In caso di concorso di reati, un testimone, anche parte offesa, giudicato inattendibile per un reato, non può essere, invece, ritenuto credibile per l’altro, se non ci sono ulteriori riscontri di supporto alle sue parole.
Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza numero 14755, depositata il 28 marzo 2014. Il caso. La Corte d’appello di Palermo, riformava parzialmente la sentenza di primo grado, assolvendo un imputato dal delitto di violenza sessuale ai danni della moglie e confermando, invece, la condanna per maltrattamenti subiti dalla stessa. L’uomo ricorreva in Cassazione, contestando ai giudici di merito di aver confermato la condanna per il reato di maltrattamenti, ponendosi in contraddizione con il giudizio di inattendibilità della parte offesa che aveva provocato l’assoluzione per il reato di violenza sessuale. La Corte d’appello non avrebbe espresso le ragioni di questa opposta valutazione, limitandosi, invece, ad affermare l’idoneità del compendio probatorio a giustificare la condanna. Credibile in un caso, ma non nell’altro. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione rilevava che la sentenza impugnata aveva riscontrato una natura «altalenante» delle accuse di violenze sessuali mosse dalla parte offesa, in più punti ritenute non credibili, ritenendo assenti atti di violenza o esplicite minacce. Invece, i giudici di merito avevano ravvisato una «censurabile insistenza, anche fisica, all’approccio corporale» che, insieme alle quotidiane ingiurie e alle sporadiche percosse alla moglie, avevano integrato la fattispecie del reato di maltrattamenti. Parte offesa inattendibile. Tuttavia, era stato valutato un significativo discostamento, dalla verità storica, delle dichiarazioni della parte offesa, sia in riferimento agli approcci sessuali sia agli episodi di percosse portati, come affermato dalla sentenza impugnata, da due o tre ad una ventina , sia agli effetti che il comportamento del marito aveva sulla donna, che aveva, comunque, manifestato un’evidente capacità di difesa e reazione. Di conseguenza, alla luce dell’inattendibilità della testimonianza, non era possibile individuare con certezza la concreta individuazione degli episodi e della loro frequenza, in quanto non risultavano neanche dei referti collegabili alle violenze e non si riportavano delle fonti dichiarative che testimoniassero episodi di violenza ai danni della donna. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 18 – 28 marzo 2014, numero 14755 Presidente Agrò – Relatore Capozzi Considerato in fatto e ritenuto in diritto 1. Con sentenza del 6.12.2012 la Corte di appello di Palermo - a seguito di gravame interposto dall'imputato S.V. avverso la sentenza emessa il 18.12.2009 dal Tribunale di Termini Imerese - ha parzialmente riformato detta sentenza assolvendo l'imputato dal delitto di cui al capo B di violenza sessuale continuata ai danni della moglie S.S., confermando la penale responsabilità dello stesso imputato in relazione al capo A di maltrattamenti ai danni della stessa moglie, rideterminando la pena inflitta sospendendola condizionalmente, oltre le statuizioni civili in favore della S. costituitasi parte civile. 2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione deducendo 2.1. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in quanto la Corte territoriale ha ritenuto di confermare la penale responsabilità dell'imputato in ordine al reato di maltrattamenti ponendosi in contraddizione con il giudizio di inattendibilità della parte offesa che aveva fondato l'assoluzione per il reato di violenza sessuale. La Corte non avrebbe espresso le ragioni di questa opposta valutazione, affermando apoditticamente l'idoneità del compendio probatorio a giustificare la condanna. 2.2. Inosservanza di norme processuali previste a pena di nullità in quanto l'imputato sarebbe stato condannato per fatti originariamente non compresi nell'atto imputativo, ma evinti «ex novo» da una testimonianza peraltro complessivamente giudicata inattendibile, così violando il diritto al contraddittorio della difesa. 3. Il ricorso è fondato per quanto di ragione. 4. Deve logicamente considerarsi la seconda delle doglianze mosse della quale se ne deve affermare la inammissibilità per la sua genericità rispetto alla motivazione resa dalla sentenza proponendo una generica eccentricità dei fatti accertati rispetto all'imputazione che, oltre agli atti sessuali contro la volontà della p.o., ha contestato l'uso della violenza fisica e morale rappresentata da sistematici atti di ingiuria e minacce di morte. 5. Il primo motivo è fondato. 6. La sentenza impugnata, dopo una articolata disamina delle dichiarazioni della parte offesa e delle altre fonti dichiarative in relazione all'ipotesi di violenza sessuale, ha rilevato la natura «altalenante» delle accuse mosse dalla parte offesa, in più punti ritenute non credibili, in ordine alle patite continuate violenze sessuali da parte dell'imputato ritenendole, altresì, smentite dai soggetti ai quali la donna aveva dichiarato di aver confidato dette violenze. Ha ricostruito le vicende di natura sessuale ritenendo assenti nella specie atti di violenza o esplicite minacce potendovisi ravvisare solo una «censurabile insistenza anche fisica all'approccio corporale» ovvero l'imposizione con insistenza e continuità al proprio coniuge dissenziente di soddisfare le proprie voglie sessuali idonea ad integrare la fattispecie dei maltrattamenti, valutata unitamente alle quotidiane ingiurie, ai ripetuti atti di violenza alle cose o agli schiaffi ai figli, alle pur non frequenti percosse alla moglie. 7. Ebbene, articolato con riferimento alle vicende di abuso sessuale, il grave giudizio di scarsa credibilità e smentita della fondamentale fonte probatoria costituita dalle dichiarazioni della parte offesa non è più, contraddittoriamente, considerato nella disamina dei fatti sottesi al delitto di maltrattamenti apoditticamente affermandosi che esso non minerebbe «la complessiva credibilità» delle dichiarazioni della stessa parte offesa. Ed, invece, dovendosi dare conto del discostamento da esso sia con riferimento alla verificazione ed alla frequenza degli approcci sessuali non assentiti - in ordine ai quali la Corte territoriale pure rileva il sufficiente allontanamento della donna in altra stanza per sottrarsi senza conseguenze alle denunciate pretese - , sia agli episodi di percosse - portati, come nota la stessa sentenza, da due-tre ad «una decina, una ventina» - ed agli effetti che il comportamento del marito avevano sulla donna che, sempre secondo la stessa sentenza, ha manifestato una sua «evidente capacità di difesa e reazione». 8. Sicchè la conclusione in ordine alla sussistenza della condotta di maltrattamenti, anche privata degli episodi di violenza sessuale, appare contraddittoria e priva della necessaria motivazione - anche rispetto al notorio richiesto più rigoroso vaglio della fonte probatoria proveniente dalla parte offesa del reato - sia rispetto alla parte delle dichiarazioni della S. alle quali doveva darsi credito, sia - perché se ne giustifichi la necessaria abitualità - alla concreta individuazione degli episodi e della loro frequenza - anche in relazione al necessario dolo che sorregge il delitto -, oltre che degli stessi riscontri, posto che non risultano referti collegabili alle violenze e non si riportano fonti dichiarative che testimoniano episodi di violenza ai danni della donna. 9. La sentenza deve, pertanto, essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo per nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo.