I colloqui registrati dalla persona offesa non sono intercettazioni

La registrazione di un colloquio tra presenti effettuata dalla persona offesa da un reato, anche con mezzi messi a disposizione dalla polizia giudiziaria, non soggiace al regime delle intercettazioni, ma va qualificata come documento e può essere ricondotta al fascicolo processuale eventualmente a supporto della dichiarazione del teste.

Il caso. L’imputato veniva condannato dal Tribunale di Mistretta per i reati di violenza privata e violenza sessuale commessi tra il 2002 e 2003 e nel luglio 2004 e 2005 in danno di persona nata nell’88, in quanto ritenuto provato che l’imputato, minacciando la vittima di riferire ai di lei genitori la relazione della stessa con un amico, la costringeva a subire e praticare atti sessuali e, nel mese di luglio 2005, la aggrediva mentre era alla guida del proprio ciclomotore. La Corte di Appello, riformava parzialmente la sentenza di primo grado, e riqualificati i reati commessi dall’imputato nella ipotesi prevista dall’art. 609 quater, comma 1, n. 2 c.p. atti sessuali con minore di anni 16 quando il colpevole sia l'ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest'ultimo, una relazione di convivenza , stante che lo stesso impartiva lezioni private alla giovane, lo assolveva per i fatti commessi nel luglio 2004, quando la minore oramai aveva superato il sedicesimo anno di età. Inutilizzabilità delle registrazioni. Proponevano ricorso sia il Procuratore Generale che l’imputato. Il primo, lamentando vizio di legge in ordine alla utilizzabilità delle registrazioni delle conversazioni tra presenti avvenute con mezzi forniti dalla polizia giudiziaria alla minore nel corso delle indagini, nonché vizio di motivazione in ordine alla riqualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 609 quater c.p. e all’assoluzione per l’episodio del luglio 2004 sulla scorta di una limitata credibilità della minore a causa della sua presunta disinibizione sessuale. Insussistenza della qualifica di tutore del ricorrente. L’imputato, invece, lamenta vizio di legge in ordine alla qualificazione del reato ai sensi dell’art. 609 quater , visto che già dal luglio 2002 il ricorrente non impartiva più lezioni private alla persona offesa, nonché vizio di motivazione in ordine alle condotte di cui all’art. 610 c.p La Corte in accoglimento del motivo sostanziale inserito nel ricorso del PG, ha rinviato per nuovo esame alla Corte di Appello di Messina. Intercettazioni o no? In contrasto con quanto dedotto dal Procuratore generale i giudici di legittimità hanno precisato che il contenuto delle conversazioni tra presenti, pure se registrate con mezzi forniti dalla polizia nel corso delle indagini, non costituiscono intercettazioni ai sensi degli artt. 266 e seguenti c.p.p., trattandosi di documenti che possono essere introdotti nel fascicolo processuale a supporto della dichiarazione del teste. Incidenza del consenso del minore sulla deducibilità del momento genetico del rapporto. In merito, invece, al secondo motivo, la Corte ritiene, in effetti, sussistere vizio di motivazione, nel senso della illogicità della sentenza di secondo grado, laddove, pur riconoscendo la correttezza della consulenza sulla minore e la infondatezza delle dichiarazioni dell’imputato e delle testimonianze a suo discarico, tuttavia, giunge alla conclusione che, dalle conversazioni tra l’imputato e la minore si ricavi, invece, che si è trattato di rapporti non supinamente subiti dalla minore , ma al contrario dalla stessa consentiti, se non addirittura bramati . Tale circostanza che, secondo la Corte, tuttavia, non si ricava dal contenuto delle conversazioni utilizzate dal giudice di merito, anche qualora fosse riscontrata, non può e non potrà mai giustificare la non credibilità della minore in ordine al momento genetico del rapporto e alle sue modalità, rilevanti ai fini della corretta qualificazione del reato, stante che, in atti, nessun’altra prova è stata fornita dall’imputato, a parte la negazione ritenuta non veritiera di avere intrattenuto rapporti sessuali con la giovane. In conclusione, afferma la Corte che la illogicità manifesta della motivazione coinvolge la ricostruzione fattuale operata in sentenza, e di conseguenza anche la qualificazione dei fatti reato attribuiti all’imputato e la punibilità delle condotte in forza del rapporto di supremazia dell’imputato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 4 dicembre 2013 – 19 febbraio 2014, numero 7767 Presidente Fiale – Relatore Marini Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 14/6/2011 del Tribunale di Mistretta il sig. T. è stato condannato alla pena di otto anni di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della parti civili C. e G. , perché colpevole del reato continuato previsto dagli articolo 81, 609-bis capo A e 610 capo B cod. penumero , reato commesso in danno di persona nata il 31/3/1988 e posto in essere nel periodo che va dal settembre 2002 all'agosto 2003 e quindi nel mese di omissis quanto al capo A e nei giorni omissis . 2. Il Tribunale ha ritenuto provato che l'imputato, minacciando la vittima di riferire ai di lei genitori la relazione che intratteneva con un amico e il contenuto di alcuni messaggi scambiati con lui, costrinse la minore a subire e praticare atti sessuali ha ritenuto, altresì provato, che nel mese di luglio 2005, e dunque un anno dopo gli ultimi atti di natura sessuale, pose in essere condotte aggressive nei confronti della minore mediante azioni di guida pericolose per la stessa che si trovava alla guida del proprio ciclomotore. 3. Nei confronti di tale sentenza il sig. T. ha proposto appello, lamentando l'errata ricostruzione dei fatti, che avrebbe risentito del clima sfavorevole all'imputato sorto a causa delle condotte degli investigatori non valutate adeguatamente le testimonianze addotte dalla difesa, il Tribunale avrebbe omesso di considerare le incoerenze nel racconto della minore e gli esiti della visita ginecologica, mentre avrebbe interpretato in modo distorto i risultati degli accertamenti sul traffico telefonico ed erroneamente dichiarato non utilizzabile la consulenza fonica M. . 4. Con sentenza dell'8/1/2013 la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, previa assoluzione per i fatti commessi nel mese di luglio 2004, ha riqualificato i fatti contestati al capo A ai sensi dell'articolo 609-quater, comma 1, numero 2, cod. penumero e rideterminato la pena in ordine al reato continuato in quella di cinque anni di reclusione. 5. In estrema sintesi, la Corte di appello ha a. Non condiviso la decisione del Tribunale circa la non utilizzabilità della registrazione del colloquio tra presenti effettuata dalla persona offesa mediante apparato fornito dalla polizia giudiziaria e d'intesa con questa senza che l'attività d'indagine sia stata preceduta dalla necessaria autorizzazione dell'autorità giudiziaria. La corte territoriale ha considerato che l'utilizzazione della registrazione è stata sollecitata anche dalla difesa e può risolversi in un elemento di sostegno alla tesi difensiva b. Ritenuto non credibili le spiegazioni date dall'imputato e da sua moglie alle accuse della minore c. Ritenuto tutt'altro che inverosimile il racconto della minore in ordine agli approcci sessuali subiti d. Ritenuto che la natura di tali approcci trovi conferma nei due colloqui intercettati un colloquio telefonico del giorno , ritenuto utilizzabile dal Tribunale, e quello tra presenti, che la Corte di appello ha dichiarato utilizzabile e. Ritenuto che da tali colloqui emerga come i contatti a sfondo sessuale siano stati non supinamente subiti dalla minore, ma al contrario dalla stessa consentiti, se non addirittura bramati in tal senso militano anche i risultati dei contatti telefonici, con un numero elevato di telefonate e squilli che dal cellulare della minore si dirigevano in favore di quello dell'imputato f. Ritenuto che, esclusa così la prova di minacce dell'imputato al fine di imporre i contatti sessuali, il fatto debba essere qualificato ai sensi dell'articolo 609-quater, coma 1, numero 2, cod. penumero in quanto la persona offesa aveva età inferiore ai 16 anni ed esisteva con l'imputato un rapporto di affidamento e fiduciario lo stesso le impartiva lezioni private g. Ritenuto che quando detto escluda la rilevanza penale dell'episodio accaduto nel mese di luglio 2004, quando ormai la minore aveva superato il sedicesimo anno d'età h. Escluso che la diversa qualificazione giuridica del fatto violi il necessario rapporto fra contestazione e decisione ex articolo 521 cod. proc. penumero i. Escluso che i fatti sia riconducibili alla ipotesi attenuata ex articolo 609-bis, ultimo comma, cod. penumero j. Confermato, alla luce delle testimonianze e del materiale probatorio, il giudizio di sussistenza del reato contestato al capo B della rubrica k. Respinto la censura in ordine alla tardività della querela e qualificato i reati come perseguibili d'ufficio. 6. Avverso tale decisione hanno proposto ricorso il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Messina e il sig. T. . Il Procuratore generale in sintesi lamenta 1. Errata applicazione di legge ex articolo 606, lett. c cod. proc. penumero in relazione agli articolo 267 e 271 cod. proc. penumero e alla dichiarata utilizzabilità della registrazione della conversazione tra presenti effettuata dalla persona offesa tramite l'apparecchiatura messale a disposizione dalla polizia giudiziaria si tratta di prova illegittimamente formata e sottratta alla disponibilità delle parti, il cui vizio è assoluto e rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo 2. Vizio di motivazione ai sensi dell'articolo 606, lett. e cod. proc. penumero con riguardo sia alla qualificazione dei fatti ex articolo 609-quater, comma 1, numero 2, cod. penumero sia all'assoluzione per l'episodio avvenuto nel mese di luglio 2004. La Corte di appello ha omesso di considerare la rilevanza dell'episodio di OMISSIS e delle conseguenze che aveva avuto sulla ragazza il racconto che l'imputato aveva fatto ai di lei genitori si tratta di episodio che attribuisce particolare peso alle minacce successive dell'imputato e illustra le ragioni della loro efficacia, tanto da spingere la giovane a cedere al ricatto, a soddisfare anche le richieste di continue telefonate e squilli l'infatuazione dell'imputato, dimostrata anche dai reati contestati al capo B , si accompagna al bisogno di tenere la minore sotto ricatto continuo v. telefonata 1/7/2005, di cui la Corte di appello ha dato una lettura palesemente errata . Inoltre, è errato l'approccio della Corte di appello che sminuisce la credibilità della minore per il fatto che la stessa avesse una propria vita sessuale, non potendo certo seguirsi l'imputato nella convinzione che una giovane disinibita possa per ciò solo essere vittima di richieste e pressioni. La tesi della volontarietà dei rapporti sessuali con l'imputato è smentita da tre circostanze la testimonianza della madre circa i momenti di disagio e di vero e proprio malessere della figlia, che non trovavano spiegazione clinica su questo punto si veda pag.15 della sentenza impugnata la circostanza che l'imputato nelle sue difese non ha mai ammesso di avere avuto rapporti sessuali con la minore la incompatibilità con tale ipotesi della denuncia che la minore ha inteso proporre. Inoltre, la lettura che la Corte di appello ha dato della conversazione tra presenti, che va considerata inutilizzabile, risulta viziata dal pregiudizio circa la condotta della vittima, senza il quale le frasi citate dalla Corte di appello avrebbero ben diversa interpretazione. L'avv. Tommaso Calderone nell'interesse del sig. T. in sintesi lamenta 1. Errata applicazione di legge ex articolo 606, lett. b e c , cod. proc. penumero e vizio di motivazione ai sensi dell'articolo 606, lett. e cod. proc. penumero in relazione all'articolo 609-quater cod. penumero dal momento che a far data dal mese di giugno 2002 il ricorrente non impartiva più lezioni private alla minore, come anche la minore e sua madre hanno affermato e come la stessa Corte di appello sembra riconoscere a pag. 6 della motivazione 2. Errata applicazione di legge ex articolo 606, lett. b cod. proc. penumero in relazione all'articolo 609-quater cod. penumero La Corte di appello afferma che i fatti del 2004 non costituiscono reato e, dunque, implicitamente accerta che la minore ha calunniato il ricorrente, accusandolo di un fatto più grave di quello accaduto si è così in presenza di persona offesa inattendibile, così che la motivazione della sentenza risulta contraddittoria quando sulle sole dichiarazioni della minore ritiene provati i fatti che conducono a condanna dalla conversazione del luglio 2005 non si ricava l'epoca dei contatti sessuali, che possono essere avvenuti solo dopo il compimento del sedicesimo anno della ragazza alle pagine 26-51 dell'atto di appello erano state mosse precise contestazioni alla prima sentenza e la Corte di appello ha omesso alle pagine 11 e 12 di dare risposta, così che non è stata smentita dai giudici di appello la inverosimiglianza del racconto accusatorio rispetto alle caratteristiche dei luoghi 3. Errata applicazione di legge ex articolo 606, lett. b cod. proc. penumero e vizio di motivazione ai sensi dell'articolo 606, lett. e cod. proc. penumero con riferimento alla mancata concessione della circostanza attenuante ex articolo 609-quater, comma 3, cod. penumero soluzione incoerente rispetto alla stessa ricostruzione dei fatti e al ruolo attivo che la Corte di appello ha riconosciuto alla persona offesa 4. Errata applicazione di legge ex articolo 606, lett. b e c , cod. proc. penumero in relazione agli articolo 516 e seguenti cod. proc. penumero a seguito ella modificazione del fatto reato riconosciuta con la sentenza di appello 5. Errata applicazione di legge ex articolo 606, lett. b cod. proc. penumero e vizio di motivazione ai sensi dell'articolo 606, lett. e cod. proc. penumero con riguardo alle condotte ex articolo 610 cod. penumero . Con atto depositato il 29/11/2013 le parti civili C. e G. censurano gli errori i cui è incorsa la Corte di appello sia nel ricostruire i fatti sia nel qualificarli sotto i profilo giuridico ed evidenziano gli elementi che sostengono la piena credibilità della persona offesa, per, infine, evidenziare la inconsistenza delle difese dell'imputato non senza dimenticare che se le condotte illecite sono iniziate successivamente al termine delle lezioni private, non per questo sono venute meno situazioni in cui S. veniva affidata agli zii I. e T. . Concludono le parti civili per il rigetto del ricorso dell'imputato e per l'accoglimento di quello de Pubblico ministero. Considerato in diritto 1. La Corte ritiene che la sentenza impugnata debba essere annullata con rinvio ex articolo 623 cod. penumero al giudice di merito per nuovo esame. 2. Va preliminarmente esaminata la decisione dei giudici di appello in ordine alla utilizzabilità del contenuto della conversazione tra presenti oggetto del primo motivo di ricorso del Procuratore generale. Affermano i giudici di merito che dopo la segnalazione dei fatti di reato, la polizia giudiziaria fornì alla minore un apparecchio per la registrazione delle conversazioni e le suggerì di incontrare il presunto autore dei fatti al fine di raccogliere e documentare la conversazione. Osserva la Corte che la registrazione del colloquio non può essere ricondotta al regime delle intercettazioni disciplinato dagli articolo 266 e seguenti cod. proc. penumero , apparendo condivisibile la motivazione con cui le Sezioni Unite penali hanno ritenuto che la registrazione del colloquio effettuata dal privato vada qualificata come documento e possa essere introdotta nel fascicolo processuale eventualmente a supporto della dichiarazione del teste sentenza numero 36747 del 28/5/2003, Tricasio e altro . La Corte ha, poi, avuto modo di affrontare l'ipotesi in cui detta conversazione non sia intervenuta in epoca anteriore e in contesto diverso rispetto alle indagini in corso, ma sia stata registrata dalla persona offesa di reato mediante apparato messo a disposizione della polizia giudiziaria si legge nella motivazione della sentenza della Sez. I, numero 6297 del 2010, udienza 10/12/2010, P.G. in proc. Pesacane e altri, che si deve escludere che possa essere ricondotta nel concetto d'intercettazione la registrazione di un colloquio svoltosi, come nel caso di specie, a viva voce, ad opera di una delle persone che vi partecipi attivamente o che sia comunque ammessa ad assistervi. Difettano, in questa ipotesi, la compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione, il cui contenuto viene legittimamente appreso soltanto da chi palesemente vi partecipa o vi assiste, e la terzietà del captante , concludendo che è possibile affermare, nel rispetto di quanto recentemente statuito dalla Corte Costituzionale Corte Cost. 3 novembre 2009, numero 320 , che nel caso in esame la registrazione effettuata dalla parte offesa del delitto di estorsione costituiva un mero supporto fonico alla memorizzazione delle circostanze di fatto su cui lo stesso Co. ha reso testimonianza a dibattimento nel contraddittorio fra le parti e che, pertanto, sotto tale profilo non si è verificata alcuna violazione di legge . La sentenza impugnata deve, dunque, essere sul punto confermata. 3. Merita, invece, accoglimento il secondo motivo di ricorso del Procuratore generale e questa conclusione porta con sé il rigetto dei motivi di ricorso del sig. T. . 4. Pur richiamando profili di ricostruzione del fatto, che come tali sarebbero estranei al giudizio di legittimità, il ricorso della pubblica accusa mette in evidenza un fondamentale profilo di incoerenza e di illogicità del percorso motivazionale dei giudici di appello e le ricadute che esso ha sulla qualificazione giuridica dei fatti e sulla decisione. 5. Il primo ed essenziale profilo di illogicità della sentenza va ravvisato nella trasposizione temporale del livello di relazioni ricostruito sulla base dei colloqui registrati nell'anno 2007. 6. Osserva, in primo luogo, la Corte che i giudici di appello hanno motivatamente respinto la tesi difensiva che qualificava come decisive le dichiarazioni della moglie dell'imputato, come intenzionalmente calunniatorie le dichiarazioni della minore e come del tutto inverosimile il narrato circa gli episodi di approccio sessuale cfr. pagg. 9 - 11 . 7. Muovendo da tale considerazione deve rilevarsi che il colloquio telefonico intercettato e la registrazione del colloquio diretto su cui si fondano le valutazioni della Corte di appello presentano, alla luce di quanto la stessa corte territoriale espone pag. 13 e ss. , contenuti e toni non perfettamente coincidenti. È sufficiente prendere visione di quanto riportato a pag. 14 e 15 della motivazione per verificare un non allineamento del discorso fra quanto emerge nel corso della telefonata, allorché la giovane minaccia di denunciare l'imputato che le sta rovinando la vita perseguitandola, e quanto emerge dalla conversazione registrata successivamente, nella quale emergono due diverse versioni dei fatti la giovane che afferma che lei si vomitava quando lui la raggiungeva, e il sig. T. che afferma di avere sempre e solo tenuto condotte nei limiti di quanto lei accettasse così, mente la ragazza afferma che non può che definirsi pedofilo uno di settant'anni che sta con una di quattordici che la minaccia , l'uomo risponde che lei a quattordici anni ne sapeva più di lui. Ebbene, dall'insieme di questi elementi la Corte di Appello ricava una prima conclusione che i colloqui smentiscono sia l'imputato, che sempre ha negato di avere avuto rapporti sessuali con la minore, sia i testimoni a discarico, a partire dalla moglie, sia il consulente tecnico di parte in ordine alle condizioni psicofisiche della minore all'epoca dei fatti. 8. A questo punto ci si attenderebbe che la Corte di appello, riconosciuta la correttezza della consulenza sulla minore e preso atto delle menzogne dell'imputato e della infondatezza del testimoniale a suo discarico, pervenisse alla conferma della sentenza di primo grado. E, invece, nella parte conclusiva di pag. 15 quella corte introduce un elemento decisivo per modificare radicalmente l'impostazione del Tribunale e fondare una diversa qualificazione dei fatti. Afferma, dunque, la Corte di appello che dagli elementi ricordati, e in particolare dalle due conversazioni va tratta la conclusione che si è trattato di rapporti non supinamente subiti dalla minore, ma al contrario dalla stessa consentiti, se non addirittura bramati . 9. Deve osservarsi sul punto che si è in presenza di una passaggio motivazionale decisivo nel contesto della decisione che non appare in alcun modo sostenibile sulla base dei brani di conversazione riportati alle pagine 14 e 15. Né esso appare logicamente sostenibile in modo univoco alla luce delle argomentazioni che la Corte di appello espone nelle pagine successive il fatto che in epoca posteriore all'inizio dei rapporti sessuali la minore abbia comunicato frequentissimamente con il ricorrente è circostanza che può dare indicazione circa lo stato della relazione fra i due, compatibile come quella infatuazione che il ricorrente stesso ammette di avere provato per la giovane, ma non può essere posta a fondamento di un'analisi a ritroso per leggere la vicenda iniziale. Si tratta di errore prospettico in cui la Corte di appello cade visibilmente e che deve essere qui rilevato per le sue ricadute sull'intero impianto motivazionale. 10. Il thema probandum , infatti, non riguarda solo l'esistenza e il protrarsi di incontri sessuali, evidentemente verificatisi nei luoghi dalla minore riferiti con dichiarazioni dall'imputato contraddette, ma anche le modalità con le quali i contatti sessuali ebbero inizio. Ebbene, la minore ha affermato che tutto ebbe inizio allorché l'imputato riferì ai genitori di suoi comportamenti sconvenienti e i genitori le inflissero per questo una punizione successivamente l'imputato avrebbe dato avvio a comportamenti sempre più invadenti minacciandola, in caso di rifiuto, di riferire nuovi fatti ai genitori. Se questo è il racconto della minore, cui l'imputato ha sempre opposto la sola negazione non veritiera dei rapporti sessuali, non è dato comprendere alla Corte quali sarebbero gli elementi che smentiscono il racconto della minore. 11. Sul piano logico, infatti, si presentano all'interprete due alternative o l'imputato, vista la giovane in atteggiamenti affettuosi con coetanei e invaghitosi di lei, ha fatto ricorso a uno strumento di pressione per spingere la giovane che nella sua cultura non poteva che essere una zoccola ad accettare le proprie avances oppure la giovane, che ne sapeva più di lui , per qualche ragione ha accolto volentieri le avances dell'uomo più anziano che, non si dimentichi, l'aveva svergognata davanti ai genitori e le aveva fatto subire una punizione. 12. Pare alla Corte che i giudici di appello abbiano dedotto dagli elementi di fatto esposti in sentenza quello che da tali elementi non può dedursi, e cioè che la giovane addirittura bramasse gli incontri sessuali. È una ipotesi, questa, che non può escludersi in via di principio, ma che certamente non appare fondata su nessuno dei passaggi delle due conversazioni che la Corte di appello riporta in sentenza. Inoltre, tale ipotesi, anche qualora fosse riscontrata, potrebbe condurre ad affermare che a un certo punto la minore si era in qualche modo innamorata del più anziano interlocutore, ma non certo a dire che nel contrasto di versioni fra i due protagonisti essa giustifica la non credibilità della minore in ordine al momento genetico del rapporto e alle sue modalità. 13. Si è, dunque, in presenza di una illogicità manifesta della motivazione che travolge la ricostruzione operata dai giudici e, con essa, la diversa qualificazione dei fatti e le conseguenti pronunce in ordine alla punibilità delle condotte in forza del rapporto di supremazia dell'imputato e alla non punibilità dei fatti accaduti nell'anno 2005. Con l'ulteriore conseguenza che la sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo esame. 14. Tale conclusione esime la Corte da n'affrontare il diverso tema della esistenza della circostanza del rapporto di superiorità dell'imputato derivante dall'affidamento della minore allo stesso per fini educativi. Si tratta di tema che la difesa ha correttamente introdotto ponendo attenzione alle circostanze di fatto e alla data di cessazione delle lezioni private, ma che dovrà essere oggetto di esame da parte del giudice di rinvio solo ove ritengano di escludere le condotte di minaccia e di ricatto attribuite all'imputato dal Tribunale ed escluse dalla Corte di appello. 15. Sulla base delle osservazioni che precedono la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al reato contestato al capo A, con rinvio alla Corte di appello competente che, considerati i principi affermati con la presente decisione, provvederà a un nuovo esame. 16. Quanto al reato contestato al capo B, la Corte ritiene che la sentenza impugnata sia immune da censure. I fatti sono stati puntualmente ricostruiti sia dal Tribunale sia dalla Corte di appello e non può convenirsi con il ricorso T. allorché, con argomenti in verità generici, censura l'affermazione di responsabilità. Una volta ritenute esistenti le condotte contestate all'imputato, correttamente i giudici di appello le hanno ricondotte alla fattispecie ex articolo 610 cod. penumero . 17. Quanto così deciso impone di rimettere al giudice di appello in sede di rinvio sia le valutazioni in ordine al trattamento sanzionatorio sia quelle in ordine alle spese sostenute dalle parti civili. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Reggio Calabria.