrato dalla necessità di esaminare congiuntamente il novum e le pregresse acquisizioni, senza procedere - come pretenderebbero i ricorrenti - ad un riesame atomistico delle prove a suo tempo acquisite, quasi a rinnovare il precedente sindacato compiuto in punto di affidabilità e di decisività. Quand'anche il giudizio di merito a suo tempo concluso si fosse attenuto, infatti, ad un parametro di apprezzamento ritenuto non più adeguato dalla giurisprudenza successiva aspetto, questo, evocato in termini del tutto astratti dal ricorrente , il tema sarebbe insuscettibile di qualsiasi risalto agli effetti della revisione, giacché, ove così non fosse, si rievocherebbe a fondamento del rimedio straordinario nulla più che un ipotetico vizio processuale, definitivamente precluso dal giudicato. D'altra parte, se è insuscettibile di produrre effetti demolitori sul giudicato l’ overruling giurisprudenziale che incida sulla stessa norma incriminatrice in base alla quale è stata pronunciata condanna - come puntualmente ha messo in luce la Corte costituzionale nella sentenza n. 230 del 2012 - a fortiori all'identico epilogo deve pervenirsi ove la rivisitazione giurisprudenziale prenda in considerazione disposizioni di carattere esclusivamente processuale, come viene in rilievo nel caso che qui interessa. Non può per altro verso trascurarsi la circostanza comunque assorbente agli effetti che qui rilevano che, nella specie, il ricorrente non ha neppure messo in luce elementi dai quali dedurre che la valutazione compiuta dai giudici che hanno pronunciato la condanna fosse diversa o eccentrica rispetto ai principi di diritto affermato ora dalle Sezioni Unite, anche tenendo conto del fatto che le fonti alle quali i tre collaboratori chiamanti del condannato si erano riferiti non erano rappresentate dal narrato di una, ma di due persone distinte, quali erano i sopravvissuti S.F. e S.V. . Ebbene, dei principi sopra accennati i giudici della revisione hanno fatto corretta applicazione, in particolare sottoponendo ad attento vaglio i singoli apporti dichiarativi, per poi mettere in luce aporie, contraddizioni ed elementi di negativa valutazione in punto di attendibilità, del tutto coerentemente evocate e analizzate non senza iscrivere, poi, il quadro del novum evocato a fondamento della domanda di revisione all'interno di un apprezzamento complessivo rispetto alle prove già acquisite e delibate nel giudizio di condanna. A fronte di tale corretto incedere argomentativo il ricorrente si limita, pertanto, a frapporre, in definitiva, soltanto una parcellizzata ed assertiva critica, nella quale le puntuali aporie e contraddizioni evidenziate dai giudici a quibus sarebbero tutte connotate dallo scarso rilievo sul piano dimostrativo, mentre si enfatizzano per converso le circostanze di opposto segno, depauperate - tuttavia - di qualsiasi concreto apporto dialettico in punto di attendibilità e di elementi, anche logici, di conferma. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.