Vittoria indiretta per la cittadina straniera. Riconosciuto, difatti, il suo diritto all’indennità di accompagnamento, ma a beneficiarne è l’erede, che potrà ricevere i ratei arretrati. Sufficiente il permesso di soggiorno.
Residente in Italia dal 1961. Ciò è più che sufficiente per riconoscere la misura di assistenza sociale anche allo straniero – una donna, in questo caso – extracomunitario, titolare semplicemente del “permesso di soggiorno”. Assolutamente superfluo – alla luce dell’indirizzo fornito dalla Corte Costituzionale – il richiamo alla ipotetica necessità della “carta di soggiorno”. Diritto riconosciuto, quindi, per il cittadino straniero, con ripercussioni positive, in questo caso, anche per l’erede Cass., sent. numero 8069/2014, Sezione Lavoro, depositata oggi . Accompagnamento. Prima ‘puntata’ il Tribunale riconosce il «diritto» dell’erede di cittadina extracomunitaria a ricevere i «ratei arretrati dell’indennità di accompagnamento» spettante alla donna. Seconda ‘puntata’ la Corte d’Appello smentisce il Tribunale, accogliendo l’obiezione mossa dall’Istituto nazionale di previdenza sociale e affermando che la «originaria domanda» per l’ottenimento della «indennità di accompagnamento» era «subordinata non già al solo possesso del ‘permesso di soggiorno’, ma anche alla titolarità della ‘carta di soggiorno’». Terza, e ultima, ‘puntata’, quella in Cassazione, dove i giudici chiudono, ab origine, la vicenda, ricordando che, alla luce della sentenza numero 306/2008 della Corte Costituzionale, «il cittadino straniero, anche se titolare del solo ‘permesso di soggiorno’, ha il diritto di vedersi attribuire l’indennità di accompagnamento, la pensione di inabilità e l’assegno di invalidità, ove ne ricorrano le condizioni previste dalla legge». Dalla ‘lettura’ della vicenda emerge che «la dante causa risiedeva in Italia dal 1961». Di conseguenza è assolutamente accettabile il riconoscimento dell’«indennità di accompagnamento». E ora, concludono i giudici, è legittimo, e definitivo, il «riconoscimento del diritto» dell’erede della donna «ai ratei arretrati dell’indennità di accompagnamento» spettanti alla donna, con la «conseguente condanna dell’Istituto al pagamento dei relativi importi».