A seguito del verdetto della Corte costituzionale che ha bocciato una parte del T.U. e fatto rivivere la distinzione tra droghe leggere e pesanti, va rivista la pena a carico di chi coltiva o spaccia marijuana.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 15152 del 2 aprile 2014. Il caso. La Corte d’Appello di Catanzaro confermava la condanna di tre imputati per il delitto di concorso il illecita coltivazione di 213 piante di canapa indiana, idonee alla produzione di marijuana per migliaia di singole dosi droganti. I giudici accertavano il carattere non rudimentale della piantagione e respingevano l’assunto della coltivazione per uso personale della sostanza drogante. Quanto alle pene inflitte agli imputati, la Corte territoriale le riteneva eque e commisurate all’offensività del reato. Gli imputati propongono ricorso in Cassazione. Riferimento obbligato alla pronuncia della Corte Costituzionale. La Corte di Cassazione, ritenendo il ricorso fondato, annulla le condanne inflitte agli imputati, richiamando la recente sentenza con cui il Giudice delle Leggi ha dichiarato illegittimo l’articolo 4-bis, d.l. numero 272/2005 convertito dalla l. numero 49/2006, che ha di fatto stabilito l’equiparazione delle pene previste per i diversi reati, indipendentemente dalla tipologia delle sostanze. Completamente diverso il regime previgente, fondato su una distinzione sulla base della natura degli stupefacenti che conduceva a una diversa collocazione all’interno di quattro tabelle che il Governo, con il d.l. 36/2014, ha ripristinato e aggiornato. Obbligata una rivisitazione del trattamento sanzionatorio. Quanto al trattamento sanzionatorio, in relazione alla droghe pesanti, ripristinare la vecchia disciplina significa reintrodurre una pena più grave di modo che è applicato correttamente il più mite regime punitivo previsto dal testo oggi abrogato ai reati commessi quando quest’ultimo era in vigore. Specularmente diverso il discorso previsto per le droghe leggere per un piccolo quantitativo di sostanza che, in base alla vecchia Fini-Giovanardi, comportava una sanzione elevata, secondo la legge attuale occorre un ripensamento. Parametri costituzionalmente illegittimi. Ora, nel caso in questione, gli Ermellini non possono non prendere atto che le condanne inflitte poggiano su parametri normativi ormai costituzionalmente illegittimi e intervenire direttamente anche nel caso in cui la sentenza della Consulta sia stata pubblicata successivamente alla presentazione dell’impugnazione. Necessario, quindi, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 20 marzo – 2 aprile 2014, numero 15152 Presidente Ippolito – Relatore Paoloni Motivi della decisione 1. Con il ministero dei rispettivi difensori i tre imputati indicati in epigrafe impugnano per cassazione la sentenza in data 20.3.2013 della Corte di Appello di Catanzaro, che ha confermato la decisione, resa all'esito di giudizio abbreviato, con cui il G.I.P. del Tribunale di Crotone li ha dichiarato colpevoli del delitto di concorso in illecita coltivazione di 213 piante di canapa indiana di altezza variabile da 70 a 120 cm. idonee alla produzione, per l'avanzato stato di infiorescenza e maturazione rilevato dal consulente chimico del p.m., di sostanza stupefacente del tipo marijuana per migliaia di singole dosi droganti l'indagine chimica esperita su due piante prelevate a campione ha attestato la presenza di principio attivo - THC corrispondente a 121 dosi medie . 1.1. Fatto criminoso accertato il 15.5.2012 con contestuale arresto dei prevenuti ad opera della p.g., che nell'occasione ha accertato - come segnala la sentenza di primo grado - l'ordinata conduzione della piantagione abusiva e altresì l'imminente messa a dimora di ulteriori 21 piante di cannabis indica recate sul posto dagli imputati, ai quali sono state inflitte le pene, concesse a tutti le attenuanti generiche stimate equivalenti alla recidiva per M. e Mi. di quattro anni e sei mesi di reclusione ed Euro 30.000 di multa per M. di quattro anni di reclusione ed Euro 24.000 di multa per Mi. di tre anni di reclusione ed Euro 18.000 di multa per Ma. . 1.2. In particolare e tra l'altro la Corte di Appello ha disatteso la tesi difensiva degli imputati incentrata sul preteso carattere rudimentale della piantagione piante allocate lungo l'alveo di un fiume sicché era semplice e agevole procurarsi l'acqua per innaffiare le piante rigogliose e curate particolare cura mostrata nel tenere la coltivazione zona prescelta ottimale e lo speculare assunto di una pretesa coltivazione per uso personale della sostanza drogante ricavabile dalle piante. Sostanza che, alla luce degli esami chimici svolti con corretta metodologia tecnica, esclude - per l'elevato numero di dosi fornite dalla piantagione - la riconoscibilità dell'attenuante speciale di cui all'articolo 73 co. 5 L.S. oggi divenuta autonoma ipotesi di reato a seguito della novella normativa di cui al D.L. 146/2013 convertito in L. 21.2.2014 numero 10 . Ciò tanto più quando si consideri che per la punibilità della coltivazione abusiva non rileva, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, il grado di maturazione raggiunto dalle piante di cannabis, ma l'idoneità anche solo potenziale delle stesse già con la posa dei semi a dar luogo ad una germinazione con capacità stupefacente la sentenza cita la decisione Sez. 4, 8.10.2008 numero 44287, Taormina, rv. 241991 . Quanto alle pene inflitte agli imputati, la Corte territoriale ha ritenuto le stesse eque e commisurate alla offensività del contestato reato, puntualizzando che l'estensione della piantagione, gli esiti delle indagini chimiche e la cospicua quantità di dosi droganti ricavabili - in uno alla personalità degli imputati fatta palese per M. e Mi. dalla recidiva anche specifica - non consentono di rimodulare le pene in senso più favorevole agli imputati pene calcolate - per altro - muovendo dal minimo edittale per Mi. e Ma. , negato a M. per la maggiore gravità dei suoi trascorsi minimo edittale pari a sei anni di reclusione, ai sensi dell'articolo 73 co. 1 L.S. nel testo modificato con L. 21.2.2006 numero 49, oggi caducato per effetto della incostituzionalità della disposizione dichiarata con la sentenza numero 32/2014 della Consulta . 2. Con i ricorsi dei tre imputati si formulano le censure di seguito sintetizzate. 2.1. Nell'interesse di M.D. il difensore denuncia violazioni di legge e difetto e illogicità della motivazione sotto più profili. 2.1.1. La coltivazione di piante stupefacenti integra un reato di pericolo presunto che richiede, nel rispetto del principio di offensività, l'accertamento della pericolosità reale della condotta. L'assenza di una specifica indagine sulla natura e sul sesso delle piante coltivate dagli imputati solo la pianta femmina produce frutti e semi contenenti il principio stupefacente espresso in THC , atteso che il consulente chimico ha analizzato solo due piante in base a una non corretta selezione dei campioni , impedisce un serio calcolo del principio attivo estraibile dalle piante. 2.1.2. L'evenienza suffraga la ragionevolezza della tesi, sbrigativamente respinta dalla Corte di Appello, di una coltivazione per uso personale o di gruppo , ricadente pur sempre nell'ampio genus della detenzione di sostanza stupefacente. Con la conseguenza che, ove si accerti la destinazione esclusiva del prodotto all'uso personale dell'imputato, la condotta da questi posta in essere dovrebbe considerarsi depenalizzata siccome sussumibile nella previsione di cui all'articolo 75 L.S. . 2.1.3. In via subordinata appare ingiustificato il diniego della attenuante speciale della collaborazione articolo 73 co. 7 L.S. , poiché i giudici di secondo grado non hanno apprezzato la spontaneità e la particolare efficacia dell'apporto conoscitivo del M. . 2.1.4. Del pari non è sorretto da adeguata motivazione il diniego del giudizio di prevalenza sulla contestata recidiva delle attenuanti generiche pur concesse al ricorrente, di cui la Corte territoriale non ha valutato la personalità, la vita lavorativa anteatta, la condizione sociale e familiare. 2.1.5. Con atto denominato motivi aggiunti , depositato in cancelleria il 5.3. 2014, il difensore del M. ha invocato l'applicazione della recente sentenza numero 32/2014, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionali le disposizioni della L. 49/2006 modificative della disciplina penale degli stupefacenti, così reintroducendo il previgente regime precettivo e sanzionatorio, imperniato sulla radicale differenza tra droghe c.d. pesanti e droghe c.d. leggere e su un connesso diverso regime punitivo, assai più mite per le sostanze del secondo tipo rispetto a quello stabilito dalla normativa divenuta oggi incostituzionale. Sicché al M. risulta applicata una pena, assunta a base del calcolo della sanzione, superiore al massimo della pena prevista dalla di nuovo vigente norma incriminatrice applicabile alle droghe leggere articolo 73 co. 4 L.S. . 2.2. Con unico atto d'impugnazione il difensore di Mi.Vi. e Ma.Sa. denuncia erronea applicazione degli articolo 192 co. 1 c.p.p. e 73 co. 5 L.S 2.2.1. Con gli stessi argomenti enunciati nel ricorso del M. si osserva che le piante in sequestro sono state distrutte dopo la campionatura, avvenuta senza distinzione tra piante di sesso femminile le sole rilevanti ai fini della produzione di sostanza stupefacente e di sesso maschile. Il dato tossicologico emerso dai campioni esaminati è stato così impropriamente moltiplicato per il globale numero di piante coltivate e di conseguenza la totalità delle dosi droganti estraibili dalla piantagione risulta in radice sminuita. Ne discende che l'ipotizzato insieme delle dosi droganti non può considerarsi idoneo ad escludere la configurabilità della attenuata o meno grave ipotesi prevista dall'ari 73 co. 5 L.S 2.2.2. Anche nell'interesse del Mi. e del Ma. è stata presentata una memoria difensiva, denominata motivi nuovi depositata il 28.2.2014 , con cui - alla luce degli effetti abrogativi indotti dalla decisione costituzionale numero 32/2014 - si sollecita l'applicazione dell'articolo 73 co. 4 L.S. nel testo anteriore alla riforma operata dalla legge 49/2006 dichiarata costituzionalmente illegittima. Tale anteriore e oggi di nuovo vigente disposizione prevede un diverso regime punitivo per i fatti reato concernenti le droghe leggere, sanzionati con pene largamente inferiori a quelle applicate ai due ricorrenti. 3. Le censure delineate dai tre ricorrenti e relative al merito fattuale e giuridico della regiudicanda, cioè attinenti alla sussistenza del fatto reato loro ascritto e alla sua qualificazione giuridica sono infondate i tre imputati non contestano la concorsuale riferibilità storica del fatto alle loro persone . 3.1. I rilievi, comuni ai tre ricorrenti, in punto di omessa verifica della concreta offensività della condotta di illecita coltivazione delle 213 piante di canapa indiana sequestrate dalla p.g. per asserito mancato accertamento del totale principio attivo stupefacente presente nelle piante non hanno pregio. Premesso, sul piano storico-processuale, che - per quanto si evince dalle due conformi decisioni di merito - nessuno dei tre imputati ha sostenuto di fare uso di sostanze stupefacenti e in particolare di marijuana, occorre ribadire che la sentenza numero 360/1995 della Corte Costituzionale manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli articolo 73 e 75 L.S. nella parte in cui prevedono l'illiceità penale della coltivazione di piante da cui siano estraibili sostanze stupefacenti univocamente destinate all'uso personale degli agenti non ha configurato come non punibile la coltivazione di piante capaci di produrre sostanze stupefacenti destinate al consumo personale dei coltivatori , ma ha unicamente posto l'accento sulla pur sempre necessaria verifica, alla stregua di un giudizio di merito, della offensività specifica della singola condotta in concreto accertata e della sua effettiva idoneità a vulnerare il bene giuridico protetto contrasto al consumo di droghe , in difetto della quale la condotta diviene priva della tipicità e non più riconducibile alla norma incriminatrice. Tale decisione del giudice delle leggi è stata tenuta ben presente dalle Sezioni Unite di questa S.C. S.U., 24.4.2008 numero 28605, Di Salvia, rv. 239920 che hanno definitivamente chiarito come integri un contegno penalmente apprezzabile ogni attività non autorizzata di coltivazione di piante da cui siano estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia attuata in funzione di un uso soltanto personale del prodotto della coltivazione così anche, ex plurimis Sez. 6,13.10.2009 numero 49528, P.M. in proc. Lanzo, rv. 245648 Sez. 6,9.12.2009 numero 49523, Cammarota, rv. 245661 . Chiarito che, come affermano le Sezioni Unite, qualsiasi tipo di coltivazione è caratterizzato da un dato essenziale e distintivo rispetto alla fattispecie di detenzione di sostanze droganti, che è quello di contribuire ad accrescere in qualunque entità, pur se mirata a soddisfare esigenze di natura personale, la quantità di sostanza stupefacente esistente la coltivazione presenta la peculiarità di dar luogo ad un processo produttivo astrattamente capace di autoalintentarsi attraverso la riproduzione dei vegetali , l'attenzione nel caso dei ricorrenti si sposta sulla verifica di offensività della condotta criminosa, proprio alla luce del dictum della Sezioni Unite, sintonico con la ricordata decisione numero 360/1995 della Corte Costituzionale, sì che l’offensività non ricorre soltanto se la sostanza ricavabile dalla coltivazione non è idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile cfr., ex multis Sez. 6, 10.12.2012 numero 12616/13, Floriano, rv. 254891 Sez. 6, 2.5.2013 numero 22110, P.M. in proc. Capuano, rv. 255732 . Eventualità, questa, da escludersi a fronte della accertata capacità produttiva di droga marijuana delle piante sequestrate ai tre ricorrenti e che rende inconferenti i rilievi in tema di correttezza dell'esperita indagine chimico-tossicologica. In proposito è opportuno puntualizzare, come precisato da recente decisione di questa S.C., che - in relazione alla specificità del fatto materiale di coltivazione - non può aversi riguardo allo stadio iniziale, in corso, avanzato, esaurito del processo produttivo accertato ciò che equivarrebbe a dare ingresso ad un improprio criterio di punibilità differenziata , poiché l'offensività della condotta si radica nella sola idoneità della coltivazione a produrre la sostanza per il consumo. Con l'ovvio effetto che non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza dell'accertamento, ma la conformità delle piante al tipo botanico previsto e la loro attitudine anche per modalità e cura di coltivazione a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente utilizzabile per il consumo Sez. 6,15.3.2013 numero 22459, Cangemi, rv. 255732 . 3.2. Ora non è dubitabile che nella vicenda oggetto dei tre ricorsi la ridetta idoneità produttiva di sostanza drogante è stata concretamente verificata nel giudizio di merito in base alle analisi effettuate durante le indagini preliminari. Sicché, a fronte della conclamata presenza del principio attivo nelle infiorescenze delle piante in sequestro, illogiche ed erronee vanno considerate le critiche dei ricorrenti sulle modalità di campionatura delle piante scoperte e sequestrate dalla p.g. Come già precisato da questa S.C., infatti, in caso di rinvenimento di una piantagione destinata alla produzione di stupefacenti, la polizia giudiziaria ben può limitare il sequestro ad alcune piante scelte a campione, procedendo contestualmente alla distruzione delle altre, e nella selezione delle piante da sottoporre al vincolo non deve adottare le modalità previste dall'articolo 87 L.S., norma che regola la campionatura dello stupefacente già oggetto di cautela reale e non l'estrazione preliminare al sequestro e alla distruzione delle piante Sez. 4,21.1.2009 numero 16097, Varone, rv. 243635 . 3.3. Indeducibili in questa sede e in ogni caso infondate sono le subordinate doglianze espresse sul trattamento punitivo circostanziale applicato al M. . La sentenza impugnata ha linearmente motivato la mancata concessione al prevenuto dell'attenuante speciale della collaborazione articolo 73 co. 7 L.S. , sottolineando la modestia e sostanziale irrilevanza della semplice informazione sul nome del coimputato Mi. inizialmente datosi alla fuga dinanzi all'arrivo della p.g., che per altro ne aveva ben constatato le caratteristiche somatiche e sarebbe agevolmente pervenuta alla sua identificazione l'indicazione del nome del coimputato, più che da un intento collaborativo, appare dettata dal vano tentativo di alleggerire la sua posizione . Ugualmente incensurabile in questa sede appare il giudizio di bilanciamento delle attenuanti generiche in termini di equivalenza con la recidiva qualificata contestata al M. , che i giudici di appello hanno giustificato con la significatività dei precedenti penali anche specifici annoverati dal prevenuto. 4. L'infondatezza degli originari motivi di impugnazione dei tre ricorsi non esime dall'affrontare, quanto al profilo del regime sanzionatorio applicabile al reato di illecita coltivazione di piante produttive di sostanza stupefacente loro ascritto, la problematica suscitata dalla sentenza numero 32/2014 del 12.2.2014 G.U. 5.3.2014 con cui la Consulta ha dichiarato incostituzionali le norme della L. 49/2006 modificative della disciplina penale degli stupefacenti, ripristinando il previgente regime precettivo e sanzionatorio. 4.1. Più precisamente la sentenza costituzionale ha dichiarato illegittimo l'articolo 4 bis del D.L. 272/2005, convertito con modificazioni dalla L. 49/2006, che aveva modificato l'articolo 73 L.S., decretando l'equiparazione delle pene previste per i fatti reato concernenti droghe c.d. pesanti e droghe c.d. leggere, così generalmente definite in ragione del loro inserimento nelle preesistenti quattro tabelle classificatorie di cui agli articolo 13 e 14 L.S., soppresse con la citata legge 49/2006 e oggi, dopo la sentenza costituzionale, ripristinate e rinnovate dal Governo con D.L. numero 36/2014 . L'intervento demolitorio del giudice delle leggi ha reintrodotto l'anteriore disciplina penale degli stupefacenti, imperniata sulla centrale distinzione qualitativa e - per l'effetto - punitiva indotta dalla natura pesante o leggera di stupefacenti e sostanze psicotrope oggetto dei vari reati. Laddove per le droghe pesanti l'anteriore disciplina, tornata in vigore con la sentenza della Corte Costituzionale, prevede una pena più grave minimo edittale detentivo, fermo rimanendo il massimo edittale, superiore a quello previsto dalla normativa abrogata otto anni in luogo di sei , di guisa che - in applicazione del principio del favor rei articolo 2 co. 4 c.p. - deve ritenersi correttamente applicato il più mite regime sanzionatorio stabilito dall'articolo 73 co. 1 L.S. nel testo oggi abrogato ai reati commessi nella vigenza di quest'ultima disposizione, per le droghe leggere si verifica una situazione specularmente opposta. Il preesistente comma 4 dell'articolo 73 L.S. riattivato dalla sentenza costituzionale prevede una pena detentiva da due e sei anni di reclusione incomparabilmente meno onerosa di quella introdotta con l'omologato regime penale di droghe pesanti e leggere dall'articolo 73 L.S. riformato dalla illegittima L. 49/2006 da sei a venti anni di reclusione . 4.2. Nel caso degli attuali tre ricorrenti, responsabili di un reato riguardante una droga leggera quale la marijuana, si delinea, quindi, la questione del regime punitivo applicabile, che in linea teorica non può che essere quello assai più favorevole previsto dall'articolo 73 co. 4 L.S. oggi tornato in vigore. Questione incentrata sulla verifica della legittimità del trattamento sanzionatorio riservato ai tre imputati e che - del resto - è evocata nei loro stessi ricorsi, nelle parti in cui si censura anche l'eccessività delle sanzioni loro inflitte vuoi per omesso riconoscimento della ipotesi di cui all'articolo 73 co. 5 L.S. vuoi per supposta incongruenza del bilanciamento delle circostanze ex articolo 69 c.p. . Questione vieppiù messa a fuoco dai ricorrenti con le memorie deducenti motivi nuovi o aggiunti con cui si invoca l'applicazione della sentenza costituzionale. Motivi che sul piano processuale non possono qualificarsi tecnicamente nuovi o aggiunti ai sensi degli arti 585 co. 4 e 611 c.p.p., in quanto privi di immediata inerenza ai contenuti delle doglianze espresse con le impugnazioni principali, con cui non presentano né avrebbero potuto presentare un diretto nesso funzionale, la decisione della Consulta essendo sopravvenuta ai ricorsi sopravvenienza che - tra l'altro - avrebbe impedito di dedurre una specifica censura in appello ai sensi dell'articolo 609 - co. 2, seconda parte - c.p.p. . Al riguardo è sufficiente ribadire, come già affermato da questa S.C. Sez. 6, 19.7.2012 numero 37102, Checcucci, rv. 253471 , che la pubblicazione in epoca successiva alla presentazione del ricorso per cassazione di una sentenza costituzionale di accoglimento investe il giudice di legittimità che non può ignorare l'intervenuta incostituzionalità della disciplina in base alla quale il giudice di merito ha stabilito la pena della eventuale applicazione della pena più favorevole, purché i motivi originari di ricorso abbiano demandato alla Corte, in forma diretta o non, un controllo della motivazione in tema di definizione della pena, come è appunto avvenuto con i tre odierni ricorsi. 4.3. Alla luce delle indicate premesse è agevole constatare che nella vicenda dei tre ricorrenti le pene loro inflitte sono state determinate dai giudici di merito in base a parametri normativi pena edittale detentiva divenuti oggi costituzionalmente illegittimi. Evenienza che rende necessaria una rivisitazione del trattamento sanzionatorio, cui dovrà procedere il giudice di merito Corte di Appello , previo annullamento con rinvio in parte qua, in questa sede, dell'impugnata decisione di appello. Annullamento che mantiene ferme le statuizioni sulla responsabilità penale dei tre ricorrenti e sulla qualificazione giuridica del fatto reato loro ascritto articolo 73 co. 1 L.S. , sulle quali con la presente sentenza di legittimità interviene il giudicato sostanziale. 4.3.1. Gli esiti valutativi in termini di illegalità degli applicati parametri sanzionatori sono evidenti per la posizione di M.D. , per il quale la pena base del reato su cui si è computata la diminuente per il rito abbreviato è stata individuata in sei anni e nove mesi di reclusione ed in Euro 45.000 di multa. Cioè in misura, per la pena detentiva, ben superiore al massimo edittale della pena prevista dal di nuovo vigente articolo 73 co. 4 L.S. nel testo precedente la modifica della L. 49/2006. Tale disposizione registra una corrispondente inferiore misura edittale anche per la pena pecuniaria da 5.164 a 77.468 Euro, rispetto all'abrogata previsione da 26.000 a 260.00 Euro dettata dall'abrogato articolo 73 co. 1 L.S. , sebbene - nel caso del M. - non si delinei una questione di specifica illegalità della sanzione pecuniaria, essendosene fissata l'entità anche della pena base in una misura ricadente nella cornice edittale comune alle due disposizioni diacronicamente susseguitesi e di cui la sentenza della Corte Costituzionale ha invertito, per dir così, la sequenza successoria. 4.3.2. Analoghe conclusioni, in chiave di illegittimità dei canoni sanzionatori applicati per le pene detentive loro inflitte, si configurano anche per le posizioni degli imputati Mi.Vi. e Ma.Sa. , con una precisazione – tuttavia - di non secondaria importanza. Le pene detentive ad entrambi inflitte, anche con riguardo alle pene basi sei anni di reclusione sulle quali sono state effettuate le riduzioni ex articolo 442 c.p.p. e per il solo Ma. ex articolo 62 bis c.p., non possono di per sé definirsi formalmente e sostanzialmente illegittime, oggi come al momento della pronuncia della sentenza di appello, perché sono pienamente compatibili con la scala sanzionatoria delle due norme incriminatrici succedutesi per effetto della sentenza costituzionale numero 32/2014. La forbice edittale modulata dal nuovo regime punitivo, alla stregua del previgente, abrogato e oggi di nuovo vigente articolo 73 co. 4 L.S. non impone al giudice di appello, dopo una sentenza di condanna di primo grado per fatti relativi a droghe leggere avvenuti nella vigenza della L. 49/2006, un'automatica nuova e diversa id est inferiore individuazione della pena già inflitta, né a ciò lo obbliga l'eventuale annullamento con rinvio in punto di pena di questa S.C., quando - nel rispetto dei criteri normativi articolo 132,133 c.p. connotanti il discrezionale potere del giudice di merito di definire una pena appropriata al concreto fatto giudicato - la pena, già determinata secondo l'anteriore norma incriminatrice e ricadente nella tassonomia punitiva c.d. forbice edittale comune anche a quella nuova in difetto, s'intende, di indici eccedenti i nuovi diversi limiti edittali ciò che altrimenti renderebbe la pena irrogata senz'altro contra ius, come per il ricorrente M. sia ritenuta dal giudice di appello, con il supporto di logica e non apparente motivazione, conforme e proporzionata alla concreta gravità della condotta criminosa e al suo effettivo immutato disvalore sociale cfr. Sez. 2 11.2.2010 numero 18159, Ceccarelli, rv. 247460 Sez. 6, 9.4.2010 numero 32673, Tirone Chiaramonte, rv. 247998 . La qual cosa esclude che la conferma della pena inflitta dal primo giudice di merito vigendo l'abrogata e più pesante disciplina sanzionatoria possa dar vita o abbia dato vita a un indebito aggravamento della pena virtualmente lesivo del divieto di reformatio in peius ex articolo 597 co. 3 c.p.p. v. Sez. 6,11.10.2006 numero 37887 del 11/10/2006, Druetto, rv. 235588 Sez. 6,9.4.2009 numero 26605, Coramà, rv. 244464 . Ciò ovviamente vale nei casi in cui, con riguardo ai reati in materia di droghe leggere, il primo giudice di merito o lo stesso giudice di appello anche investito da rinvio quoad poenam ex articolo 627 c.p.p. non abbiano ritenuto di definire lo specifico grado della cornice edittale prevista dalle fattispecie di cui all'articolo 73 co. 1 L.S. ovvero di cui all'articolo 73 co. 5 L.S. nei casi di riconosciuta lieve entità di reati commessi tra il 28.2.2006 entrata in vigore della L. 49/2006 e il 23.12.2013 vigenza del D.L. 146/2013-L.10/2014 , nei rispettivi testi precedenti la sentenza costituzionale numero 32/2014. Nelle diverse ipotesi in cui, invece, i giudici di merito abbiano con espressa motivazione ancorato la pena base dei reati alle misure equivalenti ai minimi edittali delle caducate fattispecie sei anni di reclusione per l'articolo 73 co. 1 L.S., un anno di reclusione per l'articolo 73 co. 5 L.S., nei testi ora non più vigenti è evidente che le pene così inflitte non possono più valutarsi assistite da legittimità. In simili casi, infatti, non può che trovare applicazione la più favorevole disciplina previgente e oggi nuovamente vigente risultante dalla descritta dinamica successoria delle norme incriminatrici articolo 73 co. 4 L.S. pena minima due anni di reclusione articolo 73 co. 5 L.S. pena minima quattro mesi di reclusione . È chiaro che in tali situazioni e soltanto in esse il giudice di appello, quale giudice di merito di secondo grado o quale giudice di rinvio, è vincolato a meno di convalidare un improprio incremento dell'afflittività sostanziale della sanzione alla rimodulazione della pena, rendendola conforme ai nuovi più favorevoli minimi edittali detentivi e altresì pecuniari se anch'essi definiti nel minimo edittale . Questa appena descritta è la situazione verificatasi per i ricorrenti Ma. e Mi. , per i quali le due conformi sentenze di merito hanno esplicitamente chiarito come detto in precedenza di voler assumere a base del calcolo sanzionatorio una pena fedelmente corrispondente alla misura detentiva minima dell'editto allora vigente, pari cioè a sei ani di reclusione la misura base delle pene pecuniarie inflitte ai due imputati è stata individuata in termini compatibili con la tassonomia punitiva comune alle due serie di sanzioni . Anche per tali due imputati diviene, allora, necessaria una rivisitazione correttiva del trattamento punitivo in conformità al più favorevole regime dettato dall'articolo 73 co. 4 nel testo in vigore prima della L. 49/2006. Ciò sia per le pene detentive, sia per le pene pecuniarie loro inflitte. Rivisitazione cui non procede questo stesso giudice di legittimità articolo 620, lett. 1, c.p.p. , avuto riguardo alla indeterminata percentuale delle sanzioni pecuniarie individuate dai giudici di merito per il Ma. e il Mi. e alla coeva necessità di rinviare comunque gli atti al giudice a quo per la definizione della pena, detentiva e pecuniaria, da applicarsi al M. . 4.4. La sentenza impugnata deve, quindi, essere annullata in riferimento alla sola misura delle pene inflitte ai tre ricorrenti, rinviandosi gli atti alla Corte di Appello di Catanzaro diversa sezione perché proceda a una loro nuova determinazione, conforme al dettato del vigente articolo 73 co. 4 L.S. secondo i criteri in precedenza illustrati. Quanto alle residue censure degli imputati, i ricorsi vanno - per quanto detto - rigettati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia ad altra sezione della Corte d'Appello di Catanzaro per nuovo giudizio sul punto. Rigetta nel resto i ricorsi.