Dipendente componente della Rsu trasferito nonostante il niet del sindacato: comportamento antisindacale

Assolutamente prioritaria la norma fissata nello Statuto dei lavoratori. Secondaria, e irrilevante, invece, quella richiamata nel Contratto collettivo nazionale, che, come da accordo interconfederale, prevede il passaggio di un esame conciliativo. Questo passaggio non è obbligatorio quindi la mancata richiesta da parte del sindacato non rende operativo il provvedimento dell’azienda.

Trasferimento d’imperio deciso dall’azienda, ma il dipendente è esponente sindacale di spicco. Ciò significa che il niet dell’organizzazione dei lavoratori – la Fiom Cgil, per la precisione – blocca definitivamente la scelta di spostare l’operaio. Decisivo è il paletto fissato dallo Statuto dei lavoratori, che non può certo essere messo in discussione dal richiamo al Contratto collettivo nazionale e all’accordo interconfederale. Cassazione, sentenza n. 16981, sezione Lavoro, depositata oggi Reintegra . Eppure la vicenda è più complessa di quanto si possa immaginare Perché, in primo grado, viene sostenuta la tesi della legittimità del comportamento tenuto dall’azienda, che ha forzato il trasferimento, ritenendo decaduta la possibilità per il sindacato di contestare il provvedimento. Prospettiva completamente ribaltata, invece, in secondo grado, laddove i giudici della Corte d’Appello ribadiscono, rifacendosi allo Statuto dei lavoratori, che il trasferimento dell’unità produttiva dei dirigenti delle rappresentanze sindacali unitarie può essere disposta solo previo ‘nulla osta’ delle associazioni sindacali di appartenenza , e chiariscono che era illogico considerare prevalente la disciplina fissata nel Contratto collettivo nazionale, che nel richiamare l’accordo interfederale aveva previsto un procedimento caratterizzato da termini e da decadenze . Assolutamente insensato pensare che una norma di carattere generale , quale quella dello Statuto dei lavoratori, possa essere riformata in peius da un accordo interconfederale , ribadiscono i giudici di Appello, dichiarando antisindacale il comportamento tenuto dall’azienda e ordinando la reintegra del lavoratore nell’originario posto di lavoro . Conciliazione superflua . Ma non vi è stato alcun peggioramento, ribatte il legale dell’azienda più semplicemente, è stato previsto un percorso procedimentale propedeutico alla concessione o al diniego del ‘nulla osta’, senza incidere sull’autonomia sindacale e sulla effettività dell’azione sindacale . Così, dinanzi ai giudici della Cassazione, viene sottolineato, dal legale dell’azienda, che in base all’accordo interconfederale, applicabile ai componenti delle rappresentanze sindacali unitarie , l’organizzazione sindacale dei lavoratori, entro sei giorni dalla notifica della comunicazione della società di voler trasferire il dipendente, avrebbe dovuto richiedere un esame conciliativo essendo mancata questa domanda, il provvedimento aziendale era divenuto operante , in maniera pienamente legittima. Questa visione, però, viene ritenuta assolutamente non fondata, alla luce, su tutto, del principio della tutela dell’interesse sindacale all’inamovibilità del lavoratore , soprattutto per l’attitudine del trasferimento a far venir meno il legame tra il lavoratore e l’ambiente in cui egli operava quale titolare di incarichi sindacali . E, approfondendo poi i dettagli della vicenda, non può essere ritenuto decisiva la mancata richiesta, da parte del sindacato, del cosiddetto esame conciliativo . Per due ragioni primo, perché la norma pattizia non pone un obbligo, a carico del sindacato, di richiedere l’esame conciliativo ove non vi siano margini per una soluzione conciliativa del conflitto secondo, perché, come in questo caso, è prevalente la comunicazione del sindacato del diniego del nulla osta , diniego che esclude implicitamente ogni possibilità di verifica di soluzioni conciliative . Di conseguenza, la mancata richiesta dell’esame conciliativo, da parte del sindacato dei lavoratori non può assolutamente rendere operante il trasferimento del dirigente delle rappresentanze sindacali unitarie per questo motivo, è da confermare quanto stabilito in secondo grado, ossia il carattere antisindacale della condotta tenuta dall’azienda.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 17 aprile – 9 luglio 2013, n. 16981 Presidente Miani Canevari – Relatore Venuti Svolgimento del processo La Corte di Appello di Napoli, con sentenza depositata il 22 ottobre 2009, in riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato antisindacale, ex art. 28 St. lav., il comportamento della S.p.A. P.C.M.A., consistito nel trasferimento di D.D.A. senza il nulla osta dell’associazione sindacale di appartenenza ed ha disposto la reintegra del lavoratore, nell’originario posto di lavoro. La Corte territoriale, premesso che, a norma dell’art. 22 St. lav., il trasferimento dall’unità produttiva dei dirigenti delle rappresentanze sindacali unitarie può essere disposto solo previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza, ha osservato che era erroneo l’assunto del giudice di primo grado che aveva considerato prevalente, rispetto a tale disposizione, la disciplina di cui al CCNL 5 luglio 1994, che, nel richiamare l’accordo interconfederale del 18 aprile 1966, aveva previsto un procedimento caratterizzato da termini e da decadenze. L’art. 22 St. lav., quale norma di carattere generale, non poteva essere riformata in peius da un accordo interconfederale, oltretutto anteriore alla legge n. 300 del 1970, il quale, nel richiedere determinati oneri al sindacato, ne limitava l’autonomia, non garantendo l’effettività dell’azione sindacale. Per la cassazione della sentenza propone ricorso la società, illustrato da successiva memoria ex art. 378 cod. proc. civ. Resiste con controricorso la FIOM-CGIL. Motivi della decisione Con l’unico motivo del ricorso, denunziando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 22 della legge n. 300/70, dell’art. 5 disciplina generale, sez. 2°, del CCNL per l’industria metalmeccanica 7 maggio 2003 e dell’art. 14 dell’accordo interconfederale 18 aprile 1966, la società ricorrente deduce che la disciplina collettiva, nel richiamare l’accordo interconfederale del 1965, non rappresenta una disciplina peggiorativa di quella statutaria, ma prevede un percorso procedimentale propedeutico alla concessione o al diniego del nulla osta, senza incidere sull’autonomia sindacale e sulla effettività dell’azione sindacale. In base all’accordo interconfederale anzidetto, art. 14, applicabile ai componenti delle rappresentanze sindacali unitarie, l’organizzazione sindacale dei lavoratori, entro sei giorni dalla notifica della comunicazione della società di voler trasferire il D.D., avrebbe dovuto richiedere un esame conciliativo. Non, essendo stato nella specie tale esame richiesto, il provvedimento aziendale era divenuto operante. Ad avviso della ricorrente la disposizione contrattuale in questione è del tutto legittima, avendo l’organizzazione sindacale dei lavoratori, destinataria della tutela, negoziato le modalità applicative di detta clausola, privilegiando l’interesse alla composizione del conflitto. D’altra, parte, aggiunge, l’organizzazione sindacale dei lavoratori non ha mai richiesto la disapplicazione o la caducazione della stessa per contrasto con l’ara. 22 St. lav. Il ricorso non è fondato. La disposizione contenuta nell’art. 22 St. lav., secondo cui i dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali possono essere trasferiti soltanto previo nulla osta della associazione sindacali di appartenenza, è finalizzata alla tutela dell’interesse sindacale all’inamovibilità del lavoratore, interesse considerato dal legislatore prevalente sulle esigenze dell’impresa per l’attitudine del trasferimento a far venir meno il legame tra il lavoratore e l’ambiente in cui egli operava quale titolare di incarichi sindacali. La Corte territoriale ha affermato che l’accordo interconfederale del 18 aprile 1966, nel dettare una disciplina procedimentale in tema di trasferimento dei rappresentanti sindacali unitarie, non può imporre termini e decadenze in modo da limitare l’autonomia e l’effettività dell’attività sindacale, la quale trova tutela nella disposizione generale di cui all’art. 22 St. lav., che subordina il trasferimento in questione al rilascio del nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza del dirigente. Ha quindi ritenuto che tale generale disposizione non potesse essere derogata da una disciplina contrattuale peggiorativa. La decisione impugnata va confermata, ma con le precisazioni che seguono. L’art. 5, CCNL per l’industria metalmeccanica 7 maggio 2003, disciplina generale, sezione 2°, ha esteso ai componenti delle rappresentanze sindacali unitarie la tutela prevista dall’art. 14 dell’accordo interconfederale del 18 aprile 1965. Tale articolo, riportato in ricorso, così dispone 1 i membri delle Commissioni Interne e i Delegati di impresa in carica ed uscenti non possono essere licenziati o trasferiti senza il nulla osta delle Organizzazioni sindacali territoriali che rappresentano rispettivamente il lavoratore interessata e l’azienda le quali si pronunceranno in merito dopo un esame conciliativo fatto su richiesta dell’organizzazione dei lavoratori entro sei giorni dalla notifica fatta dall’Associazione dei datori di lavoro 2 se il nulla osta viene concesso o comunque decorso il termine di cui al numero precedente senza che sia stato richiesto l’esame conciliativo il provvedimento aziendale diviene operante”. Ad avviso della ricorrente, non avendo l’organizzazione dei lavoratori - cui era stato comunicata l’intenzione della società di trasferire il D.D. ad altra sede - richiesto l’esame conciliativa entro il termine suddetto il trasferimento era divenuto operante. L’assunto non può essere condiviso. Il sindacato del lavoratore, infatti, come risulta dallo stesso ricorso, ricevuta la notifica del provvedimento aziendale dall’Associazione dei datori di lavoro, ha comunicato dopo qualche giorno il diniego del nulla osta, così escludendo implicitamente ogni possibilità di verifica di soluzioni conciliative. Né la norma pattizia pone un obbligo, a carico del sindacato, di richiedere l’esame conciliativo ove non vi siano margini per una soluzione conciliativa del conflitto. Tanto meno, in presenza di un esplicito diniego del nulla osta, può ritenersi operante il provvedimento aziendale di trasferimento per il solo fatto di non avere il sindacato del lavoratore esperito la procedura conciliativa, poiché, così interpretata, la norma contrattuale finirebbe per privare il lavoratore e la stessa organizzazione sindacale della tutela all’inamovibilità apprestata dall’art. 22 St. lav. La norma contrattuale in questione va dunque interpretata nel senso che la mancata richiesta dell’esame conciliativo da parte del sindacato dei lavoratori, non rende operante il trasferimento del dirigente delle rappresentanze sindacali unitarie nell’ipotesi di diniego preventivo del nulla osta dello stesso sindacato. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, come in dispositivo. P.Q.M . La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida a favore della FIOM-CGIL in € 50,00 per esborsi ed € 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.