La risposta negativa del fisco a un interpello disapplicativo è atto impugnabile, anche se non rientra tra quelli elencati dall’articolo 19, d.lgs. numero 546/1992.
Esso, infatti, ha la capacità di incidere immediatamente sulla sfera giuridica del destinatario e quindi non può negarsi che il contribuente abbia l’interesse, ex articolo 100 c.p.c., ad invocare il controllo giurisdizionale sulla legittimità dell’atto in esame. Tale importante principio è stato precisato dalla sentenza numero 17010 del 5 ottobre 2012 della Cassazione. Il caso. Un contribuente ha invocato l’annullamento di una sentenza del giudice del gravame, che aveva dichiarato inammissibile il ricorso contro il provvedimento con cui il direttore regionale delle Entrate aveva respinto un interpello disapplicativo presentato ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8, dpr numero 600/1973. Il giudice del gravame aveva statuito che tale atto non rientra tra le fattispecie elencate dal d.lgs. numero 546/1992, né altre norme primarie o ministeriali ne prevedono l’impugnabilità. In particolare,secondo il contribuente,a differenza che negli interpelli consultivi di cui all’articolo 11, l. numero 212/2000 , quelli disapplicativi comportano effetti immediati sull’applicazione o meno di un dato regime impositivo. Un eventuale esito negativo, di fatto, comporta operazioni che generano un carico fiscale maggiore. E quindi, pur non contenendo una pretesa tributaria vera e propria, il diniego deve poter essere impugnato. Va esclusa l’equiparazione tra agevolazione fiscale e disapplicazione di norma antielusiva. Tuttavia, l’elencazione degli atti impugnabili ex articolo 19, d.lgs. numero 546/1992 è suscettibile di interpretazione estensiva, in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente articolo 24 e 53 Cost. e di buon andamento della p.a. articolo 97 Cost . Trattasi di un’impugnabilità facoltativa e non obbligatoria il fatto che il contribuente non ricorra subito in giudizio non pregiudica la possibilità di difendersi da eventuali rettifiche fiscali in futuro. Secondo la tesi erariale non è impugnabile il parere reso in sede di interpello, in quanto non lesivo della sfera giuridica del contribuente. Qualsiasi risposta fornita , non rappresentando tecnicamente un provvedimento per carenza dei relativi requisiti autoritarietà, esecutività ed esecutorietà , non può mai essere oggetto di ricorso in commissione tributaria provinciale da parte del contribuente. Il mancato obbligo, nei confronti del richiedente, di conformarsi alla risposta formulata denota l’assenza delle caratteristiche dei provvedimenti amministrativi quali l’autoritarietà e l’esecutorietà, così come sul piano esecutivo non si producono effetti diretti ed immediati. Pertanto, la risposta all’interpello è da ritenersi non impugnabile autonomamente, non costituendo peraltro l’esercizio di un potere impositivo, ma semplicemente anticipando la posizione del fisco. In conclusione, sul piano pratico lo scenario configurabile è il seguente proposizione di un interpello per conoscere in via preventiva la posizione dell’ente impositore in caso di risposta non conforme alle aspettative, è possibile non uniformarsi l’amministrazione potrà, in sede di controllo, accertare il comportamento difforme del contribuente emanando un atto lesivo della sfera giuridica del contribuente esercizio del potere impositivo a fronte dell’atto di accertamento sarà possibile effettuare ricorso per far valere le proprie ragioni. Precedente giurisprudenza Il diritto di interpello del contribuente. Questo riguarda soltanto l’applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personale, applicazione che, peraltro, deve essere caratterizzata da - qualora vi siano - obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni stesse. Il silenzio serbato dall’amministrazione finanziaria su di una istanza di interpello del contribuente ai sensi dell’articolo 11, l. numero 212/2000 non può assumere affatto valore e/o significato di silenzio assenso. Il diniego da parte della Direzione Regionale delle Entrate di disapplicazione di una legge antielusiva effettuato ai sensi del comma 8 dell'articolo 37 bis, D.P.R. numero 600/73 è un atto definitivo in sede amministrativa così indicato espressamente dal D.M. Finanze 19 giugno 1998, numero 259, attuativo della procedura di cui al citato comma 8 e recettizio con immediata rilevanza esterna, da qualificarsi come un'ipotesi di diniego di agevolazione, come tale impugnabile innanzi alle Commissioni tributarie, ai sensi dell'articolo 19, comma 1, lett. h , D.Lgs. 31 dicembre 1992, numero 546. Le determinazioni del Direttore regionale delle Entrate sulla istanza del contribuente volta ad ottenere il potere di disapplicazione di una norma antielusiva ai sensi dell'articolo 37-bis, comma 8, D.P.R. numero 600/1973, costituiscono presupposto necessario ed imprescindibile per l'esercizio di tale potere. Le determinazioni in senso negativo costituiscono atto di diniego di agevolazione fiscale e sono soggette ad autonoma impugnazione ai sensi dell'articolo 19, comma 1, lett. h , DLgs. numero 546/1992. Tale atto rientra tra quelli tipici previsti come impugnabili da detta disposizione normativa, e pertanto la mancanza di impugnazione nei termini di legge decorrenti dalla comunicazione delle determinazioni al contribuente ai sensi dell'articolo 1, comma 4, D.M. 19.6.1998, numero 259, rende definitiva la carenza del potere di disapplicazione della norma antielusiva in capo all'istante. Il giudizio innanzi al giudice tributario a seguito della impugnazione si estende al merito delle determinazioni impugnate. In definitiva, il provvedimento di diniego di cui all'articolo 37-bis, comma 8, D.P.R. numero 600/1973 è impugnabile. Esso è equipollente ad un diniego di agevolazione, cioè ad un atto nominato all'articolo 19 cit., e come tale autonomamente impugnabile.
Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 27 gennaio - 5 ottobre 2012, numero 17010 Presidente D’Alonzo – Relatore Virgilio Ritenuto in fatto 1. La B. s.r.l. già s.p.a. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana indicata in epigrafe, con la quale è stata dichiarata l'inammissibilità del ricorso introduttivo della contribuente contro il provvedimento con cui il direttore regionale delle entrate aveva dichiarato inammissibile per tardività l'istanza di interpello per la disapplicazione delle norme antielusive contenute nell'articolo 172, comma 7, del d.P.R. numero 917 del 1986 nel testo modificato e rinumerato dal d.lgs. numero 344 del 2003 , presentata dalla società B. ai sensi dell'articolo 37 bis, comma 8, del d.P.R. numero 600 del 1973. Il giudice a quo ha ritenuto che l'atto impugnato - c.d. interpello disapplicativo - non ha natura provvedimentale , non contenendo alcuna pretesa tributaria definita, né da esso scaturiscono conseguenze giuridiche, né lede alcun diritto soggettivo o interesse legittimo l'atto non rientra in alcuna delle fattispecie elencate nell'articolo 19 del d.lgs. numero 546 del 1992, né il citato articolo 37 bis o il decreto ministeriale di attuazione ne prevedono l'impugnabilità. Il contribuente, in definitiva, ad avviso del giudice di merito, è privo di interesse ad agire, trattandosi di un provvedimento meramente interlocutorio, sostanzialmente un parere, avente carattere vincolante solo nei confronti dell'Amministrazione, qualora sia favorevole al contribuente, ma non anche nei confronti di quest'ultimo, il quale ben può discostarsene ed attendere l'eventuale attivazione del procedimento di accertamento. 2. L'Agenzia delle entrate resiste con controricorso. 3. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Considerato in diritto 1.1. Con il primo motivo, la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell'articolo 19 del d.lgs. numero 546 del 1992, censura la sentenza impugnata per avere il giudice disconosciuto l'esistenza in capo alla ricorrente di un interesse concreto ed attuale ad agire avverso la risposta ottenuta a seguito dell'interpello, senza tener conto del fatto che l'interesse ad agire costituisce una condizione dell'azione che deriva direttamente dall'avvenuta lesione di una situazione giuridica di diritto sostanziale, che non può ritenersi sfornita di tutela giurisdizionale ed è rappresentata dalla impossibilità per la contribuente di applicare un regime impositivo derogatorio rispetto a quello antielusivo del quale sussistono i presupposti e le condizioni previsti dalla legge. A differenza, pertanto, dal caso degli interpelli consultivi quale, in specie, quello di cui all'articolo 11 della legge numero 212 del 2000 , la risposta negativa all'interpello ex articolo 37 bis, comma 8, del d.P.R. numero 600 del 1973, è atto idoneo ad incidere immediatamente nella sfera giuridica del destinatario, perché, pur non traducendosi in un diniego di agevolazione in senso tecnico, risponde alla stessa funzione di liberazione degli effetti che la legge stessa ricollega al verificarsi dei presupposti in presenza dei quali è possibile procedere all'applicazione di un regime impositivo diverso da quello ordinariamente applicabile. 1.2. L'Agenzia delle entrate replica sostenendo, conformemente a quanto esposto nella sentenza impugnata, la natura di mero parere della risposta all'interpello in esame, inidonea, come tale, a comportare conseguenze lesive per il richiedente, il quale resta libero di ritenere l'operazione non elusiva, riservandosi di far valere le sue ragioni qualora l'Amministrazione dovesse intervenire con provvedimenti di accertamento. Aggiunge in memoria di non condividere la sentenza di questa Corte numero 8663 del 2011 - la quale ha affermato l'onere di impugnazione, a pena di decadenza, della risposta negativa all'interpello -, sia perché tale provvedimento non può essere considerato un rifiuto di agevolazione fiscale atto elencato nell'articolo 19 del d.lgs. numero 546 del 1992 , bensì un atto emanato sulla base di una mera intenzione di comportamento fiscale , sia in quanto la non impugnabilità consente anche agli uffici, a fronte di un iniziale diniego, di rivalutare la situazione in sede di accertamento, pervenendo magari ad una scelta di legittimità dell'operato del contribuente , evitando un inutile incremento di contenzioso. 2. Con il secondo motivo, la ricorrente, nella ipotesi in cui la sentenza impugnata debba interpretarsi nel senso di contenere un diniego di giurisdizione del giudice tributario in ordine alle controversie concernenti le risposte negative agli interpelli de quibus, denuncia la violazione degli articolo 2 e 19 del d.lgs. numero 546 del 1992, rilevando che il criterio di delimitazione dei confini della giurisdizione tributaria è rappresentato dalla natura della controversia, nella specie senza dubbio squisitamente tributaria. 3. Va, in ordine logico, esaminato prioritariamente il secondo motivo di ricorso, che si rivela inammissibile basandosi su un presupposto chiaramente insussistente. Con la sentenza impugnata, infatti, il giudice di merito si è limitato a rilevare la improponibilità assoluta della domanda per carenza di interesse ad agire, il che non dà luogo ad un'ipotesi di difetto di giurisdizione - che il giudice, quindi, non ha affatto inteso affermare -, essendo questa attribuita in via esclusiva e ratione materiae, e non in ragione dell'oggetto della domanda cfr., tra le altre, Cass., Sez. unumero , numero 27209 del 2009 . 4.1. Venendo, quindi, al primo motivo di ricorso, questa Corte - come già detto sopra - ha avuto di recente occasione di affermare il principio secondo il quale le determinazioni del direttore regionale delle entrate sulla istanza del contribuente volta ad ottenere il potere di disapplicazione di una norma antielusiva ai sensi del d.P.R. numero 600 del 1973, articolo 37 bis, comma 8, costituiscono presupposto necessario ed imprescindibile per l'esercizio di tale potere. Le determinazioni in senso negativo costituiscono atto di diniego di agevolazione fiscale e sono soggette ad autonoma impugnazione ai sensi del d.lgs. numero 546 del 1992, articolo 19, comma 1, lett. h . Tale atto rientra tra quelli tipici previsti come impugnabili da detta disposizione normativa, e pertanto la mancanza di impugnazione nei termini di legge decorrenti dalla comunicazione delle determinazioni al contribuente ai sensi del d.m. 19 giugno 1998, numero 259, articolo 1, comma 4, rende definitiva la carenza del potere di disapplicazione della norma antielusiva in capo all'istante. Il giudizio innanzi al giudice tributario a seguito della impugnazione si estende al merito delle determinazioni impugnate Cass. numero 8663 del 2011 . Il Collegio ritiene di doversi discostare da detto orientamento nei limiti e nei sensi di seguito precisati. 4.2. Il nucleo centrale della citata pronuncia è costituito dalla qualificazione della risposta negativa all'interpello come tipico diniego di agevolazione fiscale , rientrante, come tale, a pieno titolo, nella previsione dell'articolo 19, comma 1, lett. h , del d.lgs. numero 546 del 1992, con la naturale conseguenza dell'onere di impugnazione, in mancanza della quale l'atto diviene intangibile, con conseguente decadenza del contribuente dalla possibilità di successiva contestazione. Tale tesi non è condivisibile. Sul piano strettamente tecnico, intatti, va esclusa la equiparazione tra agevolazione fiscale e disapplicazione di norma antielusiva la prima costituisce un trattamento derogatorio di favore riconosciuto in generale nella ricorrenza di determinate condizioni, pur in presenza del presupposto del tributo, per finalità di realizzazione di interessi diversi da quello fiscale, ritenuti meritevoli di tutela la seconda consiste nel rimuovere l'operatività di norme limitative - per fini antielusivi - di vantaggi fiscali di regola spettanti detrazioni, deduzioni, crediti d'imposta, ecc. , in relazione a singole fattispecie, il cui esame abbia portato ad escludere il realizzarsi dello scopo elusivo, così ripristinando, per finalità pur sempre di ordine fiscale, il regime tributario applicabile nel caso specifico a quello previsto dall'ordinamento in assenza di fine di elusione, cioè quello ritenuto giusto dal legislatore in relazione alla capacità contributiva manifestata. Va, poi, ovviamente, rilevato che né la norma in esame, né il decreto ministeriale di attuazione 19 giugno 1998, numero 259 né, peraltro, la prassi costante dell'Amministrazione , prevedono l'impugnabilità delle determinazioni del direttore regionale delle entrate in ordine all'istanza di interpello, così restando esclusa anche l'applicabilità della norma di chiusura di cui all'articolo 19, comma 1, lett. i , del d.lgs. numero 546 del 1992. La dimostrata impossibilità di ricondurre, in modo certo ed inequivoco anche eventualmente al di là del nomen iuris adoperato , l'atto in questione in una delle categorie indicate nell'articolo 19 cit. porta ad una prima conclusione l'atto stesso non può essere ritenuto obbligatoriamente impugnabile, dovendosi escludere, per ovvie ragioni di certezza dei rapporti giuridici e di tutela del diritto di difesa, che possa essere introdotta per via interpretativa se non negli stretti limiti anzidetti una decadenza del contribuente dal diritto di contestare una pretesa tributaria, decadenza inevitabilmente conseguente alla omessa impugnazione di uno degli atti tassativamente elencati nella norma in esame o la cui impugnabilità è prescritta in altra specifica disposizione di legge , ritualmente notificati nel rispetto della sequenza ivi prevista. 4.3. La natura tassativa - e quindi soggetta ad interpretazione rigorosa -dell'elencazione degli atti contenuta nel citato articolo 19 del d.lgs. numero 546 del 1992, con il correlato onere di impugnazione a pena di cristallizzazione della pretesa in essi contenuta, non comporta, tuttavia, che l'impugnazione di atti diversi da quelli ivi specificamente indicati sia in ogni caso da ritenere inammissibile. Da tempo, infatti, la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, ha affermato il principio secondo il quale il detto catalogo degli atti impugnabili è suscettibile di interpretazione estensiva, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente articolo 24 e 53 Cost. e di buon andamento della p.a. articolo 97 Cost , che in conseguenza dell'allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge numero 448 del 2001 ciò, ovviamente, per quanto detto sopra, con il necessario corollario della mera facoltà d'impugnazione, il cui mancato esercizio non determina alcuna conseguenza sfavorevole in ordine alla possibilità di contestare la pretesa tributaria in un secondo momento. In particolare, è stata riconosciuta la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall'ente impositore che, con l'esplicitazione delle concrete ragioni fattuali e giuridiche che la sorreggono, porti, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinata, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall'articolo 19 del d.lgs. numero 546 del 1992 sorge, infatti, in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l'interesse, ex articolo 100 cod. proc. civ., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale, comunque, di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva e/o dei connessi accessori vantati dall'ente pubblico la mancata impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall'articolo 19 citato non determina, in ogni caso, la non impugnabilità e cioè la cristallizzazione di quella pretesa, che va successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dallo stesso articolo 19 in termini, Cass. numero 21045 del 2007 - con i precedenti ivi indicati -, cui adde Cass., Sez. unumero , numero 10672 del 2009, nonché Cass. nnumero 27385 del 2008 4513 del 2009 285 e 14373 del 2010 8033, 10987 e 16100 del 2011 . 4.4. Ad avviso del Collegio, il diniego del direttore regionale delle entrate di disapplicazione di norme antielusive, ai sensi dell'articolo 37 bis, comma 8, del d.P.R. numero 600 del 1973, rientra nel novero degli atti impugnabili, in via facoltativa, da parte del contribuente istante. A tale conclusione inducono vari elementi, i quali escludono che all'atto de quo possa attribuirsi natura meramente endoprocedimentale o di semplice parere interpretativo al pari di una circolare . L'istanza, infatti, è obbligatoria deve contenere la descrizione compiuta della fattispecie concreta deve essere corredata della documentazione rilevante è soggetta a richieste istruttorie è rivolta ad ottenere un atto dell'amministrazione, sia esso da intendere come una sorta di autorizzazione alla disapplicazione della specifica norma antielusiva in questione, sia, piuttosto, come sembra più corretto anche in base alla disciplina della materia, quale atto, esso stesso, di esercizio del potere di disapplicazione che spetta all'amministrazione e non al contribuente le determinazioni del direttore regionale delle entrate sono comunicate al richiedente mediante servizio postale, in plico raccomandato con avviso di ricevimento, con provvedimento da ritenersi definitivo d.m. numero 259 del 1998, articolo 1, in specie commi 4 e 6 . In sostanza, la risposta all'interpello, positiva o negativa, costituisce il primo atto con il quale l'amministrazione, a seguito di una fase istruttoria e di una valutazione tecnica, e con particolari garanzie procedimentali, porta a conoscenza del contribuente, in via preventiva, il proprio convincimento in ordine ad una specifica richiesta, relativa ad un determinato rapporto tributario, con l'immediato effetto di incidere, comunque, sulla condotta del soggetto istante in ordine alla dichiarazione dei redditi in relazione alla quale l'istanza è stata inoltrata. Non può, pertanto, negarsi che il contribuente, destinatario della risposta, abbia l'interesse, ex articolo 100 cod. proc. civ., ad invocare il controllo giurisdizionale sulla legittimità dell'atto in esame. 4.5. Occorre, infine, chiarire, in coerenza con la ritenuta mera facoltà d'impugnazione, le ragioni in virtù delle quali oltre al dato normativo della non riconducibilità dell'istituto in esame in alcuna delle voci elencate nell'articolo 19 del d.lgs. numero 546 del 1992, ed anzi in conformità con la sua ratio l'omessa impugnazione dell'atto di diniego non pregiudica la posizione del contribuente che ad esso non ritenga di adeguarsi. Ciò deriva dal fatto che tale atto, in assenza di espresse previsioni contrarie, è privo di efficacia vincolante nei confronti del contribuente stesso. Premesso che la definitività prevista dal comma 6 dell'articolo 1 del citato d.m. numero 259 del 1998 va intesa semplicemente come impossibilità di richiesta di riesame delle determinazioni del direttore regionale mediante ricorso gerarchico, va osservato che la risposta all'interpello costituisce un provvedimento emesso allo stato degli atti, sulla base della documentazione acquisita, che, al più, se negativo, prelude, predeterminandone il contenuto, ad un eventuale avviso di accertamento relativo alla dichiarazione dei redditi presentata in difformità che, peraltro, potrebbe essere anche parziale dalla risposta, ovvero ad un, anch'esso eventuale, diniego di rimborso nel caso in cui il contribuente, pur adeguandosi a quella, ne ritenga l'illegittimità. In definitiva, la risposta all'interpello non impedisce innanzitutto alla stessa amministrazione di rivalutare - in sede di esame della dichiarazione dei redditi o dell'istanza di rimborso - l'orientamento negativo precedentemente espresso, né al contribuente di esperire la piena tutela in sede giurisdizionale nei confronti dell'atto tipico che gli venga notificato, dimostrando in tale sede, senza preclusioni di sorta, la sussistenza delle condizioni per fruire della disapplicazione della norma antielusiva. Resta fermo, invece come la stessa resistente espressamente riconosce , che la risposta positiva del direttore regionale impedisce all'amministrazione - a condizione, ovviamente, che i fatti accertati in sede di controllo della dichiarazione corrispondano a quelli rappresentati nell'istanza - l'applicazione della norma antielusiva oggetto d'interpello, in applicazione del principio di tutela dell'affidamento, che ha diretto fondamento costituzionale e carattere generale ed immanente anche nell'ordinamento tributario, nel quale trova espresso riconoscimento, in linea generale, nell'articolo 10 della legge numero 212 del 2000, nonché, specificamente in relazione agli interpelli c.d. ordinari, ma con portata da ritenere estesa alle altre tipologie di interpello previste dalla normativa, nell'articolo 11, comma 2, della medesima legge numero 212 il quale prevede la nullità di atti impositivi emanati in difformità dalla risposta all'interpello . 5. In conclusione, va accolto, nei sensi indicati, il primo motivo di ricorso e dichiarato inammissibile il secondo. La sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Toscana, la quale procederà a nuovo esame della controversia, uniformandosi ai principi espressi nei paragrafi da 4.2 a 4.4, oltre a provvedere in ordine alle spese anche del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il primo motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione e dichiara inammissibile il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Toscana.