Per integrare il reato di bancarotta fraudolenta, è sufficiente la consapevolezza che la caotica e confusionaria tenuta delle scritture contabili renderà impossibile o potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali della società dichiarata fallita.
Così ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 25746/15, depositata il 18 giugno. Il caso. L’amministratore di una società dichiarata fallita veniva ritenuto responsabile del reato di bancarotta fraudolenta dalla Corte di appello di Ancona, confermando la pronuncia del Tribunale di Pesaro , per aver tenuto le scritture contabili obbligatorie in modo tale da impedire la ricostruzione dei movimenti patrimoniali della società. L’amministratore ricorre per cassazione sostenendo che manchi il dolo necessario per integrare il reato di bancarotta, in quanto la mancata tenuta della documentazione contabile dipendeva esclusivamente dallo stato di dissesto in cui versava l’azienda. Particolare diligenza. In continuità con l’orientamento giurisprudenziale sancito dalla S.C. Cass., numero 21588/10 , gli Ermellini stabiliscono che il reato di bancarotta documentale è integrato non soltanto quando la ricostruzione dei movimenti patrimoniali della società fallita sia impossibile a causa delle modalità con cui è tenuta la contabilità, ma anche quando gli accertamenti effettuati dagli organi fallimentari siano intralciati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza. Dolo generico. I Giudici di legittimità osservano dunque che, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta documentale, è sufficiente il dolo generico, costituito dalla consapevolezza che la caotica e disordinata tenuta dei libri contabili ostacolerà o potrà rendere impossibile la ricostruzione degli affari patrimoniali dell’impresa dichiarata fallita. Nel caso di specie, i giudici di merito hanno adeguatamente individuato l’elemento psicologico del reato dedotto dalla condotta dell’imputato, che aveva omesso di tenere le scritture contabili proprio del periodo strettamente antecedente alla dichiarazione di fallimento, con chiara consapevolezza dell’impossibilità di ricostruire gli affari patrimoniali. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 3 febbraio – 18 giugno 2015, numero 25746 Presidente Marasca – Relatore De Bernardinis Ritenuto in fatto Con sentenza in data 17.7.12 la Corte di Appello di Ancona confermava a carico di C.P. la sentenza emessa dal Tribunale di Pesano, in data 2.2.2011 con la quale l'imputato era stato condannato quale responsabile del reato di cui agli articolo 216, numero 2 parte seconda e 223 RD.16.3.1942 numero 267, alla pena di anni tre e mesi tre di reclusione, e alle pene accessorie di legge, per aver tenuto - nella qualità di amministratore unico della rsl. LTP dichiarata fallita in data 16.6.2006 - le scritture contabili obbligatorie in modo da non consentire la ricostruzione degli affari. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore, deducendo 1- violazione di legge, in relazione alla mancata derubricazione del reato in quello previsto dall'articolo 217 L.F La difesa censura la valutazione resa dalla Corte territoriale, che aveva evidenziato il comportamento tenuto dall'imputato, che nei primi anni aveva tenuto regolarmente le scritture contabili, ed aveva omesso di osservare tale obbligo nei tre anni precedenti la dichiarazione di fallimento. Ad avviso della difesa non ricorrevano i presupposti atti ad integrare il reato dal momento che la mancata tenuta della documentazione contabile sarebbe derivata dallo stato di dissesto nel quale si era venuta a trovare l'impresa, onde il giudice di merito avrebbe dovuto escludere la sussistenza del dolo nella condotta dell'imputato. Rileva in diritto Il ricorso è privo di fondamento. Invero deve evidenziarsi che dal testo della sentenza impugnata si evince la corretta analisi della fattispecie ascritta all'odierno ricorrente, e la adeguata valutazione resa dalla Corte territoriale, che aveva evidenziato il comportamento dell'imputato, che nei primi anni aveva tenuto regolarmente le scritture contabili, e successivamente aveva omesso di osservare tale obbligo nei tre anni precedenti la dichiarazione di fallimento. Deve ritenersi correttamente affermata la responsabilità del prevenuto ravvisando la consapevolezza dello stesso che, nella qualità di amministratore unico della srl. dichiarata fallita nel giugno del 2006, aveva tenuto, nel periodo antecedente al fallimento, le scritture contabili obbligatorie in maniera tale da non rendere possibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali della impresa, relative agli anni dal 2004 al 2006. Il reato di bancarotta documentale, alla luce dell'orientamento giurisprudenziale sancito da questa Corte, v. Cass. V - 7.6.2010, numero 21588 e precedenti conformi - sussiste non soltanto quando la costruzione del patrimonio e del movimento degli affari del fallito si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono tenute, ma anche quando gli accertamenti da parte degli organi, fallimentari siano ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza. Il dolo è generico v. Sez. V 22.8.2001, numero 31356 ed altre conformi, tra cui Sez. V - 8/6/2010, numero 21872 - ove si stabilisce che ai fini dell'integrazione del reato di bancarotta documentale di cui all'articolo 216, primo comma numero 2 seconda ipotesi, della legge fallimentare che prevede la condotta di chi tiene i libri e le scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari è sufficiente il dolo generico, rappresentato dalla consapevolezza che la confusa e caotica tenuta della contabilità renderà o potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio Dal testo della motivazione si evince che nella specie risulta bene individuato l'elemento psicologico del reato de quo, desunto dal comportamento tenuto dall'imputato, che - come specificato dalla Corte di Appello con logiche argomentazioni non smentite da ulteriori elementi addotti dalla difesa - dopo avere osservato gli obblighi derivanti dalla qualifica di amministratore, aveva omesso di tenere i libri contabili proprio in riferimento ai tre anni precedenti alla dichiarazione di fallimento, con evidente consapevolezza della impossibilità di ricostruire i movimenti patrimoniali della società fallita, come evidenziato in base alla relazione redatta dal curatore fallimentare. I motivi di ricorso appaiono pertanto privi di fondamento, e va pronunziato il rigetto del ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.