Anche le fatture false non registrate, emesse per operazioni inesistenti, configurano l'omessa dichiarazione.
Anche le fatture false non registrate, emesse per operazioni inesistenti, configurano l'omessa dichiarazione. Lo ha precisato la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 35858/2011 del 4 ottobre, aggiungendo che il giudice penale, in assenza di contabilità, deve determinare l'imposta evasa.La fattispecie. Due imprenditori emettevano fatture false per operazioni inesistenti e, mentre il Tribunale li aveva assolti dall'accusa di omessa dichiarazione dell'Iva articolo 5 d.lgs. 74/2000 perché impossibile determinare l'imposta evasa, la Corte d'appello li condannava.È il giudice che determina l'imposta evasa. Anche la Corte di Cassazione conferma il verdetto dei giudici territoriali. Il Collegio ha infatti stabilito che spetta al giudice penale la determinazione dell'ammontare dell'imposta evasa procedendo d'ufficio ai necessari accertamenti, eventualmente mediante presunzioni di fatto Cass., sent. numero 5490/2008 . Viene confermato, altresì, quanto sostenuto dalla Corte d'appello in merito all'assenza di elementi che facciano pensare all'esistenza di costi sostenuti dall'azienda, visto che si tratta comunque di operazioni inesistenti.L'imposta sul valore aggiunto è dovuta anche per fatture inesistenti. In conclusione, la S.C., conformandosi a quanto già stabilito da un suo precedente orientamento in tema di reati finanziari e tributari Cass., sent. numero 39177/2008 , sottolinea che l'omessa dichiarazione a fini dell'Iva è configurabile anche nel caso in cui siano emesse fatture per operazioni inesistenti. Non potendo ritenersi fondato il ricorso, i due ricorrenti vengono condannati al pagamento delle spese processuali.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 7 giugno - 4 ottobre 2011, numero 35858Presidente Ferrua - Relatore SarnoOsservaF.G. e P.G.P. propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale la corte di appello di Milano, riformando la sentenza di primo grado, condannava entrambi per il reato di cui all'articolo 5 d.lgs. 74/2000 contestato per avere omesso di presentare le dichiarazioni annuali relative all'Iva e dei redditi per gli anni 2001, 2002 e 2003 pure in presenza di elementi positivi di reddito. Il tribunale aveva assolto gli imputati ritenendo l'impossibilità di calcolare l'imposta evasa ed escludeva la responsabilità degli imputati in quanto l'imposta era stata calcolata sul presupposto che il reddito imponibile fosse uguale al fatturato senza procedere, quindi, ad una quantificazione dei costi necessari all'acquisto dei mezzi di produzione strumentali alla realizzazione del fatturato.La corte d'appello riformava la decisione confutando l'assunto secondo cui l'accertamento del maggior reddito operato a carico della ditta verificata era stato effettuato sulla base di indici presuntivi di tipo astratto ad automatico e senza alcun riferimento ai dati specifici concreti dai quali si potesse desumere il fatto materiale dell'imposta evasa, ed aggiungeva che si erano tenuti in considerazione solo i ricavi perché solo di essi vi era documentazione. La stessa corte d'appello riteneva altresì ininfluente la pendenza di altro procedimento penale per emissione di fatture per operazioni inesistenti a carico degli imputati i quali asserivano essere le fatture le stesse di quelle oggetto dell'attuale procedimento.Deducono i ricorrenti con separati ricorsi ma con motivi analoghi 1 manifesta illogicità della motivazione su un punto decisivo della controversia e violazione dell'articolo 5 d.lgs. 74/2000 avendo proceduto la corte d'appello a una indebita inversione dell'onere della prova in ordine all'esistenza degli elementi oggettivi e soggettivi del reato. Si sostiene in altri termini, che spetta al giudice penale la determinazione dell'ammontare dell'imposta evasa e che quest'ultimo debba procedere d'ufficio ai necessari accertamenti, eventualmente mediante ricorso a presunzioni di fatto.2 Con il secondo motivo si deduce la mancanza, manifesta illogicità della motivazione per non avere la corte di appello considerato la pendenza di altro procedimento a carico dell'imputato rilevante ai fini dell'esclusione dell'elemento oggettivo del reato.I ricorsi sono infondati.In ordine al primo motivo si rileva che la corte di appello di Milano ha rilevato in premessa che a fronte di ricavi individuati nel loro ammontare dalle fatture emesse nei confronti della Edil Euro 2000 srl gli imputati non hanno addotto alcun costo asserendo che l'assenza di documentazione contabile di libri sociali non permetteva loro tale deduzione. Fanno altresì rilevare i giudici di appello come nella specie non possa parlarsi di accertamento induttivo in quanto i ricavi risultano documentati dalle fatture emesse dalla ditta verificata e che per contro non risultano esservi oneri deducibili. Inoltre evidenziano che, accogliendo la tesi sostenuta dal tribunale, l'omessa tenuta di contabilità che di per se stessa costituisce condotta illecita, finirebbe per risolversi in un vantaggio per la ditta oggetto di verifica fiscale i cui titolari in tal modo non potrebbero mai essere perseguiti penalmente per il reato in questione non potendosi provare il superamento della soglia di punibilità.Tali considerazioni appaiono pienamente da condividere.Vero è, infatti, che, come sostenuto dai ricorrenti, questa sezione ha affermato il principio secondo cui in tema di reati tributari, ai fini della configurabilità del reato di omessa dichiarazione ai fini di evasione dell'imposta sui redditi articolo 5, d.lgs. 10 marzo 2000, numero 74 non può farsi ricorso alla presunzione tributaria secondo cui tutti gli accrediti registrati sul conto corrente si considerano ricavi dell'azienda articolo 32, comma primo numero 2, d.p.r. 29 settembre 1973, numero 600 , in quanto spetta al giudice penale la determinazione dell'ammontare dell'imposta evasa procedendo d'ufficio ai necessari accertamenti, eventualmente mediante il ricorso a presunzioni di fatto. Sez. 3, numero 5490 del 26/11/2008 Rv. 243089 .È altresì vero, tuttavia, che nel caso citato, come in altri in cui pure è stato affermato lo stesso principio, le cose stavano in maniera diversa in quanto i giudici, pur a conoscenza dell'esistenza di costi in ragione degli elementi in atti, avevano poi omesso di approfondirne l'ammontare.Nella specie la situazione è invece diversa in quanto si sostiene da parte dei giudici di appello l'assenza di elementi che facciano legittimamente pensare all'esistenza di costi sostenuti dall'azienda. Ed anche la tesi secondo cui la società avrebbe emesso fatture per operazioni inesistenti - in relazione alle quali pende altro procedimento penale -, finisce per rafforzare sul piano logico la tesi dei giudici di appello sulla inesistenza di costi detraibili.Non è possibile per contro affermare, come si sostiene nel secondo motivo, che la documentazione relativa a fatture emesse a fronte di operazioni inesistenti non possa assumere rilevanza per definire la base imponibile.In questo senso va richiamato il pronunciamento di questa Sezione secondo cui in tema di reati finanziari e tributari, il delitto di omessa dichiarazione a fini dell'I.V.A. è configurabile anche nel caso in cui siano state emesse fatture per operazioni inesistenti, in quanto, secondo la normativa tributaria, l'imposta sul valore aggiunto è dovuta anche per tali fatture, indipendentemente dal loro effettivo incasso, con conseguente obbligo di presentare la relativa dichiarazione, sent. 39177 del 24/09/2008 RV 241267 .Ne consegue il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio.P.Q.M.La Corte Suprema di Cassazione rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.