Lavoro temporaneo di livello superiore? Tornare alla normalità non significa demansionamento

Un eventuale demansionamento non va valutato in rapporto ad un incarico di natura temporanea, bensì alle mansioni originarie e tipiche della qualifica del lavoratore.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza numero 7100, depositata il 26 marzo 2014. Il caso. Il dipendente di un comune impugnava la sentenza del Tribunale di Milano che aveva respinto il suo ricorso nei confronti dell’Ente, volto ad ottenere la reintegrazione nelle precedenti mansioni di responsabile dei Servizi Sociali, di cui era stato spogliato con il trasferimento ai Servizi Culturali. Riorganizzazione aziendale. I giudici avevano preso atto del nuovo regolamento comunale, che aveva riorganizzato la struttura, con l’accorpamento di alcuni settori. Tra il 1998 ed il 2002 anno di emissione del regolamento , il dipendente aveva ricevuto diversi incarichi temporanei di responsabilità nel settore dei Servizi Sociali, fino a quando l’ultimo di questi lavori era stato conferito ad un’altra dipendente di pari qualifica. Natura temporanea. Di conseguenza, tenendo presente la natura temporanea degli incarichi, il Tribunale aveva ritenuto infondate le censure del lavoratore, stante l’insussistenza del diritto al rinnovo dell’incarico temporaneo, rilevando che non di revoca si era trattato, ma di semplice scadenza. La Corte d’appello di Milano confermava la sentenza di primo grado. Il lavoratore ricorreva in Cassazione, lamentando un demansionamento, i cui presupposti in fatto erano stati ritenuti non provati dai giudici di merito. Natura temporanea e qualifica originaria. Analizzando la domanda, la Cassazione ripercorreva e approvava il filo logico seguito dai giudici d’appello, i quali avevano comparato l’incarico cessato e quello nuovo del lavoratore. Pur essendoci un minor “peso” del secondo impiego, per la diversità dei poteri, rispetto al primo, era da escludersi che ciò potesse concretarsi in un vero e proprio demansionamento, il quale andava, comunque, posto in relazione alle mansioni originarie e tipiche della qualifica del ricorrente e non a quelle specifiche dell’incarico di responsabile dei Servizi sociali, che era previsto avesse natura temporanea. Inoltre, il ricorrente continuava a far riferimento alla domanda di reintegra nella precedente posizione di responsabile del settore dei Servizi sociali, soppresso, durante l’accorpamento, dal comune. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 dicembre 2013 – 26 marzo 2014, numero 7100 Presidente Vidiri – Relatore Amoroso Svolgimento del processo 1. G.D., dipendente del Comune di Vittuone di categoria D3, assunto il 5 agosto 1991, ha impugnato la sentenza del Tribunale di Milano che, dopo il mancato accoglimento in sede cautelare e di reclamo, ha respinto il suo ricorso nei confronti dell'Ente, volto ad ottenere la reintegrazione nelle precedenti mansioni di responsabile dei Servizi Sociali di cui era stato spogliato con il trasferimento ai Servizi Culturali. Il primo giudice, preso atto del nuovo regolamento comunale risalente al 29 ottobre 2002, che prevedeva una struttura divisa non più in quattro ma in tre settori, con l'accorpamento dei settori Servizi Generali e Servizi Sociali, e che il ricorrente a partire dal 1998 aveva ricevuto diversi incarichi temporanei di responsabilità nel settore dei servizi Sociali, l'ultimo dei quali gli era stato conferito il 7 gennaio 2002 sino alla data del 30 giugno 2002, incarico nel quale era rimasto in regime di prorogatio fino all'8 novembre 2002, data in cui l'incarico era stato conferito ad altra dipendente di pari qualifica, in considerazione dalla natura temporanea degli incarichi, ha ritenuto infondate le censure del ricorrente, stante l'insussistenza del diritto al rinnovo dell'incarico temporaneo, rilevando che non di revoca si era trattato, ma di semplice scadenza, mentre circa il difetto di comparazione delle capacità professionali, ha rilevato che il funzionario che lo aveva sostituito era rimasto estraneo al giudizio. Ha respinto altresì la domanda di risarcimento dei danni da demansionamento che avrebbe dovuto essere rapportato al periodo anteriore al 1998. mentre non risultava provato mediante idonea documentazione. 2. L'appellante, ha lamentato che il primo giudice, dopo avere ammesso alcuni capitoli di prova ed avere sentito un solo teste, avesse revocato l'ordinanza. Impedendo la prova dell'avvenuta dequalificazione e confondendo la revoca della P. O., assegnata dal 1998, con la specifica domanda a séguito della dequalificazione professionale conseguente all'accorpamento la domanda del ricorrente consisteva dunque nella reintegra nella precedente posizione di responsabile del settore servizi sociali di cui alla categoria D del CCNL, con le relative mansioni, o in subordine nell'assegnazione di mansioni equivalenti per contenuto e professionalità, oltre al risarcimento del danno anche da mobbing, in ragione del contenuto di tali mansioni elencate nell'all. A alla categoria D , che aveva svolto sin dall'assunzione in aggiunta a quelle di PO assegnatigli, mentre attualmente le mansioni di responsabile dei servizi culturali erano prive di qualsiasi contenuto professionale adeguato risolvendosi in un servizio virtuale e di essere stato lasciato in uno stato di inoperosità, in posizione subordinata al direttore di settore, limitata al coordinamento di due soli uffici. L'appellante era stato costretto a cambiare datore di lavoro ponendosi in mobilità esterna verso la Provincia di Milano dal 25 maggio 2005 . Ha riproposto le istanze istruttorie. Il Comune appellato ha ribadito la legittimità della riorganizzazione deliberata, la temporaneità degli incarichi conferiti all'appellante - che non poteva pretendere di essere reintegrato nella posizione in cui era cessato e che non poteva avanzare neppure la pretesa di vedersi assegnate mansioni equivalenti essendogli state attribuite le funzioni di responsabile del servizio in conformità sia al profilo professionale D3 che al contratto di lavoro e alle norme del CCNL - contestando l'esistenza del demansionamento e del mobbing, mancando la prova del nesso di causalità. Ha infine contestato le istanze istruttorie. La corte d'appello di Milano con sentenza dell'8 maggio 2009-16 luglio 2009 ha rigettato l'impugnazione confermando la sentenza di primo grado. 3. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione il D. con due motivi. Resiste con controricorso la parte intimata. Motivi della decisione 1. Il ricorso è articolato in due motivi. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli articolo 99, 100 12, 115 e 116 c.p.c. in relazione all'articolo 2697 c.c., nonché vizio di motivazione. Deduce in particolare che la sentenza della corte d'appello ha errato nel ritenere che nell'originario ricorso non fossero state prospettate le mansioni svolte prima del 1998 rispetto a quelle funzioni accresciute con la attribuzione della posizione organizzativa. Rilevanti pertanto erano le istanze istruttorie di cui al capitolo 15 della prova testimoniale richiesta, capitolo inizialmente ammesso poi ritenuto inconferente. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 52 d.lgs. numero 165 del 2001, dell' articolo 52 c.c. e dell'articolo 3, comma 2, C.C.N.L. 31 marzo 1999, nonché vizio di motivazione. 2. Il ricorso - i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi - è infondato. Il ricorrente lamenta un demansionamento i cui presupposti in fatto i giudici di merito, in primo ed in secondo grado oltre che nella fase cautelare , hanno motivatamente ritenuto non provato. La Corte d'appello in particolare ha evidenziato - come circostanza di fatto risultante dagli atti - che l'incarico conferito al ricorrente di responsabile dei Servizi Sociali aveva natura temporanea perché con scadenza al 30 giugno 2002, poi prorogata fino all'8 novembre 2002. A seguito dell'accorpamento del settore Servizi Sociali in quello dei Servizi Generali, a capo dei quali era stato designato altro dipendente sulla base di valutazioni discrezionali dell'ente locale, non sindacabili nei limiti in cui non sono risultati allegati motivi di discriminazione, al ricorrente era stata affidata la funzione di responsabile dei Servizi Culturali. La Corte d'appello non si è sottratta alla valutazione comparativa dell'incarico cessato e del nuovo incarico e, pur rilevando il minor peso di quest'ultimo per la «diversità dei poteri rispetto all'incarico precedente», ha escluso che ciò potesse concretarsi in un vero e proprio demansionamento, che comunque andava posto in relazione alle mansioni originarie e tipiche della qualifica del ricorrente categoria D secondo l'inquadramento previsto dalla contrattazione collettiva applicabile al rapporto e non già a quelle specifiche dell'incarico di responsabile dei Servizi Sociali, che era previsto che avesse - ed in concreto aveva avuto - natura temporanea. Anche nell'odierno ricorso il ricorrente - nel rimarcare che egli risultava in posizione apicale al settore Servizi Sociali ed aveva alle proprie dipendenze 15 dipendenti collocati in cat. Dl, C4 e B - continua invece a far riferimento alla domanda di reintegra nella precedente posizione di responsabile del settore di Servizi Sociali, che l'ente, nell'esercizio della sua discrezionalità organizzativa, ha soppresso, accorpandolo in quello dei Servizi Generali. Si tratta di un tipico apprezzamento di merito non sindacabile in sede di legittimità perché assistito da motivazione sufficiente e non contraddittoria. Mentre il ricorso, pur denunciando una carenza istruttoria, esprime essenzialmente un nero dissenso valutativo in ordine ai fatti di causa, mentre sostanzialmente generico rimane il riferimento alle mansioni proprie della qualifica rivestita quali espletate prima dell'incarico temporaneo di responsabile del settore di Servizi Sociali. 3. Il ricorso va quindi rigettato. Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in euro 100.00 cento oltre euro 3.500,00 tremilacinquecento per compensi d'avvocato ed oltre accessori di legge.