Il tempo necessario a prescrivere decorre dalla cessazione della sequenza della condotta colpevole e non dalla consumazione di ogni singolo episodio, come per il reato continuato
Il fatto. Più dipendenti, con la complicità dell’impiegato dell’ufficio paghe, avevano indebitamente acquisito maggiorazioni contributive per carichi familiari falsamente attestati, per più anni ed in plurime occasioni, a fronte di una unica falsa certificazione prodotta. Seguì condanna per truffa aggravata dall’ingente danno patrimoniale prodotto ex articolo 61, numero 7, c.p La Cassazione, Seconda Sezione Penale, numero 13492/2014, depositata il 25 marzo, delinea i tratti del c.d. reato a consumazione prolungata, il quale declina effetti più sfavorevoli per l’imputato in punto di prescrizione, per lo scivolamento in avanti del dies a quo del tempo necessario a prescrivere. Quando è reato a consumazione prolungata una sola condotta originaria, una consumazione estesa nel tempo di un unico reato. La stessa certificazione – un falso modello ANF sui carichi di famiglia – era stata utilizzata in più occasioni dagli imputati, i quali ogni volta avevano ricevuto indebite maggiorazioni retributive nel corso degli anni. Ogni qual volta una sola sia stata la condotta originaria – la fasulla produzione documentale ANF – e siano state invece plurimi gli istanti della consumazione - le certificazioni elaborate sui carichi di famiglia che consentivano l’indebito supplemento -, la Cassazione individua le modalità del c.d. reato a consumazione prolungata, di recente formazione giurisprudenziale, anziché di più reati avvinti dal vincolo della continuazione ex articolo 81 c.p. Si tratta del medesimo reato esteso ad ogni singolo istante dichiarativo – che accedeva, nel caso in oggetto, al riconoscimento della singola maggiorazione retributiva – in luogo di più reati distinti l’un l’altro, legati dalla continuazione. Le conseguenze i diversi dies a quo del tempo necessario a prescrivere. Quando si tratta di reato a consumazione prolungata, il dies a quo va individuato nel momento in cui cessa la sequenza delle condotte colpevoli – nel caso, la corresponsione delle somme retributive -, come per il reato permanente, per il quale decorre dalla fine del periodo di protrazione del reato. Invece, nel caso di reato continuato – tesi sostenuta dalla difesa -, la prescrizione va fatta decorrere per ogni singolo reato con autonomo calcolo - con l’effetto di considerare già prescritti i fatti di reato più risalenti -. Prima della legge ex Cirielli invece – numero 205/2005 – anche per il reato continuato vigeva la più favorevole disciplina, la prescrizione sarebbe decorsa dalla cessazione della continuazione. L’unità del reato vale anche per ogni altra attribuzione giuridica. Ad esempio, la rilevante entità del danno patrimoniale prodotto ex articolo 61 numero 7 c.p. va parametrato alla somma di ogni singolo danno cagionato per ognuna delle maggiorazioni retributive nel tempo corrisposte. Il divieto di reformatio in peius tocca solo il profilo più strettamente sanzionatorio. Nel caso specifico, il giudice d’appello, su ricorso dell’imputato, aveva mutato l’individuazione della forma di reato da reato continuato a reato a consumazione prolungata, con i meno favorevoli per gli imputati effetti in punto di riconoscimento del decorso tempo a prescrivere, come sopra accennato. La Cassazione conferma l’orientamento dominante, il divieto di reformatio in peius riguarda i soli aspetti strettamente sanzionatori e di quantificazione della pena, non involge alcuna altra considerazione in punto di qualificazione giuridica del fatto, che pur maturi conseguenze di sfavore per gli imputati – ad esempio, in punto di prescrizione o di individuazione della forma del reato, come sopra indicato -. Anche quando il p.m. non modifica l’imputazione, le circostanze si trasmettono ex lege ai concorrenti ex articolo 118 c.p Ogni qual volta il p.m. manca colpevolmente di avanzare una contestazione suppletiva per alcuni dei concorrenti, opera in ogni caso l’effetto estensivo della circostanza soggettiva – purchè non attinente a motivi a delinquere e stati soggettivi del colpevole ex articolo 118 c.p. – già contestata ad alcuni imputati. Dunque la contestazione opera ex lege, per effetto trasmissivo anziché per formale contestazione suppletiva in giudizio, purchè sia garantito agli imputati l’esercizio sul punto delle garanzie difensive.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 28 febbraio – 25 marzo 2014, numero 13942 Presidente Casucci – Relatore Prestipino Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 4.5.2011, il giudice monocratico del Tribunale di Palermo dichiarava tutti i ricorrenti indicati in epigrafe colpevoli del delitto di truffa aggravata e continuata in danno della Fondazione Teatro Massimo come loro ascritto con il decreto che dispone il giudizio, integrato dal PM con la contestazione suppletiva delle aggravanti di cui agli articolo 61 nr. 7 e 11 c.p. contestazione alla quale peraltro rimanevano estranei Z.G. per un accidente processuale, e A.N. per la ragione che allo stesso dette aggravanti erano state già originariamente contestate , limitatamente ai fatti commessi a partire dall' omissis , da A.N. come responsabile dell'ufficio paghe, dagli altri come dipendenti dello stesso ente, e li condannava alle pene per ciascuno di essi specificate in dispositivo, tutte condizionalmente sospese, oltre al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese processuali in favore della Fondazione, costituitasi parte civile. Dichiarava non doversi procedere nei confronti dei medesimi imputati, in ordine ai fatti anteriori all' omissis , perché estinti per prescrizione. 2. Secondo l'accusa, l'A. aveva consentito a numerosi dipendenti della Fondazione, tra i quali gli odierni ricorrenti, di procurarsi, nel periodo compreso tra il OMISSIS , l'ingiusto profitto di consistenti maggiorazioni di stipendio grazie alle false dichiarazioni inserite nei modelli ANF sui carichi di famiglia, carichi fraudolentemente indicati in misura esorbitante rispetto a quelli reali. Nel corso delle indagini era emerso inoltre che quasi tutti i dipendenti della Fondazione che avevano ottenuto le indebite maggiorazioni retributive, avevano stipulato contratti di finanziamento con l'ITF, società operante nel settore del credito al consumo, con la quale aveva un rapporto di collaborazione un figlio dell'A. tra le eccezioni, figura quella dell'odierno ricorrente D.V. . Questa circostanza era ritenuta di notevole rilievo dal giudice di primo grado, rivelando la strumentalità delle artificiose maggiorazioni retributive rispetto all'esigenza di fronteggiare le esposizioni debitorie dei dipendenti interessati, ormai corrispondenti alla saturazione delle singole capacità di reddito originarie. Ma il giudice di primo grado sottolineava anche il contenuto di alcune intercettazioni telefoniche vedi pag. 55 e ss. della sentenza del 4.5.2011 e disattendeva le giustificazioni fornite dagli imputati specie sotto il profilo psicologico, escludendo tra l'altro la rilevanza dell'esito favorevole per i dipendenti coinvolti nel procedimento, della causa di lavoro dagli stessi intentata contro la Fondazione per denunciare l'illegittimità del licenziamento a tutti intimato dopo l'accertamento dei fatti. 3. La Corte di Appello di Palermo, con sentenza dell'1.7.2013, ha confermato integralmente la decisione di primo grado. La Corte territoriale respinge anzitutto pagg. 3 e ss le questioni sollevate dalla difesa con riferimento alla procedibilità dell'azione penale in quanto connessa alla discussa ritualità della contestazione suppletiva del PM relativa alle aggravanti di cui all'articolo 61 nr. 7 e 11, comportanti la modifica del regime di procedibilità della truffa e la sua perseguibilità d'ufficio, rilevando a. con riferimento all'aggravante dell'abuso di relazione d'ufficio, che essa era già indicata nella descrizione del fatto contenuta nelle imputazioni b. con riferimento ad entrambe le aggravanti, che la contestazione suppletiva doveva ritenersi comunque legittima anche se fondata sulla sola base degli atti già acquisiti al processo e, che, in ogni caso, le iniziative di denuncia assunte dal Vice Presidente della Fondazione, espressamente qualificate dal proponente come esposto-querela , esprimevano chiaramente la volontà punitiva del denunciante. 3.1 Nel merito, la Corte territoriale considera provata con assoluta certezza, sulla base delle risultanze di prova acquisite, la falsità dell'indicazione dei carichi familiari dei singoli dipendenti nei modelli ANF relativi al periodo oggetto di contestazione ribadisce la valutazione dell'irrilevanza dell'esito delle controversie di lavoro avviate dagli imputati dopo il licenziamento seguito all'accertamento dei fatti ribadisce, del pari, l'ininfluenza del mancato ritrovamento dei moduli ANF la cui falsificazione avrebbe consentito in molti casi l'illecita maggiorazione degli stipendi, rilevando che nella specie il peculiare meccanismo della truffa implicherebbe necessariamente l'istanza della parte interessata per il riconoscimento dei carichi familiari sottolinea il ruolo centrale dell'A. nella vicenda processuale anche per il suo indiretto coinvolgimento nelle pratiche di finanziamento concluse della maggior parte dei dipendenti coinvolti con una società finanziaria in cui operava come collaboratore il figlio dello stesso imputato esclude tanto nei confronti dell'A. che dei dipendenti dallo stesso favoriti, la seria prospettabilità di un atteggiamento di buona fede. 4. I giudici di appello, inoltre, a confutazione dell'eccezione di prescrizione sollevata dalle difese per l'ulteriore maturazione del termine prescrizionale successivamente alla sentenza di primo grado, rilevano che nella specie sarebbe configurabile la fattispecie di truffa a consumazione prolungata, con la connessa esclusione dell'invocata causa estintiva, poiché fin dall'inizio gli imputati avevano inteso predisporre uno strumento decettivo destinato a protrarsi nel tempo, con la conseguenza che il momento consumativo del reato, e il dies a quo del termine prescrizionale, andrebbero unitariamente individuati con riferimento alla data di cessazione dei pagamenti non dovuti, fino a quel momento perdurando il reato e incrementandosi progressivamente il danno in sentenza è citata Cass. sez. 2, nr. 11026 del 3.3.2005 . 5. Esauriscono il tema della responsabilità penale, nella motivazione della sentenza di appello, le valutazioni sul trattamento sanzionatorio, anch'esse confermative della decisione di primo grado, ritenuta adeguata, in punto di determinazione delle pene, a dispetto dell'incensuratezza di molti imputati sottolineata dalle difese, al lungo periodo di consumazione dei fatti, e alla gravità delle condotte, anche sotto il profilo del danno economico provocato alla Fondazione. 5.1 La Corte disattende inoltre le richieste difensive di applicazione dell'indulto, sul rilievo della prevalenza della concessa sospensione condizionale delle pene. 6. Respingono, infine, i giudici di appello, tutte le questioni sollevate dalle difese con riguardo alla ritualità della costituzione di parte civile della Fondazione danneggiata e all'ammontare della provvisionale accordata alla stessa parte lesa. 7. Venendo ai motivi degli interposti ricorsi, ripetute censure di legittimità afferiscono alla ritualità, ritenuta dalla Corte territoriale, della contestazione suppletiva effettuata dal PM all'udienza del 28.10.2009 nei confronti di tutti i ricorrenti ad eccezione dell'A. e dello Z. , con riferimento alle aggravanti di cui all'articolo 61, numero ri 7 e 11 c.p. Si sostiene negli scritti difensivi che il meccanismo previsto dagli articolo 517 e ss. c.p.p., presuppone l'emergenza di nuovi elementi di fatto nel corso dell'istruzione dibattimentale, mentre nella specie il PM aveva operato la contestazione suppletiva sulla base degli elementi già disponibili prima dell'emissione del decreto che dispone il giudizio. Peraltro, la selettività della contestazione delle aggravanti in questione, attribuite fin dall'origine al solo A. , dimostrerebbe come la loro esclusione nei confronti degli altri imputati corrispondesse ad una scelta consapevole dell'organo dell'accusa, non di un'omissione alla quale rimediare con la successiva integrazione dell'imputazione. Nel ricorso a favore dello Z. , si sottolinea peraltro che lo stesso imputato era rimasto estraneo alla contestazione suppletiva, e che la sua posizione sarebbe stata erroneamente accomunata dalla Corte territoriale, a quella degli altri ricorrenti. 7.1. Con specifico riferimento all'aggravante di cui all'articolo 61 nr. 11 c.p. numerosi difensori rilevano l'illogicità dell'affermazione della Corte territoriale in ordine alla ritenuta rilevabilità degli estremi di fatto della stessa circostanza alla stregua delle indicazioni contenute nei capi di imputazione formulati a carico dei dipendenti in ipotesi beneficiari delle illecite maggiorazioni degli stipendi. 7.2. Alla questione si riconnette quella della procedibilità dell'azione penale, che andrebbe esclusa una volta ritenuta l'irritualità della contestazione suppletiva, e la conseguente necessità della querela della parte offesa, dal momento che le iniziative di denuncia della Fondazione non solo non conterrebbero una chiara volontà punitiva, non essendo all'uopo sufficienti le qualificazioni formali adoperate, ma sarebbero provenienti da soggetto del quale non risulta la legittimazione ad agire in nome e per conto della Fondazione. 8. Largamente comuni sono anche le censure di legittimità attinenti alla qualificazione giuridica del fatto. La Corte sarebbe incorsa in un errore di diritto nel ritenere la configurabilità nella specie, di una truffa a consumazione prolungata, figura dogmatica elaborata dalla più recente giurisprudenza di legittimità con riferimento ai casi in cui l'agente consegua bensì in più soluzioni l'ingiusto profitto della truffa, ma con riferimento ad un unico fatto costitutivo, fin dall'inizio destinato ad operare nel tempo. Nella specie, ci si troverebbe invece in presenza dello schema del reato continuato, essendo tra l'altro rilevabile la ripetizione nel tempo del meccanismo truffaldino attraverso la necessaria presentazione annuale dei moduli ANF. Ciò comporrebbe l'ulteriore maturazione del termine prescrizionale per numerosi fatti di truffa nel corso del giudizio di appello. In punto di responsabilità penale, è ricorrente nei motivi il riferimento alla dedotta illogicità dell'affermazione della l'irrilevanza del mancato ritrovamento, per alcuni dei dipendenti coinvolti nella vicenda processuale, dei moduli ANF che sarebbero stati compilati dagli interessati per ottenere le indebite maggiorazioni retributive, e il cui esame sarebbe stato invece in tesi necessario per una affidabile ricostruzione dei fatti. Sempre sul tema della responsabilità penale, è frequente l'osservazione di un concorso nei fatti della stessa Fondazione, per la mancata attivazione dei necessari controlli preventivi sull'operato del personale. Il riferimento normativo è agli articolo 40 co 2 e 62 nr. 5 c.p 9. In molti ricorsi, infine, si registra l'insistita contestazione della ritualità della costituzione in giudizio come parte civile della Fondazione Teatro Massimo, e ciò sotto tutti gli aspetti rilevanti, a partire dalla ritualità della procura speciale, in quanto tra l'altro contenuta in atto separato rispetto all'atto di costituzione, fino alle dedotte incertezze sulla legittimazione del soggetto agente in nome della Fondazione. 10. Per il resto, va ulteriormente rilevato quanto segue con riferimento ai singoli ricorsi 1. L.B.G. al rilievo del mancato ritrovamento dei moduli ANF, illogicamente svalutato dalla Corte territoriale, il ricorrente aggiunge la considerazione dell'arbitrario ricorso, dei giudici di appello al criterio del non poteva non sapere , e l'apoditticità della valutazione della sussistenza del dolo anche in ordine alla presunta consapevolezza del ricorrente circa l'effettivo ammontare della retribuzione dovutagli, e della quota imputabile agli assegni familiari. La Corte di merito avrebbe in tal modo disatteso il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza. 2. A.N.A. . Il ricorso è largamente incentrato sulla ricostruzione degli aspetti burocratico-amministrativi della vicenda processuale, con specifico riferimento alle mansioni di capo contabile della Fondazione esercitate dal ricorrente all'epoca dei fatti. Dopo avere ricostruito il sistema dei rapporti tra lo Fondazione e l'INPS in materia retributivo-previdenziale pagg. 4 e ss. , per dedurne, tra l'altro che documenti contabili come i fogli di evidenza di cui è cenno nella sentenza di primo grado, non erano custoditi presso la Fondazione, il ricorrente sottolinea fortemente che i suoi compiti erano di mera ricezione delle richieste ANF, senza alcun potere-dovere di controllo del contenuto del loro contenuto. Egli sarebbe stato peraltro inserito in una organizzazione più vasta, un'unità operativa alla quale erano preposti, in pianta organica, cinque dipendenti, anche se in effetti egli aveva finito con il rimanere solo, per la mancata copertura della vacanze verificatesi nel tempo. A parte queste considerazioni di fondo, la Corte territoriale avrebbe inoltre illogicamente e immotivatamente affermato la responsabilità del ricorrente senza il supporto di idonea documentazione contabile, in particolare senza la disponibilità dei moduli ANF, e avrebbe, ancora, considerato elementi di fatto mai contestati allo stesso ricorrente. I giudici di appello non avrebbero tenuto conto neanche delle indicazioni favorevoli al ricorrente desumibili dalla relazione acquisita agli atti del procedimento sulla base della quale erano state avviate le indagini, e degli esiti delle controversie di lavoro nate dalla vicende processuali. Ulteriori aspetti di perplessità sotto il profilo logico sarebbero rinvenibili nella valorizzazione dei contratti di credito al consumo conclusi dalla maggior parte dei dipendenti coinvolti nella vicenda processuale, per ilo rapporto di collaborazione del figlio del ricorrente nella società finanziaria che aveva erogato i prestiti, rapporto vissuto alla luce del sole .e che non può essere il movente del delitto come si legge testualmente in ricorso. Il ricorrente sottolinea ulteriormente l'impossibilità di identificare nei suoi confronti profitti ingiusti e vantaggi personali in dipendenza delle illecite maggiorazioni degli stipendi, e sottopone ad analitica critica, sotto il profilo logico, l'interpretazione in chiave accusatoria del contenuto di alcune intercettazioni telefoniche pagg. da 18 a 20 del ricorso 3. Gr.Is. la difesa argomenta che nella specie il presunto meccanismo truffaldino sarebbe in realtà il frutto di insufficienti controlli preventivi sulla congruità delle retribuzioni corrisposte ai dipendenti della Fondazione. I giudici di appello non avrebbero poi tenuto conto della legittimità dell'inserimento, tra i carichi familiari, di soggetti anche maggiorenni, purché conviventi e studenti . La Corte di merito nulla avrebbe inoltre motivato sulla prescrizione civile delle pretese risarcitorie della Fondazione, azionate ben oltre il termine quinquennale stabilito dall'articolo 2947 c.c. Un motivo subordinato fa rifermento al trattamento sanzionatorio, con particolare riferimento alla dedotta illogicità della mancata concessione delle attenuanti generiche, nonostante, tra l'altro, l'incensuratezza dell'imputato. 4. La questione degli omessi controlli preventivi e della legittimità dell'inserimento di soggetti maggiorenni tra i carichi familiari, sono proposte anche nell'interesse di F.R.G. . La difesa sottolinea ancora, l'ingiustificata affermazione dell'irrilevanza dell'esito favorevole alla ricorrente della controversia di lavoro avviata dopo il licenziamento seguito all'accertamento dei fatti l'omessa valutazione della documentazione anagrafica attestante che l'effettiva composizione del nucleo familiare della ricorrente corrispondeva a quella considerata per la relativa maggiorazione dello stipendio e l'omessa valutazione del contenuto della conversazione telefonica del 17.12.2006, dalle quali si trarrebbero sicure indicazioni della estraneità ai fatti dell'imputata, o comunque della sua buona fede. 5. Zo.Vi. la difesa denuncia l'illogicità della motivazione per avere i giudici di appello affermato il concorso del ricorrente nella truffa in assenza di qualunque indicazione di prova, e dopo avere contraddittoriamente sottolineato il ruolo dominante e autonomo dell'A. nella vicenda processuale. 6. D.V. lamenta che la Corte territoriale abbia illegittimamente applicato nei suoi confronti un criterio di responsabilità oggettiva, in assenza di qualunque prova che egli si fosse reso autore di false comunicazioni alla Fondazione circa la composizione del proprio nucleo familiare, avendo inoltre i giudici di appello trascurato che contro di lui non varrebbe l'argomento dei rapporti con la Finanziaria UTF, che non gli aveva mai erogato prestiti. Motivi subordinati fanno riferimento al trattamento sanzionatorio. 7. Nell'interesse di Sp.Ai. , la difesa lamenta, in punto di responsabilità, il difetto di motivazione della sentenza dedotto anche, in sostanza, sub specie di violazione degli articolo 192 c.p.p. e 640 c.p. , per avere ribadito la sentenza di condanna del giudice di primo grado senza tener conto delle risultanze, favorevoli alla ricorrente, dell'istruzione probatoria dibattimentale e del contenuto di alcune intercettazioni telefoniche. Nel ricorso sono citate pagg. 10 e 11 la conversazione del 4.1.2007 nel corso della quale la ricorrente avrebbe rivelato alla figlia di non avere mai presentato certificazioni per ottenere assegni familiari non dovuti, lamentando di essere rimasta vittima di non autorizzate iniziative di terzi ed esprimendo l'auspicio che il responsabile venisse denunciato e la conversazione tra A.N.A. e V.V. , quest'ultimo poi sentito in dibattimento con esito di conferma dei contenuti della conversazione intercettata, e con l'aggiunta di altri particolari significativi dell'estraneità della ricorrente alla frode. Peraltro, la ricorrente avrebbe anche fornito congrue giustificazioni, ancora una volta ingiustificatamente trascurate dalla Corte di merito, sul proprio convincimento in ordine alla provenienza delle maggiorazioni di stipendio di cui aveva goduti nel periodo considerato dall'accusa, affermando di averle ritenute imputabili a vari voci retributive extra, tra l'altro per l'attività prestata in occasione di manifestazioni artistiche celebrate al di fuori della sede della Fondazione. A fronte di queste emergenze istruttorie, insuscettibili di essere ribaltate da contrarie prove documentali, atteso il mancato ritrovamento degli ANF, la Corte di merito avrebbe ripiegato su congetture e illazioni ribadendo il giudizio di responsabilità della ricorrente in violazione del principio del ragionevole dubbio stabilito dall'articolo 546 c.p.p. Motivi subordinati fanno riferimento al trattamento sanzionatorio, con particolare alla mancata rilevazione del concorso nei fatti della Fondazione ex articolo 40 co. 2 c.p., e al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'articolo 62 nr. 5 c.p 8. S.S. In punto di responsabilità, la difesa deduce che la Corte territoriale avrebbe illogicamente trascurato la produzione documentale versata in giudizio dalla difesa a conferma della effettività dei carichi di famiglia del ricorrente, estendendo a costui la generalizzata affermazione della macroscopica differenza delle situazioni rappresentante dai dipendenti rispetto a quelle reali e finendo in sostanza per negare ogni diritto del ricorrente agli assegni familiari, quando si trattava piuttosto di accertare più o meno marginali differenze tra il corrisposto e il dovuto, alla stregua di un profilo di indagine che avrebbe condotto a risultati diversi rispetto alla valutazione del tema della colpevolezza. 9. Le valutazioni di merito della Corte territoriale sono censurate con motivi sostanzialmente analoghi dalle difese di Me.Gi. e Gi.Anumero , sotto il profilo del vizio di violazione di legge e difetto di motivazione in ordine all'identificazione della presunta condotta decettiva dello stesso ricorrente. La motivazione della sentenza impugnata sarebbe del tutto generica e anche contraddittoria nell'analisi delle specifiche posizioni dei ricorrenti, basate su illazioni e sull'indebita generalizzazione del giudizio di responsabilità nei confronti di tutti gli imputati. Peraltro, la stessa sentenza di primo grado aveva riconosciuto che ad entrambi i ricorrenti spettasse il diritto agli assegni familiari, né aveva rilevato false indicazioni sulla composizione dei rispettivi nuclei familiari pag. 50 come il ricorrente avesse linearmente dichiarato di non avere mai assunto alcuna iniziativa fraudolenta diretta al riconoscimento di assegni familiari non dovuti, essendosi piuttosto rivolto all'A. per avere informazioni sulla possibilità di inserire determinati soggetti tra i propri carichi familiari, senza sapere nulla dei successivi sviluppi di questi contatti informativi . 10. G.S. e Di.Gi. . Il difensore dei due ricorrenti, contesta la logicità delle valutazioni della Corte territoriale in punto di responsabilità, non solo sul rilievo del mancato ritrovamento dei modelli ANF, ma sottolineando, quanto al Di. , la correttezza dallo stesso dimostrata nel comunicare alla Fondazione il decesso di un congiunto disabile a carico per il quale percepiva una specifica indennità e rilevando, comunque che i due ricorrenti non potrebbero rispondere di eventuali errori del personale della Fondazione incaricato di predisporre le buste paga. Sarebbe incongrua anche la valorizzazione dei contratti di finanziamento conclusi dai ricorrenti con la UTF, tanto più che era emerso nel corso delle indagini che i dipendenti della Fondazione avevano stipulato contratti analoghi anche con numerose altre società finanziarie. Peraltro, maggiorazioni di stipendio erano state nel tempo accreditate agli interessati anche per attività lavorative straordinarie, e l'importo degli assegni familiari sarebbe stato indicato nelle buste paga globalmente, senza alcun riferimento al numero dei congiunti a carico, ciò che avrebbe impedito ai ricorrenti la consapevolezza di percepire emolumenti non dovuti. Ancora, gli stipendi erano canalizzati su conti correnti bancari intestati ai ricorrenti, che dunque potevano ritirare le buste paga anche con molto ritardo e non avevano in ogni caso particolare interesse a consultarle. Con un motivo subordinato, la difesa, muovendo dalla contestazione della configurabilità, nella specie, di una truffa a consumazione prolungata, deduce il vizio di violazione di legge della sentenza in ordine alla mancata applicazione dell'indulto per tutti i fatti commessi fino al OMISSIS , sul rilievo che applicando il principio della scindibilità del reato continuato, non potrebbe valere il criterio della prevalenza della sospensione condizionale utilizzato dalla Corte di merito. 11. Nell'interesse di Z.G. e M.A. le deduzioni difensive si arrestano alle questioni generali della ritualità della contestazione suppletiva e della procedibilità del reato di truffa. Considerato in diritto 1. Si deve anzitutto rilevare la forte integrazione reciproca delle motivazioni delle due sentenze di merito, avendo il giudice di appello, in sostanza, più che altro operato le puntualizzazioni giuridiche ritenute opportune rispetto a temi come la ritualità della contestazione suppletiva, o la procedibilità dell'azione penale, limitandosi, nel merito, a sottolineare alcune questioni centrali nella ricostruzione del meccanismo truffaldino. I dettagli dei fatti e l'analisi particolareggiata delle posizioni dei singoli imputati rimangono invece affidate dal giudice di appello, al motivato e consapevole rinvio alle valutazioni della sentenza di primo grado, alle quali più volte dovrà quindi farsi riferimento nell'analisi dei ricorsi nel senso che quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo, cfr. cass Sez. 1, numero 8868 del 26/06/2000 Sangiorgi . 2. Va quindi affermata l'infondatezza delle questioni difensive riguardanti la ritualità della contestazione delle aggravanti di cui agli articolo 61 nr. nr. 7 e 11 c.p., e il connesso regime di procedibilità dei reati di truffa ascritti agli imputati. 2.1. Si deve al riguardo ribadire, in conformità all'ormai dominante e condivisibile indirizzo di questa Corte, che il pubblico ministero può procedere alla modifica dell'imputazione, con contestazione suppletiva in dibattimento, anche prima che si sia dato inizio all'istruzione ed utilizzando gli elementi di fatto emersi in precedenza, fermo restando che il mutamento dell'imputazione non può causare un pregiudizio per le garanzie dell'imputato. Cass. Sez. 6, Sentenza numero 40249 del 30/11/2006 Imputato Pacifico e altri . A nulla rileva poi che l'iniziativa del PM possa essere stata nella specie determinata da un ripensamento sospettabile di strumentalità rispetto all'esigenza di scongiurare il rischio che la mancata contestazione dell'aggravante potesse comportare sull'esito del procedimento, perché quel che conta è la ritualità formale della nuova contestazione, che tra l'altro non avrebbe potuto essere inibita dal giudice di merito senza incorrere nel vizio di abnormità Cass. Sez. 6, Sentenza numero 37577 del 15/10/2010 Marcolin , salva ovviamente la definitiva valutazione della sua fondatezza. 2.2. Ma è troncante il rilievo che l'iniziativa del PM era in realtà del tutto superflua, quanto meno con riferimento all'aggravante di cui all'articolo 61 nr. 11 c.p., dovendosi la circostanza considerare già contestata agli imputati con il decreto che dispone il giudizio, in particolare nel capo A della rubrica accusatoria. Si tratta dell'imputazione di truffa specificamente contestata ad A.N.A. , come responsabile dell'ufficio paghe della Fondazione, ma nella formulazione della quale risultano nominativamente indicati tutti gli altri ricorrenti, identificati come i dipendenti che si sarebbero avvalsi della complicità dello stesso A. per ottenere indebite maggiorazioni retributive. La formulazione del capo di imputazione, che si chiude con l'indicazione delle due aggravanti, si caratterizza, infatti, attraverso il riferimento testuale all'articolo 110 c.p., per la comunicabilità a tutti i correi delle circostanze del fatto attinenti alle qualità soggettive di uno di essi, alla sola condizione della loro effettiva conoscibilità da parte degli altri cfr. ad es., Cass. Sez. 6, Sentenza numero 41514 del 25.9.2012, Regina e altri, dove la precisazione che a seguito della sostituzione del testo dell'articolo 118 cod. penumero ad opera dell'articolo 3 della legge 7 febbraio 1990, numero 19, al concorrente non si comunicano più le circostanze soggettive concernenti i motivi a delinquere, l'intensità del dolo, il grado della colpa e quelle relative all'imputabilità ed alla recidiva, ma sono ancora valutate riguardo a lui le altre circostanze soggettive indicate dall'articolo 70, primo comma, numero 2, cod. penumero , cioè quelle attinenti alle qualità personali degli altri colpevoli . Nella specie, è assolutamente ovvio che tutti i dipendenti favoriti dall'A. sapessero del rapporto che lo legava alla Fondazione, da tutti strumentalizzato, alla stregua dell'ipotesi accusatoria, per ottenere cospicui vantaggi economici senza averne alcun diritto. 2.3. È vero poi che lo Z. ha finito con lo scampare, per un problema di notifica, alla contestazione suppletiva e alle sue conseguenze sanzionatorie, ma l'accidente processuale si è combinato nella specie con l'errata valutazione dell' incompletezza della contestazione originaria, valutazione in nessun modo vincolante, ai diversi fini dell'apprezzamento della procedibilità dell'azione penale anche per ragioni non corrispondenti a quelle ritenute dalla Corte territoriale, indipendentemente dalle ricadute sanzionatorie delle diverse valutazioni dei giudici di appello. Trattandosi di questione processuale, infatti, questa Corte è del tutto autonoma nelle proprie valutazioni dovendosi ribadire, in proposito, l'orientamento di legittimità secondo il quale, nel caso in cui sia stata eccepita, nel giudizio di merito, una pretesa violazione di norme processuali, il giudice non deve far luogo ad alcuna motivazione se la violazione denunciata non sussiste. Ne consegue che non può invocarsi in sede di legittimità il vizio di motivazione rispetto ad un'eccezione infondata, nemmeno se il giudice a quo non si sia in alcun modo soffermato sulla stessa nel discorso argomentativo a supporto della decisione adottata Sez. 3, Sentenza numero 10504 del 1999, 30.6.1999, Cola vedi, anche, Cass., Sez. V, 24.10.1991, numero 10646 . Sotto altro profilo, detti principi sono la conseguenza coerente dell'attribuzione alla Corte di cassazione di autonomi poteri di accertamento delle nullità processuali, anche con l'esame diretto degli atti il giudice di legittimità è quindi svincolato, in questo caso, nella sua decisione, dalla motivazione della sentenza impugnata, e può prescindervi del tutto Cass. 19.3.2002, Ranieri . 3. Consegue da quanto detto che i reati di truffa ascritti agli imputati sono tutti procedibili d'ufficio, essendo all'uopo sufficiente qualunque circostanza aggravante, tanto dovendosi ritenere anche nei confronti dello Z. , attesa la rilevata superfluità della formalmente rituale contestazione suppletiva operata dal Pm all'udienza del 28.10.2009. 3.1. Per completezza, si può comunque aggiungere che non meritano accoglimento nemmeno le deduzioni difensive relative alla irregolarità intempestività della querela proposta dal commissario straordinario della Fondazione. 3.2. Va premesso che la querela è negozio processuale, che va interpretato, ricostruendo la effettiva volontà del querelante, desumibile, tanto dal testo del documento, quanto dalla condotta del querelante, anche successiva alla presentazione della istanza di punizione, purché, ovviamente ricollegabile alla originaria manifestazione di volontà Sez. 5, Sentenza numero 19827 del 26/02/2003 Ud. Sez. 5, Sentenza numero 9106 del 19/01/2012 Imputato P.G. in proc. Spagnol . Nella specie, la volontà di punizione è stata correttamente desunta dai giudici di merito sulla base delle espressioni contenute nell'atto a firma dell'avv. Dell'Aira, che semplicemente scontava in quel momento, sul piano della concretezza delle accuse, la non ancora certa e completa identificazione dei responsabili delle truffe. Ma, a quest’ultimo riguardo, va ulteriormente osservato che la mancata o inesatta indicazione delle generalità del querelato non è necessariamente rilevante, essendo sufficiente che l'atto contenga l'inequivoca manifestazione dell'intenzione del querelante affinché si proceda penalmente nei confronti dell'autore del reato, anche se costui sia ignoto o non correttamente identificato vedi, ancora, cass. 2003/19827, cit. la fluidità della situazione giustifica poi la concorrente valenza ermeneutica attribuita dai giudici di merito all'espressa qualificazione come esposto -querela dell'atto iniziale di impulso alle indagini, contribuendo a ribadire una volontà di punizione non condizionata dalla iniziale e provvisoria incertezza sugli autori dei fatti. 3.2. Riguardo alle altre questioni sollevate sul punto dalle difese, si osserva poi che non è causa di invalidità, dando invece luogo ad una mera irregolarità irrilevante ai fini della procedibilità dell'azione penale, l'omessa identificazione, da parte dell'autorità ricevente, del soggetto che propone o deposita la querela, ove sia ugualmente certo che l'atto provenga dal soggetto legittimato Sez. 2, Sentenza numero 43712 del 11/11/2010 Imputato Tagliatela e altro Sez. U, Sentenza numero 26268 del 28/03/2013. Imputato Cavalli . 3.3. Uno dei modi in cui può essere accertata l'identità del querelante, secondo le precisazioni delle sentenze citate, è la successiva costituzione di parte civile nel processo, nel caso di specie effettuata nel corso del giudizio dalla Fondazione dopo la proposizione della querela. 4. Anche riguardo alla regolarità di tale costituzione le censure difensive si rivelano infondate. 4.1. Per quel che riguarda la procura speciale che deve essere conferita dalla parte civile al proprio difensore, essa non deve essere necessariamente posta in calce o a margine dell'atto di costituzione, potendo essere quindi redatta anche su separato foglio, purché sia riferibile in modo certo al processo cui la costituzione attiene ex plurimis, Cass. Sez. 3, Sentenza numero 27067 del 20/05/2008, Imputato Nuvoli . Nella specie, risulta che il deposito della procura precedette addirittura la costituzione della Fondazione in giudizio, desumendosene quindi nella maniera più evidente la finalizzazione dell'atto al successivo inserimento dell'azione civile nel processo. 4.2. Ancora, è principio generalizzabile con riguardo ai poteri di rappresentanza di persone giuridiche, enti e associazioni, che ai fini dell'adempimento dell'onere di specifica indicazione della fonte dei poteri di rappresentanza è sufficiente che il soggetto che agisca per loro conto si qualifichi come titolare ex ex lege di detto potere in relazione alla sua posizione all'interno dell'ente super personale cfr., con riferimento alle società per azioni, Cass. Sez. 2, Sentenza numero 35192 del 02/07/2013 Sez. 2, Sentenza numero 33444 del 19/05/2005 . 4.3. Infine, deve di massima presumersi che nella specie al legale rappresentante della fondazione competesse senz'altro il potere di proporre la querela in quanto istanza giudiziaria utile per il raggiungimento degli scopi sociali tra le altre, Cass. Sez. 5, Sentenza numero 46806 del 11/07/2005 , considerando che si trattava di riordinare i conti della fondazione ponendo fine ad abusi e irregolarità. 4.4. A fronte di questi principi, le deduzioni difensive peccano di inammissibile formalismo, senza mai l'indicazione di situazioni concrete dalle quali evincere in termini effettivi e sostanziali irregolarità e difetti di rappresentanza capaci di escludere la validità della costituzione di parte civile della Fondazione. 4.5 Per concludere sul punto, anche la regolarità della querela esclude quindi ogni problema di procedibilità, in particolare con riferimento all'unica posizione in qualche misura più problematica, quella dello Z. . 5. Quanto alle questioni difensive relative all'identificazione, da parte dei giudici di appello, di un fatto unitario di truffa sub specie di reato a consumazione prolungata, in luogo della pluralità di episodi per quanto avvinti dal vincolo della continuazione ritenuti dal giudice di primo grado, va rilevato anzitutto che non viola il divieto della reformatio in peius la sentenza di appello che, su impugnazione dell'imputato, dia al fatto una definizione giuridica più grave, persino quando ciò impedisca, come nella specie, la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione Cass. Sez. 1, Sentenza numero 474 del 17/12/2012 . Senza dire che, in ogni caso, la violazione del principio devolutivo dell'impugnazione non è rilevabile d'ufficio Cass. Sez. 2, Sentenza numero 4897 del 03/10/2000 217509 e che nei motivi di ricorso la questione è affrontata nel merito , cioè con esclusivo riferimento all'effettiva configurabilità, nella specie, di un'ipotesi di truffa a consumazione prolungata. 5.1. Tanto premesso, si può anzitutto rilevare, descrittivamente , una contraddizione di fondo nella logica dell'impostazione accusatoria, nella misura in cui l'accusa ha riferito la contestazione dell'aggravante del danno di rilevante entità ad una pluralità di episodi criminosi corrispondenti alla percezione delle singole mensilità degli stipendi gonfiati , essendo ben più plausibile che solo la valutazione dell'importo complessivo delle retribuzioni consentita dall'unità ontologica e non soltanto giuridica del fatto di reato avrebbe potuto portare ad un risultato quantitativo corrispondente all'aggravante prevista dall'articolo 61 nr. 7 c.p. La considerazione costituisce già la spia della fondatezza delle diverse valutazioni della Cotte di merito, che appaiono in effetti adeguate, come si vedrà, al particolare meccanismo truffaldino posto in essere degli imputati. 5.2. Le difese hanno sostenuto la necessità della rinnovazione degli artifici fraudolenti attraverso la reiterata presentazione annuale degli ANF, ma in realtà si tratta di adempimento pressoché pleonastico rispetto al normale dispiegarsi nel tempo degli effetti dell'inserimento, nella retribuzione complessiva, di una voce retributiva potenzialmente stabile fino alla comunicazione, da parte dell'interessato o alla diretta rilevazione, da parte dell'ufficio erogatore degli emolumenti della cessazione del titolo della sua corresponsione cfr. Cass. civ. Sez. L, Sentenza numero 4098 del 10/05/1997, proprio in materia di assegni familiari, dove l'affermazione che una volta che il lavoratore abbia presentato il documento, redatto su apposito modulo, attestante la propria situazione anche reddituale di famiglia al fine della percezione degli assegni, in tal modo corrispostigli dall'INPS, permane in capo al lavoratore medesimo -che non ha quindi altri oneri probatori il diritto al beneficio, in assenza di successive denunce di variazione della situazione di famiglia o reddituale o di omessa risposta a richieste di notizie o di documenti da parte dell'I.N.P.S. . 5.3. Come ricorda il giudice di primo grado, del resto, a tali criteri si sono in definitiva attenuti gli ispettori incaricati di far luce sulle irregolarità, valutate alla stregua delle situazioni sostanziali , più che degli adempimenti formali vedi pag. 20 della sentenza del tribunale . 5.4. Non vi è dubbio pertanto che nel caso di specie gli imputati, alla stregua dell'ipotesi accusatoria, avessero avuto fin dall'inizio la volontà di realizzare un fraudolento meccanismo retributivo destinato a protrarsi nel tempo, con la conseguente configurabilità della figura del reato a consumazione prolungata cfr. Sez. 2, Sentenza numero 11026 del 03/03/2005, Imputato Becchiglia, con riferimento al reato di truffa in danno degli enti previdenziali per ricezione di indebite prestazioni di emolumenti e previdenze maturate periodicamente, dove la precisazione che in questo caso non ricorra un reato permanente né un reato istantaneo ad effetti permanenti, bensì, appunto, un reato a consumazione prolungata in motivazione, la Corte precisa, in riferimento a questa figura di reato, che il momento consumativo, e il dies a quo del termine prescrizionale, coincidono con la cessazione dei pagamenti, perdurando il reato ed il danno addirittura incrementandosi fino a quando non vengano interrotte le riscossioni vedi, anche, Cass. Sez. 2, Sentenza numero 43347 del 15/10/2009 Imputato Casagli . 5.5. Gli indirizzi giurisprudenziali citati dalle difese a sostegno delle proprie contrarie deduzioni, o non sono pertinenti così è per Cass. sez I, 25.10.2006 nr. 21496, citata nel ricorso a favore del Gr. , che si occupa dei criteri per l'identificazione del reato continuato, questione all'evidenza del tutto diversa o sono superati dalla più recente e condivisibile giurisprudenza di legittimità. 6. La qualificazione giuridica del fatto nei corretti termini ritenuti dalla Corte territoriale, esclude la prescrizione anche per tutti i fatti di truffa più remoti, sicuramente fino alla sentenza della Corte di Appello. Ma nemmeno in questo grado di legittimità la prescrizione si è maturata, occorrendo considerare tutto il periodo del rinvio del dibattimento di appello disposto dalla corte territoriale sulla corrispondente istanza di uno dei difensori, l'avv. Michelangelo Di Napoli, che aveva allegato gravi motivi di salute. Dalla lettura dell'istanza di rinvio, presentata il 16.1.2013, meno di una settimana prima dell'udienza interessata, quella del 21.1.2013, e dalla documentazione medica allegata, si ricava al momento dell'inoltro della richiesta il legale era ancora ricoverato presso una struttura ospedaliera per seri problemi cardiologici. Ne risulta evidente l'impossibilità di ritenere che ragioni di salute così preoccupanti potessero cessare immediatamente dopo l'udienza del 21.1.2013, perché altrimenti non avrebbero potuto nemmeno essere oggetto di una rappresentazione così anticipata . In assenza di diverse indicazioni sui tempi di ristabilimento dell'interessato, la causa impeditiva deve ritenersi quindi cessata solo in coincidenza con l'udienza successiva, fissata il 63 giorno dopo quella del 26.1.2013, con la conseguente operatività della sospensione della prescrizione per tutto il tempo intermedio, ai sensi dell'articolo 159 co. 3 c.p.p., secondo cui nel caso di impedimento del difensore o di una delle parti, l'udienza non può essere differita oltre il sessantesimo giorno dalla prevedibile cessazione della causa impediente, dovendosi avere riguardo, in alternativa, al tempo dell'impedimento aumentato di sessanta giorni. È appena il caso di aggiungere che la sospensione della prescrizione si è verificata nei confronti di tutti gli imputati, per quanto l'impedimento riguardasse il difensore di uno solo di essi, non essendosi le altre difese opposte al rinvio del dibattimento né avendo sollecitato l'eventuale separazione degli atti relativi alle posizioni degli imputati estranei all'impedimento cfr. Cass. Sez. F, Sentenza numero 49132 del 26/07/2013, Imputato De Seriis e altri . 7. Poco apprezzabile appare la questione difensiva relativa al presunto concorso di colpa della Fondazione nella causazione dell'evento. Le difese non spiegano quali controlli preventivi fossero previsti dallo Statuto dell'Ente, e in che modo essi sarebbero stati trascurati da non si sa quali funzionari preposti. Peraltro, come si vedrà nell'analisi della posizione dell'A. , costui era rimasto solo a gestire l'ufficio paghe, a fronte di una pianta organica che prevedeva cinque dipendenti il suo coinvolgimento nel meccanismo fraudolento di maggiorazione delle paghe dei dipendenti, paralizzava quindi, di fatto, ogni possibilità di controllo. In altre parole, non è in questione, nella specie, un comportamento omissivo di soggetti non identificabili, ma il comportamento commissivo di concorso pieno nelle truffe , dell'unico soggetto che alla stregua delle risultanze istruttorie disponibili avrebbe potuto impedire il verificarsi degli eventi di reato. È vero poi che sulla questione si registra, almeno testualmente, un deficit di risposta della Corte territoriale, ma trattandosi di un motivo generico e manifestamente infondato l'omissione non potrebbe comunque comportare alcuna nullità cfr. Corte di Cassazione Sez. 4 17/04/2009 Ignone e altri, secondo cui in tema di ricorso per cassazione, non costituisce causa di annullamento della sentenza impugnata il mancato esame di un motivo di appello che risulti manifestamente infondato vedi, anche, Cass. Sez. 6, Sentenza numero 5777 del 28/09/2006, Ferrante e altri, dove la precisazione che non costituisce vizio che comporta l'annullamento in sede di legittimità l'omessa esposizione ed esame da parte del giudice di appello di motivi di impugnazione non sostenuti da concrete indicazioni degli elementi di fatto e di diritto su cui si fondano le doglianze . Ma occorre anche considerare che il coordinato costrutto argomentativo delle sentenze di merito comporta in realtà l'assorbimento della questione, in termini di implicito rigetto, nella misura in cui viene evidenziato un meccanismo truffaldino sostanzialmente elusivo della possibilità di un tempestivo intervento della Fondazione. Nella sentenza di primo grado, poi, si rileva che il meccanismo dell'erogazione degli assegni familiari scelto dalla Fondazione, relegando in una posizione di secondo piano l'implicazione dell'INPS, aveva oggettivamente comportato il depotenziamento dei sistemi di controllo pag. 27 della sentenza impugnata . 7.1. Esclusa l'operatività dell'articolo 40 co 2 c.p., le pretese risarcitorie della Fondazione rimangono intatte , e non vi è spazio per il riconoscimento dell'attenuante di cui all'articolo 62 nr. 5 c.p., oggetto di alcuni ricorsi. 8. La questione del mancato ritrovamento dei moduli ANF risulta decisamente sopravvalutata dalle difese. Il tribunale procede dall'ovvia considerazione che a monte del riconoscimento del diritto agli assegni familiari non può che esservi una domanda dell'interessato, in qualunque modo espressa o formalizzata, non essendo ovviamente surrogabile la rappresentazione dei propri carichi familiari da chi ne sia direttamente gravato. In qualche caso, come si vedrà, le maggiorazioni retributive erano state comunque accordate sulla base di domande scritte, e non manca qualche caso di ritrovamento di moduli ANF. Non è nemmeno senza fondamento l'affermazione del Tribunale secondo cui il mancato ritrovamento dei moduli ANF costituisce tutt'altro che un ostacolo alla prova dei fatti, concorrendo al contrario a dimostrare il meccanismo fraudolento, essendo ovvio che la generalizzata confusione contabile possa spiegarsi proprio in conformità all'ipotesi accusatoria, facendo velo a pratiche amministrative illecite, di problematica documentazione . 9. Esaurita l'analisi delle questioni generali, si può ora passare all'esame dei singoli ricorsi. 1. Z.G. e M.A. . I ricorrenti limitano le proprie censure di legittimità alle questioni relative alla procedibilità del reato di truffa e alla ritualità della contestazione suppletiva. La questione è peraltro irrilevante, una volta accertata la procedibilità d'ufficio del reato già per effetto della contestazione originaria, e comunque la ritualità della querela sporta dalla Fondazione. La valutazione della responsabilità penale di entrambi i ricorrenti è quindi ovviamente pregiudicata dalla soluzione delle questioni preliminari, in assenza di altre specifiche censure di legittimità. 2. D.V. . Le deduzioni difensive appaiono alquanto generiche, e debolmente fondate sulla considerazione che il ricorrente non aveva mai fatto ricorso ai prestiti della UTF, perché ciò non esclude certo il vantaggio economico delle indebite maggiorazioni degli stipendi, rispetto a qualunque altra esigenza di vita dell'interessato. La sentenza di primo grado pagg. 28 e ss , rileva incisivamente che il ricorrente e la moglie avevano firmato domande per assegni familiari negli anni dal 1997 al 200/2001, facendo figurare come componenti del proprio nucleo familiare ben nove soggetti, a fronte dei quattro effettivamente accertati. L'imputato si era limitato ad affermare di non sapere nulla delle cifre percepite a titolo di assegni familiari e di avere rilasciato una dichiarazione orale all'A. sul venir meno del diritto agli assegni per alcuni dei figli. È di tutta evidenza che le valutazioni dei giudici di merito non facciano affatto riferimento a criteri di responsabilità oggettiva, ma a specifiche e più che significative circostanze di prova individualizzanti , contrastate solo da interessate dichiarazioni di parte e nemmeno particolarmente considerate in ricorso. 3. G.S. e Di.Gi. . A favore del G. non sono proposte specifiche censure di legittimità sul merito dell'imputazione di truffa, a parte la questione del mancato ritrovamento degli ANF. Peraltro, la sentenza di primo grado rileva che il ricorrente aveva indebitamente percepito la somma complessiva di Euro 30.589,58, a titolo di assegni familiari, e il dato non è particolarmente contestato dalla difesa. I motivi a favore del Di. , riguardanti il tema della responsabilità penale sono manifestamente infondati. Riguardo allo stesso ricorrente, il giudice di primo grado pag. 29 sottolinea che risultano presentate domande di assegno familiare a sua firma e a firma della moglie per gli anni 1999/2000, relative figli minorenni, mentre dalle indagini era emerso che all'epoca entrambi i figli della coppia erano maggiorenni, e che il Di. non aveva nessun titolo per percepire assegni familiari. Non si comprende poi perché la correttezza dimostrata dal Di. rispetto al carico familiare relativo ad un congiunto poi deceduto dovrebbe escludere la sua evidente malafede per avere dichiarato falsamente il carico di figli minorenni. La precisa consapevolezza delle maggiori retribuzioni spettanti non ha alcun rilievo, considerato che la domanda di assegni familiari era comunque finalizzata alla percezione di corrispondenti maggiorazioni retributive. Così come non si comprende il rilievo del ricorso ad altre società finanziarie oltre l'UTF, trattandosi anzi di circostanza che aggravava l'esigenza di maggiori liquidità da parte del ricorrente. Poco apprezzabile è il motivo sulla mancata applicazione dell'indulto. Risolvendo precedenti contrasti di giurisprudenza, le sez. un di questa Corte hanno affermato cfr. Sentenza numero 36837 del 15/07/2010, Imputato Bracco che con la sentenza di condanna, non può essere contestualmente applicato l'indulto e disposta la sospensione condizionale della pena, in quanto quest'ultimo beneficio prevale sul primo. Il principio vale, ovviamente, indipendentemente dalle scansioni temporali del reato continuato, in quanto i singoli fatti ricadano o meno entro il termine di efficacia del provvedimento, senza dire che nella specie la Corte di merito ha correttamente rilevato la configurabilità di un reato a consumazione prolungata, con la conseguenza che sotto questo profilo il problema posto dalla difesa non può nemmeno porsi. 4. S.S. . Il ricorrente lamenta che i giudici di merito non abbiano motivato in ordine alla certificazione relativa allo stato di famiglia dell'odierno ricorrente . pag. 4 del ricorso , ma in realtà nella sentenza di primo grado pag. 37 , si rileva che lo stesso ricorrente, intestatario di un modulo ANF relativo all'anno 1999, non aveva alcun diritto a percepire assegni familiari, non avendo figli minori né potendo vantare altre situazioni tali da giustificarne la corresponsione. Non si tratta quindi di uno scarto tra dovuto e percepito, ma dell'inesistenza assoluta del diritto agli assegni familiari. 5. Sp.Ai. . Anche nei confronti della Sp. vale l'osservazione dell'inesistenza assoluta del diritto agli assegni familiari, nella specie del tutto pacifica. I motivi di ricorso sono incentrati sull'assenza di una domanda della ricorrente e sul contenuto di una conversazione telefonica nel corso della quale la stessa esprimeva la propria indignazione per l'iniziativa di un ignoto intermediario che avrebbe agito per suo conto a sua insaputa. La stessa difesa finisce con il riconoscere che senza una rappresentazione dei carichi familiari da parte dell'interessato l'inserimento della voce assegni familiari nella retribuzione non sarebbe stato possibile. L'intercettazione è richiamata senza precisi riferimenti processuali, e senza la produzione del testo trascritto. Il riferimento alla requisitoria del PM significa ben poco. Si tratta comunque di una conversazione intervenuta dopo la scoperta della frode, la cui valenza sarebbe in ogni caso fortemente indebolita non solo dall'intrinseca inverosimiglianza di un intervento non autorizzato di terzi, ma anche dall'interesse difensivo della ricorrente quello stesso espresso dal dichiarato intento, non si sa se seguito dai fatti, di rimborsare le somme indebitamente percepite . La testimonianza del V. o di altri soggetti che avevano escluso che la S. avesse mai fatto domanda è del tutto irrilevante. Che non sia stato reperito un modulo ANF o altra richiesta scritta a firma della ricorrente è pacifico, ma ciò non toglie che senza l'iniziativa dell'interessata l'accreditamento degli assegni familiari sulla sua retribuzione non si sarebbe mai verificato. Come si è anticipato, non ha nemmeno rilievo che la retribuzione della Sp. fosse composta di altre voci retributive extra . La rappresentazione di carichi familiari inesistenti non poteva che essere finalizzata al conseguimento di corrispondenti indennità, senza che abbia alcuna importanza che poi l'interessata potesse o meno distinguere in concreto gli importi riferibili alle singole voci. 6. Zo.Vi. . Con il ricorso proposto, lo Zo. non contesta in sostanza la materialità del fatto di reato cioè l'indebita percezione di assegni familiari, per un importo di ben 43.868,64 vedi pag. 39 della sentenza di primo grado ma solo l'illogica affermazione del suo concorso nella truffa sotto il profilo psicologico, con deduzioni peraltro assertive e generiche, che non valgono ad insidiare la tenuta logico-giuridica delle motivazioni del giudizio di condanna nei suoi confronti, ancorate al particolare meccanismo truffaldino posto in essere dall'A. e dagli altri dipendenti della Fondazione, che postulava in effetti la necessaria interazione delle singole condotte rispetto al consapevole perseguimento del risultato illecito. 7. F.R.G. . A fronte del calcolo della notevole cifra Euro 50241,46 pag. 30 della sentenza di primo grado percepita in più dalla ricorrente rispetto alle somme alla stessa dovute a titolo di assegni familiari, la difesa rileva anzitutto che anche ai dipendenti con figli maggiorenni spetta l'attribuzione di detti assegni, quando si tratti di figli conviventi o studenti . L'affermazione è smentita dalla stessa produzione documentale allegata al ricorso, risultando dal parere tecnico espresso sulla vicenda dal prof. Ga.Al. , che riguardo ai figli maggiorenni il diritto agli assegni familiari spetti solo se si tratti di soggetti che per difetti fisici o mentali si trovino nell'impossibilità assoluta e permanente di dedicarsi ad un proficuo lavoro la questione è comunque affrontata negli stessi termini dalla sentenza di primo grado pag. 22 . Per il resto, il ricorso indugia su presunte illogicità della motivazione del giudizio di condanna sotto l'aspetto psicologico, richiamano il contenuto di una conversazione in cui l'A. e il Di. avevano criticato l'iniziativa della ricorrente di attivare tramite il proprio legale un carteggio con la Fondazione, e sottolineando la difficoltà di identificare le somme imputabili agli assegni familiari tra le varie voci extra dello stipendio della ricorrente, assertivamente definita analfabeta . Le indicazioni desumibili dal carteggio sono peraltro assolutamente vaghe, e alquanto inconcludenti le relative deduzioni difensive, dal momento che la richiesta di un parere, a fronte di indagini ormai avviate, non poteva certo essere particolarmente compromettente della nessuna incidenza, sotto il profilo psicologico, del concorso di voci retributive extra oltre agli assegni familiari, si è già detto vedi l'esame del ricorso della Sp. . 8. Gr.Is. . Nel ricorso è proposta, in sostanza, come argomento centrale della dedotta illogicità della motivazione della sentenza di appello in punto di responsabilità, la questione della spettanza dell'assegno familiare anche per i figli maggiorenni conviventi o studenti, per la quale valgono le obiezioni già formulate a proposito dell'identica deduzione difensiva a favore della F. . La sentenza di primo grado pag. 31 , precisa d'altra parte il calcolo delle somme indebitamente percepite dal ricorrente Euro 38.078,76 , non particolarmente contestato dalla difesa. La questione della prescrizione civile dell'azione di danni coltivata in giudizio dalla Fondazione è poi mal posta in diritto. È vero che l'articolo L'articolo 2935 cod. civ., nello stabilire che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, si riferisce soltanto alla possibilità legale di azionare il diritto, quindi agli impedimenti di ordine giuridico, escludendo di massima quelli di mero fatto, compresa l'ignoranza della causa petendi da parte del titolare del diritto, ma l'impedimento di fatto finisce con il rilevare, per l'espressa disposizione dell'articolo 2941 nr. 8 c.c., quando sia la conseguenza del dolo del debitore, su questi principi, cfr. Cass. sez. 1, Sentenza numero 9291 del 18/09/1997. E sembra persino troppo ovvio rilevare che nella specie il dolo dei debitori si è concretizzato addirittura in una fattispecie di reato. Il diritto della Fondazione al risarcimento del danno era quindi rimasto sospeso fino al momento in cui il meccanismo truffaldino era stato scoperto. 9. A.N.A. . Il ricorso non riesce in alcun modo ad insidiare la tenuta logico-argomentativa delle valutazioni dei giudici di merito sul ruolo centrale dello stesso ricoprente nella vicenda processuale. Appare anzitutto persino controproducente il rilievo dell'A. sulla virtuale plurisoggettività dell'ufficio paghe, dal momento che egli era rimasto di fatto l'unico addetto all'ufficio, a causa delle vacanze della pianata organica. In ogni caso, non si tratta di valutare le specifiche competenze del ricorrente, ma il suo concreto coinvolgimento nella truffa, ovviamente non necessariamente condizionato dall'eventuale limitazione delle mansioni ricoperte. Semmai, anche la rilevazione di un abuso funzionale concorrerebbe alla valutazione della fondatezza dell'ipotesi accusatoria. Nell'ampia disamina della posizione del ricorrente contenuta nella sentenza di primo grado, si desumono peraltro concrete indicazioni del ruolo dominante assunto dall'A. all'interno dell'ufficio paghe rectius, come unica incarnazione dell'ufficio . Alle pagg. 45 e 46 si ricordano, ad es., le dichiarazioni del teste Provenza e le ammissioni dello stesso imputato dalle quali risulta tra l'altro che era proprio l'A. a compilare i moduli di trasmissione interna al CED sulla base dei modelli ANF compilati dai dipendenti, pur addebitando al Centro di Elaborazione eventuali errori nella compilazione delle buste paga. E il teste Ac. aveva riferito pag. 46 della sentenza di primo grado che un primo controllo sulla regolarità delle domande di assegno familiare quanto alla sussistenza dei relativi presupposti, era demandato proprio all'A. . Il fatto che l'A. custodisse presso la propria abitazione 145 copie di domande di assegni familiari che non fossero state rinvenute proprio quelle relative alle annualità incriminate , ma soltanto le domande ascrivibili al periodo 2005/2006, per il quale non erano state riscontrate irregolarità, così come non erano stati rinvenuti i c.d. fogli di evidenza in cui venivano annotate, sulle buste paga dei dipendenti, le singole voci di reddito, costituiscono poi altri significativi elementi di prova che nelle corrette valutazioni del Tribunale risultano pienamente convergenti nel senso della piena implicazione dell'A. nel meccanismo truffaldino il riferimento è, in particolare, all'esplicita affermazione dei coimputato L.B.G. , ricordata a pag. 50 della sentenza di primo grado, di avere ricevuto dall'A. il suggerimento di inserire tra i familiari a carico anche i figli maggiorenni non conviventi. Anche sulla questione del ricorso di molti dipendenti ai prestiti al consumo erogati dall'ITF, società finanziaria per conto della quale operava il figlio del ricorrente, le deduzioni dell'A. sono alquanto inconcludenti. La presunta trasparenza dell'attività della società finanziaria non ha nulla a che fare, infatti, con gli espedienti posti in essere dall'A. per consentire ai dipendenti di onorare i debiti assunti, e per consentire, in definitiva, al figlio di mantenere la propria quota di clientela, alla stregua dell'interesse, indiretto, ma pur sempre decisamente personale , ravvisabile nella vicenda nei confronti del ricorrente Nel senso che nel delitto di truffa il requisito del profitto ingiusto può comprendere in sé qualsiasi utilità, incremento o vantaggio patrimoniale, anche a carattere non strettamente economico, cfr. ad es. Cass. sez. 2, Sentenza numero 18762 del 15/01/2013 imputato Meloni vedi anche, Cass. sez. 2, 3.4.1986 nr. 2137, dove la valorizzazione di qualunque interesse dell'agente, sia pure soltanto psicologico o morale . Senza dire che l'indagine sul profitto dell'agente assume peculiare rilievo nel caso di reato mono soggettivo, non certo in ipotesi concorsuali, quando uno dei correi procuri comunque agli altri un ingiusto profitto, subendo la comunicazione personale di tutti gli aspetti oggettivi della truffa. Non è ben chiaro, infine, lo scopo della complessa ricostruzione contenuta in ricorso, del sistema dei rapporti previdenziali attivato dalla Fondazione. Quel che conta, come ricorda la sentenza del Tribunale pag. 27 , è che l'importo degli assegni familiari fosse pagato dalla Fondazione, che subiva quindi direttamente il danno per le illecite erogazioni. 10. L.B.G. . Le censure di legittimità del ricorrente in punto di valutazione della sua responsabilità penale sono per lo più generiche e assertive. Si è detto della questione del mancato ritrovamento degli ANF per il resto il ricorso non va molto al di là della deduzione della illogicità dell'affermazione del concorso del L.B. nella truffa quanto meno sotto il profilo soggettivo. I motivi sono peraltro sostenuti dal rilievo della presunta apoditticità dell'affermazione della necessaria interazione delle condotte del ricorrente e dell'A. , dovendosi al riguardo condividere, al contrario, le corrette valutazioni dei giudici territoriali, saldamente ancorate al peculiare meccanismo truffaldino oggetto del procedimento. La lacunosità dei motivi è apprezzabile anche nel confronto con la particolare analiticità dell'esame della posizione del ricorrente nella sentenza di primo grado pag. 33 . 11. Me.Gi. e Gi.Anumero . I ricorsi sono fondati. A proposito del Gi. la sentenza di primo grado rileva pagg. 31 e ss., che risultano acquisite al fascicolo del dibattimento domande non firmate di corresponsione degli assegni familiari per un numero di soggetti a carico variabile negli anni dieci, tre o quattro soggetti . Nelle domande figura un'annotazione del datore di lavoro relativa all'assegno spettante. Il giudice di primo grado non rileva però la falsità delle indicazioni formulate nel tempo dal Gi. sul numero dei componenti del proprio nucleo familiare e nemmeno precisa lo scarto tra le somme eventualmente dovute e quelle percepite, limitandosi ad affermare che il calcolo delle somme introitate era stato eseguito sulla base delle buste paga e che tra le voci di reddito figura la somma di Euro 665,20 a titolo di assegno familiare. Quanto al Me. , nella sentenza di primo grado pag. 35 e ss. , si da atto che il ricorrente aveva diritto agli assegni familiari ma avrebbe percepito indebitamente somme maggiori in relazione al proprio reddito . Si tratta di notazioni alquanto vaghe e imprecise, che non tengono conto neanche dei necessari profili di indagine relativi alla responsabilità dei conteggi ai quali il Me. potrebbe essere rimasto estraneo, competendogli, di massima, solo l'iniziativa della domanda . Non solo, ma in assenza di qualunque indicazione sullo scarto tra il dovuto e il percepito, non è nemmeno possibile trarne conseguenze sul dolo del reato di truffa, che presupporrebbe una sproporzione di assoluta evidenza. Considerate le gravi lacune motivazionali in cui sono incorsi giudici di merito, si impone quindi nei confronti di entrambi i predetti ricorrenti, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. 12. Non si prestano infine a censura, nei confronti dei ricorrenti per i quali deve ritenersi correttamente formulato il giudizio di colpevolezza per il reato di truffa, le valutazioni della Corte territoriale in punto di trattamento sanzionatorio. Della questione dell'attenuante di cui all'articolo 62 nr 5 c.p. si è già detto. Per il resto, i giudici di appello, integrando le più scarne motivazioni della sentenza del Tribunale, rilevano la gravità dei fatti per il danno arrecato all'amministrazione di appartenenza, e le modalità delle condotte, specie in relazione alla loro lunga articolazione nel tempo, dato, quest'ultimo, che eccede la semplice considerazione del titolo del reato e delle circostanze aggravanti. Avendo fornito l'indicazione degli elementi reputati decisivi nella scelta compiuta, il giudice di appello ha quindi implicitamente dato conto del mancato accoglimento delle richieste degli imputati, avendole peraltro esplicitamente tenute presenti sull'esercizio del potere discrezionale del giudice in ordine alla determinazione della pena, cfr. Cass. 27.2.1997, Zampilla Cassazione penale, sez. III, 05 novembre 2008, numero 46353 . Alla stregua delle precedenti considerazioni deve essere pronunciato l'annullamento della sentenza impugnata nei confronti di Gi.Anumero e Me.Gi. , con rinvio ad altra sezione della Corte di Palermo per nuovo giudizio vanno rigettati i ricorsi di A.N.A. , D.V. , D.L.G. , F.R.G. , G.S. , Gr.Is. , L.B.G. , M.A. , S.S. , Sp.Id. , Z.G. e Zo.Vi. , con la conseguente condanna degli stessi ricorrenti, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali, nonché, in solido, alla rifusione in favore della parte civile Fondazione Teatro Massimo di Palermo, delle spese del grado, che si liquidano in complessivi Euro 5.000, oltre accessori di legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Gi.Anumero e Me.Gi. , con rinvio ad altra sezione della Corte di Palermo per nuovo giudizio rigetta i ricorsi di A.N.A. , D.V. , D.L.G. , F.R.G. , G.S. , Gr.Is. , L.B.G. , M.A. , S.S. , Sp.Id. , Z.G. , Zo.Vi. , che condanna al pagamento delle spese processuali nonché, in solido alla rifusione in favore della parte civile Fondazione Teatro Massimo di Palermo, delle spese del grado, che liquida in complessivi Euro 5.000, oltre accessori di legge.