In tema di marchio d’impresa e quindi di tutela della concorrenza e del mercato, non è consentito commercializzare prodotti similari con un marchio confondibile, pena la configurabilità della contraffazione così, va risarcita, sulla base di apposita consulenza tecnica d’ufficio ed anche in via equitativa, la riduzione del potenziale di vendita.
E’, così, legittima la sentenza di merito con cui, accertati la notorietà del marchio, la lieve significatività dell’aggiunta linguistica al medesimo da parte del terzo, l’inidoneità distintiva dei segni grafici apposti nonché l’omessa eccezione di parte sulla c.t.u. svolta in primo grado, venga disposto il risarcimento sulla base dell’ammontare del fatturato del terzo danneggiante e con un ricarico del 20% sul venduto, sottratta una quota di vendita ipotizzabile con diverso marchio. Il principio si argomenta dalla sentenza numero 13025 e depositata il 10 giugno 2014. Il caso. Una S.p.A., titolare di marchio su prodotti di cotone idrofilo per ospedali, agiva in giudizio contro una s.r.l. che commercializzava prodotti similari per igiene muniti di stesso marchio ma con un’aggiunta finale e, successivamente, sostituito con un altro marchio. Il prodotto tra identificazione ed autonoma capacità distintiva la protezione del marchio e la tutela dell’impresa. In primis, vanno richiamati gli articolo 41 e 117 Cost., 1226, 2043, 2059 2697 e 2711 c.c., 185 c.p., 5, 158, 161, 184, 210 e 212 c.p.c. nonché il r.d. numero 929/1942, la l. numero 1/2003, il d.lgs. numero 168/2003, il d.lgs numero 30/2005 e la l. numero 99/2009. All’uopo, necessita focalizzare sul concetto di attività economica, illecito, danno, prova ed eccezioni processuali. Sotto il profilo formale, varie le osservazioni da effettuare. La prima sulle relazioni giuridiche tra giudizio di merito e contenzioso dinanzi alla Corte Costituzionale. All’uopo, va sottolineato che resta valida la fase processuale ed il relativo provvedimento se la sentenza dichiarativa di incostituzionalità dell’organo giurisdizionale emittente intervenga dopo la conclusione della stessa fase di merito, tranne però se la relativa questione di legittimità costituzionale sia stata sollevata prima di tale conclusione o dedotta in sede di impugnazione della sentenza sotto il profilo del difetto di costituzione del magistrato Cass. numero 9217/2003, Corte Cost. numero 112/2008 ciò in quanto tale vizio, anche se assoluto e rilevabile d’ufficio, è convertibile in motivo di tempestivo gravame, a pena di preclusione per tutto l’ulteriore corso del processo Cass. numero 3074/2003 . Peraltro, è da notare che non si configura una questione di competenza in ambito di ripartizione delle funzioni tra le sezioni specializzate e quelle ordinarie del medesimo Tribunale Cass. numero 21668/2013 o presso la Corte d’Appello in cui non siano state istituite le sezioni specializzate Cass. numero 2102/2013 e numero 2203/2007 . La seconda osservazione inerisce l’utilizzabilità e l’efficacia della consulenza tecnica d’ufficio. A riguardo, va detto che la c.t.u. costituisce un mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato, invece, al potere discrezionale ed al prudente apprezzamento del giudice di merito Cass. numero 15219/2007 in tal senso, quest’ultimo, onde aderire alle conclusioni della c.t.u., può limitarsi ad indicare la relazione di consulenza, specialmente quando le parti non abbiano formulato critiche e censure alla medesima . In termini di diritto sostanziale, va ricordato che trattasi di illecito concorrenziale, sussistente in caso di rischio di confusione tra prodotti determinato da un imprenditore che adotti un marchio confondibile con quello di un altro imprenditore concorrente Cass. numero 1424/2000 in tal caso, può parlarsi di responsabilità non patrimoniale, in quanto a carattere simil-penale, con obbligo di risarcimento del danno patrimoniale potenziale, quantificabile anche in via equitativa e ciò peraltro non elude il principio dell’onere della prova. Sul punto, va precisato che le situazioni soggettive, quali il dolo, la colpa, la buona fede, di colui che usa un marchio altrui senza averne il diritto, possono assumere rilevanza esclusivamente ai fini dell’accoglimento, o meno, dell’azione personale di concorrenza sleale e di risarcimento del danno proposta contro il responsabile mentre sono del tutto irrilevanti ai fini dell'azione diretta ad impedire l'usurpazione o la contraffazione del marchio tale azione, infatti, è di carattere reale e ha ad oggetto immediato e diretto la tutela della titolarità esclusiva del bene immateriale destinato al servizio di un'impresa, nei confronti di chiunque ponga in essere un fatto oggettivamente lesivo di quella titolarità Cass. numero 5722/2014 . Segnatamente, l’illecito da contraffazione non richiede che l’autore della violazione rivesta la qualità di imprenditore commerciale bensì soltanto che, ricorrendo le altre condizioni, l'uso del marchio altrui sia destinato al mercato, inserendosi in una attività commerciale finalizzata ad un vantaggio economico, e non attenga ad un ambito meramente privato Cass. numero 26498/2013 . La comparazione tra prodotti costituisce il presupposto per la configurabilità dell’illecito. In ambito di proprietà industriale, la contraffazione del marchio, configurabile previa valutazione ad hoc sull’identità e/o affinità merceologica tra i prodotti, va sanzionata con l’inibitoria dell’utilizzazione del medesimo marchio ed il risarcimento del nocumento costituito anche soltanto da una minore crescita delle vendite e non necessariamente dalla riduzione delle vendite o dal calo del fatturato App. Torino numero 1263/2007 in applicazione della ratio legis ed in rispetto della natura giuridica delle situazioni, la funzione della posizione riconosciuta ed attribuita al privato è determinare l’inconfigurabilità di interessi di altri privati e generare, quindi, una super-garanzia soggettiva propter rem e, pertanto, una specifica riserva d’uso, dunque l’esclusione del terzo e la tutela erga omnes. Ergo, il ricorso va rigettato.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 13 maggio - 10 giugno 2014, numero 13025 Presidente Vitrone – Relatore Genovese Svolgimento del processo 1. La S.L. Spa, operante nel settore della produzione e distribuzione di prodotti sanitari per la medicazione, titolare dei diritti inerenti il marchio “Luxor”, relativo ai propri prodotti di cotone idrofilo e garze semplici e medicate, ecc. chiedeva, in relazione al commercio di prodotti similari praticato dalla srl Celcot, che utilizzava il marchio “Luxor India” solo in un secondo tempo sostituito con quello di “India superiore” , dapprima il sequestro delle confezioni di cotone ed altre misure da adottarsi a carico della intimata e, poi, con atto di citazione, notificato il 21 gennaio 1998, proponeva azione di contraffazione del marchio, con pronuncia di inibitoria e, in subordine, azione di concorrenza sleale, con richiesta di risarcimento danni. La srl Celcot si costituiva contestando tutte le domande e il Tribunale, concesso il sequestro, successivamente revocato in sede di reclamo, uditi i testimoni e disposta Ctu, respingeva tutte le domande. 2. L'appello proposto dalla S.L. Spa veniva, invece, integralmente accolto dalla Corte d'appello di Torino che, con sentenza depositata il 31 luglio 2007, dichiarava che il marchio “Luxor” o “Luxor India” usato dalla Celcot srl costituiva una contraffazione di quello di cui era titolare la S.L. Spa e ne inibiva l'utilizzazione, condannando la contraffattrice al pagamento di una somma di danaro oltre accessori, alla pubblicazione della sentenza su alcuni quotidiani, alle spese del doppio grado di giudizio e a una somma per ogni confezione di prodotto messa in vendita in violazione della decisione e successivamente alla sua pronuncia. Secondo il giudice di appello, premesso che il marchio “Luxor” è un marchio forte, nei fatti la Celcot srl se ne sarebbe appropriata, con un'aggiunta linguistica “India” poco significativa e senza che i segni grafici apposti sulle confezioni potessero rilevare e dar luogo ad una significativa differenza dei segni distintivi, dimostrando, invece, l'esistenza della denunciata contraffazione, la cui domanda di accertamento veniva accolta esimendo la Corte territoriale dall'esame della subordinata quella proposta per l'accertamento della concorrenza sleale . Il danno veniva quantificato, in via globale ed equitativa, ai sensi dell'articolo 1226 c.c., dalla Corte d'appello, attraverso la Ctu disposta in primo grado, con la quale era stato verificato l'ammontare del fatturato della Celcot nel periodo di tempo esaminato, considerato un ricarico del 20% sul venduto e sottratta una quota di prodotto di cui era ipotizzabile la vendita con un diverso marchio. 3. Avverso tale decisione la Celcot srl ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi di censura, contro cui resiste la S.L. Spa, con controricorso. Motivi della decisione 1.1. Con il primo motivo di ricorso violazione delle norme sulla competenza la ricorrente ha formulato il seguente quesito di diritto Se alla luce della decisione della Corte costituzionale numero 112 del 2008, la sezione specializzata in materia di proprietà industriale e intellettuale presso la Corte d'Appello di Torino fosse competente a decidere la controversia di cui sopra, ove il primo grado si era svolto secondo le norme antecedenti all'entrata in vigore del c.d. codice della proprietà industriale, ai sensi del D.Lgs. numero 30 del 2005 o se non fosse competente la Corte d’appello di Torino. Secondo la ricorrente, posto che la menzionata sentenza della Corte costituzionale numero 112 del 2008, che ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 245, comma 2, del decreto legislativo 10 febbraio 2005, numero 30, nella parte in cui stabilisce che sono devolute alla cognizione delle sezioni specializzate le controversie in grado d'appello iniziate dopo l'entrata in vigore del codice della proprietà industriale, è si sopravvenuta alla pronuncia di appello ma la stessa, pendendo il ricorso per cassazione, per non essere ancora passata in cosa giudicata, sarebbe invalida perché pronunciata da un organo incompetente, analogamente a quanto avviene per le decisioni adottate da sezioni non specializzate rispetto alla competenza delle sezioni specializzate agrarie. 1.2. Con il secondo motivo di ricorso violazione e falsa applicazione degli articolo 2711, 2697 c.c. e 184 e 210 c.p.c. nonché omessa motivazione la ricorrente in relazione alla violazione di legge, ha formulato i seguenti quesiti di diritto a Se sia conforme al disposto di cui agli articolo 2111 c.c., nonché 210 e 212 c.p.c., l'ordine rivolto alla parte di esibire integralmente le proprie scritture contabili, in assenza di un'istanza della controparte formulata entro il termine per il deposito delle memorie istruttorie di cui all'articolo 184 c.p.c. nella formulazione previgente e in assenza di una indicazione e/o deduzione circa il contenuto rinvenibile dai documenti da esibirsi b Se si sostituisca o meno all'onere probatorio incombente alla parte, a norma dell'articolo 2697 c.c., il giudice civile che ordini ad una parte, in assenza di apposita istanza della controparte, di esibire in giudizio, senza alcuna precisa indicazione, la documentazione necessaria per addivenire alla determinazione del danno rivendicato dalla controparte medesima. In relazione al vizio motivazionale ha così riassunto la doglianza Nonostante la Celcot avesse contestato l'ammissibilità della Ctu nei termini sopra indicati e, quindi, l'utilizzabilità della stessa ai fini della decisione, la Corte d'Appello di Torino, senza motivare sul punto, ha preso a riferimento le risultanze della stessa per pervenire alla liquidazione del danno patito dalla S. . La ricorrente ha premesso che la decisione relativa alla quantificazione del danno si è basata sulla Ctu svolta in primo grado, che ha accertato l'entità ed il fatturato complessivo realizzato con la vendita del prodotto oggetto della contraffazione, ed ha ricordato le fasi processuali della sua ammissione nonché del suo svolgimento. Ha ricordato che l'eccezione di inammissibilità della Ctu, ribadita anche nella comparsa conclusionale, con riguardo alla tassatività delle ipotesi in cui questa è consentita dall'articolo 2711 c.c., sarebbe stata riproposta anche nella comparsa di costituzione in appello ma, la Corte, non ne avrebbe tenuto conto né avrebbe motivato in merito. In tal modo sarebbero state violate le regole riguardanti il riparto dell'onere probatorio consentendo, con la disposizione dell'ordine di esibizione impartito d'ufficio, un indebito vantaggio per la società attrice ed appellante. 1.3. Con il terzo motivo di ricorso violazione degli articolo 1226 e 2697 c.c. la ricorrente ha formulato il seguente quesito di diritto Se sia conforme ai disposti di cui agli articolo 1226 e 2697 c.c., nella liquidazione del danno a seguito di contraffazione di marchio, ricorrere al criterio equitativo, in assenza di alcuna prova da parte del titolare del diritto di marchio della contrazione di vendite subita o del calo di fatturato patito a causa dell'asserito illecito, prendendo come riferimento il solo dato delle vendite effettuate dall'impresa contraffattrice. Assume la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe errato nella sua decisione in quanto l'attrice non avrebbe allegato, come era suo dovere, né una contrazione di vendite né un calo del fatturato per effetto della contraffazione. Aver quantificato il danno con il criterio equitativo è equivalso a eludere il dovere probatorio in capo alla società attrice. 1.4. Con il quarto motivo di ricorso violazione dell'articolo 1 della legge marchi, nel testo vigente ratione temporis, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione la ricorrente, in relazione alla presunta violazione di legge, ha formulato il seguente quesito di diritto Se sia conforme all'articolo 1 della legge marchi nel testo vigente all'epoca dei fatti aver ritenuto l'asserita contraffazione senza effettuare alcun giudizio sulla identità e/o affinità tra i prodotti oggetto dei due marchi in contestazione. In relazione al vizio motivazionale ha così riassunto la doglianza La Corte d'appello ha completamente omesso ogni valutazione circa l'identità e/o affinità tra i due prodotti. Infatti, non esisterebbe alcuna identità o affinità tra i due prodotti commerciati secondo il criterio relativo all'attitudine a soddisfare lo stesso bisogno. Nella specie le due confezioni di cotone comparate apparterrebbero a differenti settori merceologici cotone per uso sanitario destinato alle farmacie e agli ospedali e cotone per la cosmesi e l'igiene, destinato al mercato della grande distribuzione . 2.1. Il primo motivo di ricorso, con il quale si lamenta l'illegittimità della sentenza di appello per essere stata pronunciata in difetto di “competenza”, quale risultante dalla pronuncia di illegittimità costituzionale a seguito della sopraggiunta decisione della Consulta numero 112 del 2008, è infondato. Non è in discussione il presupposto, secondo il quale la sentenza di appello non è passata in cosa giudicata formale, essendo ancora pendente il giudizio di cassazione al momento della pronuncia di illegittimità costituzionale, ma forma oggetto di dibattito la questione delle conseguenze della sopravvenuta pronuncia del Giudice delle Leggi il quale ha accolto l'eccezione di incostituzionalità della disposizione denunciata, in conseguenza della quale la questione non avrebbe dovuto essere decisa da quel particolare organo giurisdizionale. 2.2. Pur non essendo in discussione un problema di legittimità costituzionale dell'organo giurisdizionale in sé e per sé, ma solo la misura delle sue attribuzioni giurisdizionali, appare utile partire dalle considerazioni che questa stessa Corte ha svolto in relazione all'ipotesi di accoglimento della contestata legittimità costituzionale dell'organo giurisdizionale in sé medesimo. In tali casi, di riconosciuta incostituzionalità dell'organo o di una sua particolare composizione , questa Corte ha affermato Sez. U, Sentenza numero 9217 del 2003 e successive conformi che le “dichiarative della incostituzionalità in sé o in relazione ad alcune sue componenti di un organo giurisdizionale non comportano l'inefficacia della fase processuale svoltasi innanzi a tale organo e del provvedimento che l'abbia conclusa, ove intervengano dopo l'esaurimento di essa, salvo che la relativa questione di legittimità costituzionale sia stata sollevata prima della conclusione di detta fase, ovvero dedotta, come motivo impugnatorio della sentenza, per il profilo del difetto di costituzione del giudice, ai sensi dell'articolo 161, primo comma, cod. proc. civ., in relazione all'articolo 158 dello stesso codice” fattispecie relativa alla composizione della Giunta speciale per le espropriazioni presso la Corte di appello di Napoli, con l'ingegnere capo dell'ufficio tecnico erariale di Napoli o un suo delegato - cui ha fatto seguito l'intervento correttivo del legislatore attuato con l'articolo 7 del D.L. numero 251 del 2002, convertito nella legge numero 1 del 2003 - . E ciò in ragione del principio secondo cui la nullità derivante dal vizio di costituzione del Giudice, ancorché assoluta e rilevabile d'ufficio, non si sottrae, ai sensi dell'articolo 158 cod. proc. civ. che fa espressamente salva la disposizione del successivo articolo 161 , al principio di conversione delle cause di nullità in motivi d'impugnazione, con la conseguenza che, in caso di mancata, tempestiva denuncia del vizio de quo attraverso lo strumento dell'impugnazione, il rilievo della detta nullità resta precluso per tutto l'ulteriore corso del processo” Sez. U, Sentenza numero 3074 del 2003 . Dunque, anche in casi estremi siffatti, la pronuncia di merito resta salva, a meno che l'organo - ovvero la sua composizione - sia, nella sua tenuta costituzionale, stato contestato tempestivamente o prima della pronuncia o successivamente ad essa, con i motivi di impugnazione formulati prima della pronuncia di costituzionalità ciò che non è avvenuto nel caso di specie. 2.3. Già tanto basterebbe a confutare il motivo di ricorso che, invece, si riferisce a vizio di minor gravità che il ricorrente erroneamente ascrive alle questioni di competenza assimilando il caso delle sezioni specializzate per la proprietà industriale a quelle agrarie, che hanno una composizione quali - quantitativa diversa da quelle delle sezioni ordinarie della Corte d'appello ed a quella specializzata per la proprietà industriale che la costante giurisprudenza di questa Corte riduce a questione avente solo rilievo organizzativo e semmai di rito. Come da ultimo ha fatto questa Corte Sez. 6-1, Ordinanza numero 21668 del 2013 ricordando che “la ripartizione delle funzioni tra le sezioni specializzate e le sezioni ordinarie del medesimo tribunale non implica l'insorgenza di una questione di competenza, attenendo piuttosto alla distribuzione degli affari giurisdizionali all'interno dello stesso ufficio ne consegue che una sezione ordinaria del tribunale non è incompetente a trattare una causa che, secondo l'articolo 134 del codice della proprietà industriale d.lgs. 10 febbraio 2005, numero 30 , andrebbe assegnata alla sezione specializzata dello stesso tribunale istituita ai sensi del d.lgs. 27 giugno 2003, numero 168”. 2.4. Sennonché, nel caso di specie, il vizio di costituzionalità relativo all'articolo 245, comma 2, del decreto legislativo 10 febbraio 2005, numero 30, nella parte in cui stabilisce che sono devolute alla cognizione delle sezioni specializzate le controversie in grado d'appello iniziate dopo l'entrata in vigore del codice della proprietà industriale, anche se il giudizio di primo grado è iniziato e si è svolto secondo le norme precedentemente in vigore, è stato sanato dall'intervento del legislatore il quale ha dato un nuovo testo all'articolo 245, secondo comma, del d.lgs. cit. con l'articolo 19, quinto comma, della legge 23 luglio 2009, numero 99 . In base ad esso, i giudizi in grado di appello intrapresi dopo l'entrata in vigore del menzionato d.lgs. restano devoluti alla cognizione delle sezioni specializzate anche se quello di primo grado od il giudizio arbitrale siano cominciati o si siano svolti secondo le norme precedentemente in vigore, a meno che non sia intervenuta nell'ambito di essi una pronuncia sulla competenza. Perciò questa Corte ha considerato validamente decise anche le controversie che - iniziate dopo il 19 marzo 2005 e pendenti alla data del 15 agosto 2009 - siano state promosse dinanzi a corti d'appello presso le quali non siano state istituite le sezioni specializzate Sez. 6-1, Ordinanza numero 2102 del 2013 , in conformità a quanto già affermato da questa stessa sezione Ordinanza numero 2203 del 2007 secondo cui “ai sensi del capoverso dello stesso articolo 6, d.lgs. numero 168 del 2003, che fa applicazione della regola generale di cui all'articolo 5 cod. proc. civ., restano invece assegnate al giudice competente in base alla normativa previgente le controversie già pendenti e iscritte al ruolo alla data del 30 giugno 2003, quale che sia il grado di giudizio nel quale esse si trovino al momento dell'entrata in vigore della legge”. 2.5. Nel caso di specie, in conclusione, la Corte d'appello che ha deciso della controversia in esame è quella di Torino presso la quali è stata - ab initio - istituita la sezione specializzata per la proprietà industriale, al quale la causa è stata attribuita secondo Tabella dell'Ufficio, e che quindi aveva pieno titolo a trattarla senza che sia neppure applicabile la sanatoria di legge, intervenuta dopo la pubblicazione della decisione della Corte costituzionale e in difetto di qualsiasi eccezione di contestazione della costituzionalità dell'organo giurisdizionale , e ciò alla luce della giurisprudenza di legittimità sopra richiamata in materia di composizione dell'organo giurisdizionale generico e specifico , peraltro costituito in maniera non difforme da quello ordinario della Corte per quantità ed estrazione dei suoi componenti e con le garanzie della specializzazione della stessa proprio per l'esperienza accumulata nella materia del diritto industriale. 3. Il quarto motivo, che ha priorità logica e giuridica rispetto ai restanti, deve essere esaminato subito dopo il primo. Infatti, è giusto il richiamo operato dalla ricorrente circa la necessità che il giudizio di comparazione venga effettuato anche in rapporto ai due tipi di prodotti messi in commercio. Questa Corte Sez. 1, Sentenza numero 1424 del 2000 , infatti, ha già chiarito che “La norma di cui all'articolo 1 del R.D. numero 929 del 1942 come novellato dalla legge del 1992 sanziona uno specifico illecito concorrenziale, che si realizza quando un imprenditore determini, sul mercato, il rischio di confusione tra prodotti adottando un marchio confondibile con quello adoperato da un imprenditore concorrente per contraddistinguere un prodotto affine. Il giudizio di confondibilità va, in particolare, fondato sul previo accertamento della eventuale identità o confondibilità tra i segni adoperati, nonché sul contestuale esame circa la identità o confondibilità tra prodotti, sulla base quantomeno della loro ontologica affinità”. 3.1. Tuttavia la doglianza non ha pregio perché è dato pacifico che le due confezioni comparate riguardano lo stesso tipo merceologico ossia il cotone idrofilo di prima medicazione, e tale circostanza non ha mai formato oggetto di contestazione, non emergendo dalla motivazione della sentenza impugnata neppure la trattazione del punto. Né la ricorrente dice se, come e quando ha agitato la questione nel corso del giudizio di impugnazione. 4. Il secondo motivo di ricorso attiene a due diversi vizi, uno di violazione di legge e l'altro di vizio della motivazione. 4.1. Con riferimento al primo, con il quale si lamenta l'erroneità dell'ordine di esibizione impartito dal giudice, le censure e le argomentazioni attengono palesemente al giudizio di primo grado e, quindi, come tali esse sono inammissibili perché non censurano questioni poste ed esaminate nel corso del giudizio di appello. Invero, la ricorrente afferma di aver eccepito l'inammissibilità della Ctu nella comparsa di costituzione del giudizio di appello senza ulteriori e più chiare specificazioni , ma si tratta di richiamo che non attiene all'ordine di esibizione bensì ad altro mezzo istruttorio la cui ammissione discrezionale è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte Cass. Sez. 1, Sentenza numero 15219 del 2007 la consulenza tecnica d'ufficio è mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell'ausiliario giudiziario e la motivazione dell'eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitaramente considerato effettuata dal suddetto giudice . 4.2. Con riferimento al secondo profilo, con il quale la ricorrente la censura si duole della acritica adesione della Corte territoriale alla Ctu, l'inammissibilità della doglianza risulta dalla mancata esposizione dei rilievi mossi contro la Ctu da parte della ricorrente. Peraltro, a tale proposito, va ricordato il principio di diritto v. Cass. Sez. L, Sentenza numero 125 del 2003 secondo cui quando il giudice di merito ritenga di aderire alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, non è tenuto ad una particolareggiata motivazione, ben potendo il relativo obbligo ritenersi assolto con l'indicazione, come fonte del proprio convincimento, della relazione di consulenza. Tanto più quando manchino le critiche e i rilievi mossi contro di essa. 5. Infine, anche il terzo motivo è infondato, atteso che la quantificazione del danno è stata operata sulla base delle risultanze della Ctu relative al fatturato specifico della società, dedotta una quota di prodotto che, ove non fosse stato contraffatto il marchio, sarebbe stata venduta dalla ricorrente, all'epoca dei fatti per cui è causa. A tal proposito, deve affermarsi il principio secondo il quale il danno cagionato all'impresa titolare del marchio contraffatto non necessariamente consiste in una riduzione delle vendite o in un calo del fatturato, rispetto al periodo precedente considerato, potendo esso manifestarsi solo in una riduzione del potenziale di vendita e quindi consistere in una minore crescita delle vendite, senza che si abbia una corrispondente riduzione od un calo rispetto agli anni precedenti considerati. Ciò' accade, infatti, quando le vendite sono in crescita nel corso del periodo preso in considerazione e, in tali casi, non si manifesta alcun calo o riduzione delle vendite, pur potendosi manifestare un danno da riduzione del potenziale. In conclusione il ricorso, complessivamente infondato, deve essere respinto e la ricorrente condannata al pagamento delle relative spese, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dalla resistente e che si liquidano nella misura di Euro 5.200,00, di cui Euro200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie, nella misura del 15%, ed accessori di legge.