Sinistro stradale: dito puntato contro il conducente, tocca a lui spostarlo in un’altra direzione

Per superare la presunzione di colpa presunta in caso di incidente ai sensi dell’art. 2054 c.c. , il conducente deve provare che il pedone abbia tenuto una condotta anomala, violando le regole del c.d.s. e mettendosi improvvisamente sulla traiettoria di marcia del veicolo. Invece, la semplice violazione, da parte del pedone, dell’obbligo di concedere la precedenza ai veicoli in transito quando attraversa la strada al di fuori dei passaggi pedonali, non è sufficiente ad escludere in toto la colpa del conducente.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 24472, depositata il 18 novembre 2014. Il caso. Una donna chiedeva il risarcimento per i danni subiti dopo essere stata investita da un motorino mentre attraversava la strada. La Corte d’appello di Perugia riteneva che l’incidente fosse stato causato da un concorso di colpa paritario tra il pedone ed il proprietario del motorino, liquidando il danno in conformità. La donna ricorreva in Cassazione, contestando ai giudici di merito di non aver adeguatamente illustrato i motivi per cui avevano ritenuto superata, da parte dei convenuti investitore e compagnia assicurativa , la presunzione di colpa posta dall’art. 2054, comma 1, c.c. a carico del conducente. La Corte di Cassazione ricorda che, in caso di investimento di un pedone da parte di un veicolo senza guida di rotaie, l’art. 2054, comma 1, c.c. pone a carico del conducente una presunzione juris tantum di colpa. Per superare tale presunzione, il conducente deve provare che il pedone abbia tenuto una condotta anomala, violando le regole del c.d.s. e mettendosi improvvisamente sulla traiettoria di marcia del veicolo. Perciò, la semplice violazione, da parte del pedone, dell’obbligo di concedere la precedenza ai veicoli in transito quando attraversa la strada al di fuori dei passaggi pedonali, non è sufficiente ad escludere in toto la colpa del conducente. Di conseguenza, il pedone può essere ritenuto responsabile esclusivo del sinistro solo quando si pari improvvisamente ed imprevedibilmente davanti alla traiettoria del veicolo, mentre la violazione di una regola di condotta da parte del pedone da un lato non è sufficiente a ritenere la sua colpa esclusiva, ma dall’altro può bastare a ritenere un suo concorso di colpa, ai sensi dell’art. 1227 c.c., nella causazione del sinistro. Nel caso di specie, i giudici avevano affermato che in mancanza di prove certe sulla ricostruzione dell’incidente, la percentuale paritaria di colpa attribuita al pedone doveva considerarsi equa. Tuttavia, l’assenza di prove sulla dinamica del sinistro non può che portare all’affermazione della colpa presunta del conducente, ai sensi dell’art. 2054 c.c Essendo il conducente onerato da una presunzione di colpa, il giudice che deve valutare e quantificare un eventuale concorso di colpa tra conducente e pedone deve prima partire dall’idea che la colpa del conducente sia presunta e pari al 100%, poi accertare in concreto la condotta del pedone ed infine ridurre progressivamente la percentuale di colpa presunta a carico del conducente qualora emergano circostanze idonee a dimostrare una colpa in concreto del pedone. Non è, quindi, il pedone che deve dimostrare la maggior colpa del conducente, bensì il contrario. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e rimanda la decisione ai giudici di merito.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 19 settembre – 18 novembre 2014, n. 24472 Presidente Amatucci – Relatore Rossetti Svolgimento del processo 1. L' omissis la sig.a R.C.A. , mentre attraversava la strada nell'abitato di , venne investita da un ciclomotore condotto da V.T. minorenne all'epoca dei fatti , e di proprietà di V.M. , assicurato contro i rischi della responsabilità civile dalla Unipol s.p.a La vittima subì lesioni personali. 2. Nel 2001 la sig.a R.C.A. convenne dinanzi al Tribunale di Perugia, sezione staccata di Foligno, V.M. e C.M. , genitori di V.T. , e la Unipol s.p.a., chiedendone la condanna in solido al risarcimento del danno. Tutti i convenuti si costituirono negando la propria responsabilità. 3. Con sentenza 18.1.2007 n. 4 il Tribunale di Perugia ritenne che il sinistro dovesse essere ascritto ad un concorso di colpa paritario del pedone e della ciclomotorista, e liquidò il danno in conformità. 4. La Corte d'appello di Perugia, adita da R.C.A. , con sentenza 6.12.2010 n. 611 confermò la decisione di primo grado per quanto attiene all'attribuzione delle responsabilità ed accolse parzialmente l'appello della vittima maggiorando l'importo del risarcimento liquidato a titolo di rimborso delle spese mediche. 5. La sentenza d'appello viene ora impugnata per cassazione dalla sig.a R.C.A. sulla base di sette motivi illustrati da memoria. Ha resistito con controricorso la sola Unipol s.p.a Motivi della decisione 1. I motivi di ricorso 1-5. 1.1. I primi cinque motivi del ricorso vanno esaminati congiuntamente, perché pongono questioni analoghe. Tutti e cinque, infatti, si dolgono della sentenza d'appello nella parte in cui ha ricostruito la dinamica del sinistro, ed attribuito al pedone una responsabilità concorrente nella misura del 50%. 1.2. Espone, al riguardo, la ricorrente, che la motivazione adottata dalla Corte d'appello sarebbe erronea nella parte in cui a ha ritenuto non vera la ricostruzione dei fatti prospettata dalla vittima e cioè che il ciclomotore investitore aveva sorpassato un autocarro, fermatosi per consentire il transito del pedone , così fraintendendo le allegazioni in facto della stessa vittima, la quale mai aveva dedotto che l'autocarro si sarebbe fermato per far passare il pedone , ma solo che l'autocarro si era fermato, e basta b ha creduto ad un testimone non attendibile c non ha attribuito rilevanza alla condotta del ciclomotorista, che effettuò un sorpasso senza avere la visuale libera d non ha valutato le dichiarazioni confessorie dell'investitore, rilasciate subito dopo il fatto e non ha valutato che il pedone aveva acquisito una precedenza di fatto f non ha adeguatamente motivato in merito alle ragioni per le quali ha ritenuto superata, da parte dei convenuti, la presunzione di colpa posta dall'art. 2054, comma 1, c.c., a carico della conducente. 1.3. Le censure riassunte alle lettere a - e , illustrate alle pp. 5-18 del ricorso, sono manifestamente inammissibili. Esse infatti collazionate recuperando ampi brani degli scritti difensivi depositati nelle fasi di merito sottopongono a questa Corte delle questioni squisitamente di merito la valutazione delle prove, la ricostruzione della dinamica, l'attendibilità dei testimoni, la sussistenza d'una confessione . Ora, è sin troppo noto che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, denunciabile con ricorso per Cassazione ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione. Per adempiere all'obbligo di motivazione, peraltro, il giudice del merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti sarà per lui sufficiente, dopo avere vagliato le une e le altre nel loro complesso, indicare gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata, non avendo la Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione del giudice del merito. Nel caso di specie, i requisiti appena riassunti sono tutti soddisfatti dalla motivazione della sentenza impugnata. 1.4. La censura riassunta supra, p. 1.2, alla lettera f , è invece fondata. Nel caso di investimento di un pedone da parte di un veicolo senza guida di rotaie l'art. 2054, comma 1, c.c., pone a carico del conducente di quest'ultimo una presunzione juris tantum di colpa. Per vincere tale presunzione il conducente ha l'onere di provare che il pedone abbia tenuto una condotta anomala, violando le regole del codice della strada e parandosi imprevedibilmente dinanzi alla traiettoria di marcia del veicolo investitore. Da ciò deriva che la mera violazione, da parte del pedone, dell'obbligo di concedere la precedenza ai veicoli in transito quanto attraversi la strada al di fuori dei passaggi pedonali, non basta di per sé ad escludere in toto la colpa del conducente. Pertanto a il pedone può essere ritenuto responsabile esclusivo del sinistro soltanto quando si pari improvvisamente ed imprevedibilmente dinanzi a traiettoria del veicolo b la violazione di una regola di condotta da parte del pedone non è di per sé sufficiente a ritenere la colpa esclusiva di quest'ultimo c la violazione di una regola di condotta da parte del pedone è però sufficiente a ritenere un concorso di colpa del pedone stesso, ex articolo 1227 c.c., nella causazione del sinistro. 1.5. Ciò premesso in iure, si rileva in facto che nella specie la Corte d'appello, dopo avere descritto in termini di colpa per imprudenza la condotta della conducente pag. 7 della sentenza , e senza descrivere la condotta tenuta dal pedone prima, durante e dopo l'investimento, ha concluso con la seguente affermazione il sinistro si è verificato per il concomitante apporto delle due indipendenti, ma ugualmente colpevoli, condotte dell'investitore e dell'investito . , non essendovi prova che la colpa del ciclomotorista sia maggiore od esclusiva . La motivazione poi prosegue spiegando che, in mancanza di prove certe che consentissero di ricostruire nel dettaglio ogni circostanza del sinistro, la percentuale di colpa attribuita dal Tribunale al pedone doveva ritenersi equa così la sentenza impugnata, pag. 8 . Tale decisione è viziata in diritto, ed illogica nella motivazione. 1.5.1. È viziata in diritto perché l'assenza di prove che consentano di ricostruire con esattezza la dinamica del sinistro non può che condurre all'affermazione della colpa presunta del conducente, ai sensi dell'art. 2054, comma 1, c.c La sentenza ha, poi, una motivazione illogica. Poiché, per quanto detto, il conducente di veicoli a motore è onerato da una presunzione di colpa, il giudice chiamato a valutare e quantificare l'esistenza d'un concorso di colpa tra la colpa del conducente e quella d'un pedone investito deve a muovere dall'assunto che la colpa del conducente sia presunta e pari al 100% b accertare in concreto la condotta del pedone c ridurre progressivamente la percentuale di colpa presunta a carico del conducente via via che emergano circostanze idonee a dimostrare una colpa in concreto del pedone. Non è, dunque, quest'ultimo a dovere dimostrare che la colpa del conducente sia stata maggiore della propria, ma è vero il contrario è onere del conducente dimostrare che la condotta del pedone è stata colposa ed ha avuto efficacia causale assorbente o concorrente nella produzione dell'evento. Nel caso di specie, pertanto, la sentenza impugnata è viziata da contraddittorietà perché da un lato ammette di non disporre di elementi certi per ricostruire nel dettaglio la dinamica del sinistro, e dall'altro attribuisce al pedone un concorso di colpa del 50% sul presupposto che non vi fosse prova che la colpa del ciclomotorista sia stata maggiore od esclusiva . 1.6. La sentenza va dunque cassata con rinvio alla Corte d'appello di Perugia, la quale nell'attribuire o ripartire la responsabilità tra le parti a terrà conto che l'insufficienza di prova della colpa del pedone ridonda a svantaggio del conducente b accerterà se vi sia prova che esista, ed in che cosa sia consistita, una condotta colposa del pedone c eventualmente ripartirà le responsabilità in base ai criteri dettati dall'art. 1227, comma 1, c.c. e cioè dapprima spiegando adeguatamente quale delle colpe concorrenti debba ritenersi più grave, e quali conseguenze delle rispettive condotte imprudenti debbano ritenersi maggiori e quindi ripartendo la colpa in proporzione a gravità della colpa ed entità delle conseguenze che ne sono derivate. 2. Il sesto motivo del ricorso principale. 2.1. Col sesto motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una di violazione di legge, ai sensi all'art. 360, n. 3, c.p.c. sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c Espone, al riguardo, che la Corte d'appello ha confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva compensato le spese, ritenendo l'attrice parzialmente soccombente . Tale motivazione è irragionevole, perché l'attrice era stata comunque vittoriosa in primo grado. 2.2. Il motivo è infondato, sebbene la motivazione della sentenza impugnata debba essere corretta. Il Tribunale infatti rilevò un divario tra le pretese dell'attrice e l'entità dei danni concretamente accertati venne liquidata una invalidità permanente del 3%, a fronte dell'allegazione dell'esistenza di postumi permanenti nella misura del 10% . L'accoglimento solo in parte della pretesa attorea non è tecnicamente una soccombenza , ma comunque la differenza tra petitum e decisum costituisce un giusto motivo per la compensazione delle spese di lite. 3. Il settimo motivo di ricorso. 7.1. Col settimo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una di violazione di legge, ai sensi all'art. 360, n. 3, c.p.c. sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c Espone, al riguardo, che la Corte d'appello l'ha condannata a rifondere all'appellata il 50% delle spese di lite, ritenendola soccombente prevalente . Questa motivazione è illogica e comunque viola l'art. 91 c.p.c., perché l'appello è stato comunque accolto, sia pure in minima parte. 7.2. Il motivo è assorbito dall'accoglimento del quinto motivo di ricorso. 8. Le spese. Le spese del giudizio di legittimità e del precedente grado d'appello saranno liquidate dal giudice del rinvio, ai sensi dell'art. 385, comma 3, c.p.c P.Q.M. la Corte di cassazione - accoglie il ricorso nei limiti di cui alla motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d'appello di Perugia in differente composizione - rimette al giudice del rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità e di quelle dei gradi di merito.