La clausola del regolamento contrattuale di condominio che specifica la destinazione di una parte comune, senza escludere usi simili o comunque compatibili con quello indicato, non può essere interpretata estensivamente finendo per vietare ogni destinazione diversa da quella espressamente menzionata. I divieti e le limitazioni d’uso che si sostanzino in limitazioni del diritto dominicale dei singoli condomini, infatti, per essere invocati devono essere chiaramente specificati nelle clausole regolamentari.
La Cassazione con la sentenza numero 13728 dello scorso 31 luglio, nel decidere una controversia avente ad oggetto l’interpretazione del regolamento condominiale non smentisce se stessa ed anzi rafforza l’orientamento giurisprudenziale dominante i limiti contenuti nel regolamento contrattuale devono essere chiari e inequivocabili. La fattispecie esaminata. Pare che gli italiani abbiano una particolare predilezione a litigare sui parcheggi condominiali. Troppo pochi, mal usati, usurpati e per giunta indesiderati. Quest’ultimo è il caso che ha impegnato gli ermellini nella sentenza in esame. Un regolamento condominiale allegato ai rogiti d’acquisto prevedeva che una parte comune scoperta dell’edificio servisse “ad uso corte e passaggio per accedere con pedoni, carri e quant’altro”. Per l’assemblea una clausola che non impediva di deliberare specificando che tale area condominiale potesse essere utilizzata anche come zona di sosta. Tuttavia questa decisione non incontrava il favore di uno dei comproprietari che la impugnava chiedendo fosse dichiarata nulla quella decisione, a suo dire, si sostanziava in una modificazione del regolamento contrattuale che doveva essere adottata con il consenso di tutti i condomini. L’impugnazione ebbe buon esito il giudice di primo grado accolse la tesi del condomino. La sentenza fu poi confermata nel giudizio di secondo grado nel quale il condominio vide respinto il proprio ricorso. Da qui il giudizio di Cassazione. Il regolamento contrattuale può contenete limiti ai diritti, ma devono essere chiari . Per comprendere la soluzione adottata dagli ermellini non ci si può esimere da un analisi sia pure sintetica del contesto nel quale è stata resa. Il regolamento contrattuale, per unanime convincimento dottrinario e giurisprudenziale, è considerato alla stregua di un contratto plurisoggettivo cfr. Cass. 21 numero 12850/08 con il quale le parti possono decidere di limitare i propri diritti sulle parti comuni e di proprietà esclusiva dello stabile, in virtù del poter dispositivo dei medesimi. Insomma è lecito vietare una particolare destinazione d’uso dell’unità immobiliare, il possesso di specifiche specie animali, la destinazione d’una parte comune, ecc. Si parla di servitù reciproche o oneri reali, a secondo della particolare disposizione. Unica condizione è che le restrizioni alle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio di natura contrattuale, devono essere formulate in modo espresso o comunque non equivoco in modo da non lasciare alcun margine d'incertezza sul contenuto e la portata delle relative disposizioni Cass. numero 23 del 07/01/2004 . Trattandosi di materia che attiene alla compressione di facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condomini, i divieti ed i limiti devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo a incertezze e non possono quindi dar luogo ad un'interpretazione estensiva delle relative norme Cass. numero 16832/09 . La sentenza fa riferimento alla proprietà esclusiva ma non v’è dubbio che quanto appena detto valga pure per le parti comuni. Oggetto delle restrizioni regolamentari, infatti, sono i diritti dei condomini. Questi, qualunque sia la parte dell’edificio su cui ricadono, possono essere limitati solamente con il consenso del titolare e purché il limiti risulti in maniera precisa. L’indicazione dell’uso come passaggio non esclude automaticamente la facoltà di parcheggiare . Torniamo al caso risolto con la sentenza numero 13728 che accoglie le ragioni del condominio. La Cassazione rimarca l’errore dei giudici del gravame, cassa la sentenza e la rinvia ad altra Sezioni della Corte d’appello. Secondo i giudici di piazza Cavour è illogico concludere per il divieto di parcheggio in ragione della clausola che abbiamo citato in principio. Anzi, secondo la corte regolatrice “è invece evidente che la destinazione di una determinata area a passaggio di veicoli non includa di per sé anche il divieto di parcheggio, stante la piena compatibilità, in via astratta, dei due usi ” . Secondo gli ermellini i giudici di merito hanno interpretato in modo troppo estensivo la clausola regolamentare. Ciò, abbiamo visto, non è consentito se l’oggetto del contendere è il diritto di proprietà. A maggior ragione, concludono dalla Cassazione, in una controversia riguardante il parcheggio il cortile che, per costante giurisprudenza, deve ritenersi sempre lecito se non espressamente vietato o manifestamente impossibile. La delibera impugnata, adesso, dovrà essere valutata alla luce di queste indicazioni.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 31 maggio – 31 luglio 2012, numero 13728 Presidente Triola – Relatore Bertuzzi Svolgimento del processo Con sentenza numero 1157 del 18 ottobre 2005, la Corte di appello di Bologna respinse l'appello proposto dal Condominio via omissis avverso la pronuncia di primo grado che, su impugnativa dei condomini Z.L. e Ca.Fr. , aveva dichiarato nulla la delibera adottata dall'assemblea condominiale del 19 luglio 1999 che, a maggioranza dei voti, aveva disposto l'abolizione del divieto di parcheggio sulla corte comune del condominio. Il giudice di secondo grado motivò tale statuizione in ragione del rilievo che la deliberazione de qua si poneva in contrasto con la disposizione condominiale che stabiliva che la corte di proprietà comune dovesse essere adibita a passaggio per accedere al piano seminterrato con pedoni e veicoli, e non anche a posteggio degli stessi, precisando che tale clausola condominiale, avendo natura contrattuale in quanto richiamata nel rogito stipulato dagli iniziali unici proprietari del fabbricato e richiamata nei successivi atti di compravendita delle varie unità immobiliari, avrebbe potuto essere modificata soltanto previo consenso di tutti i condomini, laddove la modifica impugnata era stata approvata a maggioranza. Per la cassazione di questa decisione, notificata il 13 gennaio 2006, con atto notificato il 1 marzo 2006, ricorre il Condominio via omissis , affidandosi a due motivi, illustrati da successiva memoria. Resistono con controricorso Z.L. e Ca.Fr. . In prossimità dell'udienza di discussione il Condominio ricorrente ha depositato copia dell'assemblea condominiale del 31 gennaio 2012, che ha ratificato la proposizione del ricorso da parte del suo amministratore. Motivi della decisione Preliminarmente va esaminata l'eccezione di inammissibilità del ricorso avanzata dai controricorrenti, che hanno contestato la rappresentanza del condominio da parte del sig. C.A. , che, nell'intestazione del ricorso, si è qualificato suo amministratore. L'eccezione va respinta, avendo il Condominio depositato il verbale di assemblea ordinaria del 14 luglio 2005, precedente alla proposizione del ricorso, che aveva confermato la nomina ad amministratore dello Studio C.N., di cui risulta titolare A C. , così dimostrando la legittimazione di quest'ultimo ad agire in giudizio in rappresentanza del condominio. Passando all'esame del ricorso, va trattato per primo il secondo motivo, che pone una questione logicamente preliminare. Con questo mezzo il Condominio ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli articolo 1362 e 1363 cod. civ. e omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, lamentando che la Corte di merito abbia erroneamente interpretato la clausola del rogito del 1963 da essa richiamata, la quale si era limitata ad individuare tra le parti comuni del fabbricato la porzione del detto mappale 19 sub b, non coperta con il fabbricato, ad uso corte e passaggio per accedere anche al piano sotterraneo con pedoni, carri e quant'altro , ma non aveva introdotto alcuna limitazione alla sua utilizzazione. L'interpretazione accolta dalla sentenza impugnata appare pertanto illogica, immotivata ed in contrasto con le regole di interpretazione letterale, atteso che detta clausola si limitava a descrivere le parti comuni dell'edificio ma non ne disciplinava anche l'uso e, comunque, non potendo da essa ricavarsi la conclusione che nella predetta area sia consentito solo il passaggio dei veicoli e non anche il parcheggio. La mancanza di limitazioni all'utilizzazione del bene comune avrebbe dovuto pertanto portare il giudicante a ritenere che la regolamentazione del suo uso potesse essere legittimamente adottata a maggioranza e non anche all'unanimità dei condomini. Il motivo è fondato. La Corte di merito, premesso che la delibera condominiale impugnata aveva autorizzato i condomini al parcheggio delle loro autovetture nel cortile condominiale, ne ha dichiarato la illegittimità in quanto contrastante con la disposizione del regolamento che invece descriveva tale bene ad uso corte e passaggio per accedere anche al piano sotterraneo con pedoni, carri e quant'altro . La conclusione non merita di essere condivisa. In particolare, non appare logicamente adeguato e perciò persuasivo il passaggio argomentativo fondamentale costituito dall'affermazione della contrarietà del deliberato alla clausola regolamentare sopra richiamata. La Corte di merito non spiega perché tale contrarietà sussista ed in cosa essa consista e, in particolare, perché l'uso del cortile comune a passaggio anche veicolare debba portare ad escludere di per sé ogni altro e diverso uso del bene. Sul piano logico e fattuale è invece evidente che la destinazione di una determinata area a passaggio di veicoli non includa di per sé anche il divieto di parcheggio, stante la piena compatibilità, in via astratta, dei due usi. La conclusione accolta dal giudice di merito appare pertanto il risultato di un evidente errore di interpretazione della clausola negoziale, cui essa attribuisce un significato ben più ampio di quello ricavabile dal suo tenore letterale, finendovi per includere divieti e quindi limitazioni all'uso del bene comune da parte dei condomini che non risultano da essa espressamente previsti. Sotto tale ultimo profilo, la pronuncia si pone altresì in contrasto con l'orientamento giurisprudenziale di questa Corte che, in più occasioni, ha affermato la piena compatibilità della destinazione del cortile condominiale al parcheggio di autovetture con l'uso consentito ai singoli condomini del bene comune Cass. numero 15319 del 2011 Cass. numero 13879 del 2010 Cass. numero 5997 del 2008 . Il primo motivo di ricorso, che denunzia omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia e violazione degli articolo 2697 e 1350 cod. civ. e degli articolo 115 e 116 cod. proc. civ., si dichiara assorbito. La sentenza va quindi cassata in relazione al motivo accolto e la causa è rinviata, anche per la liquidazione delle spese, ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna. P.Q.M. accoglie il secondo motivo del ricorso e dichiara assorbito il primo cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese, ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna.