La «testa di legno» non risponde delle condotte dell’amministratore “di fatto”, se…

In tema di bancarotta fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione, o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita cosiddetta “testa di legno” , atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture.

Non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto. Lo ha ribadito la quinta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza numero 22846, depositata il 30 maggio 2014. La responsabilità dell’amministratore apparente.La pronuncia in esame richiama una fondamentale distinzione circa i criteri di imputazione della bancarotta fraudolenta patrimoniale, da un lato, e di quella documentale dall’altro, riconducibili alla figura dell’amministratore apparente cioè di quel soggetto in concreto privo di poteri gestori dell’impresa . In generale, occorre ricordare che l’amministratorein carica risponde penalmente dei reati commessi dall’amministratoredi fatto, dal punto di vista oggettivo, ai sensi dell’articolo 40, comma 2, c.p., per non avere impedito l’evento che aveva l'obbligo giuridico di impedire ai sensi dell’articolo 2392 c.c. Tale norma civilistica riflette infatti un obbligo di portata generalissima, attinente sia agli atti pregiudizievoli conosciuti, che devono essere impediti o dei quali devono essere neutralizzati gli effetti, sia agli atti dei quali l’amministratore può venire a conoscenza, vigilando sul generale andamento della gestione societaria e, quindi, adempiendo ai doveri primari di diligenza ed a quelli strumentali di informazione. Ne consegue che l’inerzia colpevole dell’amministratore di diritto espone questi alle conseguenze penali derivate dalla condotta fraudolenta dell’amministratore di fatto. In altri termini, è penalmente responsabile l’amministratore in carica che, violando l’obbligo di vigilare e quello di attivarsi per impedire atti pregiudizievoli per i soci, i creditori ed i terzi, abbia consentito che altri commettessero fatti di bancarotta. non può essere presunta in caso di bancarotta per distrazione. Diversamente, dal punto di vista soggettivo, affinchè l’amministratore di diritto possa essere ritenuto responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, occorre che sia raggiunta la prova che egli aveva la generica consapevolezza delle distrazioni, degli occultamenti, delle dissimulazioni e dissipazioni dei beni sociali effettuate dall’amministratoreeffettivo, sfociate in esposizioni o riconoscimenti di passività inesistenti. La sentenza in commento risulta particolarmente interessante, nella parte in cui ribadisce che tale consapevolezza non può essere semplicemente desunta dal fatto che il soggetto abbia acconsentito a ricoprire la carica di amministratore cfr. pure Cass. numero 31142/09 . Pertanto, a sommesso avviso di chi scrive, non può condividersi l’orientamento giurisprudenziale Cass. numero 7208/06 per il quale la “testa di legno”, che accetti il ruolo di amministratore esclusivamente allo scopo di fare da prestanome, possa essere ritenuta responsabile di bancarotta per distrazione sulla base della sola consapevolezza che, dalla propria condotta omissiva, possono scaturire gli eventi tipici del reato dolo generico o l'accettazione del rischio che questi si verifichino dolo eventuale . Invero, la valenza di tale principio cede ove consti che l’amministratore apparente sia rimasto estraneo alle vicende societarie, di fatto gestite da altri. Del resto, una lettura siffatta appare senz’altro maggiormente rispondente al principio di personalità della responsabilità penale articolo 27, comma 1, Cost. ed alla conseguente necessità di garantire la maggiore effettività della fattispecie penale d’impresa, con l’ulteriore e non trascurabile conseguenza di prevedere e punire il reato in capo a chi effettivamente lo ha commesso. Diverso il caso della bancarotta fraudolenta documentale. La giurisprudenza della Suprema Corte è altrettanto ferma nel prevedere la responsabilità penale dell’amministratore di diritto per il reato di bancarotta documentale, atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le scritture contabili in frode ai creditori. Invero, a parere di chi scrive, sul punto appare doverosa una precisazione. L’integrazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale, di cui all’articolo 216, comma 1, numero 2, l. fall., richiede il dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, o di recare pregiudizi ai creditori. Al fine di ravvisare la responsabilità dell'amministratore di diritto, pertanto, è necessaria la consapevolezza della sottrazione, distruzione o falsificazione delle scritture contabili, ovvero della loro tenuta in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari, e la sua mancata attivazione al fine di impedire il compimento delle relative condotte. Ne consegue che, ove non sia raggiunta la piena prova di tale consapevolezza, l’amministratore di diritto potrebbe al più considerarsi responsabile del solo reato previsto dall'articolo 217, comma 2, l. fall., sotto il profilo della bancarotta documentale di tipo semplice , concretizzata dalla mera omissione della tenuta delle scritture contabili.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 marzo - 30 maggio 2014, numero 22846 Presidente Lombradi – Relatore Vessichelli Fatto e diritto Proporre ricorso per cassazione P.G. , avverso la sentenza della Corte d'appello di Firenze, in data 22 giugno 2012, con la quale è stata confermata quella di primo grado, emessa il 18 giugno 2010. Questa era stata di condanna in ordine al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, relativa al fallimento di Euro centro moto 2002 Srl, dichiarato il 31 gennaio 2003, essendo stato il P. amministratore legale della società. La sentenza di appello ha sviluppato il tema, sollevato dalla difesa, dell'essere l'imputato un semplice prestanome, e lo ha ritenuto infondato. Deduce l'erronea applicazione degli articoli 216 legge fallimentare nonché 40 e 43 del codice penale. Ritiene il difensore che la motivazione esibita dalla Corte d'appello consista in una tralatizia valutazione delle circostanze di fatto, addirittura in distonia con le conclusioni del Pubblico ministero che, all'esito del giudizio di primo grado, aveva chiesto, per il ricorrente, la assoluzione per carenza dell'elemento psicologico. Torna, il difensore, sulle emergenze di causa ritenute capaci di dimostrare che l'imputato non sapesse nemmeno ove fosse ubicato il negozio e tanto meno tenesse le scritture contabili. Ed anche il teste G. lo aveva dipinto come un ingenuo. Inoltre, il difensore sostiene che il ragionamento del giudice dell'appello, in ordine alla sussistenza del reato quantomeno in relazione al dolo eventuale, risulti del tutto eccentrica rispetto ai fatti contestati ed addebitati. Questi, infatti, consistono nella dispersione di mercé e occultamento di scritture contabili e, in relazione a tali eventi, non rileva il fatto, inutilmente valorizzato dalla Corte d'appello, dell'avere, l'imputato,firmato un blocchetto di assegni in bianco poi consegnato al coimputato B. . Anche la giurisprudenza di legittimità sentenza numero 17708 del 2012 afferma che l'amministratore legale, per rispondere di condotte distrattive dell'amministratore di fatto, deve poter essere raggiunto da prove sulla generica consapevolezza di tali finalità distrattive. In presenza di un'attività dell'amministratore di fatto capace di coprire l'intera gamma delle attività riconducibili all'incarico formale, l'attribuzione della responsabilità all'amministratore di diritto presenta il connotato della responsabilità per fatto altrui, in contrasto con l'articolo 27 della Costituzione. Il ricorso è fondato, conformemente a quanto rilevato anche dal Procuratore Generale di udienza. La sentenza impugnata muove dal presupposto che l'imputato non potesse ritenersi un mero prestanome , nella gestione della società, di fatto svolta dal coimputato B. . Ha tratto tale conclusione dal presupposto che il ricorrente, oltre ad avere accettato la carica davanti ad un notaio, aveva firmato documenti ed un blocchetto di assegni in bianco che poi aveva consegnato al B. . La Corte territoriale ha ritenuto di fare applicazione del principio espresso nella sentenza numero 7/2/08 del 2006, che, dal Massimario della Cassazione è stato così sintetizzato in tema di bancarotta fraudolenta, l'amministratore di diritto risponde unitamente all'amministratore di fatto per non avere impedito l'evento che aveva l'obbligo giuridico di impedire a tal fine, è necessario, sotto il profilo soggettivo, la generica consapevolezza, da parte del primo, che l'amministratore effettivo distrae, occulta, dissimula, distrugge o dissipa i beni sociali. Tale consapevolezza, se da un lato non deve investire i singoli episodi nei quali l'azione dell'amministratore di fatto si è estrinsecata, dall'altro, non può essere desunta dal semplice fatto che il soggetto abbia acconsentito a ricoprire forma/mente la carica di amministratore tuttavia, allorché, come nella specie, si tratti di soggetto che accetti il ruolo di amministratore esclusivamente allo scopo di fare da prestanome, la sola consapevolezza che dalla propria condotta omissiva possono scaturire gli eventi tipici del reato dolo generico o l'accettazione del rischio che questi si verifichino dolo eventuale possono risultare sufficienti per l'affermazione della responsabilità penale . Ciò posto, è di tutta evidenza la manifesta illogicità della motivazione che, pertanto, va censurata con annullamento. Ed invero, proprio il precedente giurisprudenziale evocato dal giudice dell'appello evidenzia, come si ricava dalla relativa massima, due fondamentali conclusioni da un lato, quella della indispensabilità della prova, ai fini del concorso personale dell'amministratore solo formale con l'amministratore di fatto, sia pure ai sensi dell'articolo 40 capoverso del codice penale, riguardo la sua – almeno - generica consapevolezza che l'amministratore effettivo distrae, occulta, dissimula, distrugge o dissipa i beni sociali dall'altro, quella della possibilità di configurare il reato, a carico del prestanome, anche soltanto a titolo di dolo eventuale, nel solo caso, tuttavia, in cui l'accettazione del ruolo di amministratore sia avvenuta esclusivamente allo scopo di fare da prestanome e quindi con un atteggiamento psicologico particolarmente indiziante. Ebbene, la sentenza impugnata effettua una non corretta utilizzazione del precedente giurisprudenziale e, conseguentemente, dei due diversi principi in esso racchiusi, poiché afferma, nella prima parte della motivazione, che l'imputato - come anticipato - non può essere considerato un semplice prestanome avendo accettato di sottoscrivere anche copiosa documentazione , per poi, nella parte successiva, evocare la giurisprudenza sulla responsabilità del prestanome. Inoltre, richiamando la giurisprudenza sopra menzionata, i giudici a quibus non hanno sciolto il dubbio a proposito della scelta dell'uno o dell'altro principio, non sovrapponibili. Infatti, evocando il dolo eventuale, i giudici sembrano avere optato - comunque in manifesto contrasto con le premesse - per la configurazione della responsabilità di P. , in relazione all'ipotesi del soggetto che accetti il ruolo di amministratore esclusivamente allo scopo di fare da prestanome. Ove invece - ciò che non può escludersi - la Corte avesse inteso, con la citazione del precedente giurisprudenziale, fare riferimento al primo principio giuridico in esso espresso e cioè ad una presunta prova della generica consapevolezza, da parte dell'amministratore di diritto, di fatti distrattivi posti in essere dall'amministratore di fatto, risulterebbe macroscopicamente evidente il vizio logico del ragionamento poi sviluppato dalla stessa Corte di merito, al riguardo. Ed infatti, sembrerebbe che tale generica consapevolezza sia stata imputata, al ricorrente, in riferimento al fatto di avere sottoscritto e consegnato all'amministratore di fatto, degli assegni in bianco una circostanza, tuttavia, come esattamente sottolineato dal ricorrente, incapace di sostenere la inferenza logica per cui, da tale elemento, dovrebbe trarsi la prova della consapevolezza in capo al P. , altresì, che il B. stesse svendendo o comunque avrebbe svenduto, la mercé esistente nel magazzino. Il giudice del rinvio dovrà ripetere il percorso argomentativo, in primo luogo chiarendo esattamente quale sia la posizione soggettiva del ricorrente se, cioè, quella di un mero prestanome ovvero quella di un amministratore legale effettivo, sia pure affiancato dall'amministratore di fatto. Nel secondo caso, dovrà motivare adeguatamente, sul piano oggettivo e soggettivo, in ordine al concorso di persone contestato nei motivi d'appello. Nel primo caso, si atterrà al principio secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell'amministrazione dell'impresa fallita cosiddetto 'testa di legnò , atteso il diretto e personale obbligo dell'amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con riguardo all'ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato recepimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto. Quanto alla motivazione sul dolo della addebitata bancarotta documentale, sempre nella ipotesi in cui il giudice intenda sostenere la figura dell’amministratore solo formale, dovrà farsi applicazione anche dell’ancor più puntuale principio secondo cui la responsabilità dell’amministratore, che risulti essere stato soltanto un prestanome, nasce dalla violazione dei doveri di vigilanza e di controllo che derivano dalla accettazione della carica, cui però va aggiunta la dimostrazione on solo attratta e presunta ma effettiva e concreta della consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi con dolo specifico, di procurare un ingiusto profitto a taluno Sez. 5, Sentenza numero 44293 del 17/11/2005 Ud. dep. 05/12/2005 Rv. 232816 Conformi numero 6208 del 1997 Rv. 208804, numero 7583 del 1999 Rv. 213647 . P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze per nuovo esame.