Il Fisco può mettere in discussione anche i criteri utilizzati dal contribuente per la redazione del bilancio

La possibilità per l’Agenzia delle Entrate di rettificare il bilancio, contestando i criteri utilizzati dal contribuente nella sua redazione, al fine di far emergere la sussistenza di un credito tributario evaso o l’insussistenza di quello chiesto a rimborso, è implicitamente prevista da tutte le norme antielusive che consentono all’ufficio non solo di procedere ad ispezioni e verifiche sulle scritture contabili, ma anche, in presenza di determinati presupposti, di operare l’accertamento in via presuntiva.

Lo ha stabilito la Cassazione con ordinanza numero 21106/18 depositata il 24 agosto. Società non operative e relativa disciplina fiscale. La disciplina fiscale delle società non operative è stata introdotta nell’ordinamento italiano dall’articolo 30 l. numero 724/1994. La stessa è stata successivamente modificata - dall’articolo 35, commi 15 e 16, d. l. numero 223/2006, convertito dalla l. numero 248/2006 con cui è stato disposto l’innalzamento delle percentuali utilizzate per stabilire se una società possa rientrare nel novero delle società non operative l’innalzamento delle percentuali utilizzate per stabilire l’entità del reddito minimo che deve essere obbligatoriamente dichiarato dalle società non operative l’impossibilità di chiedere a rimborso, di cedere o di utilizzare in compensazione ai sensi dell’articolo 17 D.Lgs. 241/1997, l’Iva a credito la possibilità di chiedere, al Direttore regionale dell’Agenzia delle Entrate, ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8, d.P.R. 600/1973, la disapplicazione delle norme antielusive in commento qualora il contribuente evidenzi situazioni straordinarie che di fatto hanno reso impossibile il conseguimento dei parametri e degli obiettivi previsti dalle medesime disposizioni - dall’articolo 1, commi 128 e 129, della l. 244/2007 con cui il legislatore, oltre a variare i coefficienti per la determinazione del test di operatività e per l’individuazione del reddito minimo, ha previsto la possibilità di individuare, con provvedimento ad hoc – da emanarsi a cura del Direttore dell’Agenzia delle Entrate – una serie di casistiche concrete che consentano ai soggetti che vi rientrano di disapplicare la normativa sulle società di comodo senza dover assolvere l’obbligo di presentare apposita istanza si veda il provvedimento adottato il 14 febbraio 2008, numero 23681 dal direttore dell’Agenzia delle Entrate - e, da ultimo, dall’articolo 2, commi da 36-decies a 36-duodecies, d. l. n 138/2011 - convertito dalla l. numero 148/2011 - che ha previsto l’ampliamento della categoria delle società non operative anche ai soggetti in «perdita sistematica». L’articolo 2, commi da 36-decies a 36-duodecies, del d. l. numero 138/2011, convertito, con modificazioni, nella l. numero 148/2011, ha introdotto la disciplina sulle c.d. società in perdita sistematica. In base a tale disciplina, pur non ricorrendo le condizioni di cui all’articolo 30 della l. numero 724/1994, le società che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi d’imposta consecutivi sono considerate di comodo ai sensi e per gli effetti del citato articolo 30, a decorrere dal quarto periodo d’imposta. A seguito delle modifiche apportate dall’articolo 18 del Decreto Semplificazioni, a decorrere dal periodo d’imposta 2014 il periodo di osservazione previsto per l’applicazione della disciplina sulle società in perdita sistematica ex articolo 2 d. l. numero 138/2011 è stato ampliato da 3 a 5 periodi d’imposta. Pertanto, il presupposto per l’applicazione di tale disciplina è ora costituito da 5 periodi d’imposta consecutivi in perdita fiscale ovvero 4 in perdita fiscale e 1 con reddito imponibile inferiore al c.d. reddito minimo ex articolo 30 l. numero 724/1994. La disposizione prevede espressamente che le modifiche introdotte trovano applicazione a decorrere dal periodo d’imposta in corso all’entrata in vigore del provvedimento che le introduce, ossia, per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, dal periodo d’imposta 01.01.2014-31.12.2014. Le norme di cui sopra sono state introdotte allo scopo di contrastare le c.d. «società di comodo» e, in particolare, disincentivare l’utilizzo strumentale della forma societaria per usufruire di indebiti vantaggi fiscali spesso vengono intestati alla società determinati beni, mobili e immobili, automobili di lusso, imbarcazioni, aeromobili, ecc., che, in realtà, permangono nella disponibilità dei soci o dei loro familiari . Di norma, il vantaggio fiscale indebito si sostanzia nella detrazione dell’Iva assolta sull’acquisto dei predetti beni, nonché nella deduzione del relativo costo dal reddito d’impresa. La disciplina. A norma della richiamata disciplina, sono considerate non operative i le società che dichiarano ricavi secondo importi inferiori a quelli che risultano dall’applicazione di specifiche percentuali su determinati beni patrimoniali posseduti dalle stesse c.d. test di operatività ii le società che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi d’imposta consecutivi c.d. società in perdita sistematica . Tali società, considerate non operative perché non hanno superato il test di operatività o perché riscontrate in perdita sistematica, sono assoggettate a un regime speciale rilevante sia ai fini dell’Ires che dell’Irap, sia ai fini dell’Iva. Gli effetti per le società non operative sono alquanto penalizzanti - devono dichiarare obbligatoriamente il reddito minimo ai fini Ires nonché il valore della produzione minimo ai fini Irap - l’aliquota Ires è maggiorata di 10,5 punti percentuali 38% - nel periodo in cui la società è non operativa, il riporto delle perdite è limitato sarà possibile utilizzare le perdite di periodi precedenti soltanto in diminuzione del reddito eccedente quello minimo - il credito Iva non può essere compensato orizzontalmente, ceduto o richiesto a rimborso. Così, ad esempio, per una società in perdita fiscale nel periodo 2009-2013, che risulta non operativa nel 2014, la preclusione dell’utilizzo del credito Iva interessa il credito risultante dalla dichiarazione annuale per il 2014. In tal caso il divieto di utilizzo del credito decorre dal 1° gennaio 2015 - se per 3 periodi d’imposta consecutivi sono assenti operazioni attive rilevanti ai fini Iva, il credito Iva non potrà più essere compensato verticalmente nei periodi d’imposta successivi. Quest’ultima disposizione chiaramente non è stata coordinata dal D.Lgs. numero 175/2014 con l’ampliamento a numero 5 periodi d’imposta, rimanendo in vigore il vecchio limite triennale. Caso concreto. La vicenda riguarda un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate sul presupposto che la contribuente dovesse qualificarsi come società non operativa ai sensi dell’articolo 30 l. 724/1994. Nell’avviso si rilevava che la società, pur avendo ad oggetto l’acquisto, la vendita, la permuta e la valorizzazione di beni immobili, aveva svolto esclusivamente attività di locazione di un unico immobile di cui era proprietaria. Secondo il Fisco, tale immobile doveva essere collocato tra le immobilizzazioni materiali il che comportava il mancato superamento del test di operatività basato sul confronto tra i ricavi da una parte e la somma degli importi che risultano dall’applicazione di specifiche percentuali su determinati beni patrimoniali posseduti dall’altra ad esempio il 4% del valore delle immobilizzazioni costituite da beni immobili . Sia la Ctp che La Ctr, però, annullavano l’accertamento asserendo che il bilancio di una società di capitali fa fede fino a querela di falso pertanto, l’Ufficio non poteva modificare le registrazioni contabili e considerare immobilizzazione ciò che per l’azienda era un bene rientrante nell’attivo circolante. Col successivo ricorso in Cassazione l’Agenzia delle entrate denunciava la violazione di diverse disposizioni di legge in quanto il bilancio non proviene da pubblico ufficiale e non fa fede fino a querela di falso per cui la sua veridicità e correttezza possono essere benissimo messe in discussione dell’Agenzia delle entrate senza il previo esperimento di azioni dirette ad accertarne la falsità in sede penale o civile. Secondo la Suprema Corte, che l’Agenzia delle Entrate possa rettificare il bilancio, contestando i criteri utilizzati dal contribuente nella sua redazione per far emergere la sussistenza di un credito tributario evaso o l’insussistenza di quello chiesto a rimborso, è implicitamente previsto dalle norme antielusive. “Gli amministratori della società, cui spetta redigere il bilancio secondo le norme di cui agli articolo 2423-2426 c.c., non rivestono la qualità di pubblicità ufficiali e tanto basta ad escludere che il bilancio sia annoverabile fra gli atti che, ai sensi dell’articolo 2700 c.c., fanno piena prova, fino a querela di falso, della corrispondenza al vero delle attestazioni che vi sono contenute”. Al contrario, è invece possibile “a chiunque vi abbia interesse di impugnare la delibera di approvazione del bilancio, entro tre anni dalla sua iscrizione, per ottenerne l’annullamento, chiedendo al giudice di valutare se il documento sia stato o meno redatto in conformità dei principi inderogabili di verità e chiarezza previsti dalla legge, senza alcuna necessità di esperire contestualmente querela incidentale di falso”. Ciò vale anche per l’azione di accertamento, nella quale non si controverte della delibera di approvazione ma solo della veridicità delle risultanze del bilancio. La pronuncia impugnata è stata quindi annullata con rinvio della controversia ad altra sezione della Ctr Lombardia che dovrà attenersi a tali principi. sul punto si segnala in senso conforme la recente ordinanza della Cassazione numero 20122 del 30 luglio 2018 . Ad ogni modo si tratta di un vulnus importante alle scelte del contribuente che contraddice quanto stabilito dalla stessa amministrazione con circolare numero 73 del 1994 secondo cui «l'Amministrazione finanziaria deve attenersi ai dati di bilancio, salvo che questi risultino poi invalidati a seguito di pronuncia dell'autorità giudiziaria. L'impugnativa della delibera di approvazione del bilancio non dovrebbe riguardare, l’Amministrazione finanziaria».

Corte di Cassazione, sez. V Civile, ordinanza 20 giugno – 24 agosto 2018, numero 21106 Presidente Cristiano/Relatore Zoso Rilevato che 1. Immobiliare B. P. s.r.l. impugnava l'avviso di accertamento con cui l'Agenzia delle Entrate aveva rettificato la dichiarazione IRPEG per l'anno 2003, sul presupposto che la società dovesse essere qualificata come non operativa, ai sensi dell'articolo 30 della L. numero 724/1994. Nell'avviso si rilevava che la s.r.l., pur avendo ad oggetto l'acquisto, la vendita, la permuta e le valorizzazione di beni immobili, aveva svolto esclusivamente attività di locazione dell'unico immobile di cui era proprietaria, acquistato dopo sette giorni dalla sua costituzione e mai posto in vendita che pertanto il bene, che nel bilancio societario figurava quale voce dell'attivo circolante, avrebbe dovuto essere appostato fra le immobilizzazioni materiali che, operata la riclassificazione, ricorrevano i presupposti in base ai quali Immobiliare B. P. doveva presumersi società di comodo, atteso che l'ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi, delle rimanenze e dei proventi risultanti dal conto economico risultava inferiore alla somma degli importi che si ottenevano applicando l'1% del valore dei beni indicati nell'articolo 53 del Tuir, il 4% del valore delle immobilizzazioni costituite da beni immobili e il 15% del valore delle altre immobilizzazioni, con conseguente rideterminazione del maggior reddito imponibile. 2. La commissione tributaria provinciale di Sondrio accoglieva il ricorso. L'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate contro la decisione era respinto dalla commissione tributaria regionale della Lombardia, la quale - premesso che il bilancio di una società di capitali fa fede fino a querela di falso della corrispondenza al vero di quanto in esso appostato e che, ai fini della sua riclassificazione, è necessario il preventivo esperimento di un'azione penale che ne accerti la falsità totale o parziale - riteneva che in assenza, nella specie, di tale accertamento, e posto che il bilancio di Immobiliare B. P. era stato redatto secondo i criteri dettati dal codice civile, l'Ufficio non potesse modificare le registrazioni contabili e considerare immobilizzazione ciò che per l'azienda era un bene. 3. Avverso la sentenza della CTR, depositata l'11 febbraio 2010, l'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato ad un motivo. La contribuente si è costituita in giudizio con controricorso. Considerato che 1. Con l'unico motivo la ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c., in relazione agli articoli 30 della L. numero 724/1994, 3, comma 45 della L. numero 662/1996, 39 del DPR 600/1973, 54 del DPR 633/1972, 2423, 2423 bis, 2621 e 2700 c.c Sostiene che la CTR ha fatto scorretta applicazione delle norme citate, in quanto il bilancio non proviene da pubblico ufficiale e non fa fede fino a querela di falso, cosicché la sua correttezza e veridicità può essere contestata dall'Agenzia delle entrate senza che ne sia previamente accertata la falsità in sede penale o civile. 2. Il motivo è fondato. Gli amministratori della società, cui spetta di redigere il bilancio secondo le norme di cui agli articolo 2423-2426 c.c., non rivestono la qualità di pubblici ufficiali e tanto basta ad escludere che il bilancio sia annoverabile fra gli atti che, ai sensi dell'articolo 2700 c.c., fanno piena prova, sino a querela di falso, della corrispondenza al vero delle attestazioni che vi sono contenute. Al contrario, l'articolo 2379 c.c. consente a chiunque vi abbia interesse di impugnare la delibera di approvazione del bilancio, entro tre anni dalla sua iscrizione, per ottenerne l'annullamento, chiedendo al giudice di valutare se l'atto sia stato o meno redatto in conformità dei principi inderogabili di verità e chiarezza previsti dalla legge, senza alcuna necessità di esperire contestualmente querela incidentale di falso né, tantomeno - non vigendo nel nostro sistema un principio di necessaria pregiudizialità dell'azione penale - di attendere l'esito dell'eventuale processo promosso a carico degli amministratori per il reato di false comunicazioni sociali . Ciò vale anche per l'azione, di mero accertamento, nella quale non si controverte della validità della delibera di approvazione ma solo della veridicità delle risultanze del bilancio, che non è soggetta al termine triennale di decadenza e che può essere proposta anche incidentalmente ed - a seconda degli strumenti processuali posti a disposizione delle parti dall'ordinamento - in via diretta dall'interessato o come nel caso di specie, in cui spetta al contribuente di impugnare l'avviso notificatogli dall'amministrazione finanziaria ad istanza del controinteressato. La possibilità per l'Agenzia delle entrate di rettificare il bilancio, contestando i criteri utilizzati dal contribuente nella sua redazione, al fine di far emergere la sussistenza di un credito tributario evaso o l'insussistenza di quello chiesto a rimborso, è del resto implicitamente prevista da tutte le norme antielusive che consentono all'Ufficio non solo di procedere ad ispezioni e verifiche sulle scritture contabili, ma anche, in presenza di determinati presupposti come nel caso degli articolo 30 L. numero 724/94 e 3 co. 45 L. numero 662/96 , di operare l'accertamento in via presuntiva. Ne consegue che il giudice tributario investito del ricorso del contribuente contro un avviso di accertamento che si fondi sulla riclassificazione delle poste del bilancio è tenuto a valutare, sulla scorta delle risultanze di causa, se detta riclassificazione debba o meno ritenersi corretta e sia idonea a giustificare la maggiore pretesa impositiva od il diniego di rimborso. Si impone, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio della causa, per nuovo esame, alla CTR della Lombardia in diversa composizione che, in applicazione dei principi enunciati, procederà all'esame delle questioni di fatto dibattute fra le parti. La CTR provvederà anche alla liquidazione delle spese processuali di questo giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.