Analisi delle azioni dell’Antitrust a tutela del libero mercato. Sollevata una questione pregiudiziale contro la tariffa unica nell’autotrasporto perché contrasta con la normativa nazionale ed il Trattato di Lisbona.
La sezione III ter del Tar Lazio, lo scorso 15 marzo, con la sentenza non definitiva numero 2720 e l’ordinanza collegiale numero 2721, relative a due ricorsi distinti, ma sostanzialmente sovrapponibili, offre un vero e proprio saggio sugli argomenti indicati in epigrafe. Non ho riscontrato precedenti in cui è prevista un’azione diretta dell’AGCM per tutelare la leale concorrenza alternativa al procedimento interlocutorio. La vicenda. L’AGCM, diverse società, associazioni di categoria anche di altri settori merceologici e professionali ed i sindacati impugnavano molteplici provvedimenti e delibere dell’Osservatorio sull’attività di autotrasporto e del Ministero delle Infrastrutture e del Trasporto, emessi sin dal novembre 2011 in attuazione dell’articolo 83 bis, L. 133/08, perché avevano unificato tutti i contratti del settore, imposto un tariffario unitario e prezzi minimi per i servizi a scapito della sicurezza ed in netta deroga delle loro finalità e della menzionata legislazione nazionale ed UE. La sollevata questione di legittimità costituzionale è stata respinta poiché infondata. Alcune parti, invece, sostenevano l’improcedibilità del primo ricorso poiché questi provvedimenti erano stati già in parte abrogati dalla delibera del 13/6/12 e per l’assenza del parere obbligatorio dell’Autorità, ex articolo 21 bis, comma 1, L.287/90, pregiudiziale all’esperimento di azioni contro la concorrenza sleale questa e le altre eccezioni preliminari sono state disattese ed in entrambi i casi è stata disposta la trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia UE CGCE cui spetta l’ultima parola su questa lite. Procedimento interlocutorio ed azione diretta dell’Antitrust a tutela del libero mercato. Prevede che il garante emetta «entro sessanta giorni dal riscontro dell’illecito, ndr un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l’Autorità può presentare, tramite l’Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni». I successivi commi dell’articolo 21 bis descrivono le modalità e le regole del «ricorso giurisdizionale», che, però, deve essere l’ extrema ratio visto che introduce un contenzioso tra due PA, anche se il legislatore ha privilegiato «modalità preventive di perseguimento dell’obiettivo di garanzia della libertà concorrenziale riconducibili, nella specie, al rapporto di leale collaborazione fra pubbliche amministrazioni». Il comma 2 in definitiva introduce un procedimento speciale diretto ed «accelerato» v. dimezzamento dei tempi per proporlo per i casi più urgenti ed importanti. Spetta alla prudente valutazione dell’AGCM azionarlo o procedere in via interlocutoria con l’amministrazione. È pacifico che dovendo tutelare interessi legittimi e collettivi sia legittimata all’azione. La libera concorrenza è un valore assoluto degno di ampia tutela. Infatti la «tutela della libertà di concorrenza, è espressione di valori costituzionali e comunitari e strumento di attuazione del benessere sociale». È, quindi, un interesse universale, come la salute, la tutela dell’ambiente etc., perché sotteso al corretto funzionamento del mercato e, quindi dell’economia. Proprio per questa sua natura e perché strettamente connesso alla circolazione di merci, alla prestazione di servizi ed all’apertura ad investimenti e competitors stranieri prevale su ogni altro interesse confliggente della PA. L’AGCM ha il diritto di azione come le altre associazioni di categoria. La sua legittimazione speciale discende non solo dalla legge italiana, ma anche dall’articolo 15 Reg. 3/01/CE questa azione diretta è «la trasposizione interna di un procedimento previsto dalla normativa dell’Unione quale il ricorso per inadempimento promosso dalla Commissione europea dinanzi alla Corte di Giustizia contro lo Stato che violi gli obblighi derivanti dal diritto dell'Unione articolo 258 TFUE ». Infine l’articolo 15 Reg. 1/03/Ce prevede che le Autorità dei singoli stati membri possono «intervenire in un giudizio pendente dinanzi alle giurisdizioni nazionali, presentando osservazioni scritte o, previa autorizzazione del giudice, anche orali, in applicazione degli articolo 101 e 102 TFUE». Con l’articolo 21 bis L. 287/90 l’Antitrust da mera interveniente è divenuta «parte processuale che agisce in giudizio, per poter così assicurare la piena effettività delle regole preordinate alla tutela della concorrenza». Si noti, a conferma di ciò, che, l’articolo 4 L. 180/11 riconosce e ribadisce la «legittimazione di soggetti pubblici e di associazioni ad agire a tutela di interessi superindividuali», rafforzata dalla previsione dell’articolo 4 L15/09 che, in «in materia di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici, aveva riconosciuto la possibilità di agire in giudizio per «ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio», oltre che ai singoli titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori, alle “associazioni o comitati a tutela degli interessi dei propri associati». La giurisprudenza amministrativa, infine la correla «per un verso, all’esistenza di interessi giuridicamente rilevanti e omogenei per una pluralità di utenti e consumatori, per altro verso, alla riferibilità di tali interessi ad un soggetto titolare, ed infine, all’esistenza di una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi», ampliandone la portata anche ad «altre materie non direttamente conferitegli dalla legge» CDS, sez. IV, numero 8683/10 . Calcolo e perentorietà dei termini. Non sono perentori, tranne quello per proporre il ricorso i 30 gg decorrono dallo spirare della precedente scadenza anche se la PA si è già pronunciata negativamente, confermando il parere impugnato, può sempre mutare opinione nei tempi stabiliti. Si precisi che è suo onere dimostrare, qualora contestasse la tardività dell’azione del garante, il momento esatto in cui ha avuto contezza dell’infrazione, perché solo da allora decorrono i 60 gg per esprimersi in merito, sempre che non voglia adire subito le vie legali. Infine il Tar rileva che, «pur costituendo l’espletamento della fase precontenziosa condizione per l’esercizio dell’azione giurisdizionale», il mancato rispetto del termine non pregiudica l’azione, poiché prevalgono i suddetti fini. Parimenti lo spirare degli altri non comporta alcuna decadenza. Onere di specificare gli atti impugnati e di parere preventivo per i motivi aggiunti? Le determinazioni della PA, nella fase precontenziosa/interlocutoria non hanno «una valenza provvedimentale esterna come atti di autotutela e non può quindi configurarsi un onere di impugnativa specifica da parte dell’Autorità, una volta che questa decida di esercitare l’iniziativa giurisdizionale ex comma 1 avverso l’atto ritenuto anticoncorrenziale». Inoltre non c’è alcun bisogno, per il principio del simultaneus processus di una «reiterazione del procedimento interlocutorio di cui al secondo comma dell’articolo 21 bis citato», poiché con questo strumento si gravano atti che si pongono in un continuum processuale, avendo «una connessione oggettiva e soggettiva» col ricorso principale CDS sez. V numero 7632/03 . L’azione d’ufficio dell’Antitrust è incostituzionale? È stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale circa la presunta violazione degli articolo 3, 11, 41, 96, 103 e 117, comune ad entrambe le nostre pronunce è strettamente connessa alla violazione del diritto UE, essendo obbligatorio, anche per le recenti riforme delle fonti di diritto, uniformarsi ad esso, salvo che contrasti con la costituzione C.Cost. 219/08 . In ogni caso sono stati sinora dimostrati la legittimazione ed il potere d’azione , anche diretta, dell’Antitrust per la tutela di detti interessi universali. L’articolo 83 bis L.133/08 viola presumibilmente il Trattato di Lisbona sotto molteplici aspetti unificazione dei contratti. La scelta del legislatore italiano di unificare i contratti scritti ed orali degli autotrasportatori, imponendo un tariffario unico e prezzi minimi per l’espletamento del servizio, deroga gli articolo 4 e 101 TFUE è una misura «idonea ad arrecare pregiudizio alle relazioni concorrenziali» CGCE C-571/08 e C I-97/08 . Infatti lede le libertà di circolazione, di stabilimento e di prestazione di servizi, perché ostacola l’ingresso ad operatori esteri in netta violazione degli articolo 49, 56 e 96 TFUE. Diminuzione degli standard di sicurezza. I Dlgs. 284, 286/05 e la L.32/05 evidenziano «il superamento del sistema delle tariffe obbligatorie a forcella per l'autotrasporto di merci e la definizione di un sistema fondato sulla libera contrattazione dei prezzi per i servizi di autotrasporto di merci» articolo 2, comma 2, lett. b , nnumero 1 e 2 . Riconoscono all’Osservatorio sull’Attività di Autotrasporto e soprattutto ai suoi organi Consulta un’importante funzione di monitoraggio, vigilanza, aggiornamento degli usi e delle consuetudini, di elaborazione delle tabelle delle varie voci di spesa esercizio, carburante, chilometraggio etc. ed una facoltà propositiva per la tutela e l’attuazione degli standard minimi sulla sicurezza sia stradale che del lavoratore articolo 83 bis L.133/08 e non 86 come erroneamente indicato nel testo . Invero il Dlgs 285/05 stabilisce le linee guida sui titoli abilitanti la guida articolo 115 e ss , prevedendo le norme di comportamento su strada articolo 140 e ss. e sulle modalità costruttive e di equipaggiamento dei veicoli e sugli accertamenti tecnici per la circolazione articolo 71 e ss . Il D.lgs. 286/05, poi, sancisce l’ordinaria forma scritta del contratto e che siano nulle tutte quelle clausole che derogano la sicurezza. Infine la sua centralità è ribadita dal Regolamento 1071/09/Ce che detta le linee guida per l’esercizio e l’accesso alla professione di autotrasportatore. Le scelte del legislatore per raggiungere tali fini devono bilanciare gli interessi primari vita, salute, tutela del lavoro e del consumatore , l’iniziativa economica privata e la concorrenza nel rispetto dei principi di ragionevolezza, uguaglianza e proporzionalità. Nella fattispecie ciò non è avvenuto la norma contrasta con la sua stessa ratio e con tutti i citati parametri a danno dell’utente finale e del lavoratore. Infatti «la norma è assolutamente chiara nell’introduzione di un sistema regolato di determinazione dei costi minimi di esercizio, che vincola la libera contrattazione e la libertà di enucleazione di uno degli elementi essenziali del contratto, sia pure nella logica funzionale della salvaguardia degli standard di sicurezza stradale, ndr ». Lesione alla libertà negoziale ed alla libera contrattazione dei prezzi. A conferma di ciò è l’abrogazione della sola forma scritta per i contratti di trasporto, che si fondano su usi e consuetudini. La previsione di patti orali ed accordi volontari tra le associazioni dei vettori e dei committenti altera «la dinamica concorrenziale del mercato, introducendo condizionamenti di tipo corporativo nella quantificazione di uno degli elementi essenziali della libera contrattazione». Infine ciò contrasta con la liberalizzazione dei servizi e dei prezzi, tanto più che l’Ue ha più volte vietato tali scelte condannando il precedente «sistema di tariffe obbligatorie a forcella». Infatti la CGCE, col Caso Librandi del 1998 «riconobbe la conformità della legge 6 giugno 1974 numero 298, istitutiva delle tariffe obbligatorie a forcella, con i principi comunitari, precisò come le limitazione al principio di concorrenza siano giustificabili solo alla stregua di un interesse pubblico ritenuto prevalente e secondo misure e criteri di apprezzamento e ponderazione la cui definizione non può che essere rimessa ai pubblici poteri, e non già agli operatori economici di settore», ma ad un intervento legislativo ad hoc . Violazione della libertà d’impresa e della leale concorrenza . Tutto ciò ostacola l’ingresso di nuovi operatori, impedendo il «libero gioco della concorrenza», poiché, come detto, i prezzi vengono fissati da soggetti estranei al delegato «naturale» CDS nnumero 896 e 571/11 e 652/01 . In breve «la fissazione di tariffe minime « priva gli operatori economici stabiliti in altro Paese membro della possibilità di porre in essere, offrendo tariffe inferiori a quelle fissate da una tariffa imposta, una concorrenza più efficace nei confronti degli operatori economici installati stabilmente nello Stato membro interessato ai quali, pertanto, risulta più facile che agli operatori economici stabiliti all'estero fidelizzare la clientela CGUE Commissione c. Italia in C-134/2005 ». Si ricordi che l’articolo 4.3 del Trattato di Lisbona impone un dovere di collaborazione tra tutti gli stati membri e di astenersi da interventi, regolamentari o legislativi «idonei a eliminare l'effetto utile delle regole di concorrenza applicabili alle imprese» ex multis C-267/86, Van Eycke, C-185/91, Reiff, C-153/93 e C-35/99, Arduino del 19/2/02 . Tale principio è stato integralmente ribadito anche «dalla nota pronuncia del 9 settembre 2003, C-198/01, CIF punti 45-46 » il libero mercato deve essere sempre garantito e facilitato dai singoli stati UE con misure pubbliche col diritto comunitario «anche indipendentemente dall'esistenza di uno stretto collegamento di tali misure con comportamenti dì impresa».
TAR Lazio, sez. III Ter, ordinanza 17 gennaio – 15 marzo 2013, numero 2721 Presidente Daniele – Estensore Lo Presti Fatti di causa Le società ricorrenti, con l’atto di gravame principale ed i successivi motivi aggiunti, hanno impugnato davanti a questo Tribunale tutti gli atti, meglio indicati in epigrafe, adottati dall’Osservatorio sulle attività di autotrasporto e dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti in attuazione della disposizione di cui all’articolo 83 bis del d.l. numero 112 del 2008, come convertito in legge numero 133 del 2008, e successive modifiche ed integrazioni, introducendo in via preliminare questioni di incompatibilità della norma citata con la normativa europea e di legittimità costituzionale. Deducono in primo luogo le ricorrenti la illegittimità dell'articolo 83 bis del decreto legge numero 112 del 2008 e s.m.i. per violazione dei principi del diritto dell'UE in materia di concorrenza e di libera circolazione delle imprese. Violazione degli articoli 49 e 56 TFUE in materia di libertà dí stabilimento e di libera prestazione dei servizi, nonché dell'articolo 96 TFUE violazione dell'articolo 4 3 TUE e dell'articolo 101 TFUE, evidenziandone nello specifico i seguenti profili di contrasto con le norme europee sopra richiamate 1. La scelta del legislatore di equiparare , ai fini dell’applicazione della relativa normativa, tutti i contratti di trasporto, siano essi scritti o verbali, dettando un sistema di tariffe unitario, si porrebbe in contrasto con il disposto degli articolo 4 e 101 del TFEU, considerato che se la fissazione di prezzi minimi per determinati beni, infatti, è una misura senz'altro idonea ad arrecare pregiudizio alle relazioni concorrenziali v., da ultimo, CGUE, sentenza Commissione europea e. Italia in C-571/08, nonché Commissione c. Francia in C I 97/08 , impedendo agli operatori di trarre vantaggio da prezzi di costo inferiori per proporre prezzi più allettanti e, dunque, ostacolando l'ingresso sul mercato di nuovi operatori ,analogamente, anche la fissazione di tariffe minime per i servizi costituisce una restrizione della concorrenza che lede il diritto alla libera prestazione dei servizi stessi ed il diritto di stabilimento riconosciuto a tutti i cittadini europei, in quanto, pur applicandosi indistintamente, di fatto impedisce o rende più difficile le attività di prestazione di servizi o l'esercizio del diritto di stabilimento del prestatore che sia cittadino di un altro Stato membro. 2. La denunciata incompatibilità tra il dettato dell’articolo 83 bis, commi citati, e la normativa europea non potrebbe, a dire delle ricorrenti, essere superata neanche invocando la rispondenza delle restrizioni introdotte alla libertà di concorrenza con un interesse pubblico generale – la sicurezza stradale – rispetto al quale il sistema delle tariffe mensili imposte non si porrebbe come misura idonea e proporzionata al fine perseguito. La fissazione di minimi tariffari, infatti, non garantirebbe un effettivo miglioramento degli standards di sicurezza obiettivo invece utilmente perseguibile soltanto mediante il ricorso a diverse misure vincolanti sulle modalità di espletamento del servizio,che incidano sulle voci da cui dipende la sicurezza e ne verifichino il rispetto. In particolare, la prevista possibilità, al comma 4, di deroga ai costi minimi di sicurezza previsti, nel caso di contratti conformi ad accordi volontari conclusi tra le organizzazioni associative dei vettori e degli utenti, contrasterebbe con la logica della inderogabilità dei costi minimi per ragioni di garanzia della sicurezza. 3. Il rilievo conferito, nel meccanismo di determinazione delle tariffe minime, alla stipulazione di accordi volontari di settore tra le organizzazioni associative di vettori, rappresentati in seno alla Consulta generale per l’autotrasporto e la logistica, e le associazioni rappresentative dei committenti, sarebbe destinato ad alterare la dinamica concorrenziale del mercato, introducendo condizionamenti di tipo corporativo nella quantificazione di uno degli elementi essenziali della libera contrattazione. Analogamente, la composizione dello stesso Osservatorio non garantirebbe l’imparzialità e l’autonomia dell’organismo rispetto alle associazioni sindacali delle categorie interessate. 4. Il sistema di determinazione dei costi minimi della sicurezza non risponderebbe a criteri predeterminati direttamente correlati alla esigenza di salvaguardia della sicurezza stradale. Le ricorrenti hanno altresì proposto questione di legittimità costituzionale dello stesso articolo 83 bis d.l. numero 112/2008 per violazione degli articolo 3 e 41 Cost., 11 e 117 comma primo Cost., nonché per violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità , ritenendo la fissazione dei costi minimi ingiustificata in relazione all’esigenza di tutela della sicurezza, comunque inadeguata sul piano funzionale, discriminatoria e lesiva della libertà negoziale. Hanno infine dedotto l’illegittimità dei provvedimenti impugnati sia per invalidità derivata sia per vizi propri. All’udienza del 25 ottobre 2012 la causa è stata assegnata in decisione, ai fini della definitiva pronuncia di merito, e decisa nelle camere di consiglio dei giorni 25 ottobre 2012 e 13 febbraio 2013 il Tribunale, lette le osservazioni delle parti, ed aderendo alla domanda proposta in tal senso dalle stessi ricorrenti, ritiene di disporre ai sensi dell’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea rinvio pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia, avente ad oggetto l’interpretazione delle norme del Trattato in materia di libertà di concorrenza e di libera circolazione delle imprese, e in particolare degli articolo 4 3 TUE Trattato Unione Europea e 101 TFUE, nonché degli articolo 49 e 56 TFUE Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea , in materia di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, e dell’articolo 96 TFUE, per chiarire se le richiamate disposizioni siano compatibili con il regime di fissazione dei costi minimi di esercizio nel settore dell’autotrasporto, introdotto dal legislatore italiano con l’articolo 83 bis del d.l. numero 112 del 2008, come convertito in legge numero 133 del 2008, e successive modifiche ed integrazioni, e attuato con i provvedimenti impugnati in questa sede. La disciplina nazionale concernente le tariffe di autotrasporto delle merci su strada Con legge numero 32 del 2005, recante la Delega al Governo per il riassetto normativo del settore dell'autotrasporto di persone e cose , sono stati fissati i principi ed i criteri direttivi del processo di liberalizzazione regolata del settore dell’autotrasporto, tra i quali assumono particolare rilievo il superamento del sistema delle tariffe obbligatorie a forcella per l'autotrasporto di merci e la definizione di un sistema fondato sulla libera contrattazione dei prezzi per i servizi di autotrasporto di merci articolo 2, comma 2, lett. b , nnumero 1 e 2 della L. 32 del 2005 . In attuazione di tale legge-delega sono stati emanati i decreti legislativi nnumero 284 e 286 del 2005, intesi a liberalizzare e riorganizzare l'intero settore dell'autotrasporto. In particolare, con il D.Lgs 284 del 2005 si è conferito alla Consulta per l'Autotrasporto e la Logistica il potere di svolgere attività propositiva, di studio, di monitoraggio, di consulenza delle autorità politiche per la definizione delle politiche di intervento e delle strategie di governo nel settore dell'autotrasporto e della logistica articolo 4, comma 1 . Con il medesimo decreto legislativo è stato, inoltre, istituito l'Osservatorio sull'Attività di Autotrasporto, quale organo della Consulta, a cui è attribuita ex lege la funzione di monitoraggio sul rispetto delle disposizioni in materia di sicurezza della circolazione e si sicurezza sociale, e provvede all'aggiornamento degli usi e delle consuetudini di cui all'articolo 2, comma 2, lett. b numero 6, della legge 1° marzo 2055, numero 32 articolo 6, coma 10 d.lgs.284/2005 . Con il D.Lgs. numero 286 del 2005 il legislatore nazionale ha poi ridefinito le coordinate normative dell'attività di autotrasporto, perseguendo gli obiettivi e le finalità della richiamata legge-delega articolo 2, commi 1 e 2 lett. b della L. 32 del 2005 . La determinazione dei corrispettivi per l'esercizio di trasporto su strada è stata, quindi, rimessa alla libera contrattazione delle parti che stipulano il contratto di trasporto articolo 4, comma 1 . Nell'ottica di assicurare la tutela della sicurezza, la medesima norma ha inoltre stabilito che sono nulle le clausole dei contratti di trasporto che comportano modalità e condizioni di esecuzione delle prestazioni contrarie alle norme sulla sicurezza della circolazione stradale . Il legislatore del 2005, in buona sostanza, ha liberalizzato il sistema tariffario inerente i contratti di autotrasporto in forma scritta, mantenendo invece ferme alcune restrizioni con riferimento ai contratti verbali che soggiacciono agli usi e consuetudini di settore individuati dall'Osservatorio. Successivamente, l'articolo 83 bis introdotto in sede di conversione del D.L. numero 112 del 25 giugno 2008, in L. 133 del 2008, ha , in linea di discontinuità con le disposizioni sopra richiamate, ha reintrodotto significativi vincoli alla nuova disciplina dell'autotrasporto, in particolare attribuendo all'Osservatorio il potere di stabilire i costi minimi di esercizio, sia pure con esclusivo riferimento ai contratti meramente verbali, nell'ottica di incentivare la stipulazione dì accordi scritti le cui modalità di contrattazione restavano libere, anche con riferimento alla determinazione delle tariffe. Tuttavia, l'articolo 83 bis è stato da ultimo modificato con il D.L. 103 del 2010, convertito con modificazioni in L. numero 127 del 2010, e, successivamente, con D.L. n, 138 del 2011, convertito con L. numero 148 del 2011. Tali modifiche hanno eliminato la distinzione tra contratti in forma scritta e contratti meramente verbali, consentendo all'Osservatorio di incidere sulla determinazione delle tariffe di autotrasporto anche dei primi in ragione della pretesa necessità di garantire il rispetto degli standard di sicurezza. L'attuale formulazione dell'articolo 83 prevede che l'Osservatorio sulle attività di autotrasporto di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 21 novembre 2005, numero 286, sulla base di un'adeguata indagine a campione e tenuto conto delle rilevazioni effettuate mensilmente dal Ministero dello sviluppo economico sul prezzo medio del gasolio per l'autotrazione determina mensilmente il costo medio del carburante per chilometro di percorrenza, con riferimento alla diverse tipologie di veicoli, e la relativa incidenza. 2. Lo stesso osservatorio, con riferimento alle tipologie di veicoli determina la quota espressa in percentuale, dei costi di esercizio dell'impresa di autotrasporto per conto di terzi rappresentata dai costi del carburante . I commi 4 e 4bis del medesimo articolo 83 bis hanno poi previsto che al fine di garantire la tutela della sicurezza stradale e la regolarità del mercato dell'autotrasporto di merci per conto di terzi, nel contratto di trasporto, stipulato in forma scritta, ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo 21 novembre 2005, numero 286, l'importo a favore del vettore deve essere tale da consentire almeno la copertura dei costi minimi di esercizio, che garantiscono, comunque, il rispetto dei parametri di sicurezza di sicurezza normativamente previsti. Tali costi minimi sono individuati nell'ambito degli accordi volontari di settore conclusi tra organizzazioni associative di vettori rappresentanti nella Consulta generale per l'autotrasporto e per la logistica, di cui al comma 16, e organizzazioni associative dei committenti, e sono sottoposti al parere preventivo della predetta Consulta generale e pubblicati con decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, ai fini della loro entrata in vigore. Qualora gli accordi volontari previsti al comma 4 non siano stipulati entro il termine di nove mesi, decorrenti dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, l'Osservatorio sulle attività di autotrasporto di cui all'articolo 6, comma 1, lettera ci , del decreto legislativo 21 novembre 2005, numero 284, determina i costi minimi, secondo quanto previsto al comma 4. Decorso il termine di cui al primo periodo, qualora entro ulteriori trenta giorni l'Osservatorio non abbia provveduto ad adottare la determinazione dei costi minimi si applicano ai contratti di trasporto stipulati in forma scritta le disposizioni di cui ai commi 6 e 7, ai soli fini della determinazione del corrispettivo e ferma restando la possibilità di deroga con gli accordi di cui al comma 4 . In attuazione del citato articolo 83 bis della L. 133 del 2008 e s.m., in data 2 novembre 2011, l'Osservatorio ha adottato una serie di tabelle che stabiliscono voci di costo chilometrico ripartite per cinque classi di veicoli individuati a seconda della massa massima complessiva a pieno carico anche detta Prima determinazione . Tali tabelle recano l'approvazione dei costi di esercizio dell'impresa di autotrasporto per conto di terzi ex commi 1 e 2 dell'articolo 83 bis e dei costi minimi di esercizio dell'impresa di autotrasporto per conto di terzi ex commi 4 e 4 bis dell'articolo 83 bis. L'Osservatorio ha, altresì, fissato la formula mediante la quale i costi di esercizio e, dunque, le tariffe di autotrasporto, devono essere periodicamente adeguate. La richiamata determina, e le successive periodicamente adottate dall’Osservatorio con le correlate tabelle, per l’individuazione dei costi minimi di esercizio sono oggetto di impugnazione con il presente gravame. In base alla chiara lettera della disposizione normativa, è da escludere che l’articolo 86 bis citato possa essere interpretato in modo conforme alla Costituzione ed al diritto dell’Unione interpretare in senso conforme significa, infatti, scegliere, tra i significati possibili dell’enunciato normativo, quello più vicino ai principi costituzionali e dell’Unione, ma non anche attribuirgliene uno nuovo ed eccentrico, per quanto aderente a tali principi Corte cost., sentenza numero 219 del 2008 . La norma è assolutamente chiara nell’introduzione di un sistema regolato di determinazione dei costi minimi di esercizio, che vincola la libera contrattazione e la libertà di enucleazione di uno degli elementi essenziali del contratto, sia pure nella logica funzionale della salvaguardia degli standard di sicurezza. La fissazione autoritativa di costi minimi di esercizio, in maniera vincolante per la libertà negoziale delle parti, sottrae infatti alla libera dinamica del mercato la determinazione di un elemento fondamentale costitutivo del prezzo contrattuale. E ciò che con il ricorso si contesta, e costituisce oggetto del giudizio rimesso a questo Tribunale, è la verifica della compatibilità di dette determinazioni con i principi europei, e costituzionali, ispirati alla libertà di concorrenza e negoziale privata. Il diritto dell’unione I principi e le disposizioni del diritto dell’Unione Europea poste a tutela della concorrenza articolo 4, § 3, TUE e articolo 101 TFUE , così come interpretate dalla giurisprudenza, sembrano inibire ai legislatore degli Stati membri la possibilità di determinazioni eteronome limitanti la libertà negoziale nella individuazione degli elementi essenziali del contratto. In particolare, la limitazione delle strategie di prezzo imprenditoriale rischia di configurarsi come una tra le violazioni più gravi del diritto della concorrenza, considerata la particolare importanza del prezzo come strumento di competizione concorrenziale fra le imprese. La determinazione artificiosa dei prezzi può evidenziare, dunque, la violazione delle regole di concorrenza in qualunque modalità essa sia posta in essere, e cioè anche laddove si sostanzi nell'uniformità di una base di prezzo o di una componente del prezzo complessivo, potendo ostacolare o addirittura escludere del tutto il ribasso autonomo e illimitato del prezzo da parte delle singole imprese, con conseguente pregiudizio per i consumatori finali. Secondo la giurisprudenza dell’Unione, la fissazione di prezzi minimi per determinati beni o servizi è, di per sé, misura senz’altro idonea ad arrecare pregiudizio alle relazioni concorrenziali cfr. CGUE, sentenza Commissione europea c. Italia in C-571/08 e sentenza Commissione europea c. Francia in C-197/08 e ancora, è stato affermato che ricorrono gli estremi di pratiche collettive o concertate allorché elementi essenziali per la formazione dei prezzi vengano uniformati artificialmente in modo che i prezzi effettivi di vendita vengono fissati ad un livello diverso da quello naturale, determinato dal libero gioco della concorrenza cfr. Commissione 80/257/CECA dell'8 febbraio 1980 . Anche la giurisprudenza italiana sul punto appare consolidata. Con specifico riferimento alla sottrazione alla libera contrattazione delle parti di componenti di prezzo, valga richiamare le sentenze del Consiglio di Stato, 9 febbraio 2011, numero 896 e 16 settembre 2011, nnumero 5171 e 5172 e, meno di recente, la sentenza 13 febbraio 2001, numero 652 la violazione della libertà di concorrenza, secondo le richiamate pronunce, si realizza già ove la concorrenza sia ristretta o falsata, per esempio attraverso l’uniformazione di una componete del prezzo, non essendo poi necessaria la totale uniformità anche del prezzo effettivo. Il diritto dell’Unione prevede poi il diritto alla libera prestazione di servizi e il diritto di stabilimento , sanciti dagli articolo 49 e 56 del TFUE. Tali ultimi articoli ostano all'applicazione di una normativa nazionale per effetto della quale la prestazione di servizi tra Stati membri diventi più difficile della prestazione di servizi all'interno dell'Unione Europea. Inoltre, la normativa comunitaria vieta espressamente ad uno Stato membro di imporre prezzi e condizioni nel settore dei trasporti idonee a determinare un sistema di protezione per determinate imprese articolo 96 TFUE . In particolare, la Corte di Giustizia ha affermato che la fissazione di tariffe minime priva gli operatori economici stabiliti in altro Paese membro della possibilità di porre in essere, offrendo tariffe inferiori a quelle fissate da una tariffa imposta, una concorrenza più efficace nei confronti degli operatori economici installati stabilmente nello Stato membro interessato ai quali, pertanto, risulta più facile che agli operatori economici stabiliti all'estero fidelizzare la clientela C.G.U.E. Commissione c. Italia in C 134/2005 . I principi di proporzionalità, articolo 101 TFUE e leale collaborazione fra Stati membri e Unione Europea articolo 4, comma 3, TUE impongono poi che ogni misura adottata dai pubblici poteri, e idonea ad incidere sul libero gioco concorrenziale, sia ipotizzabile solo ove si dimostri che la stessa è necessaria ed adeguata rispetto alla finalità di interesse pubblico perseguita, ove cioè tale finalità non possa trovare realizzazione attraverso misure alternative meno invasive. Inoltre, come sottolineato dalla Corte di Giustizia, l'articolo 101 del TFUE, pur avendo direttamente ad oggetto esclusivamente le condotte delle imprese e non le disposizioni legislative o regolamentari emanate dagli Stati membri, se letto in combinato disposto con l'articolo 4.3 del Trattato sull'Unione Europea già articolo 10 Trattato CE , che instaura un dovere di collaborazione, obbliga gli Stati membri a non adottare o mantenere in vigore provvedimenti, anche di natura legislativa o regolamentare, idonei a eliminare l'effetto utile delle regole di concorrenza applicabili alle imprese così sentenze 16 novembre 1977, C-13/77, INNO/ATAB 21 settembre 1988, C-267/86, Van Eycke 17 novembre 1993, C-185/91, Reiff 9 giugno 1994, C¬153/93, Delta Schiffahrts W und Speditionsgesellschaft 5 ottobre 1995, C-96/94, Centro Servizi Spediporto, 19 febbraio 2002, C¬35/99, Arduino . Tale principio è stato integralmente ribadito anche dalla nota pronuncia del 9 settembre 2003 , C-198/01, CIF punti 45¬46 , con cui la Corte ha significativamente richiamato anche gli articolo 4 e 98 introdotti dal Trattato di Maastricht, a norma dei quali gli Stati Membri dell'Unione devono orientare le proprie politiche economiche al rispetto della libera concorrenza, con ciò postulando che la compatibilità delle misure pubbliche con il diritto comunitario possa essere accertata anche indipendentemente dall'esistenza di uno stretto collegamento di tali misure con comportamenti dì impresa. Anche in seno al diritto dell’Unione, tuttavia, si pone in maniera complessa il tema del rapporto tra la concorrenza ed altri valori primari, parimenti meritevoli di tutela, alla stregua del diritto alla salute, del lavoro e della coesione sociale. E, fra questi, può sicuramente annoverarsi il bene giuridico della sicurezza pubblica e, in particolare, della sicurezza nel trasporto stradale. L’esigenza di salvaguardia della sicurezza stradale è ben presente nel diritto dell’Unione. Basti pensare, ad esempio, al recente regolamento CE numero 1071/2009 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 ottobre 2009, che stabilisce norme comuni sulle condizioni da rispettare per esercitare l'attività di trasportatore su strada, nel quale la sicurezza stradale è esplicitamente indicata fra le finalità perseguite attraverso l’individuazione di precisi requisiti soggettivi di idoneità per l’accesso alla professione di autotrasportatore. Allorquando vengano in rilievo interessi generali di rango primario idonei ad incidere sui diritti di iniziativa economica privata, questi debbano essere necessariamente oggetto di un rigoroso giudizio di bilanciamento con la concorrenza e le misure prescelte dal legislatore nazionale per perseguire i relativi obiettivi sono compatibili con il diritto europeo a condizione che siano congrue e proporzionate. Alla luce di tale quadro normativo, il Tribunale dubita che il punto di bilanciamento tra interessi confliggenti raggiunto dall’articolo 83 bis del decreto legge numero 112 del 2008 e s.m.i. sia rispettoso del diritto dell’Unione. La risoluzione di questo dubbio interpretativo, che investe gli articolo 4 3 TUE e 101 TFUE , gli articolo 49 e 56 TFUE, nonché l'articolo 96 TFUE, è necessaria per poter definire il merito della controversia ove, infatti, fosse accertato che il diritto dell’Unione non sia compatibile con il citato articolo 83 bis, dichiaratamente adottato a tutela dell’interesse generale alla sicurezza pubblica e stradale, i provvedimenti impugnati in questa sede, in applicazione di detta disposizione normativa, sarebbero illegittimi. Rinvio pregiudiziale Il Tribunale, premesso che la determinazione autoritativa ed eteronoma di costi minimi di esercizio costituisce una parte essenziale del corrispettivo del servizio e si risolve in una compressione indubitabile della libertà negoziale e, quindi, della libertà di concorrenza e delle libere dinamiche del mercato, dubita che la disciplina introdotta dall’articolo 83 bis citato, ed applicata con i provvedimenti oggetto di gravame, sia valutabile come congrua e proporzionata rispetto all’interesse pubblico tutelato della sicurezza stradale, così da potere trovare in detta finalità di rilievo pubblicistico adeguata e sufficiente giustificazione. La realizzazione di maggiori utili di impresa, come assicurati dalla fissazione autoritativa di costi minimi di esercizio, non appare direttamente e necessariamente strumentale rispetto al fine perseguito della sicurezza stradale. Invero, la predeterminazione dei costi di esercizio a non costituisce l'unica misura attraverso cui apprestare tutela alla sicurezza stradale, apparendo al contrario sicuramente più idonee misure relative agli elementi da cui dipende la sicurezza stessa limiti di velocità, caratteristiche dei mezzi e obblighi di manutenzione, turni di riposo dei conducenti, organizzazione del lavoro e formazione dei conducenti, introduzione di un sistema di responsabilità e sanzioni, con i relativi controlli b non costituisce neanche misura astrattamente idonea a garantire la sicurezza, se non in stretta correlazione con l’adozione di altre misure di sicurezza non sussistendo altrimenti alcuna garanzia che i maggiori margini di utile connessi alla fissazione di un livello minimo di prezzi siano destinati a coprire i costi delle misure di sicurezza c non ha carattere eccezionale ma è suscettibile di applicazione generalizzata d ha un'efficacia temporale illimitata e è contraddetta dalla possibilità, prevista dal comma 4 dell’articolo 83 bis, di deroga ai costi minimi di esercizio nel caso di accordi volontari conclusi tra le organizzazioni associative dei vettori e dei committenti . Più in generale, può osservarsi come la fissazione di tariffe minime, come strumento atto a garantire la sicurezza nella circolazione dei veicoli , non è prevista in nessuna normativa di settore. La disciplina principale in materia di circolazione stradale, infatti, è contenuta nel d.lgs. numero 285 del 1992. In tale decreto alcun riferimento si rinviene in ordine allo strumento della tariffa minima,occupandosi il legislatore piuttosto di disciplinare, ad esempio, i titoli abilitanti la guida articolo 115 e ss. , prevedendo le norme di comportamento su strada articolo 140 e ss. , e le norme sulle modalità costruttive e di equipaggiamento dei veicoli e gli accertamenti tecnici per la circolazione articolo 71 e ss. . Al contrario, nell’originario disegno dettato dal d. lgs. numero 286/2005, in relazione ai contratti scritti di autotrasporto, previsti come la forma ordinaria di contrattazione, la garanzia di rispetto degli standard di sicurezza era affidata alla previsione di nullità delle clausole implicanti modalità e condizioni di esecuzione delle prestazioni contrarie alle norme sulla sicurezza della circolazione stradale articolo 4, co. 2 . Il Collegio osserva poi come nell’attuale sistema la determinazione dei costi minimi di esercizio sia rimesso, in prima battuta, ad accordi volontari di settore fra le associazioni rappresentative dei committenti e dei vettori e, in mancanza, ad un organismo, come l’Osservatorio in seno alla Consulta, la cui composizione è caratterizzata in larga parte da soggetti eletti dalle associazioni di categoria. La sentenza della Corte di Giustizia del 1.10.1998, resa nel noto caso Librandi , con la quale la Corte riconobbe la conformità della legge 6 giugno 1974 numero 298, istitutiva delle tariffe obbligatorie a forcella, con i principi comunitari, precisò come le limitazione al principio di concorrenza siano giustificabili solo alla stregua di un interesse pubblico ritenuto prevalente e secondo misure e criteri di apprezzamento e ponderazione la cui definizione non può che essere rimessa ai pubblici poteri,e non già agli operatori economici di settore. Per tali motivi il Tribunale dubita che sia compatibile con il diritto dell’Unione, e con gli stessi principi affermati dalla Corte di Giustizia nella menzionata sentenza, un sistema normativo che, in mancanza di una predeterminazione normativa di criteri diretti a disciplinare sia pure in via generale l’attività, nella sostanza, affida all’accordo tra gli operatori economici privati la determinazione delle tariffe minime o, in subordine, ad un organismo che, per la sua stessa costituzione, non presenta sufficienti condizioni di indipendenza rispetto alle valutazioni e alle scelte degli stessi operatori del settore. Alla luce di tutto quanto esposto, e nei limiti della sintesi prescritta per i provvedimenti di rinvio pregiudiziale dalla stessa Corte, il Tribunale domanda alla Corte di Giustizia se la tutela della libertà di concorrenza , della libera circolazione delle imprese, della libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi di cui agli articolo 4 3 TUE, 101 TFUE, 49 , 56 e 96 TFUE sia compatibile, ed in che misura, con disposizioni nazionali degli Stati membri dell’Unione prescrittive di costi minimi di esercizio nel settore dell’autotrasporto, implicanti fissazione eteronoma di un elemento costitutivo del corrispettivo del servizio e, quindi, del prezzo contrattuale se, ed a quali condizioni, limitazioni dei principi citati siano giustificabili in relazione ad esigenze di salvaguardia dell’interesse pubblico alla sicurezza della circolazione stradale e se , in detta prospettiva funzionale, possa trovare collocazione la fissazione di costi minimi di esercizio secondo quanto previsto dalla disciplina di cui all’articolo 83 bis del d.l. numero 112/2008 e successive modificazioni ed integrazioni se la determinazione dei costi minimi di esercizio, nell’ottica menzionata, possa poi essere rimessa ad accordi volontari delle categorie di operatori interessate e, in subordine, ad organismi la cui composizione è caratterizzata da una forte presenza di soggetti rappresentativi degli operatori economici privati di settore, in assenza di criteri predeterminati a livello legislativo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza Ter , visto l’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e l’articolo 3 della legge numero 204 del 1958, non definitivamente pronunciando, così provvede - dispone rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, nei sensi di cui in motivazione - sospende il presente giudizio sino alla definizione delle questioni pregiudiziali. Ordina l’immediata trasmissione di copia della presente ordinanza, unitamente agli atti del giudizio, alla cancelleria della Corte di giustizia dell’Unione europea.
TAR Lazio, sez. III Ter, sentenza 17 gennaio – 15 marzo 2013, numero 2720 Presidente Daniele – Estensore Lo Presti Fatto e diritto L’Autorità ricorrente, con l’atto di gravame principale ed i successivi motivi aggiunti, ha impugnato davanti a questo Tribunale, ai sensi dell’articolo 21 bis della legge numero 287/90, tutti gli atti, meglio indicati in epigrafe, adottati dall’Osservatorio sulle attività di autotrasporto e dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti in attuazione della disposizione di cui all’articolo 83 bis del d.l. numero 112 del 2008, come convertito in legge numero 133 del 2008, e successive modifiche ed integrazioni, introducendo in via preliminare questioni di incompatibilità della norma citata con la normativa europea e di legittimità costituzionale. Deduce infatti la ricorrente, dopo avere ricostruito la disciplina normativa italiana in materia di autotrasporto su strada, la illegittimità dell'articolo 83 bis del decreto legge numero 112 del 2008 e s.m.i. per violazione dei principi del diritto dell'UE in materia di concorrenza edi libera circolazione delle imprese, violazione degli articoli 49 e 56 TFUE in materia di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, nonché dell'articolo 96 TFUE, violazione dell'articolo 4 3 TUE e dell'articolo 101 TFUE. Evidenzia nello specifico la ricorrente come la scelta del legislatore di determinazione coattiva dei costi minimi di esercizio, con fissazione di un sistema di tariffe unitario, si ponga in contrasto con il disposto degli articolo 4 e 101 del TFEU, considerato che se la fissazione di prezzi minimi per determinati beni, è una misura senz'altro idonea ad arrecare pregiudizio alle relazioniconcorrenziali, impedendo agli operatori di trarre vantaggio da prezzi di costo inferiori per proporre prezzi più allettanti e, dunque, ostacolando l'ingresso sul mercato di nuovi operatori, analogamente anche la fissazione di tariffe minime per i servizi costituisce una restrizione della concorrenza che lede il diritto alla libera prestazione dei servizi stessi ed il diritto di stabilimento riconosciuto a tutti i cittadini europei, in quanto, pur applicandosi indistintamente, di fatto impedisce o rende più difficile le attività di prestazione di servizi o l'esercizio del diritto di stabilimento del prestatore che sia cittadino di un altro Stato membro. La denunciata incompatibilità tra il dettato dell’articolo 83 bis, commi citati, e la normativa europea non potrebbe, a dire dell’Autorità ricorrente, essere superata neanche invocando la rispondenza delle restrizioni introdotte alla libertà di concorrenza con un interesse pubblico generale – la sicurezza stradale – rispetto al quale il sistema delle tariffe mensili imposte non si porrebbe come misura idonea e proporzionata al fine perseguito. La fissazione di minimi tariffari, infatti, non garantirebbe un effettivo miglioramento degli standards di sicurezza obiettivo invece utilmente perseguibile soltanto mediante il ricorso a diverse misure vincolanti sulle modalità di espletamento del servizio,che incidano sulle voci da cui dipende la sicurezza e ne verifichino il rispetto. Il sistema di determinazione dei costi minimi della sicurezza, dunque, non risponderebbe a criteri predeterminati direttamente e proporzionalmente correlati alla esigenza di salvaguardia della sicurezza stradale. La ricorrente ha altresì proposto questione di legittimità costituzionale dello stesso articolo 83 bis d.l. numero 112/2008 per violazione degli articolo 3 e 41 Cost., 11 e 117 comma primo Cost., nonché per violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità , ritenendo la fissazione dei costi minimi ingiustificata in relazione all’esigenza di tutela della sicurezza, comunque inadeguata sul piano funzionale, discriminatoria e lesiva della libertà negoziale. Ha infine dedotto l’illegittimità dei provvedimenti impugnati, sia per invalidità derivata sia per vizi propri. Le Amministrazioni intimate e gli intervenuti ad opponendum hanno insistito per il rigetto del gravame, evidenziando come la norma richiamata si inserisca in un sistema normativo di liberalizzazione regolata del settore dell’autotrasporto, rispondendo all’esigenza prioritaria di garanzia della sicurezza nella circolazione stradale. All’udienza del 15 novembre 2012 la causa è stata assegnata in decisione, ai fini della definitiva pronuncia di merito, e decisa nelle camere di consiglio dei giorni 15 novembre 2012 e 17 gennaio 2013. 1. In via preliminare vanno esaminate le questioni di inammissibilità del ricorso principale e dei motivi aggiunti sollevate da Confartigianato trasporti. Si assume che il ricorso principale sia inammissibile , per sopravvenuta carenza di interesse all’annullamento degli atti impugnati, considerato che detti atti sarebbero stati revocati e sostituiti con la delibera del 13 giugno 2012 il ricorso per motivi aggiunti, con il quale l’impugnazione è stata estesa proprio a detta delibera, sarebbe inammissibile in quanto non preceduto dalla procedura prevista dall’articolo 21 bis della legge numero 287/90, comma secondo, secondo il quale l’Autorità “emette entro sessanta giorni un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l’Autorità può presentare, tramite l’Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni”. La tesi non può essere condivisa dal Collegio. La questione rimanda, innanzi tutto, al tema generale dei presupposti di procedibilità o di ammissibilità del ricorso proposto dall’Autorità ai sensi dell’articolo 21 bis citato, e al problema più specifico della configurabilità del parere reso in via preliminare dall’Autorità come presupposto necessario per la procedibilità e l’ammissibilità del ricorso giurisdizionale. L’attribuzione della legittimazione a ricorrere direttamente in capo all’Autorità, in seno alla previsione di cui al primo comma dell’articolo 21 bis, e prima che, soltanto al secondo comma, venga disciplinato lo speciale procedimento di interlocuzione con l’Amministrazione interessata, e nel quale si inserisce il parere preliminare dell’Autorità, potrebbe essere letta infatti come possibilità generale dell’Autorità di proposizione diretta del ricorso, senza necessità di previa esplicazione del procedimento di cui al secondo comma come presupposto di procedibilità o ammissibilità dell’iniziativa giurisdizionale. L’opzione interpretativa, fondata sull’articolazione normativa della disposizione nelle due previsioni di cui al primo e al secondo comma dell’articolo 21 bis, e per la quale dunque il secondo comma introdurrebbe, rispetto alla principale previsione del primo comma di immediata impugnabilità degli atti, solo una possibilità alternativa e secondaria di procedere, rimessa al prudente apprezzamento della stessa Autorità, pur garantendo una piena flessibilità degli strumenti di azione e, quindi, anche una maggiore duttilità delle iniziative riservate all’AGCOM, tale da assicurare risposte differenziate anche a seconda della maggiore o minore complessità delle questioni o dell’urgenza del ricorso alla tutela giurisdizionale, non sembra coerente con l’effettiva intenzione del legislatore, quale è possibile evincere da una doppia considerazione. In primo luogo non vi sono argomenti letterali tali per ritenere che la norma, letta nel suo complessivo insieme, abbia voluto introdurre e disciplinare due modalità alternative del procedere, piuttosto che limitarsi a regolamentare nel secondo e nel terzo comma le modalità con cui il ricorso di cui al primo comma debba essere proposto. La norma infatti, secondo una piana e ragionevole considerazione del suo dato letterale, disciplina l’esercizio della legittimazione al ricorso dell’AGCOM avverso atti amministrativi che assuma essere distorsivi della concorrenza, prevedendo al primo comma la stessa attribuzione della legittimazione, specificando al secondo comma, in rapporto di perfetta coincidenza oggettiva con il primo comma, le modalità di proposizione del ricorso e dettando, al terzo comma, le regole processuali applicabili. In secondo luogo, sembra al Collegio che la scelta normativa di condizionare la proposizione del ricorso giurisdizionale al previo espletamento della procedura di cui al comma secondo sia espressione della volontà di assicurare un momento di interlocuzione preventiva dell’Autorità con l’amministrazione emanante l’atto ritenuto anticoncorrenziale, allo scopo di stimolare uno spontaneo adeguamento della fattispecie ai principi in materia di libertà di concorrenza. In altri termini, la configurazione della legittimazione dell’Autorità al ricorso giurisdizionale si pone, nell’attuale dato normativo, come extrema ratio , anche in considerazione del fatto che dà luogo ad un giudizio fra pubbliche amministrazioni privilegiando piuttosto il legislatore modalità preventive di perseguimento dell’obiettivo di garanzia della libertà concorrenziale riconducibili, nella specie, al rapporto di leale collaborazione fra pubbliche amministrazioni. Del resto, la previsione di un termine speciale dimezzato , di trenta giorni, per la proposizione del ricorso – come anche l’applicazione di un rito processuale speciale accelerato - si giustifica proprio in considerazione del fatto che l’iniziativa giurisdizionale è preceduta dalla fase procedimentale di interlocuzione con l’amministrazione emanante l’atto oggetto di contestazione. Ciò chiarito, si pone però il problema del regime dei motivi aggiunti, in assenza di specifica previsione normativa. E tuttavia, ove si consideri che con il ricorso per motivi aggiunti sono impugnabili atti che si pongono in rapporto di sicura connessione oggettiva e soggettiva con quello oggetto del gravame principale cfr. tra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 21 novembre 2003 numero 7632 , e quindi, in sostanza, atti che si inseriscono nella medesima sequenza procedimentale di quello già gravato, non vi è motivo di ritenere che anche la proposizione dei motivi aggiunti debba essere preceduta dalla reiterazione del procedimento interlocutorio di cui al secondo comma dell’articolo 21 bis citato. Se infatti la caratterizzazione funzionale di quel procedimento è quella di consentire una previa interlocuzione sulle possibili lesioni dei principi concorrenziali implicati dall’azione amministrativa esaminata, con fissazione nel parere dell’Autorità degli specifici profili delle violazioni contestate, allorquando l’atto successivo o consequenziale si ponga in linea di continuità con quello originariamente gravato, inserendosi nella medesima sequenza procedimentale, ed evidenziando analoghi profili di lesività rispetto all’interesse tutelato dall’AGCOM, la reiterazione del preventivo modulo procedimentale potrebbe risultare inutile ed antieconomica. Va osservato, peraltro, che lo strumento del ricorso per motivi aggiunti, nel processo amministrativo, risponde a finalità di economicità, celerità e non aggravamento per un verso, e per altro verso alla prioritaria esigenza di garantire un simultaneus processus per la definizione di fattispecie o vicende sostanzialmente unitarie o strettamente connesse. Finalità che si evidenziano anche , e con maggior forza, nei riti speciali , alla cui disciplina l’articolo 21 bis terzo comma rimanda espressamente. Il richiamo di cui al terzo comma citato ai riti speciali vale, quindi,a ribadire la priorità, anche nel procedimento de quo, delle esigenze di celerità e buon funzionamento evidenziando uno dei principi ispiratori della normativa in esame alla luce dei quali l’interprete è tenuto a risolvere anche eventuali dubbi ermeneutici. L’eccezione proposta da Confartigianato trasporti va, alla luce di tutto quanto esposto, disattesa. 2. Sotto ulteriore profilo, poi, Conftrasporto rileva la cessazione della materia del contendere o, comunque, la sopravvenuta carenza di interesse all’annullamento degli atti impugnati in via principale , essendo stati i medesimi revocati e sostituiti dalla determinazione dell’Osservatorio del 13 giugno 2012, ed eccepisce quindi l’improcedibilità del ricorso principale. L’eccezione va disattesa. Premesso, infatti, che l’atto sopravvenuto è stato impugnato con motivi aggiunti, osserva il Collegio che, anche a seguito della nuova delibera di determinazione dei costi minimi, permane l’interesse della ricorrente all’annullamento anche degli atti pregressi, considerato che il regime dei costi minimi rimane fissato, per il periodo di tempo fino all’adozione della nuova delibera, dalle determinazioni di cui agli atti pregressi, che hanno regolato in maniera vincolante l’esercizio dell’autonomia negoziale, e la stipulazione dei contratti, nell’arco temporale della loro efficacia e fino al momento della loro revoca e sostituzione. Peraltro, anche il provvedimento del 13 giugno 2012 , di reiterazione di un regime di costi minimi in attuazione dell’articolo 83 bis, continua ad evidenziare, secondo la prospettazione dei motivi aggiunti, le medesime violazioni dei principi a tutela della libertà di concorrenza contestate dall’Autorità ricorrente con il ricorso principale nei confronti degli atti pregressi cosicchè in nessun modo può ritenersi cessata la materia del contendere a seguito dell’adozione della delibera del 13 giugno 2012. 2.1 Viene poi eccepita la decadenza dell’Autorità dal potere di azione giurisdizionale, per effetto della tardività del parere rispetto al termine di sessanta giorni previsto dal secondo comma dell’articolo 21 bis. Si assume in particolare che detto termine decorra dal momento in cui può essere ritenuta certa la conoscenza da parte dell’Antitrust di situazioni suscettibili di violazione dei principi concorrenziali e che, nel caso di specie, detta conoscenza può essere ricondotta quanto meno al tempo delle segnalazioni effettuate dall’Autorità al Ministero Infrastrutture e Trasporti e al Parlamento sulle medesime questioni sollevate poi con il parere luglio 2010 e dicembre 2011 , con conseguente tardività del parere emesso in data 5 marzo 2012. L’assunto non può essere condiviso dal Collegio. Dalla formulazione letterale della norma di cui al secondo comma dell’articolo 21 bis emerge infatti con chiarezza che il decorso del termine di sessanta giorni per l’emissione del parere è riferito alla conoscenza dello specifico atto, ritenuto anticoncorrenziale, e che sarà oggetto dell’eventuale ricorso giurisdizionale all’esito della fase precontenziosa. Inoltre, secondo i principi generali del processo amministrativo, la parte che eccepisce la tardività deve fornire quanto meno un principio di prova in ordine alla data della piena conoscenza. Nel caso di specie Conftrasporto si limita a riferire in maniera generica di segnalazioni dell’Autorità al Ministero Infrastrutture e Trasporti e al Parlamento sulle medesime questioni sollevate poi con il parere nei mesi di luglio 2010 e dicembre 2011, mentre l’Autorità ricorrente allega di avere avuto conoscenza piena degli atti dell’Osservatorio successivamente impugnati, soltanto a seguito della notificazione di ricorsi presentati da soggetti privati contro i medesimi atti, avvenuta in data 4 gennaio 2012, con conseguente tempestività, rispetto al termine dei sessanta giorni, del parere emesso in data 5 marzo 2012. In disparte la superiore considerazione, il Collegio osserva peraltro, per quanto interessa ai fini del presente giudizio, che, pur costituendo l’espletamento della fase precontenziosa condizione per l’esercizio dell’azione giurisdizionale, non sembra potersi ritenere, in mancanza di espressa previsione normativa in tal senso, che l’eventuale tardività del parere rispetto alla scadenza del termine di sessanta giorni previsto possa implicare la decadenza del potere di azione e la conseguente inammissibilità del ricorso giurisdizionale proposto direttamente avverso l’atto anticoncorrenziale. Ciò anche in quanto oggetto del giudizio, come appresso si chiarirà meglio, è in maniera diretta l’atto ritenuto anticoncorrenziale. 3. Federazione Italiana Autotrasportatori Professionali FIAP, con l’atto di intervento ad opponendum notificato in data 28 giugno 2012, ha poi eccepito l’inammissibilità del ricorso principale per carenza di interesse, in ragione della mancata impugnazione, e del conseguente consolidamento, della nota in data 21 marzo 2012 con la quale il Ministero Infrastrutture e Trasporti ha ritenuto di non potere aderire e di non volersi conformare alle prescrizioni di cui al parere dell’Autorità del 5 marzo 2012. L’onere di impugnazione di detta determinazione, ai fini della persistenza di un interesse concreto ed attuale all’annullamento dell’atto impugnato in via principale, e ritenuto anticoncorrenziale, deriverebbe altresì, secondo l’interveniente FIAP, dallo stesso disposto di cui all’articolo 21 bis. L’eccezione rimanda alla questione più generale relativa all’individuazione dell’oggetto del ricorso dell’Autorità ex articolo 21 bis, trattandosi preliminarmente di stabilire se l’iniziativa giurisdizionale debba essere indirizzata contro l’atto originario, e considerato dall’Autorità lesivo di principi in materia di libertà di concorrenza e buon funzionamento del mercato, ovvero proprio contro l’atto con il quale l’Amministrazione decida di non conformarsi al parere interlocutorio e , quindi, in caso di inerzia, avverso il silenzio . Osserva in proposito il Collegio che il primo comma dell’articolo 21 bis stabilisce in maniera espressa che il ricorso dell’AGCM è proposto avverso “ gli atti amministrativi generali, i regolamenti e i provvedimenti di qualsiasi pubblica amministrazione che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato”. La norma, già secondo il suo dato letterale, sembra indicare chiaramente che l’atto impugnabile è l’atto ritenuto lesivo della concorrenza, e non l’atto successivo con il quale l’Amministrazione decida di non conformarsi al parere interlocutorio dell’Autorità sembra quindi escludere la sussistenza di un onere di contestazione generalizzato degli ulteriori atti della fase precontenziosa. Il secondo comma, che fa riferimento al parere e concede all’Amministrazione un tempo per adeguarsi ad esso, non individua l’oggetto del giudizio, limitandosi, come sopra menzionato, a dettare le regole procedimentali per l’esercizio del potere di azione in sede giurisdizionale. La conclusione resta avvalorata dalla considerazione dell’elemento funzionale della disposizione. Come già accennato, il parere dell’Autorità, che si inserisce nella fase preliminare in termini di necessarietà, venendo a costituire un presupposto indefettibile per l’azione giurisdizionale, mira solo a consentire un momento di interlocuzione preventiva dell’Autorità con l’amministrazione emanante l’atto ritenuto anticoncorrenziale, allo scopo di stimolare uno spontaneo adeguamento della fattispecie ai principi in materia di libertà di concorrenza in esito ad un confronto dialettico che costituisca espressione del principio di leale collaborazione fra pubbliche amministrazioni. Le determinazioni che l’Amministrazione viene ad assumere, a seguito di detta interlocuzione, sia nel senso della conformazione al parere con conseguente ritiro o modifica dell’atto , sia nel senso della conferma della soluzione originaria, non costituiscono estrinsecazione di un potere di autotutela strictu sensu inteso, non implicando alcun apprezzamento di natura tipicamente discrezionale orientato secondo i parametri tradizionali dell’autotutela. In particolare, ove l’Amministrazione ravvisi l’effettività o la fondatezza dei rilievi di cui al parere dell’Autorità, ha l’obbligo di conformare la propria azione alla salvaguardia dei principi in materia di concorrenza, non potendosi certo ipotizzare che, secondo i parametri propri dell’autotutela, rifiuti di modificare o ritirare l’atto lesivo della libertà di concorrenza solo per la mancanza dei presupposti dell’annullamento d’ufficio. L’Amministrazione non potrà, quindi, pur riconoscendo la violazione delle norme a tutela della concorrenza, decidere di non rimuovere o di non modificare l’atto originariamente adottato in ragione dell’asserito difetto dei presupposti di cui all’articolo 21 nonies della legge numero 241/90. Ciò in ossequio alla primazia della tutela della libertà di concorrenza, espressione di valori costituzionali e comunitari e strumento di attuazione del benessere sociale. Ne consegue che anche le determinazioni adottate dall’Amministrazione in esito al parere reso dall’Autorità nella fase precontenziosa rimangono attratte al momento dell’interlocuzione di cui al secondo comma dell’articolo 21 bis, senza assumere una valenza provvedimentale esterna come atti di autotutela e non può quindi configurarsi un onere di impugnativa specifica da parte dell’Autorità, una volta che questa decida di esercitare l’iniziativa giurisdizionale ex comma 1 avverso l’atto ritenuto anticoncorrenziale. 4. Sotto diverso profilo, poi, si contesta la tardività del ricorso principale rispetto alla scadenza del termine di trenta giorni, fissato dal comma 2 dell’articolo 21 bis citato, assumendosi che, nel caso in cui intervenga una determinazione negativa dell’Amministrazione, rispetto alle indicazioni del parere reso dall’Autorità, prima della scadenza del termine di sessanta giorni all’uopo previsto, il termine di trenta giorni per la proposizione del ricorso inizierebbe a decorrere già dalla data di comunicazione della predetta determinazione anziché dalla data di scadenza dei sessanta giorni. La tesi non è condivisa dal Collegio in considerazione del fatto che, come sopra ricostruito, il ricorso non ha ad oggetto l’atto adottato o il silenzio tenuto dall’Amministrazione in esito al parere, in quanto esso non costituisce estrinsecazione di un potere di riesame. Tutta la fase precontenziosa prevista dal comma 2 ha una finalità di interlocuzione , preliminare all’eventuale contenzioso, e ispirata al principio di leale collaborazione, tendente a consentire l’acquisizione e la ponderazione, da parte delle varie amministrazioni procedenti, degli elementi di cognizione espressi dall’Autorità nell’esercizio di una competenza tecnica specialistica e nell’ottica della salvaguardia del bene primario della concorrenza. La scansione temporale di detto procedimento risponde , nel suo complesso, al fine di garantire una sollecita conformazione dell’azione amministrativa alla preminente esigenza di garanzia e tutela dei principi concorrenziali. In particolare, la determinazione adottata dall’Amministrazione, entro il termine di sessanta giorni successivi al parere non assume valenza provvedimentale autonoma, e non comporta la consumazione di un potere nello specifico di un potere di autotutela e riesame . Conseguentemente, è ben possibile che, anche a seguito dell’adozione di una determinazione negativa, nel termine di sessanta giorni possano intervenire ulteriori diverse determinazioni della stessa amministrazione, all’interno di un processo di confronto dialettico con l’Autorità. Per tale ragione il Collegio ritiene che il termine di trenta giorni decorra soltanto dalla scadenza del termine di sessanta giorni che segna la conclusione della fase precontenziosa. 5. Ulteriormente, viene denunciata l’inammissibilità del ricorso e dei motivi aggiunti per essere l’Autorità, in ambedue i casi, rappresentata e difesa da un patrocinatore privato in violazione dell’obbligo, previsto dall’articolo 21 bis cit., di ricorso all’avvocatura dello Stato per l’esercizio dello specifico potere di azione previsto dalla stessa norma. Osserva sul punto il Collegio che l’obbligo di patrocinio erariale previsto dall’articolo 21 bis in capo all’Autorità antitrust, per la proposizione dello speciale ricorso in questione, si pone in rapporto di conformità con la previsione di cui all’articolo 1 r.d. numero 1611/1933 sul patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura per tutte le amministrazioni dello Stato, fra le quali consolidata giurisprudenza annovera anche le Autorità indipendenti. La previsione specifica, rispetto al precetto generale menzionato, sembra valere a concretizzare il precetto di cui all’articolo 43 del r.d. numero 1611/1933 in fattispecie in cui la situazione di conflitto, prevista come eccezionale dallo stesso articolo 43, tende ad assumere carattere di ordinarietà la previsione dell’obbligo specifico dell’Autorità di ricorrere al patrocinio erariale, nonostante l’azione de qua venga normalmente esercitata nei confronti di amministrazione statali anch’esse soggette all’obbligo generale di rappresentanza e difesa in giudizio per mezzo dell’avvocatura dello stato, implica cioè che, in simili fattispecie, di potenziale conflitto di interessi, l’onere del ricorso al patrocinatore privato per la soluzione del conflitto gravi di norma in capo all’amministrazione resistente. Tuttavia, nel caso di specie, al momento dell’esercizio dell’azione giurisdizionale da parte dell’Autorità, l’atto in questa sede impugnato era già stato impugnato da soggetti privati e, nel relativo giudizio RG numero 48/2012 , l’Amministrazione intimata era costituita per mezzo dell’Avvocatura dello Stato. Conseguentemente la situazione di conflitto , in deroga alla regola generale, non poteva non implicare la necessarietà del ricorso da parte dell’Autorità al patrocinatore privato. L’eccezione di inammissibilità va dunque disattesa. 6. Viene infine eccepita l'illegittimità costituzionale dell’articolo 21 bisdella legge numero 287/1990 per violazione degli articolo 24, 103,113 e 95 Cost. La disposizione introdurrebbe, secondo gli intervenienti, una legittimazione al ricorso dell’Autorità Antitrust del tutto disancorata da interessi strutturalmente propri e fondamentalmente privati'', la sussistenza dei quali soltanto consentirebbe, secondi i principi generali, l'accesso alla giurisdizione amministrativa. Il ricorso, come delineato dalla norma, finirebbe con l’atteggiarsi come una sorta di azione d'ufficio , estranea alle previsioni costituzionali ed in violazione del principio di separazione dei poteri. La tesi non è condivisa dal Collegio e il timore di illegittimità costituzionale della norma in esame è destituito di fondamento alla luce delle considerazioni che seguono. La disposizione, lungi dall’introdurre una ipotesi eccezionale di giurisdizione amministrativa di diritto oggettivo, in cui l’azione giurisdizionale mira alla tutela di un interesse generale e non di situazioni giuridiche soggettive di carattere individuale, che porrebbe problemi di compatibilità specie con l’art 103 Cost. secondo il quale gli organi della giustizia amministrativa hanno giurisdizione in materia di interessi legittimi e, nei soli casi previsti dalla legge, di diritti soggettivi , delinea piuttosto un ordinario potere di azione, riconducibile alla giurisdizione a tutela di situazioni giuridiche individuali qualificate e differenziate, benché soggettivamente riferite ad una autorità pubblica. L’interesse sostanziale, alla cui tutela l’azione prevista dall’articolo 21 bis in capo all’Autorità Antitrust è finalizzata, assume i connotati dell’interesse ad un bene della vita il corretto funzionamento del mercato, come luogo nel quale trova esplicazione la libertà di iniziativa economica privata, intesa come “pretesa di autoaffermazione economica della persona attraverso l’esercizio della impresa” cfr. Cass. Sez. unumero 4.2.2005 numero 2207 , tutelato a livello comunitario e costituzionale, costituisce il riferimento oggettivo di una pretesa, giuridicamente rilevante e meritevole di salvaguardia, ad un bene sostanziale. Un bene della vita, dunque, che non si risolve nel mero interesse generale al rispetto delle regole ed alla legalità dell’azione amministrativa rispetto ai parametri di legge che regolano il funzionamento del libero mercato , ma che assume una specifica dimensione sostanziale , che si concretizza e si specifica nelle diverse fattispecie nelle quali trovano applicazione le norme a tutela del buon funzionamento del libero mercato. Le norme sulla libertà di concorrenza disciplinano fattispecie nelle quali si muovono interessi individuali, concreti e qualificati, e quindi fondano situazioni giuridiche soggettive in capo a tutti coloro che agiscono sul mercato, imprese e consumatori, la cui violazione consente l’attivazione dei rimedi giurisdizionali ivi compresi quelli di tipo risarcitorio . L’Autorità AGCM , per la sua stessa caratterizzazione normativa, diventa soggetto primario della salvaguardia dell’interesse al corretto funzionamento del mercato essa è per legge l’affidataria dell’interesse alla concorrenza, in quanto effettivamente portatrice di un interesse sostanziale protetto dall’ordinamento nella specie, nella forma dell’interesse legittimo , che si soggettivizza in capo ad essa come posizione differenziata rispetto a quella degli altri attori del libero mercato. E la titolarità di detto interesse ad un bene della vita dipende dalla scelta del legislatore di affidamento alla stessa Autorità dei compiti di tutela del corretto funzionamento del mercato. L’interesse di cui l’Autorità è portatrice è interesse pubblico, benché individuale e differenziato rispetto all’interesse generale o all’interesse diffuso in maniera indistinta sulla collettività e si specifica come interesse pubblico alla promozione della concorrenza e alla garanzia del corretto esplicarsi delle dinamiche competitive, come condizione e strumento per il benessere sociale. Lo stesso interesse rispetto al medesimo bene della vita, dunque, viene ad atteggiarsi come pubblico o privato, a seconda del soggetto che ne è portatore nelle diverse fattispecie in cui viene in rilievo l’esigenza primaria di garanzia della concorrenza e proprio detto interesse, che è pubblico nella tutela apprestata dalle norme che fissano i poteri e le attribuzioni dell’AGCM, vale a fondare la legittimazione processuale di cui all’articolo 21 bis citato. Il nuovo potere dell’AGCM, più che come potere di azione nell’interesse generale della legge in uno specifico settore, effettivamente di difficile riconduzione all’interesse legittimo, diventa così, per scelta del legislatore, uno degli strumenti volti a garantire l’attuazione dell’interesse pubblico, ma pur sempre particolare e differenziato, alla migliore attuazione del valore “concorrenza”, di cui è specifica affidataria l’Autorità. E ciò anche in possibile rapporto di contrapposizione o diversità con gli ulteriori interessi, pubblici o privati, di altri soggetti che operano sul mercato, come interesse comunque leso dalla mera violazione delle norme a tutela della libertà di concorrenza, e dunque direttamente soddisfatto dal ripristino della legalità violata. Un interesse che, proprio perché comunque leso per la mera violazione delle norme sulla concorrenza, pone un’esigenza di tutela, e di attivazione dei rimedi anche giurisdizionali di tutela, pure quando, e anche sebbene, la lesione del mercato non si traduca in una lesione particolare di posizioni giuridiche soggettive di privati imprese, consumatori, associazioni di categoria . Proprio la peculiarità della dimensione ontologica del bene della vita “concorrenza”, e la primazia della sua rilevanza nel quadro dei valori costituzionali e comunitari, impone che la”giustiziabilità” dell’interesse al libero mercato sia garantita anche quando la violazione delle norme sulla concorrenza non evidenzi una lesione concreta di interessi di operatori privati e non sussistano quindi posizioni giuridiche soggettive private legittimanti l’attivazione dei rimedi di reazione nell’ordinamento. La scelta del legislatore di introduzione di un potere di azione giurisdizionale dell’Autorità a tutela di tale interesse, pubblico ma diverso dall’interesse generale al rispetto della legge affidato al potere giurisdizionale, è dunque una scelta di stretto diritto positivo, che non è condizionata dal vigente quadro costituzionale ma che, anzi, si inserisce nell’ambito degli strumenti di garanzia di effettività del corrispondente valore costituzionale, garantendone una tutela completa. Una scelta che completa la gamma delle attribuzioni e dei poteri che il legislatore attribuisce all’Autorità AGCM individuata come soggetto, altamente qualificato, portatore del bene della vita la concorrenza, appunto e quindi titolare del relativo interesse pubblico, soggettivo e differenziato rispetto all’interesse generale, da un parte, e dall’altra rispetto agli interessi particolari dei soggetti privati che possono, nelle singole fattispecie in cui venga in gioco l’attuazione della concorrenza, trovarsi in una situazione differenziata rispetto alla generalità dei consociati. Tale forma di speciale legittimazione costituisce, per un verso, il completamento del potere già riconosciuto all’AGCM dall'articolo 15 del Reg. CE numero 3/2001 per altro verso, la trasposizione interna di un procedimento previsto dalla normativa dell’Unione quale il ricorso per inadempimento promosso dalla Commissione europea dinanzi alla Corte di Giustizia contro lo Stato che violi gli obblighi derivanti dal diritto dell'Unione articolo 258 TFUE . Ed invero, l'articolo 15, comma 3, del Reg. CE numero 1/2003 prevedeva già che le Autorità degli Stati membri potessero intervenire in un giudizio pendente dinanzi alle giurisdizioni nazionali, presentando osservazioni scritte o, previa autorizzazione del giudice, anche orali, in applicazione degli articolo 101 e 102 TFUE. L'articolo 21-bis , dunque, implementa il ruolo dell'AGCM, trasformandola da mera interveniente che svolge osservazioni a parte processuale che agisce in giudizio, per poter così assicurare la piena effettività delle regole preordinate alla tutela della concorrenza. Il quadro legislativo e giurisprudenziale offre, del resto, sempre più frequenti esempi di aperture alla legittimazione di soggetti pubblici e di associazioni ad agire a tutela di interessi superindividuali. Si pensi in primo luogo alle due ipotesi di legittimazione delle associazioni di categoria ad agire a tutela degli interessi collettivi e degli interessi diffusi previste dall’articolo 4 della legge numero 180 del 2011 legittimazione delle associazioni rappresentate in almeno cinque camere di commercio e delle loro articolazioni territoriali e di categoria ad agire in giudizio sia a tutela di interessi relativi alla generalità dei soggetti appartenenti alla categoria professionale, sia a tutela di interessi omogenei relativi solo ad alcuni soggetti legittimazione delle associazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale, regionale e provinciale ad impugnare gli atti amministrativi lesivi degli interessi diffusi . Una significativa anticipazione della progressiva apertura della legittimazione ad agire era però rinvenibile già nel d. lgs. numero 198 del 2009, che, in attuazione dell’articolo 4 della legge 4 marzo 2009 numero 15, in materia di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici, aveva riconosciuto la possibilità di agire in giudizio per «ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio», oltre che ai singoli titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori, alle “associazioni o comitati a tutela degli interessi dei propri associati”. In questa stessa prospettiva, la giurisprudenza amministrativa si era già spinta a riconoscere la configurabilità di una legittimazione ad agire correlata « per un verso, all’esistenza di interessi giuridicamente rilevanti e omogenei per una pluralità di utenti e consumatori, per altro verso, alla riferibilità di tali interessi ad un soggetto titolare, ed infine, all’esistenza di una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi » riconoscendo, per esempio, all’Ente locale territoriale, ente esponenziale e rappresentativo degli interessi della propria comunità nelle materie di competenza istituzionale, una più ampia legittimazione per « altre materie non direttamente conferitegli dalla legge ». cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 9 dicembre 2010, numero 8683 . 7. Conclusivamente, dunque, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 21 bis può essere dichiarata manifestamente infondata, considerata, con valore assorbente, la necessaria correlazione dei poteri giurisdizionali riconosciuti dall’articolo 103 al Consiglio di Stato e agli altri organi di giustizia amministrativa con il valore primario che l’ordinamento costituzionale e dell’Unione riconoscono alla concorrenza, cui si correla la responsabilità dello Stato per la violazione delle norme UE in questo quadro, infatti, si colloca la coerente attribuzione ad un organo pubblico come l’AGCM del potere di agire anche in sede giurisdizionale in caso di violazione delle norme che tutelano tale valore. 8. Definite tutte le questioni preliminari, nel merito, poi, il Tribunale, lette le osservazioni delle parti, ed aderendo alla domanda proposta in tal senso dalla stessa ricorrente, ritiene di disporre ai sensi dell’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea rinvio pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia, avente ad oggetto l’interpretazione delle norme del Trattato in materia di libertà di concorrenza e di libera circolazione delle imprese, e in particolare degli articolo 4 3 TUE Trattato Unione Europea e 101 TFUE, nonché degli articolo 49 e 56 TFUE Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea , in materia di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, e dell’articolo 96 TFUE, per chiarire se le richiamate disposizioni siano compatibili con il regime di fissazione dei costi minimi di esercizio nel settore dell’autotrasporto, introdotto dal legislatore italiano con l’articolo 83 bis del d.l. numero 112 del 2008, come convertito in legge numero 133 del 2008, e successive modifiche ed integrazioni, e attuato con i provvedimenti impugnati in questa sede ed a questo provvede con separata ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia della superiore questione , con la quale dispone la sospensione del presente giudizio. 9. Resta salva la determinazione di ogni ulteriore questione di merito e sulle spese del giudizio che viene rimessa alla sentenza definitiva. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza Ter , non definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, rigetta le eccezioni preliminari indicate in parte motiva. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.