Gavettone contro gli schiamazzi? Non è così che ci si fa giustizia

Chi fa da sé, fa per tre . Proverbio non sempre vero, o comunque non è sempre conveniente metterlo in pratica, soprattutto se se si tratta di giustizia ‘fai da te’.

La fattispecie. A farne le spese, nel caso affrontato dalla Corte di Cassazione sentenza n. 39869/2013, depositata lo scorso 25 settembre , è un 75enne che, esasperato dagli schiamazzi e dalla musica ad alto volume proveniente dalla discoteca situata sotto il suo appartamento, aveva sversato dall’alto della propria finestra acqua lurida sui clienti del locale notturno , rivolgendo minacce ed insulti al gestore del locale. Nel ricorso per cassazione, l’imputato ha rilevato di essere impotente davanti alla situazione venutasi a creare, anche perché ha più volte e vanamente sollecitato l’intervento dei vigili urbani e delle forze dell’ordine per denunciare l’irregolare andamento del locale pubblico . No alla giustizia fai da te. Niente da fare però, perché la S.C., dichiarando inammissibile il ricorso, ha rilevato che l’imputato disponeva di strumenti giuridici per far valere le proprie ragioni, in luogo di farsi giustizia da solo, dinanzi a comportamenti suscettibili di assumere anche rilevanza penale .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 15 aprile – 25 settembre 2013, n. 39869 Presidente Serpico – Relatore Paoloni Motivi della decisione 1. All'esito di giudizio ordinario il Tribunale di Napoli sezione di Ischia ha riconosciuto F R. colpevole dei reati, unificati da continuazione, di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, di minaccia e di ingiuria commessi il omissis in pregiudizio della cittadina polacca J K. , persona offesa querelante costituitasi parte civile. Fatti per i quali il Tribunale ha condannato il R. alla pena sospesa, concessegli le attenuanti generiche, di venti giorni di reclusione e al risarcimento del danno in favore della parte civile, liquidato nella somma di Euro 1.000,00 mille . I contegni criminosi realizzati dall'imputato perché, al fine di esercitare un preteso diritto nei confronti della K. gestore di una discoteca aperta sotto il suo appartamento in asserita violazione della destinazione d'uso del locale e priva di autorizzazione comunale e di insonorizzazione, discoteca nella quale si eseguiva assordante musica dal vivo e i cui clienti sostavano su una pedana allestita all'ingresso del locale, producendosi in schiamazzi e gesti di disturbo del riposo delle persone, sversava dall'alto della propria finestra acqua lurida sui clienti del locale notturno alcuni dei quali erano raggiunti dal getto di acqua e nel contempo rivolgeva alla sopravvenuta K. frasi ingiuriose alla presenza di più persone e frasi di ripetuta minaccia. Il Tribunale ha ritenuto provata la responsabilità del R. alla luce delle concordi dichiarazioni di più testimoni, avventori del locale notturno, presenti al lancio dell'acqua e al successivo aspro alterco intercorso tra l'imputato e la querelante. Litigio attestato, per altro, nella sua storicità anche da un testimone addotto dalla difesa del prevenuto. 2. Adita dall'impugnazione della parte civile dolutasi del modesto risarcimento dei danni liquidati dal Tribunale e del R. adducente l'inesistenza del contestato reato ex art. 393 c.p. per difetto della condizione di ricorribilità al giudice e comunque per difetto dell'elemento soggettivo del reato , la Corte di Appello di Napoli con sentenza resa il 4.11.2011, accolto parzialmente il gravame della parte civile con l'esclusione della compensazione delle spese processuali che ha posto a carico del R. , ha confermato la decisione nei confronti del R. , definendone infondati i motivi di censura. In particolare e tra l'altro i giudici di appello, per un verso, hanno rilevato che ben avrebbe potuto il R. , per dirimere la vertenza o risalente lite in atto con la K. per i rumori molesti prodotti dalla discoteca, fare ricorso al giudice o avvalersi di rimedi giuridici, in luogo di esternare la sua clamorosa protesta con la condotta incriminata. Per altro verso hanno ritenuto non ravvisabile la provocazione, dedotta in subordine dall'appellante, per difetto di proporzione tra causa scatenante e reazione del R. . 3. La sentenza di appello è stata impugnata per cassazione con riferimento al solo reato di cui all'art. 393 c.p. dal R. , che ha addotto i vizi di violazione di legge e di mancanza e illogicità della motivazione di seguito sintetizzati. 3.1. Erronea applicazione dell'art. 393 c.p. e difetto di motivazione. La Corte di Appello non ha chiarito quale possibile rimedio giuridico avrebbe potuto esperire l'imputato per porre fine al perdurante stato di disturbo della sua quiete derivante dall'incontrollato e abusivo funzionamento della discoteca gestita dalla K. , dal momento che dall'istruttoria dibattimentale è emerso come il R. fosse in tal senso impotente, avendo vanamente più volte sollecitato l'intervento dei vigili urbani e delle forze dell'ordine per denunciare l'irregolare andamento del locale pubblico sottostante la sua abitazione. Non essendo riuscito a far valere il suo legittimo diritto a che la parte civile svolgesse la sua attività nel rispetto della legge e dei regolamenti comunali, il R. ha agito nella convinzione, escludente il dolo, di non disporre nell'immediatezza delle protratte molestie di alcun rimedio in grado di porvi fine. 3.2. Omessa applicazione dell'art. 129 c.p. per mancanza di querela. Il comportamento offensivo posto in essere dal R. si è esplicato nei confronti della sola L M. , cliente del locale attinta dal getto di acqua dell'imputato. La condotta del R. non è stata rivolta nei confronti della K. che in quel momento era all'interno dell'esercizio, essendone uscita dopo la discussione sorta tra il R. e i clienti della discoteca presenti all'esterno. Soltanto la M. avrebbe potuto sporgere rituale querela nei confronti del R. . Il che non è avvenuto, sì che i giudici di merito avrebbero dovuto dichiarare improcedibile il reato per mancanza di querela. 3.3. Motivazione illogica in punto di risarcimento del danno alla parte civile. Incongruamente la Corte di Appello come prima il Tribunale ha riconosciuto alla parte civile un risarcimento del danno per le negative ripercussioni sul locale pubblico sotto il profilo della frequentazione degli avventori , pur avendo dato atto in premessa della verosimile irregolare gestione della discoteca. 4. Il ricorso è basato su motivi generici e manifestamente infondati che ne impongono la declaratoria di inammissibilità. 4.1. Riproducendo l'identico motivo di gravame motivatamente disatteso dalla Corte di Appello, l'imputato ritorna primo motivo sulla pretesa inesistenza dell'ascritto reato di cui all'art. 393 c.p. per mancata azionabilità del suo diritto alla quiete domestica, stante l'inutilità delle sue segnalazioni alle autorità locali sul funzionamento del locale notturno senza le autorizzazioni e i controlli di legge. La doglianza, oltre che priva di specificità, è affetta da palese infondatezza. Correttamente la Corte territoriale ha posto in luce, da un lato, che il R. disponeva di strumenti giuridici per far valere le proprie ragioni, in luogo di farsi giustizia da solo, dinanzi a comportamenti suscettibili di assumere anche rilevanza penale basti pensare alle ipotesi contravvenzionali di cui agli artt. 659 e 660 c.p. e, da un altro lato, che in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni artt. 392 e 393 c.p. l'effettiva azionabilità della pretesa dell'agente in sede giurisdizionale non costituisce presupposto indefettibile per la configurabilità del reato, essendo a tal fine sufficiente la convinzione soggettiva che il ricorso e il precedente appello attestano essere ferma nel R. dell'esistenza del diritto tutelabile. La deduzione della Corte di Appello è ineccepibile e conforme alla giurisprudenza di questa Corte regolatrice, secondo cui - per l'appunto - l'azionabilità della pretesa possibilità di ricorrere al giudice deve intendersi come possibilità di fatto, indipendentemente dalla fondatezza dell'azione e quindi dal suo eventuale esito cfr. Cass. Sez. 2, 27.2.1997 n. 7911, Marino, rv. 208465 Cass. Sez. 2,18.10.2007 n. 43325, Pedotti, rv. 238309 . 4.2. Manifesta è l'infondatezza del dedotto difetto di valida querela per il reato di cui all'art. 393 c.p. Puntualmente la sentenza di appello ha rilevato che la legittimazione a proporre querela per tale reato compete sia alla persona contro cui sia stata esercitata l'azione violenta o intimidatrice, sia alla persona che rivesta il ruolo di oggettivo antagonista del preteso diritto vantato dall'imputato. Persona, quest'ultima, sicuramente identificabile nella querelante K. v. Cass. Sez. 6, 9.12.1998 n. 1421/99, Barberio, rv. 212553 Cass. Sez. 6, 24.2.2004 n. 21090, Soddu, rv. 228810 . 4.3. Priva di ogni serio pregio è la subordinata doglianza in ordine al risarcimento del danno attribuito alla parte civile, trattandosi della persona offesa dal reato consumato dal ricorrente, che dalla condotta criminosa di questi ha subito un danno diretto in termini di immagine e connessa riduzione dei potenziali clienti dell'esercizio pubblico. Danno la cui sussistenza non è esclusa dalla pretesa irregolarità amministrativa della conduzione del locale. Alla declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che stimasi equo stabilire in misura di Euro 500,00 cinquecento . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro cinquecento in favore della cassa delle ammende.