Quando assumere fideiussioni integra bancarotta societaria ...

Integra l’ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale il rilascio di garanzie fideiussorie a favore di altre società del gruppo di cui sia noto lo stato di difficoltà, per importi esorbitanti dalla capienza della società garante, trattandosi di atto che – addebitando un immediato e sproporzionato sacrificio alla società garante in vista di vantaggi del tutto aleatori – è incompatibile con la corretta espressione del potere di amministrazione.

Questo il principio affermato dalla Sezione V Penale della Cassazione nella sentenza n. 28284 del 28 giugno 2013. Bancarotta societaria ed operazioni dolose. Preliminarmente allo svolgere alcune riflessioni sulla valenza della pronuncia in commento occorre ripercorrere, per brevissimi capi, quello che è l’attuale assetto normativo, che attribuisce penale rilevanza, in caso di fallimento, alle operazioni dolose poste in essere da amministratori, sindaci, direttori generali e liquidatori ai sensi dell’art. 223 l.f Detta norma come noto, oltre a prevedere al comma 1° l’applicazione della pene di cui all’art. 216 l.f. ai soggetti attivi appena menzionati allorché realizzino i fatti preveduti nello stesso art. 216 l.f., punisce al comma 2, n. 1, sempreché naturalmente la società sia dichiarata fallita, gli organi societari che abbiano commesso fatti previsti come reati societari che abbiano cagionato o concorso a cagionare il dissesto. Una seconda ipotesi di bancarotta fraudolenta societaria impropria è configurata, poi, nell’art. 223, comma 2, n. 2, l.f., che punisce i medesimi soggetti attivi allorché abbiano cagionato, con dolo o per effetto di operazioni dolose, il fallimento della società. Trattasi, pacificamente, di una fattispecie di chiusura del sistema della bancarotta fraudolenta, con una valenza tendenzialmente onnicomprensiva volta a reprimere tutte quelle altre condotte che abbiano cagionato il fallimento, dettata, evidentemente, dalla difficoltà per il legislatore di tipizzare tutte le molteplici condotte e forme in cui manifestarsi il dolo dei soggetti attivi. Per operazioni dolose devono intendersi tutte quella attività economiche riconducibili alle funzioni societarie espletate dai soggetti attivi della fattispecie che si caratterizzano per un abuso dei poteri o violazione dei doveri attinenti alla funzione rivestita dai soggetti qualificati. Il caso. È in tale contesto normativo che trova collocazione la fattispecie concreta oggetto della pronuncia in disamina, in cui l’amministratore di una società viene condannato in primo grado ed in sede di appello per avere, tra le altre condotte contestate, rilasciato, quale amministratore di una società, garanzie fideiussione per molti miliardi a favore di società riconducibili al medesimo gruppo, in modo assolutamente sproporzionato alle potenzialità sociali e senza garanzie né contropartite. Nei motivi di ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato evidenzia infatti come il rilascio delle garanzie fideiussorie fosse stato preventivamente e regolarmente autorizzato dalla assemblea dei soci e, pertanto, l’amministratore si era limitato a dare esecuzione alle delibera assembleare che, peraltro, aveva disposto il compimento di una operazione assolutamente lecita, che, lungi dal poter configurare una operazione dolosa, poteva al limite caratterizzarsi come operazione incauta e, dunque, colposa e pertanto non punibile ai sensi dell’art. 223 comma 2°, n. 2, l.f., che limita la penale rilevanza alla sole condotte dolose. Rilascio di fideiussione e bancarotta . Il punto nodale affrontato dalla Suprema Corte si risolve pertanto nella verifica se ed in presenza di quali requisiti il rilascio di fideiussioni ad altra società possa integrare il delitto di bancarotta, nel caso, evidentemente, di successivo fallimento della società stessa. La cassazione richiama propri precedenti giurisprudenziali sul punto nei quali non aveva esitato ad affermare la sussistenza del delitto di bancarotta sulla base tuttavia di due diversi canoni interpretativi e con riconducibilità a diverse fattispecie astratte. . un primo filone interpretativo . In un primo caso, infatti, la Cassazione Cass. Sez. V, 22 febbraio 2007, n. 11019 aveva già avuto modo di affermare come il rilascio di fideiussioni a favore di terzi, coinvolgente un forte impegno in vista di un vantaggio del tutto aleatorio e, comunque, assai più contenuto dell'attuale beneficio reso, si appalesasse come un atto incompatibile con la corretta espressione del potere di amministrazione. In tale pronuncia si era, altresì, chiarito come tali condotte restassero al di fuori della sfera punitiva dell'art. 2634 c.c. infedeltà patrimoniale degli amministratori in quanto atti non riconducibili ai poteri di gestione dell'esponente societario e pertanto, al limite, ricadenti piuttosto, con il concorso degli ulteriori requisiti, nella sfera punitiva dell'art. 646 c.p Tali atti infatti vanno ritenuti estranei all'oggetto sociale, inteso quest'ultimo non già soltanto nella sua formale previsione statutaria, ma quale programma imprenditoriale capace di perseguire l'attività sociale prescelta e concordata dai soci e, di poi, consacrata nel patto fondamentale della società. Così esula dallo statuto sociale il contratto che – sia pure con valutazione ex ante – addebiti un immediato e sproporzionato sacrificio finanziario della società in vista di un beneficio che, anche se non astrattamente inesistente, secondo i canoni della ragionevolezza offre probabilità di insuccesso. Secondo tale impostazione giurisprudenziale, pertanto, il rilascio di fideiussioni può collocarsi nella fattispecie residuale di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, l.f Nel dettaglio, detta condotta non appare integrare la fattispecie di cui all’art. 2634 c.c. con conseguente riconducibilità all’art. 223, comma 2, n. 1, l.f. , ma quella di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, che racchiude in sé una fattispecie residuale, a chiusura del compendio punitivo della bancarotta fraudolenta impropria. Detta norma, infatti, sanziona condotte di frode ai creditori non riconoscibili nella restante disciplina, purché causalmente correlate al fallimento dell'organismo societario e connotate da intrinseca illiceità dolosità rapportata ai criteri di corretta gestione. Nel dettaglio, tale norma sanzione comportamenti intrinsecamente estranei all'interesse sociale, in cui l'organismo societario risulti strumentalmente finalizzato al perseguimento di scopi non ammessi dall'ordinamento. Ecco perché tale abuso dei poteri di gestione, effettivamente non riconducibile ad altri fatti descritti dai referenti penal-societari, concreta una operazione dolosa che, se casualmente collegata al fallimento della società, integra l'elemento oggettivo della fattispecie in esame. . ed una seconda interpretazione. Secondo altra impostazione giurisprudenziale Cass. Sez. V, 06 novembre 2004, n. 6462 , sempre richiamata nella pronuncia in commento, invece, il rilascio di fideiussioni al di fuori degli scopi sociali, e con effettivo depauperamento del patrimonio sociale in danno dei creditori senza corrispettivo per la società, integra già una condotta di distrazione ai sensi dell’art. 216, comma 1, l.f., richiamato in ambito societario dall’art. 223, comma 1, l.f Secondo tale, invero più risalente, impostazione [l]a fideiussione può integrare la distrazione indicata, quando costituisce uno strumento anomalo ai fini della attività sociale, con il quale l'amministratore della società determina, senza alcun utile per il patrimonio sociale, un effettivo depauperamento di questo ai danni dei creditori. Il comportamento degli amministratori, in tal caso, va considerato viziato da abuso o infedeltà nell'esercizio della carica ricoperta, tale da aver cagionato il dissesto economico - finanziario della impresa . Nessuna presa di posizione. Gli ermellini, nel caso di specie, senza prendere esplicita posizione per l’uno o l’altra impostazione, si limitano ad evidenziare come in effetti il rilascio di fideiussione senza alcun corrispettivo per la società, concretandosi in assunzione di obbligazioni estranee alla vita sociale, attesa la natura immobiliare della società de quo , abbia integrato una condotta idonea a determinare l’effettivo fallimento della società, senza alcuna potenzialità di apportare alcun vantaggio concreto alla società stessa. A nulla pertanto rileva – prosegue la Corte – quanto sostenuto dalla difesa dell’imputato, e cioè che il rilascio di fideiussioni fosse stato preventivamente deliberato dall’organo assembleare, trattandosi in questo caso di un amministratore che pone in essere veri e propri atti di distrazione” – con ciò aderendo seppur implicitamente al secondo dei summenzionati filoni interpretativi – rispetto ai quali la debita e preventiva autorizzazione non ha alcuna efficacia scriminante. Resta il punto, non affrontato dalla pronuncia in esame – correttamente, peraltro, in quanto non oggetto di specifica doglianza – di verificare quando, di fronte alla condotta ritenuta distrattiva, l’amministratore sia in grado di dimostrare che la stessa società, da tale operazione, abbia comunque realizzato benefici indiretti derivanti dal vantaggio complessivo del gruppo cui appartiene, con conseguente totale e completa compensazione di tutti gli effetti negativi generati dalla distrazione, poiché in tale caso, come di recente affermato Cass. Sez. I, 13 dicembre 2012, n. 48327 , la bancarotta per distrazione non potrà ritenersi integrata.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 maggio - 28 giugno 2013, n. 28284 Presidente Zecca – Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Milano, con sentenza del 18/3/2011, in parziale riforma di quella emessa dal locale Tribunale, ha condannato C.M. a pena di giustizia per una serie di reati, di natura associativa e fallimentare, commessi in relazione alla gestione di numerose società, tutte facenti capo a R.P. e N.F. e fallite tra il omissis , nonché al risarcimento del danno morale subito dal Ministero dell'Economia e delle Finanze e dalla Banca Nazionale del Lavoro in conseguenza del reato associativo. Più precisamente, il C. è stato ritenuto responsabile dei seguenti reati - associazione a delinquere reato commesso in concorso con R.P. e N.F. , ritenuta pel lui l'ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 416 cod. pen., avendo aderito, nella sua qualità di dottore commercialista, ad un programma criminoso ideato da R. e N. , finalizzato a commettere una serie indeterminata di reati contro il patrimonio, contro la fede pubblica e contro gli interessi erariali capo A - concorso nella bancarotta fraudolenta patrimoniale della ALVAL srl,, dichiarata fallita l'll-10-1994 capo G1 . La distrazione è stata consumata con l'acquisto, da parte della ALVAL srl di cui era amministratore N.F. , ad aprile del 1990, delle quote della DISAL srl, di cui era amministratore C.M. quote detenute da V. , D.S. e dallo stesso C. , quest'ultimo per la quota del 49% , per il prezzo di £ 30 miliardi, a fronte di un valore reale di 13 miliardi. Dopo l'acquisto, il prezzo corrisposto dalla ARVAL ottenuto tramite finanziamenti bancari richiesti dalla stessa ARVAL srl e dalla VISMARA srl, anche questa amministrata da C. veniva girato da C. , attraverso complesse operazioni bancarie, a R. e N. , di cui era fiduciario - concorso nella bancarotta fraudolenta della IMPRENORI Spa, dichiarata fallita il 9 dicembre 1993. In questo caso il C. è stato ritenuto responsabile del reato per avere, quale sindaco della IMPRENORI spa, volutamente omesso ogni controllo sulla gestione della società, consentendo agli amministratori R. e N. di presentare allo sconto cambiali per oltre 7 miliardi di lire nel 1990, per oltre 12 miliardi nel 1991, per oltre 33 miliardi nel 1992 e per oltre 4 miliardi nel 1993, false o comunque emesse in assenza di un rapporto sottostante, allo scopo di ricorrere abusivamente al credito bancario e di mascherare l'insolvenza, cagionando in questo modo il fallimento della società capo L-7B - concorso, quale extraneus, nella distrazione della somma di £ 8.834.000.000, ottenuta dalla FIMO srl amministrata da R. e N. e dichiarata fallita l' omissis e girata alla ARVAL per l'acquisto delle quote della DISAL srl, di cui al capo G1. Il 30 settembre 2001 la ALVAL srl effettuò poi due bonifici di L. 2.500.000.000 a favore di C. e V. capo P - concorso nella bancarotta fraudolenta patrimoniale della TREDIL srl, dichiarata fallita l' OMISSIS , per avere, quale amministratore di diritto N. e R. amministratori di fatto , dissipato il patrimonio della societario rilasciando fideiussioni per L. 37.500.000.000 a favore della IMPRENORI SPA, SALVIT SPA E GIARDINI DELLA MARTESANA SRL, assolutamente sproporzionate rispetto alle potenzialità sociali e senza garanzie né contropartite nonché del reato di bancarotta documentale per aver tenuto le scritture contabili in modo da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari capo T - concorso nella bancarotta fraudolenta patrimoniale della VISMARA Srl, dichiarata fallita il 13/10/1994, per avere, quale amministratore di diritto N. e R. amministratori di fatto , distratto la somma di L. 8.370.000.000 costituente parte di un finanziamento di 13 miliardi ottenuto dalla Banca Popolare di Abbiategrasso dirottandola verso società controllate ALVAL SRL, che a sua volta la girava al C. ed altre società del gruppo , nonché per aver cagionato il fallimento della società attraverso la suddetta operazione e attraverso l'emissione di effetti cambiari per complessivi 4.620.000.000, privi di rapporto sottostante, a favore della IMPRENORI spa. 2. Alla base della resa statuizione vi sono le relazioni del curatore fallimentare, acquisite al fascicolo dopo la sua audizione dibattimentale la corposa documentazione acquisita dalla Guardia di Finanza durante le indagini le consulenze tecniche di parte sia del Pubblico Ministero che degli imputati , nonché le dichiarazioni di questi ultimi e di vari testi. 3. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell'interesse dell'imputato, l'avv. Fausto Maniaci, con cinque motivi di ricorso. Col primo si duole dell'omessa rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, ex art. 606, lett. b - c - d cod. proc. pen., inutilmente richiesta al giudice d'appello per l'acquisizione della sentenza di I grado resa nei confronti dell'avv. Q. , giudicato separatamente per gli stessi reati, e visura camerale della IMPRENORI Spa documenti ritenuti decisivi dal ricorrente, perché in grado di provare la estraneità del C. al collegio sindacale della società suddetta e scoperti dopo la sentenza di primo grado. Col secondo censura la sentenza per vizio di motivazione, laddove è stata ritenuta la corresponsabilità del C. per la bancarotta della DISAL srl capo G1 , la bancarotta per distrazione della Vismara srl capo U2 , il concorso esterno nella bancarotta della FIMO srl capo P . Il ricorrente rileva che la responsabilità del C. è collegata all'acquisto delle quote della DISAL srl per la somma di £ 30 miliardi, a fronte di un valore accertato dalla G. di F. di soli 13 miliardi, e che l'operazione era già stata avviata nel 1990, allorché il C. non aveva alcuna carica sociale. Col terzo si duole, sotto il profilo del vizio motivazionale, della ritenuta corresponsabilità dell'imputato nella bancarotta della TREDIL srl capo T , dove, argomenta, il C. si era limitato a mettere in ordine i conti e ad attuare opportunamente la rivalutazione del terreno di XXXXXXXX fatto di cui vi sarebbe concreto riscontro nella relazione del curatore. Quanto agli impegni fideiussori assunti dalla società, il difensore fa rilevare che questi erano stati regolarmente autorizzati dall'assemblea dei soci quindi, C. si limitò ad eseguire operazioni decise da altri e comunque non illecite al massimo incaute. Col quarto censura la sentenza per violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta partecipazione del C. all'associazione a delinquere contestagli al capo A , che, ad avviso del ricorrente, è stata desunta dagli incarichi ricoperti dal C. nelle società, invece che dal contributo da lui dati ai singoli illeciti. Col quinto lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alle statuizioni civili. Deduce che il Ministero dell'Economia e delle Finanze non era legittimato alla costituzione di parte civile per far valere danni derivanti da reato associativo, competendo la legittimazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, quale organo di vertice dell'Esecutivo e che un Istituto bancario di diritto privato, quale la BIML, non è titolare di una posizione risarcitoria da danno morale, collegato ad un delitto l'associazione a delinquere che non offende l'ente. Considerato in diritto Il ricorso è fondato limitatamente ad una parte delle statuizioni civili è infondato nel resto. 1. Manifestamente infondato è il primo motivo di ricorso, concernente l'omessa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. Nel giudizio d'appello, trattandosi di un procedimento critico che ha per oggetto la sentenza impugnata, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale è un istituto di carattere eccezionale, rispetto all'abbandono del principio di oralità del secondo grado, nel quale vale la presunzione che l'indagine istruttoria abbia ormai raggiunto la sua completezza nel dibattimento svoltosi innanzi al primo giudice. In una tale prospettiva, l'art. 603, comma 1, c.p.p. non riconosce carattere di obbligatorietà all'esercizio del potere del giudice d'appello di disporre la rinnovazione del dibattimento, anche quando è richiesta per assumere nuove prove, ma vincola e subordina tale potere, nel suo concreto esercizio, alla rigorosa condizione che il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti. Con la conseguenza che, se è vero che il diniego dell'eventualmente invocata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale deve essere spiegato nella sentenza di secondo grado, la relativa motivazione sulla quale nei limiti della illogicità e della non congruità è esercitabile il controllo di legittimità può anche ricavarsi per implicito dal complessivo tessuto argomentativo, qualora il giudice abbia dato comunque conto delle ragioni in forza delle quali abbia ritenuto di potere decidere allo stato degli atti Cassazione penale, sez. IV, 28/04/2011, n. 23297 . È quanto avvenuto nel caso di specie, giacché la qualità di sindaco della Imprenori spa è stata desunta, dai giudici, dalle parole dello stesso imputato, il quale, interrogato in sede dibattimentale, raccontò di essere entrato nel collegio sindacale della società suddetta su richiesta dell'avv. Q. e in sostituzione del dr. S. , che aveva ottenuto un altro incarico alla Cariplo pag. 9 della sentenza di I grado . Del tutto eccentrica è apparsa, pertanto, al giudice d'appello la richiesta fatta dal difensore di provare l'estraneità del C. alla società suddetta attraverso la sentenza pronunciata, in altro procedimento, a carico di altro imputato l'avv. Q. , nonché attraverso la visura camerale della Imprenori spa. A parte il rilievo, infatti, che non è dato comprendere, né è stato spiegato, come l'esito del giudizio svoltosi a carico del coimputato possa condizionare quello che concerne l'odierno ricorrente, posto che la posizione del C. nella Imprenori spa costituisce l'oggetto dell'accertamento di questo e non di altro processo e a parte il fatto che la qualità di sindaco di una società di capitali deriva dalla nomina fatta dall'assemblea, a cui consegue l'obbligo degli amministratori di iscriverla, entro 15 giorni, nel Registro delle Imprese, senza che all'omissione sia collegata alcuna conseguenza sostanziale in punto di efficacia della nomina , nulla è stato detto sui motivi per cui C. stesso ha riconosciuto di essere stato sindaco della società suddetta fino alla data del fallimento e perché, per tutto il procedimento di primo grado, si sia difeso nel merito dell'imputazione, dando per scontata la qualità che ha successivamente rinnegata. Il rigetto, sia pure implicito, dell'istanza di rinnovazione dell'istruttoria appare, pertanto, la conseguenza inevitabile dell'impostazione difensiva e si sottrae, pertanto, alle censure di illogicità mosse dal ricorrente. 2. Non merita accoglimento nemmeno il secondo motivo di ricorso, che concerne le bancarotte della ALVAL srl capo G1 , della FIMO srl capo P e della VISMARA srl capo U2 . In questo caso la difesa di C. è incentrata sul rilievo che l'imputato non poteva conoscere il valore esatto della partecipazione in DISAL srl, venduta da C. , V. e D.S. titolari delle quote ad ALVAL srl per 30 miliardi di lire, a fronte di un valore effettivo di 13 miliardi. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato. È inammissibile nella parte in cui propone una diversa ricostruzione delle vicende che hanno portato all'incolpazione e, poi, alla condanna del C. per i reati sopra specificati è infondato nella critica al ragionamento seguito dai giudici di merito per l'affermazione della responsabilità. Appartengono alla prima categoria i rilievi circa l'epoca di avvio della collaborazione del C. con R. e N. , che il difensore colloca nel dicembre 1990 allorché divenne amministratore della VISMARA srl ed i giudici di merito anticipano quantomeno al mese di settembre del 1989, allorché fu emessa dalla DISAL srl, di cui era amministratore il C. , una fattura per operazioni inesistenti di L. 13.680.000.000 capo D della rubrica . È ugualmente inammissibile nella parte in cui riconduce la bancarotta della ALVAL srl, nonché della FIMO srl e della VISMARA srl, alla sopravvalutazione, da parte del perito D.S. , del terreno di proprietà della Confraternita Somaini , laddove i giudici di merito hanno argomentato diversamente e molto più articolatamente la perizia D.S. , del novembre 1990, aveva valutato le quote della DISAL srl in 30 miliardi di lire in considerazione del fatto che la DISAL srl aveva acquistato il 30/9/1990 le quote della FIMO srl e il 20/10/1990 le quote della TIBURIA srl, del cui patrimonio il perito tenne conto nelle sue valutazioni rilevando che la FIMO srl srl aveva stipulato, il 16/7/1990, un preliminare di acquisto di un'area sita in OMISSIS per il prezzo di 3,5 miliardi, che il perito valutò 19.425.000.000 e la TIBURIA srl era proprietaria di un terreno in XXXXXXX valutato in perizia 5 miliardi . Nella valutazione delle quote della DISAL srl il perito aveva anche tenuto conto del terreno di proprietà della confraternita Somaini , che era stato promesso in vendita alla DISAL srl per il prezzo di 3 miliardi di lire e che il perito valutò 25.040.000.000, nonché di un complesso immobiliare sito in OMISSIS , di proprietà della Immobiliare Cristallo srl, che sarebbe stato ceduto alla ALVAL srl e non alla DISAL srl solo in data 20-3-1992 si vedano, al riguardo, le pagg. da 30 a 38 della sentenza di I grado, cui il giudice d'appello ha fatto costante rinvio . Si tratta, all'evidenza, di accertamenti di fatto che sfuggono alla cognizione del giudice di legittimità e che non possono essere messi in discussione in questa sede. Deriva da tanto che il ragionamento spiegato dai giudici di merito non è affatto incongruo o illogico, giacché la responsabilità del C. è collegata non solo alle operazioni successive alla compravendita che videro dirottare, con la fattiva partecipazione del C. , verso R. e N. i rilevanti finanziamenti chiesti e ottenuti da ALVAL srl, FIMO srl e VISMARA srl per il pagamento del prezzo delle quote della DISAL srl , ma al ruolo avuto da C. nella stessa compravendita, avvenuta in maniera disastrosa per la ARVAL srl. Se è vero che l'acquisto fu deliberato da ALVAL srl il 20 aprile 1990, è anche vero, però, come ampiamente illustrato in sentenza, che l'operazione ebbe esecuzione tra febbraio ed aprile del 1991, a seguito della richiesta e dell'ottenimento dei finanziamenti bancari allorché, cioè, C. , amministratore della DISAL srl e proprietario del 49% del capitale sociale, quale fiduciario di N. e R. aveva tutti gli elementi per valutare l'effettiva consistenza del capitale della DISAL srl e rendersi conto che terreni acquistati rectius, oggetto di preliminare di acquisto per tre miliardi di lire non potevano valere, dopo pochi mesi, oltre 20 miliardi. 3. Manifestamente infondato è il terzo motivo di ricorso, concernente la bancarotta della TREDIL srl, di cui il C. era amministratore. Questa Corte ha ripetutamente affermato che integra l'ipotesi della bancarotta patrimoniale l'assunzione di obbligazioni gravanti sul patrimonio della società e più specificamente il rilascio di garanzie a favore di altre società del gruppo di cui sia noto lo stato di difficoltà, per importi esorbitanti dalla capienza del patrimonio della società garante, con ciò determinandone il fallimento, considerato che si tratta di un atto che - addebitando, con valutazione ex ante, un immediato e sproporzionato sacrificio finanziario alla società garante in vista di vantaggi del tutto aleatori o, comunque, con ragionevoli probabilità di insuccesso - è incompatibile con la corretta espressione del potere di amministrazione, solo discutendosi se si tratti di ipotesi da ricondurre nella sfera previsionale di cui all'art. 223, comma secondo, n. 2, L. fall., che sanziona, in via residuale, condotte di frode ai creditori purché causalmente correlate al fallimento dell'organismo societario e connotate da intrinseca illiceità rapportata ai criteri di corretta gestione in questo senso, Cassazione penale, sez, V, 22/02/2007, n. 11019 , ovvero in quella di cui all'art. 216, comma 1, n. 1, richiamato, per l'amministratore di società, dall'art. 223, comma 1, della L.F. come ritenuto da Cass., n. 6462 del 4/11/2004, per la quale per distrazione, nel senso voluto dal legislatore nell'art. 216 n. 1 prima ipotesi r.d. 16 marzo 1942, n. 267, deve intendersi qualunque fatto diverso dall'occultamento, dissimulazione, distruzione, dissipazione di beni e dalla fraudolenta esposizione di passività inesistenti, mediante il quale l'imprenditore faccia coscientemente uscire dal proprio patrimonio uno o più beni al fine di impedirne l'apprensione da parte degli organi del fallimento. La fideiussione può integrare la distrazione indicata, quando costituisce uno strumento anomalo ai fini della attività sociale, con il quale l'amministratore della società determina, senza alcun utile per il patrimonio sociale, un effettivo depauperamento di questo ai danni dei creditori. Il comportamento degli amministratori, in tal caso, va considerato viziato da abuso o infedeltà nell'esercizio della carica ricoperta, tale da aver cagionato il dissesto economico - finanziario della impresa. L'elemento soggettivo richiesto non è, però, la volontà diretta a provocare lo stato di insolvenza, essendo sufficiente la coscienza e volontà del comportamento sopra indicato . L'imputato ricorrente ha rilasciato più fideiussioni senza alcun corrispettivo per la società da lui amministrata, sapendo di assumere obbligazioni estranee alla vita della società, idonee a determinare il definitivo tracollo della TREDIL srl, che era una società immobiliare e non svolgeva alcuna attività imprenditoriale. Inoltre, era già gravata da un mutuo acceso nel 1987 per 1.750.000.000. Era quindi evidente che da atti di mera liberalità non potesse derivare un vantaggio concreto in relazione ad attività imprenditoriali già cessate e destinate alla liquidazione ed era invece evidente l'effetto immediato delle fideiussioni di consentire alle società del gruppo di avvalersi del residuo patrimonio della TREDIL srl. Nessun significato dirimente ha, pertanto, il fatto che C. fosse stato autorizzato dall'assemblea dei soci, sia perché l'amministratore non è esonerato da responsabilità, allorché compie atti di dissipazione o distrazione del patrimonio sociale, per il fatto di aver ricevuto, secondo lo statuto sociale, debite autorizzazioni , sia perché, nel caso concreto, socio di Tredil srl era l'Imprenori spa, che rimandava, attraverso la CIS srl, da cui era partecipata, ai soliti N. e R. , insieme ai quali deve rispondere delle condotte qui contestate. Del tutto inammissibile è, invece, la censura relativa alla bancarotta patrimoniale, fondata sulla ricostruzione di una realtà documentale diversa da quella accertata qui appare dirimente la circostanza, ritenuto dai giudici di merito, che la contabilità era zeppa di omissioni ed inesattezze, che resero estremamente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, e che riportava l'annotazione di una fattura per oltre 11 miliardi di lire, emessa a fronte di operazioni inesistenti. 4. Il motivo relativo alla contestata partecipazione di C. all'associazione a delinquere è inammissibile, risolvendosi nella riproposizione di doglianze già sottoposte al vaglio dei giudici di primo e secondo grado e da questi disattese con motivazione logica e congrua, laddove hanno rimarcato che gli imputati tra cui C. hanno commesso, nell'arco temporale di circa tre anni, reati della più diversa indole, anche se formalmente connessi con l'esercizio di un'attività economica bancarotta fraudolenta, emissione di fatture false, truffe ai danni di istituti bancari, appropriazioni indebite, falsi documentali, falsi in bilancio, frode fiscale hanno spiegato tra loro un'intensa collaborazione, operando in ruoli formalmente diversi, ma tutti funzionali all'attuazione di un indeterminato programma criminoso si sono divisi compiti e funzioni, pur senza predeterminare in maniera rigida ruoli e schemi operativi. Quanto a C. , hanno messo in rilievo la sua costante disponibilità ad assumere ruoli e funzioni idonei a favorire l'attuazione del programma delittuoso sindaco, amministratore, prestanome, titolare di conti correnti, consigliere ed esecutore di deliberazioni altrui e l'attivismo da lui spiegato a favore dell'associazione, in un arco di tempo durato quanto la vita dell'associazione stessa dal 1989 al 1993 . Non è esatto, poi, affermare che i giudici abbiano valorizzato il ruolo statico di C. ed abbiano glissato sul contributo da lui dato ai singoli illeciti, giacché è proprio dal ruolo nella bancarotta della ALVAL, della TREDIL, della FIMO, della VISMARA, della CRISTALLO, della IMPRENORI, della DISAL srl, con le connesse distrazioni di beni attuate sempre col contributo attivo del ricorrente , nonché dalla collaborazione da lui prestata in alcune false fatturazioni che i giudici hanno desunto la prova della sua partecipazione all'associazione e della sua consapevolezza di agire in attuazione del programma comune. Per il resto, e in risposta alle ulteriori censure del ricorrente, va ribadito che compito di questo Corte non è quello di attuare l'ennesima lettura delle risultanze probatorie per delibare sulla fondatezza dell'accusa, ma quello, diverso, di vagliare la logicità e la completezza della motivazione resa dai giudici di merito, con la conseguenza che le scelte da lui compiute, se coerenti, sul piano logico e con una esauriente analisi delle risultanze probatorie, si sottraggono al sindacato di legittimità, una volta accertato che il processo formativo del libero convincimento del giudice non ha subito il condizionamento di una riduttiva indagine conoscitiva o gli effetti altrettanto negativi di un'imprecisa ricostruzione del contenuto di una prova v. Cass., Sez. Un., 2.3.1996 n. 2110, rie. P.G. c - Facchini e altri . Vizi di tal sorta non sono individuabili nell'iter logico della motivazione resa dal giudice a quo, per cui il ricorso va, sul punto, disatteso. 5. È parzialmente fondato, infine, il quinto motivo di ricorso, relativo alle statuizioni civili. Nel concreto, il C. è stato condannato al risarcimento del danno morale nei confronti della Banca Nazionale del Lavoro in conseguenza della sua ritenuta responsabilità per il reato di associazione a delinquere finalizzato alla bancarotta, e, per quel che particolarmente interessa, alla truffa. Dalla sentenza impugnata non si comprende, però anzi, sembra escluso , se C. abbia concorso a realizzare truffe in danno della BNL, posto che nessuna delle imputazioni elevate nei suoi confronti nemmeno tra quelle per cui è stata pronunciata sentenza di prescrizione si riferisce all'istituto di credito in questione. Tale incertezza va risolta, in quanto la responsabilità risarcitoria deriva dai danni che sono conseguenza immediata e diretta del fatto illecito art. 1223 cc, richiamato dall'art. 2056 cc e tali sono quelli collegati causalmente con la condotta dell'imputato o dei soggetti con cui abbia concorso consapevolmente nell'illecito. La sentenza va pertanto annullata con rinvio alla Corte d'appello di Milano per nuovo esame sul punto. Non è fondata, infine, la censura concernente la legittimazione del Ministero dell'Economia e delle Finanze, dal momento che un'associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta, alla truffa e alla frode fiscale lede sicuramente gli interessi economici e finanziari dello Stato e legittima all'esercizio della corrispondente azione risarcitoria. Quanto al soggetto legittimato a stare in giudizio per conto dello Stato che, com'è noto, comprende diverse articolazioni , pur essendo indubbia l'unicità del soggetto al quale si riferisce l'azione delle singole amministrazioni, al suo interno si distinguono i vari settori e sfere di azione e le rispettive competenze, che danno luogo a distinti centri di interesse, con la conseguenza che la legittimazione a stare in giudizio spetta agli organi delle amministrazioni di volta in volta istituzionalmente preposte allo svolgimento delle attività concernenti il settore di riferimento e solo quando vengono in considerazione gli interessi della comunità statale nel suo insieme spetta alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che rappresenta la sintesi politica e di governo dello Stato-comunità. Nel caso di specie è indubbia l'incidenza dell'attività illecita nello specifico settore del Ministero dell'Economia e delle Finanze, per cui non può disconoscersi la legittimazione di quest'ultimo all'esercizio dell'azione risarcitoria. P.Q.M. Annulla con rinvio alla Corte di Appello di Milano per nuovo esame la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione che esprime condanna per danni non patrimoniali in favore della BNL. Rigetta nel resto.