Alla luce dell’ambiguità delle conclusioni della perizia, il Tribunale non poteva limitarsi a non disattenderla sarebbe stato opportuno, invece, integrare l’accertamento per arrivare a risolvere la questione nodale dell’effettiva compatibilità del regime carcerario con la patologia in atto.
Lo ha rilevato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 9216/13, depositata il 26 febbraio. Il caso. Un imputato presenta istanza di sostituzione della custodia cautelare in carcere, ma la sua richiesta viene respinta. La perizia medico legale, infatti, pur accertando che l’uomo è affetto da una grave depressione in instabile controllo farmacologico, implicante un concreto rischio di suicidio e dunque la necessità di massima sorveglianza, ritiene che la patologia sia compatibile con il regime carcerario, anche se quest’ultimo tende a aggravare sensibilmente il preesistente disturbo psichico. Gli interventi dell’istituto penitenziario. Ricorre allora per cassazione il difensore dell’imputato, lamentando che era stato lo stesso carcere nel quale l’uomo era detenuto a chiederne, mesi prima, il ricovero a causa dell’emergere di un’intenzionalità anticonservativa da qui la citata perizia, che, pur non rilevando un’assoluta incompatibilità con la detenzione, auspicava il ricorso a un regime alternativo. La motivazione del tribunale, insomma, contrasterebbe con gli stessi elementi obiettivi. D’altra parte le condizioni di salute dell’uomo non potevano ritenersi sotto stretto controllo, dal momento che la relazione psichiatrica del carcere evidenziava che le terapie riuscivano a controllare solo parzialmente la sintomatologia in atto. Una perizia in chiaroscuro. A giudizio degli Ermellini il ricorso è fondato il Tribunale, infatti, si è limitato ad affermare che non sussistevano ragioni per disattendere l’esito della perizia d’ufficio, ma queste non sono per niente chiare e lineari, posto che dapprima dichiarano la compatibilità del regime carcerario, ma poi evidenziano il rischio di suicidio e l’instabile controllo farmacologico. Era necessario integrare l’accertamento. Questi ultimi rilievi, però, non sono stati presi in considerazione alla luce dell’ambiguità della perizia, invece, il Tribunale avrebbe dovuto chiedersi se non fosse necessario integrare l’accertamento per arrivare a risolvere la questione nodale dell’effettiva compatibilità del regime carcerario con la patologia in atto. Nonostante la richiesta della difesa, la motivazione tace sul punto e pertanto la Cassazione annulla con rinvio l’ordinanza impugnata.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 dicembre 2012 26 febbraio 2013, n. 9216 Presidente Lombardi Relatore Graziosi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 6 agosto 2012 il Tribunale di Roma ha respinto l'appello presentato nell'interesse di D.S.G. contro l'ordinanza del GUP del Tribunale di Velletri del 4 giugno 2012 di rigetto dell'istanza di sostituzione della custodia cautelare in carcere. Rileva il Tribunale che D.S. è sottoposto a tale cautela dal omissis , quando fu arrestato in flagranza del delitto di illecita detenzione di un ingente quantitativo di hashish, pari a 295 chili articoli 73 e 80, secondo comma, d.p.r. 309/1990 per cui è stato condannato con sentenza del 5 giugno 2012, a seguito di giudizio abbreviato, alla pena di anni sei e mesi otto di reclusione. Rileva altresì che in precedenza, su istanza della difesa incentrata sulla asserita incompatibilità delle sue condizioni di salute con la misura carceraria ex articolo 275, comma 4 bis c.p.p. il GUP lo ha sottoposto a perizia medico-legale ex articolo 299, comma 4 ter c.p.p. Dalla relazione del 28 maggio 2012 risulta che è affetto da una grave depressione endoreattiva in instabile controllo farmacologico associata a esiti di trauma cranico fratturativo la quale comporta un concreto rischio di suicidio per cui deve essere mantenuto in regime di massima sorveglianza la patologia è comunque compatibile con il regime carcerario anche se quest'ultimo tende ad aggravare sensibilmente il disturbo psichico, peraltro già preesistente alla detenzione . Pertanto è stata rigettata l'istanza tenendo conto anche del fatto che dalla cartella clinica acquisita dal perito presso l'Istituto di detenzione risulta che l'imputato fin dal 2006 presentava abuso cronico di cocaina in paziente con grave sindrome depressivo - ansiosa endogena cronicizzata , patologie cronicizzate ed irreversibili certificato del medico curante 22 dicembre 2006 e che già all'epoca le terapie scarsamente gli giovavano. Il Tribunale condivide la vantazione del primo giudice, non sussistendo motivi per disattendere il risultato della perizia d'ufficio. D'altronde la difesa propone come alternativa solo gli arresti domiciliari presso l'abitazione coniugale e non presso struttura ospedaliera, e la moglie dell'imputato è a sua volta in precarie condizioni psichiche. Riguardo poi alle esigenze cautelari, la gravità del fatto presuppone stabili ed approfonditi rapporti con ambienti di criminalità organizzata, benché l'imputato sia privo di precedenti specifici, per cui si riscontra un pericolo di recidiva specifica talmente elevato da non consentire misure alternative alla custodia in carcere. 2. Contro l'ordinanza il difensore dell'imputato ha presentato ricorso così qualificando i motivi mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo quali la Relazione Psichiatrica trasmessa dal Carcere di Velletri in data 02.05.2012 a firma del Prof. Dott. M.F. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell'applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 3 CEDU, 32 Cost., 275, comma 4 bis e comma 4 ter e 299, comma 4 ter , c.p.p. . Rileva che il 4 maggio 2012 era stato proprio il carcere di Velletri a trasmettere una relazione che segnalava sintomatologia ansioso-depressiva grave solo parzialmente sensibile alle terapie, nonché una richiesta, già dal gennaio 2012, di ricovero ex articolo 112 d.p.r. 230/2000 perché emergeva un'intenzionalità anticonservativa . Di qui la perizia, che concludeva nel senso che pur non essendoci una piena incompatibilità con la detenzione, sarebbe stato opportuno, ai fini di un miglioramento della malattia psichiatrica, ricorrere ad un regime alternativo al carcere . Il Tribunale ha dunque sostenuto la sua motivazione in contrasto con gli stessi elementi obiettivi. In particolare, non è esatto che le doglianze difensive si fossero limitate a riproporre acriticamente le conclusioni della precedente relazione di parte, né è esatto che le condizioni di salute dell'imputato fossero costantemente tenute sotto controllo. La difesa invece aveva evidenziato che dalla relazione psichiatrica del carcere di Velletri e soprattutto dalle conclusioni del perito M. emergeva una situazione di incompatibilità con il carcere delle condizioni di salute dell'imputato, alla luce degli articoli 32 Cost. e 275, commi 4 bis e 4 ter , c.p.p La difesa richiama l'incidenza sulla materia cautelare degli articoli 13, 32 e 27 Cost., per cui il carcere deve essere extrema ratio , inapplicabile addirittura quando le esigenze di tutela sociale ex articolo 274 c.p.p. vanno poste in bilanciamento con il diritto alla salute. Pertanto ex articolo 275, comma 4 bis , c.p.p. la custodia cautelare in carcere non può essere né disposta né mantenuta in presenza di una malattia incompatibile con lo stato di detenzione e comunque tale da non consentire adeguate cure in carcere e il comma 4 ter della stessa norma disciplina gli arresti domiciliari presso un luogo di cura o di assistenza o di accoglienza quando la custodia cautelare presso idonee strutture sanitarie penitenziarie pregiudica la salute. Non sussiste dunque discrezionalità del giudice al riguardo e il comma 4 ter supera l'incompatibilità con il carcere di cui al precedente comma solo in presenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza Cass. sez. VI, 12 aprile 2011 n. 14571 rendendo comunque necessaria anche la verifica di una concreta adeguatezza delle strutture sanitarie penitenziarie Cass. sez. I, 1 agosto 2011 n. 30495 . Lo stesso perito M. ha d'altronde invocato per l'imputato la necessità di un regime alternativo al carcere. Non corrisponde poi alla realtà l'asserto che le condizioni di salute dell'imputato siano sotto stretto controllo perché la relazione psichiatrica del 2 maggio 2012 del carcere di Velletri evidenziava che la sintomatologia depressiva era solo parzialmente controllata dalle terapie e che la intenzionalità anticonservativa aveva già motivato una richiesta di applicazione dell'articolo 112 d.p.r. 230/2000 dal gennaio 2012. L'accertamento dell'incompatibilità delle condizioni di salute deve essere svolto anche in concreto e va altresì rilevato che nella camera di consiglio del 6 agosto 2012, alla luce del richiesto ricovero poi attuato e della risalenza dell'accertamento del perito al maggio 2012, la difesa aveva chiesto ulteriori accertamenti tecnici, che potevano essere disposti dal giudice d'appello, il quale non ha minimamente motivato sulla sua scelta di decidere in merito all'istanza senza procedere agli ulteriori accertamenti e senza neppure acquisire il dato relativo all'esito del richiesto ricovero. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato. Dirimente è invero il riflesso sulla motivazione della valutazione della compatibilità della custodia cautelare in carcere con le condizioni di salute dell'imputato, sia alla luce di quanto già acquisito al riguardo quanto è stata emessa l'ordinanza in questa sede impugnata in particolare, della perizia M. , sia sotto il profilo della necessità o meno di espletare ulteriori accertamenti. Su questi aspetti il vizio motivazionale denunciato sussiste evidentemente. In particolare, riguardo al primo aspetto, il Tribunale, dopo avere sintetizzato le conclusioni della perizia M. nel senso che l'imputato è affetto da una grave depressione endoreattiva in instabile controllo farmacologico , patologia che comporta un concreto rischio di suicidio per cui occorre regime di massima sorveglianza , ma che è comunque compatibile con il regime carcerario anche se quest'ultimo tende ad aggravare sensibilmente il disturbo psichico e richiamato la doglianza della difesa sulla incompatibilità delle condizioni di salute dell'imputato alla luce della suddetta perizia, si limita ad affermare che non si ravvisano fondate ragioni per disattendere l'esito della perizia d'ufficio . In realtà, essendo tali conclusioni della perizia d'ufficio tutt'altro che chiare e lineari da un lato, in sintesi, dichiarando il perito la compatibilità del regime carcerario, dall'altro dando atto non solo del sensibile aggravamento conseguente al carcere di una patologia inclusiva di un concreto rischio di suicidio, ma altresì espressamente indicando l'esigenza di una massima sorveglianza visto anche l'instabile controllo farmacologico , l'affermazione che l'esito della perizia si pone nel senso esclusivo della compatibilità, tacendo sugli ulteriori rilievi che il perito ha aggiunto pervenendo, mediante una sorta di aliquid datum aliquid retentum, sulla soglia della contraddittorietà, si concretizza in una motivazione apodittica, se non addirittura apparente, che schiva il punto centrale della questione l'effettiva compatibilità o meno del regime carcerario con la patologia affrettandosi invece ad esaminare altri aspetti come la proposta degli arresti domiciliari e le esigenze cautelari in termini di recidiva . L'ambiguità della conclusione della perizia, poi - e questo collega al secondo aspetto sopra evidenziato come determinante -, rendeva evidentemente ineludibile, sempre su un piano di evidente logica, porsi il quesito della necessità o meno di una integrazione dell'accertamento ma, nonostante la richiesta in tal senso della difesa dell'imputato, al riguardo la motivazione tace, come se sussistesse una luminosa certezza di compatibilità che è ben lontana dalle conclusioni in chiaroscuro del perito così come sintetizzate dallo stesso Tribunale. Il vizio motivazionale, emerso dunque come ricorrente nella forma di mancanza della motivazione stessa in rapporto alle risultanze della perizia effettuata dal GUP, comporta, in conclusione, l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata al Tribunale di Roma, in diversa composizione. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Roma.