La partecipazione tardiva del PM e la presenza del praticante avvocato abilitato non costituiscono motivi di nullità della sentenza

Anche nel caso di tardiva partecipazione del p.m. nei giudizi in cui l’art. 70 c.p.c. prevede l’intervento obbligatorio in causa, al fine di stabilire il rispetto della norma, è sufficiente stabilire che il medesimo abbia avuto conoscenza della pendenza del procedimento in modo da rappresentare le proprie conclusioni.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6889/2013, depositata il 20 marzo scorso, precisando altresì che l’attività processuale posta in essere da sostituti non abilitati” non costituisce motivo di nullità, specie ove tale attività sia svolta non in virtù di un mandato difensivo bensì di una delega conferita da legale dominus della pratica. Il caso. La vicenda processuale ha il suo fulcro nell’azione intentata per il riconoscimento giudiziale della paternità naturale. I pronunciati delle Corti di merito confermano la paternità ma al vaglio della Cassazione viene sollevata una duplice questione di legittimità strettamente processuale. In primo luogo il padre censura la violazione dell’art. 3 disp. att. in relazione all’art. 70 c.p.c. in quanto il p.m. avrebbe preso parte nel processo di merito tardivamente e più precisamente solo dopo l’espletamento dell’attività istruttoria. Ulteriore questione è quella relativa alla partecipazione alle udienze di praticanti avvocati in sostituzione dell’avvocato titolare della pratica. Orbene, tale presenza in udienza costituirebbe grave irregolarità oltre che motivo di nullità del procedimento. I comportamenti denunciati non costituiscono per la Suprema Corte motivo di nullità. Generalmente, secondo un comune insegnamento, il processo civile ha ad oggetto situazioni giuridiche di natura sostanziale disponibili, rispetto alle quali ha efficacia la volontà negoziale tra le parti. Ne consegue, quindi, che il ricorso alla giurisdizione diventa un passaggio necessario, laddove le parti non riescano ad addivenire ad un accordo tra di loro. Pertanto la disponibilità del diritto e la circostanza che il processo civile è ad impulso di parte consente all’ordinamento di non intervenire direttamente. Tuttavia, vi sono dei giudizi che vertono su situazioni giuridiche soggettive indisponibili e pertanto si rende necessario l’intervento del p.m A tal fine le norme comprese tra gli artt. 69 – 74 affidano al p.m. il potere–dovere di attivarsi. La tardiva partecipazione del p.m. costituisce nullità? Nella fattispecie inoltre l’art. 3 disp. att. in relazione all’art. 70 c.p.c. prevede che Il pubblico ministero può spiegare il suo intervento anche quando la causa si trova davanti al Collegio, mediante comparsa da depositarsi in cancelleria o all'udienza. Il pubblico ministero che interviene all'udienza prende oralmente le sue conclusioni, che sono inserite nel ruolo di udienza. Se il pubblico ministero che interviene davanti al Collegio non si limita ad aderire alle conclusioni di una delle parti, ma prende proprie conclusioni, produce documenti o deduce prove, il presidente, d'ufficio o su istanza di parte, può rimettere con ordinanza la causa al giudice istruttore per l'integrazione della istruzione . Orbene, come si è avuto modo di esaminare, la prima doglianza posta al vaglio dei giudici di legittimità si riflette sulla tardiva partecipazione del p.m. nell’ambito del giudizio. Tale rilievo, secondo la Cassazione, è privo di pregio poiché anche nelle ipotesi di intervento obbligatorio nel processo è sufficiente, al fine di stabilire l’effettivo rispetto della norma, che il p.m. abbia avuto conoscenza della pendenza del procedimento in modo da rappresentare le proprie conclusioni così come stabilisce l’art. 3 disp. att. in relazione all’art. 70 c.p.c. Cass. 17161/2009 Cass. 25722/2008 Cass., 10894/2005 . A ben vedere, pur volendo discorrere di nullità il vizio in esame colpirebbe solo gli atti anteriori all’intervento effettivo del p.m. e la relativa eccezione di illegittimità avrebbe un solo titolare legittimato a proporla il p.m La sostituzione del difensore con un praticante avvocato non dà luogo a nullità. Non meno interessante e rilevante è la questione afferente alla valenza da attribuire all’attività processuale svolta da parte di un praticante avvocato nella veste di sostituto processuale. Secondo la Suprema Corte la sostituzione del difensore con un praticante avvocato art. 9, comma 3, l. 36/1934 e s.m.i. è normativamente prevista e non dà luogo a nullità. Ogni eccezione in tal senso cadrebbe di fronte al dato oggettivo che l’attività processuale svolta dal praticante avvocato nell’ambito del giudizio di Corte di Appello non avendo la sua genesi in un mandato difensivo, ma in un semplice atto di delega, non viene inficiata. La Cassazione sul punto non va oltre limitandosi a non intravedere un nesso di causalità intercorrente tra tale condotta e il contenuto della decisione impugnata. Tuttavia, alcune osservazioni si rendono necessarie in relazione all’attività svolta dal praticante avvocato in ambito processuale e che pur non formando oggetto di valutazione da parte dei giudici di legittimità portano a rimarcare alcuni avvertimenti. L’assenza di vizio procedurale non esclude la violazione dei profili deontologici. Le attività difensive consentite al praticante avvocato abilitato sono disciplinate in maniera specifica dall'art. 7 L. n. 479/1999 Legge Carotti . L'abilitazione al patrocinio è un beneficio a carattere derogatorio rispetto alla regola ordinaria, secondo la quale chi presta attività difensiva in giudizio deve rivestire la qualifica di avvocato, e dunque gli ambiti di esercizio professionale concessi al praticante sono insuscettibili di interpretazione estensiva. In particolare al praticante abilitato sono accordate competenze dinanzi al tribunale monocratico. L’ordinamento non prevede dunque – in particolare - la facoltà del praticante avvocato abilitato di esercitare il patrocinio in procedimenti innanzi al Tribunale in com-posizione collegiale. Ne consegue, in conclusione, che dei profili deontologici e sanzionatori in merito all’attività svolta in violazione di tali limiti sussistono anche laddove non si tramutano in vizi processuali.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 6 – 20 marzo 2013, n. 6889 Presidente Luccioli – Relatore Piccininni Svolgimento del processo Con atto di citazione ritualmente notificato V.comma conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Paola M.A. - che costituitosi sollecitava l'inammissibilità o il rigetto della domanda -, per sentirne dichiarare la paternità naturale. Il Tribunale accoglieva la domanda con decisione che, impugnata dal M. , veniva confermata dalla Corte di Appello di Catanzaro, che in particolare rilevava l'infondatezza dell'eccezione di nullità, dedotta sotto il profilo dell'omessa partecipazione del P.M. al giudizio dell'eccezione di improponibilità, prospettata in ragione dell'intervenuta statuizione di inammissibilità di istanza di identico tenore, ma non suffragata da alcun riscontro normativo delle argomentazioni svolte dall'appellante nel merito della controversia. Avverso la decisione M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui ha resistito V. con controricorso. La controversia veniva quindi decisa all'esito dell'udienza pubblica del 6.3.2013. Motivi della decisione Con i motivi di impugnazione M. ha rispettivamente denunciato 1 violazione dell'art. 3 disp. att. in relazione all'art. 70 c.p.c., per il fatto che il P.M. avrebbe preso parte al processo soltanto a seguito di ordinanza di rimessione sul ruolo, e quindi dopo l'espletamento dell'attività istruttoria 2 violazione dell'art. 39 c.p.c., in relazione agli artt. 274 c.c. e 326 c.p.c., con riferimento al rigetto dell'eccezione di improponibilità dell'azione. Il giudizio sul punto infatti sarebbe errato, perché la contemporanea pendenza dei due processi dall'identico contenuto avrebbe dovuto indurre a disporre la cancellazione dal ruolo della causa successivamente proposta 3 violazione dell'art. 72, comma 2, l. 30.1.41 n. 12, per l'avvenuta partecipazione al giudizio di procuratore onorario, e ciò in contrasto con la norma per la quale a quest'ultimo non potrebbero essere delegate attività dinanzi ad organi collegiali 4 violazione dell'art. 246 D.Lgs. 1998/51 e l. 24.2.1997 n. 254 e successive modifiche, per effetto della partecipazione ad udienze, in luogo del difensore di parte attrice, di sostituti non abilitati a svolgere attività da compiere davanti al tribunale in composizione collegiale 5 vizio di motivazione nel merito della decisione, sostanzialmente incentrata sia sulle dichiarazioni di testimoni - che viceversa non avrebbero confermato l'esistenza di una relazione affettiva accompagnata da rapporti sessuali fra esso ricorrente e V.M. -, che sull'addebito di mancato espletamento dell'esame ematologico conseguente alla omessa presentazione presso lo studio del consulente officiato a tale scopo, laddove viceversa non sarebbe mai stato esplicitato un rifiuto all'indagine medico legale. Osserva il Collegio che il ricorso è infondato. In particolare, sui singoli motivi si rileva quanto segue la prima censura è incentrata sulla tardiva partecipazione al giudizio del P.M., che sarebbe intervenuto dopo l'esaurimento dell'attività istruttoria, a seguito di rimessione della causa sul ruolo. Il rilievo è tuttavia privo di pregio alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte comma 09/17161, comma 08/25722, comma 06/21065, comma 05/10894, comma 04/22106, comma 97/807, comma 90/3728 , puntualmente richiamata dal giudice del merito nella sentenza impugnata, secondo cui anche nel caso di obbligatoria partecipazione al processo del P.M. è sufficiente, al fine di stabilire l'effettivo rispetto della norma, che egli abbia avuto conoscenza della pendenza del procedimento per rappresentare le proprie conclusioni, circostanza per l'appunto verificatasi nel caso di specie l'eventuale nullità conseguente a vizio relativo alla partecipazione al giudizio del P.M. riguarderebbe soltanto la sentenza, e non spiegherebbe effetto anche in relazione agli atti ad essa anteriori la legittimazione a sollevare eccezione di illegittimità al riguardo potrebbe essere correttamente individuata soltanto in favore del P.M La seconda doglianza di inammissibilità della domanda proposta in primo grado è basata sul fatto che identica domanda di dichiarazione di paternità naturale sarebbe stata rigettata con decisione non ancora passata in giudicato al momento della citazione, esito quest'ultimo che viceversa sarebbe intervenuto nelle more della relativa notificazione. Sul punto la Corte di appello, espressamente investita con il terzo motivo di gravame, ha escluso che si fossero verificate preclusioni di sorta, sotto il duplice aspetto che non vi era stato alcun accertamento giudiziale in ordine al merito della controversia e che comunque il presupposto processuale della proponibilità della domanda, originariamente mancante, era medio tempore venuto a realizzarsi come detto, nelle more della notificazione dell'atto di citazione , rilievi entrambi del tutto condivisibili. Per di più, come ulteriore considerazione a sostegno della correttezza della statuizione adottata sul punto, giova evidenziare come i denunciati effetti preclusivi sarebbero stati riconducibili al giudizio di ammissibilità dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale già previsto dall'art. 274 c.c., norma peraltro non più in vigore per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 50 del 10.2.2006, che ne ha dichiarato l'illegittimità. Con il terzo motivo il ricorrente ha poi denunciato un vizio processuale, consistente nella nullità degli atti posti in essere da procuratore onorario nell'esercizio della delega a lui conferita, nullità che sarebbe stata determinata dalla non delegabilità di atti da compiere dinanzi ad organi collegiali, quale sarebbe stato nel caso di specie il tribunale. Indipendentemente da ogni considerazione in ordine alla genericità della censura, che non consente l'individuazione degli atti asseritamente viziati e la loro eventuale incidenza sulla decisione, va rilevato in proposito che la Corte territoriale ha escluso la configurabilità del vizio denunziato, in ragione dell'accertata conformità dell'operato del Capo dell'Ufficio di Procura delegante al dettato dell'art. 72, comma secondo, dell'Ordinamento Giudiziario R.D. n. 12 del 1941 e successive modifiche , che per l'appunto prevede la possibilità di conferimento della delega in questione anche in relazione ad una determinata udienza. L'affermazione della Corte territoriale è corretta, e pertanto condivisibile. La doglianza risulta peraltro inconsistente anche per altro verso, e cioè per il fatto che la sopra richiamata normativa si limita ad indicare un criterio di massima per l'organizzazione degli uffici del P.M. sicché, come questa Corte ha già avuto modo di precisare, la relativa eventuale violazione sarebbe inidonea a determinare la denunciata nullità comma 09/32279, comma 03/17356, Cass. pen. Sez. VI, n. 20110 del 10.1.2001 Anche con il quarto motivo M. ha denunciato l'irregolare svolgimento di attività processuale, in quanto posta in essere da due sostituti processuali del difensore di parte attrice non abilitati, doglianza che tuttavia risulta infondata per le seguenti concorrenti ragioni la sostituzione di un difensore munito di procura con un praticante avvocato è consentita dalla normativa vigente art. 9, comma 3, l. 36/1934 e successive modifiche e non da luogo a nullità come correttamente rilevato dalla Corte di appello, l'attività processuale del praticante non era stata svolta in virtù di un mandato difensivo dal medesimo direttamente ricevuto dalla parte, bensì più semplicemente in forza di una delega alla sostituzione per quella determinata udienza conferitagli dal legale titolare della difesa, regolarmente fornito di titolo abilitativo all'esercizio della professione forense il ricorrente non ha indicato gli atti processuali asseritamente viziati, né ha precisato alcunché in ordine all'eventuale nesso intercorrente fra i detti atti ed il contenuto della decisione adottata. Resta infine il quinto motivo, con il quale il M. ha denunciato omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio , identificato nell'affermata acquisizione della prova della paternità all'esito delle deposizioni testimoniali raccolte e del comportamento processuale tenuto dall'odierno ricorrente in occasione della disposta indagine di accertamento ematologico . Il rappresentato vizio è tuttavia insussistente, poiché la Corte territoriale ha dato congrua ragione della decisione adottata, valorizzando in particolare dichiarazioni di testimoni deponenti nel senso dell'esistenza di una relazione sentimentale fra l'attuale ricorrente e M V. , nonché il mancato espletamento di consulenza tecnica ematologica per fatto addebitabile al M. , sicché la difforme opinione manifestata sul punto da quest'ultimo rileva soltanto sotto il profilo della non condivisione nel merito della decisione adottata e non vale viceversa ad indicare aspetti idonei a sostenerne l'erroneità, sotto il duplice rappresentato aspetto della contraddittorietà e dell'insufficienza. Conclusivamente il ricorso deve essere quindi rigettato, con condanna del ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.200, di cui Euro 4.000 per compensi, oltre agli accessori di legge.