Il Ministero della Giustizia spegne le polemiche: ecco cosa fare in attesa del certificato del casellario giudiziale

L’articolo 2, d.l. numero 39/2014 ha introdotto nel d.P.R. numero 313/2002 T.U. in materia di casellario giudiziale l’articolo 25-bis, recante disposizioni per l’impiego al lavoro di persone che, in ragione delle mansioni attribuite, debbano avere contatti diretti e regolari con minori. Tale previsione ha suscitato, da subito, perplessità e malumori in relazione alla richiesta, da parte del datore di lavoro, prima della stipulazione del contratto, del certificato del casellario giudiziale. Il Ministero della Giustizia spegne le polemiche con due note di chiarimento pubblicate ieri sul sito.

Una norma contestata. Una norma contestata, forse per la poca chiarezza l’articolo 2, d.l. numero 39/2014 ha introdotto nel d.P.R. numero 313/2002 T.U. in materia di casellario giudiziale l’articolo 25-bis, recante disposizioni per l’impiego al lavoro di persone che, in ragione delle mansioni attribuite, debbano avere contatti diretti e regolari con minori. Tale ultima norma prescrive che «il soggetto che intenda impiegare al lavoro una persona per lo svolgimento di attività professionali o attività volontarie organizzate che comportino contatti diretti e regolari con minori», deve richiedere, prima di stipulare il contratto di lavoro e, quindi, prima dell’assunzione al lavoro, il certificato del casellario giudiziale della persona da impiegare, «al fine di verificare l'esistenza di condanne per taluno dei reati di cui agli articolo 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quinquies e 609-undecies c.p., ovvero l'irrogazione di sanzioni interdittive all'esercizio di attività che comportino contatti diretti e regolari con minori». L’obbligo in questione, valido anche per enti o associazioni che svolgano attività di volontariato, seppur in forma non organizzata e non occasionale e sporadica, non sorge solo nel caso in cui si tratti di collaborazioni che non si strutturino all’interno di un definito rapporto di lavoro. Una certificazione fantasma. Obbligo di certificato antipedofilia, quindi. E fin qui nessun problema, se non fosse che non esiste un modello di certificazione ad hoc che indichi solo i reati specifici legati alla pedofilia, né un modello simile è stato immaginato per la nuova norma. Conseguenza cancellerie delle procure bombardate da richieste di chiarimento da parte dei datori di lavoro e nessuna istruzione per l’uso. Caos normativo. Anche volendo utilizzare le certificazioni disponibili, si finirebbe per accedere a una serie di informazioni che mettono a serio rischio la privacy del lavoratore. Per non parlare dei tempi migliaia e migliaia di certificati che dovrebbero essere rilasciati in pochi giorni. Ma il vero punto controverso è un altro se fino a questo momento, il certificato poteva essere richiesto soltanto dall’interessato, dalle P.A., dai gestori di pubblici servizi e dall’autorità giudiziaria penale, ora è tutto nelle mani del datore di lavoro a cui, da un lato, la legge vieta – ed è questo il paradosso – di chiedere simili informazioni sui dipendenti e, dall’altro, prevede una super multa fino a 15mila euro in caso di assolvimento del nuovo obbligo. Rischi e problemi restano ma, forse, in fondo al tunnel uno spiraglio c’è. Di fronte a un simile boomerang di polemiche e di interrogativi, il Ministero della Giustizia non ha potuto restare indifferente e ha optato per la pubblicazione, sul sito istituzionale, di due note di chiarimento sulla portata applicativa delle nuove disposizioni, rassicurando, anzitutto, circa la tempestività con cui saranno rilasciati i certificati richiesti a norma dell’articolo 25-bis, d.P.R. numero 313/2002. In ogni caso, per evitare tutti gli inconvenienti organizzativi che si sono finora registrati, si chiarisce che «fatta la richiesta di certificato al Casellario, il datore di lavoro possa procedere all’impiego del lavoratore anche soltanto, ove siano organo della pubblica amministrazione o gestore di pubblico servizio, mediante l’acquisizione di una dichiarazione del lavoratore sostitutiva di certificazione», da far valere eventualmente nei confronti dell’organo pubblico accertatore della regolarità della formazione del rapporto di lavoro.

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