Nella liquidazione delle spese processuali, il giudice deve attenersi ai parametri forensi

Il decreto ministeriale numero 55/2014, nell’individuare un limite minimo ai compensi tabellari previsti, non ha portata abrogativa della disposizione di cui al d.m. numero 140/2012 che sancisce la non obbligatorietà delle soglie minime e massime ivi indicate.

Sul tema la Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 1018/18, depositata il 17 gennaio. Il caso. Il provvedimento in commento origina dalla richiesta di equo compenso per irragionevole durata di un procedimento. La Corte d’Appello di Perugia, accogliendo la domanda, condannava il Ministero della Giustizia al pagamento delle spese processuali distratte in favore dei difensori. La pronuncia viene impugnata con ricorso per cassazione per violazione del d.m. numero 55/2014 in quanto il giudice avrebbe liquidato il rimborso delle spese al di sotto del minimo legale. Liquidazione. Il Collegio valuta in primo luogo il rapporto tra il decreto ministeriale numero 55/2014, nella parte in cui individua un limite minimo ai compensi tabellari di cui all’articolo 4, ed il decreto numero 140/2012 che stabilisce in via generale i compensi delle professioni vigilate del Ministero della Giustizia, precisando all’articolo 1, comma 7, che «In nessun caso le soglie numeriche indicate, a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa». Alla luce della ratio del d.m. numero 140, ovvero quella di favorire la liberalizzazione della concorrenza e del mercato rimuovendo i limiti minimi e massimi lasciando liberi l’avvocato ed il cliente di pattuire il compenso, la Corte precisa che il d.m. numero 55 non può ritenersi abrogativo della precedente disposizione di cui al d.m. numero 140. Ciò posto, il giudice deve comunque procedere alla liquidazione dell’onorario secondo i parametri di cui al d.m. numero 55 che non prevale sul precedente per ragioni di successione temporale, ma per il principio di specialità. Tornando al caso di specie, la liquidazione effettuata dalla Corte territoriale risulta inferiore rispetto ai minimi previsti dal d.m. numero 55, la Suprema Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, provvede alla liquidazione delle spese per il giudizio di merito.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 18 ottobre 2017 – 17 gennaio 2018, numero 1018 Presidente Petitti – Relatore Grasso Fatto e diritto Ritenuto che la Corte d’appello di Perugia, con decreto depositato il 3/5/2016, condannò il Ministero della Giustizia a pagare in favore di M.M.A. la somma di Euro 1.708,00, a titolo d’equo indennizzo per la non ragionevole durata di un processo incardinato ai sensi della I. numero 89/2001, nonché le spese processuali, liquidate in complessivi Euro 225,00 oltre Euro 8,00 per esborsi, oltre accessori, distratte in favore dei difensori antistatari che avverso il predetto decreto la M. propone ricorso, ulteriormente illustrato da memoria, esponendo, con l’unitaria censura posta a corredo dello strumento, che la Corte di merito aveva violato o falsamente applicato gli articolo 91, cod. proc. civ. e 2233, cod. Civ., nonché il d.m. numero 55/2014, per avere liquidate il rimborso spese al disotto del minimo legale che l’Amministrazione resiste con controricorso considerato che l’opinione secondo la quale il decreto del Ministero della Giustizia numero 55 del 10/3/2014, nella parte in cui stabilisce un limite minimo ai compensi tabellarmente previsti articolo 4 non può considerarsi derogativo del decreto numero 140, emesso dallo stesso Ministero il 20/7/2012, il quale, stabilendo in via generale i compensi di tutte le professioni vigilate dal Ministero della Giustizia, al suo articolo 1, comma 7, dispone che In nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa”, non è condivisa dalla Corte, in quanto come ricorda lo stesso controricorrente, il d.m. numero 140 risulta essere stato emanato d.l. numero 1/2012, conv. nella l. numero 27/2012 allo scopo di favorire la liberalizzazione della concorrenza e del mercato, adempiendo alle indicazioni della UE, a tal fine rimuovendo i limiti massimi e minimi, così da lasciare le parti contraenti nella specie, l’avvocato e il suo assistito libere di pattuire il compenso per l’incarico professionale per contro, il giudice resta tenuto ad effettuare la liquidazione giudiziale nel rispetto dei parametri previsti dal d.m. numero 55, il quale non prevale sul d. m. numero 140 per ragioni di mera successione temporale, bensì nel rispetto del principio di specialità, poiché, diversamente da quanto affermato dall’Amministrazione resistente, non è il d.m. numero 140 - evidentemente generalista e rivolto a regolare la materia dei compensi tra professionista e cliente ed infatti, l’intervento del giudice ivi preso in considerazione riguarda il caso in cui fra le parti non fosse stato preventivamente stabilito il compenso o fosse successivamente insorto conflitto - a prevalere, ma il d.m. numero 55, il quale detta i criteri ai quali il giudice si deve attenere nel regolare le spese di causa considerato che la liquidazione effettuata dalla Corte locale in complessivi Euro 225,00 si pone al di sotto dei limiti imposti dal d.m. numero 55, tenuto conto dl valore della causa da Euro 1.100,01 a Euro 5.200,00 e pur applicata la riduzione massima, in ragione della speciale semplicità dell’affare articolo 4, cit. considerato che a motivo dell’esposto il provvedimento gravato deve essere cassato e, sussistendone le condizioni, decisa la causa nel merito, il complessivo compenso può essere liquidato in Euro 1.198,50 Euro 255,00 per la fase di studio, Euro 255,00 per la fase introduttiva, Euro 283,50 per la fase istruttoria, Euro 405,00 per la fase decisionale , oltre IVA e contributo ex articolo 11 I. numero 576/1980, con distrazione in favore degli avv.ti G.F. e F.E.Ab., che ne hanno fatto richiesta, dichiarandosi antistatari considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, sempre con distrazione, siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle attività espletate. P.Q.M. accoglie il ricorso cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, liquida a titolo di spese, ponendo la somma a carico del Ministero controricorrente, per il giudizio di merito svoltosi innanzi alla Corte d’appello di Perugia, l’importo complessivo di Euro 1.198,50, oltre Euro 8,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori, distratto in favore degli avv.ti G.F. e F.E.A. condanna il predetto Ministero al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che, distratte in favore degli avv.ti G.F., F.E.A. e R.R., liquida in Euro 900,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge.