Rimessa in discussione la visione colpevolista proposta dai giudici di primo e di secondo grado. Rilevante, innanzitutto, il quantum del principio attivo della droga sequestrata. Altrettanto significative le modalità comportamentali dell’uomo, coinvolto in un blitz delle forze dell’ordine.
Compere ‘stupefacenti’ appena portate a termine così, un uomo si ritrova in possesso di oltre 8 grammi di hashish, ‘spacchettati’ in nove confezioni. Ma tale disponibilità – certificata da un blitz delle forze dell’ordine – non può portare, in automatico, a contestare il reato di spaccio. Cassazione, sentenza numero 2652, Sesta sezione Penale, depositata oggi Sul mercato. Nessun dubbio, però, per la verità, hanno espresso i giudici di merito, i quali hanno sancito la condanna, per il reato di spaccio, nei confronti di un uomo ‘beccato’ in possesso di poco più di 8 grammi di «hashish, divisa in nove confezioni». A rendere legittima la tesi della «colpevolezza», spiegano i giudici, «il numero delle dosi di droga detenute» e «il contesto in cui era stato effettuato il sequestro». Evidente, per i giudici, che «la sostanza fosse detenuta a fini di cessione in favore di terzi», e quindi pronta per essere immessa sul ‘mercato’. Comportamento. Ma il quadro tracciato nei giudizi di merito vacilla alla luce delle valutazioni compiute dai giudici del ‘Palazzaccio’ Primo ‘colpo’ alla tesi ‘colpevolista’ arriva dalla considerazione che «il quantitativo di principio attivo, presente nella sostanza stupefacente, era inferiore al limite» fissato dal decreto ministeriale del 2006, «contenente l’indicazione dei limiti quantitativi massimi delle sostanze stupefacenti e psicotrope riferibili ad un uso esclusivamente personale». Ma il secondo ‘colpo’, quello decisivo, per i giudici, è la mancata considerazione del fatto che l’uomo «non aveva portato quelle dosi di droga in luogo pubblico, ma le aveva acquistate poco prima». Complessivamente, la «finalità di spaccio» non può «essere desunta», chiariscono i giudici, «dal solo dato ponderale della sostanza detenuta, omettendo di valutare modalità comportamentali» dell’uomo «che astrattamente ne potevano giustificare la destinazione ad uso esclusivamente personale». Nodo, quindi, ancora tutto da sciogliere e tale compito viene affidato nuovamente alla Corte d’Appello, che dovrà fare chiarezza, prima di poter davvero sostenere la tesi dello «spaccio».
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 21 novembre 2013 - 21 gennaio 2014, numero 2652 Presidente Serpico – Relatore Aprile Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Roma confermava la pronuncia di primo grado del 18/11/2006 con la quale il Tribunale della stessa città aveva condannato alla pena di giustizia, all’esito di giudizio abbreviato, R.L. in relazione al reato di cui all’articolo 73, comma 5, d.P.R. numero 309 del 1990, per avere, in Roma il 27/09/2006, detenuto in quantità superiore a quella consentita gr. 8,07 di sostanza stupefacente del tipo hashish, contenente gr. 0,669 di TCH divisa in nove confezioni. Rilevava la Corte di appello come le emergenze processuali avessero dimostrato la colpevolezza del L. in ordine al reato contestatogli in quanto il numero delle dosi di droga detenute ed il contesto in cui era stato effettuato il sequestro avevano provato come la sostanza fosse detenuta a fini di cessione in favore in terzi. 2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il L., con atto sottoscritto dal suo difensore avv. Giorgio Liserre, il quale ha dedotto i seguenti due motivi. 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale confermato la pronuncia di condanna di primo grado senza considerare che il quantitativo di principio attivo stupefacente presente nella sostanza sequestrata all’imputato rientrava nel limite di cui, in base al d.m. allegato al d.P.R. numero 309 del 1990, come modificato nel novembre del 2006, era consentita la detenzione per uso personale, e senza tener conto che le carte del processo non avevano dimostrato l’esistenza di alcun dato sintomatico della destinazione allo spaccio di quella droga, diverso dagli elementi riferibili, invece, al coimputato C.B. 2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte distrettuale confermato la sentenza di condanna ritenendo a carico dell’imputato un fatto soggettivamente riferibile al predetto coimputato, diverso da quello oggetto dell’imputazione contestata. 3. II primo motivo del ricorso, che assorbe l’esame dei secondo, è fondato. Costituiscono ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte tanto il principio secondo il quale, in materia di stupefacenti, il possesso di un quantitativo di droga superiore al limite tabellare previsto dall’articolo 73, comma 1 bis, lett. a , d.P.R. numero 309 dei 1990, se da solo non costituisce prova decisiva dell’effettiva destinazione della sostanza allo spaccio, può comunque legittimamente concorrere a fondare, unitamente ad altri elementi, tale conclusione così, da ultimo, Sez. 6, numero 11025 del 06/03/2013, De Rosa e altro, Rv. 255726 quanto il principio per il quale l’onere di dimostrare la destinazione illecita della detenzione di sostanze stupefacenti incombe sul P.M. così Sez. 4, numero 31103 del 16/04/2008, P.M. in proc. Perna, Rv. 242111 . Alla stregua di tali fondamentali regulae iuris bisogna prendere atto come la sentenza della Corte di appello di Roma presenti sia caratteri di palese violazione delle norme di legge penale sostanziale applicate, che aspetti di grave illogicità, per avere ribadito il giudizio di colpevolezza del L. in ordine alla detenzione delle nove confezioni contenenti sostanza stupefacente del tipo tipo hashish, senza considerare, per un verso, che il prevenuto non aveva portato quelle dosi di droga in luogo pubblico, ma le aveva acquistate poco prima dal coimputato B. e, per altro verso, che il quantitativo di principio attivo, pari a mg. 669 di thc, presente nella sostanza stupefacente rinvenutagli, era inferiore a limite dei 1.000 mg. fissato dal d.m. 11/04/2006, contenente l’indicazione dei limiti quantitativi massimi delle sostanze stupefacenti e psicotrope riferibili ad un uso esclusivamente personale di cui all’articolo 73, comma 1 bis, d.P.R. cit., come modificato dalla legge numero 49 del 2006. In un siffatto contesto la finalità di spaccio non poteva essere desunta dal solo dato ponderale della sostanza detenuta, omettendo di valutare modalità comportamentali dell’imputato che astrattamente ne potevano giustificare la destinazione ad uso esclusivamente personale d’altro canto, la motivazione della sentenza impugnata appare gravemente contraddittoria ed incompleta, dal momento che, pur avendo impropriamente riferito anche all’odierno ricorrente una condotta, quella di cessione di parte dello stupefacente a tale P., direttamente e materialmente riferibile al solo coimputato B., ha tralasciato di valutare una ulteriore circostanza, della quale si era dato atto nella parte descrittiva della vicenda sottostante il processo, concernente la frase questa volta vendigliela te - ascoltata dai militari operanti - pronunciata dal L. all’indirizzo del B. nel momento in cui il P. si era avvicinato loro per chiedere di poter acquistare una dose di hashish. Tale situazione, come già precisato da questa Corte con riferimento ad altra analoga fattispecie v. Sez. 6, numero 28720 del 03/06/2008, Guaglione, Rv. 240345 , impone l’annullamento della sentenza gravata con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte di appello di Roma. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte di appello di Roma.