Presunto «spionaggio» scottante in tema di … caffettiere

La Suprema Corte, adita da un uomo che lamenta qualche copiatura del suo modello originale nella moka di produzione di una società, non può intervenire sul punto. La Corte d’Appello ha infatti ampliamente motivato la decisione basandosi sulla consulenza tecnica d’ufficio, ponendo in evidenza gli elementi di rilevante differenza tra il prodotto della società e le caffettiere tradizionali da qui la non interferenza tra una moka e l’altra.

Questo quanto si legge nella pronuncia numero 11004 datata 28 giugno 2012 della Cassazione Civile. Moka in fotocopia? La Corte d’Appello di Milano, in riforma della statuizione di primo grado, accoglieva le domande proposte da una s.p.a., volte a far accertare che una caffettiera prodotta nella propria sede non interferisse con l’ambito di un preesistente modello di utilità. Un signore, titolare del presunto archetipo, nonché contrario alla produzione e alla vendita della moka della società, ricorreva allora per cassazione. Non ci sono elementi di evidente similitudine. Le doglianze espresse nei primi due motivi inerenti al funzionamento e a qualche spunto di idea di troppo carpito , piuttosto che porre in evidenza vizi logici della motivazione, sembrano sollecitare una non consentita rivisitazione delle risultanze di causa. La Corte d’Appello ha ampliamente motivato la decisione basandosi sulla consulenza tecnica d’ufficio, ponendo in evidenza gli elementi di rilevante differenza tra il prodotto della società e le caffettiere tradizionali donde la non interferenza tra una moka e l’altra. Esula altresì dai confini del giudizio di legittimità – poiché involge una verifica fattuale e di merito estranea ai compiti della Corte Suprema – la critica che l’uomo muove alla valutazione in forza della quale la Corte territoriale ha stimato inscindibili le diverse funzioni alle quali quel modello è preordinato ed è giunto ad escludere lo «spionaggio» in ragioni di tali utilità differenti. Il ricorso viene quindi rigettato e le spese di giudizio seguono la parte soccombente. La quale, supponiamo, non brinderà con un caffè.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 19 aprile – 28 giugno 2012, numero 11004 Presidente Plenteda – Relatore Didone Ritenuto in fatto e in diritto p.1.- La relazione depositata ai sensi dell'articolo 380 bis c.p.c. dal cons. Renato Rordorf è del seguente tenore “1. La Corte d'appello di Milano, con sentenza depositata il 31 agosto 2009, in riforma di una precedente decisione del tribunale della stessa città, ha accolto le domande proposte dalla Imperia s.p.a., volte a far accertare che una caffettiera prodotta da detta società, denominata Moka Imperia, non interferisce con l'ambito di un preesistente modello di utilità di cui è titolare il sig. E B., sicché ne è lecita la produzione e la vendita. Per la cassazione di tale sentenza il sig. B. ha proposto ricorso, prospettando tre motivi di doglianza, ai quali la Imperia ha replicato con controricorso. 2. Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli articolo 376, 380-bis e 375 c.p.c., poiché è prospettabile la sua manifesta infondatezza. 2.1. I primi due motivi riguardano entrambi asseriti vizi di motivazione della sentenza impugnata a per aver affermato che la caffettiera prodotta dalla Imperia non appartiene al novero delle caffettiere conosciute come Moka e perciò non interferisce con il modello ideato dal sig. B. , avendo però al tempo stesso riconosciuto che il suo funzionamento corrisponde a quello delle caffettiere Moka tradizionali b per avere incongruamente escluso che il modello ideato dal sig. B. , dotato di una funzione paraspruzzi e di una funzione miscelatrice del caffè all'interno della caffettiera, possa esplicare effetti con riferimento anche solo a quest'ultima funzione. Il terzo motivo, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli articolo 82 e segg. del d. lgs. numero 30 del 2005, assume che il prodotto realizzato dalla Imperia costituisce un'imitazione studiatamente diversa di alcuni elementi caratteristici del modello di cui il ricorrente è titolare, giacché al pari di quella consente di miscelare la bevanda nella camera di raccolta del caffè senza necessità di aprire il coperchio della caffettiera. 2.2. Le doglianze espresse nei primi due motivi, piuttosto che porre in evidenza veri e propri vizi logici della motivazione del provvedimento impugnato, sembrano sollecitare una non consentita rivisitazione delle risultanze di causa ed un'altrettanto non consentita revisione del giudizio di merito. Giudizio, questo, che la corte d'appello ha ampiamente motivato - al di là delle singole espressioni criticate nel ricorso - ponendo bene in luce quelli che, a suo parere ed in conformità con la valutazione espressa dal consulente tecnico d'ufficio, sono gli elementi di rilevante differenza tra il prodotto della Imperia e le caffettiere tradizionali cui è suscettibile di essere applicato il modello di utilità del quale il ricorrente è titolare donde la non interferenza tra il prodotto dell'una ed il modello dell'altro. Esula altresì dai limiti del giudizio di legittimità, poiché involge una verifica fattuale e di merito estranea ai compiti della Cassazione, la critica che il ricorrente muove alla valutazione in forza della quale la corte territoriale ha stimato inscindibile, nel contesto delle rivendicazioni del modello d'utilità del sig. B. , le diverse funzioni alle quali quel modello è preordinato ed è giunto perciò ad escludere l'interferenza del prodotto della Imperia facendo leva sulla diversità di una di tali funzioni piuttosto che dell'altra. Non sembra fondato neppure il motivo di ricorso per violazione di legge. Una tale violazione sarebbe nella specie ravvisabile solo a condizione di accettare la premessa secondo la quale le differenze del prodotto della Imperia rispetto ad una caffettiera dotata di un congegno corrispondente al modello di cui è titolare il ricorrente non rivestono effettiva rilevanza essendone nella sostanza equivalenti gli effetti. Ma una siffatta premessa non trova riscontro nella valutazione della corte d'appello, alla quale perciò non può imputarsi di aver violato la norma invocata dal ricorrente né, come ricordato, è consentito in questa sede procedere ad un riesame delle valutazioni in fatto rimesse al giudice di merito. La relazione è stata notificata alle parti e comunicata al pubblico ministero unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio. Parte resistente ha depositato memoria ai sensi dell'articolo 380 bis c.p.c.”. p.2.- Il Collegio condivide le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e che conducono al rigetto del ricorso. Le spese del giudizio di legittimità - liquidate in dispositivo - seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori come per legge.