«Te la faccio pagare»: per il delitto di minaccia non occorre che il male minacciato sia notevole

La norma incriminatrice di cui all’articolo 612 c.p. non richiede affatto che il male minacciato debba essere notevole, dovendosi peraltro giungere alla conclusione opposta, considerato che la gravità della minaccia è oggetto di specifica previsione nel secondo comma che, infatti, le assegna il valore di circostanza aggravante.

E’ questa la sintesi del ragionamento giuridico sviluppato dalla Corte di Cassazione con la sentenza numero 18730 del 16 maggio 2012. La prospettazione di un male ingiusto e notevole. Nel caso di specie, l’imputata era stata assolta in primo grado dal delitto di minaccia per insussistenza del fatto e dal delitto di ingiuria per non aver commesso il fatto nei confronti di un’altra donna. Al riguardo, in sede di appello, il giudice ha ritenuto che l’espressione «te la faccio pagare» non presentasse i connotati della prospettazione di un male ingiusto e notevole, sia per la sua genericità, sia perché non proveniente da soggetto di riconosciuta pericolosità. Inoltre, con riferimento al biglietto con la scritta «bugiarda» trovato dalla persona offesa sotto la porta della sua abitazione, il giudice non aveva ritenuta certa la provenienza dall’imputata, essendo mancato qualsiasi accertamento grafologico. L’attitudine ad intimorire. Le doglianze del Procuratore Generale e della parte civile convergono nei motivi individuati nel ricorso per cassazione. Il principale contesta il giudizio negativo espresso dal Tribunale in ordine alla configurabilità del delitto di minaccia. In buona sostanza, si evidenzia che la stessa giurisprudenza di legittimità esclude a tale fine che sia necessaria una effettiva intimidazione della persona offesa , risultando sufficiente l’attitudine ad intimorire, quando il male ingiusto possa essere dedotto dalla situazione concreta. La pericolosità dell’autore della minaccia. Gli Ermellini non possono fare altro che accogliere il motivo di ricorso ritenendo quest’ultimo fondato. Infatti, non risulta condivisibile negare la validità intimidatoria dell’espressione usata dall’imputata sul presupposto – rilevato dal giudice di primo grado – che ad integrare il delitto di minaccia sia indispensabile la prospettazione di un male non solo ingiusto, ma anche notevole. Ciò sia in base alla considerazione che la stessa norma incriminatrice individua come circostanza aggravante la gravità della minaccia sia perché – si legge nella sentenza – nulla autorizza a ritenere che per la penale perseguibilità del fatto sia richiesta la notoria pericolosità dell’autore della minaccia. Per assurdo, questo criterio interpretativo, sostengono i giudici di Piazza Cavour, indurrebbe ad escludere la punibilità di qualsiasi minaccia, se rivolta da soggetto sconosciuto alla persona offesa, senza trovare alcun fondamento né nella lettera della norma né nella ratio che la sostiene. Infine, chiosano i giudici del Palazzaccio , neppure il carattere generico del male minacciato esclude la punibilità alla stregua di un principio già enunciato dalla stessa Cassazione. L’esame grafologico. Quanto alla riconducibilità dello scritto all’imputata, il giudice di appello, secondo la Cassazione, per poter pervenire motivatamente ad una conclusione diversa avrebbe dovuto argomentare il giudizio di inattendibilità della persona offesa, neppure formulato esplicitamente. L’eventuale incertezza poteva essere facilmente rimossa attraverso l’espletamento di una perizia, non disposta. Da qui l’annullamento della sentenza impugnata con il rinvio allo stesso Tribunale, in persona di altro magistrato, per la rinnovata disamina della vicenda alla stregua dei principi indicati dalla Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 31 gennaio – 16 maggio 2012, numero 18730 Presidente Ferrua – Relatore Oldi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 16 settembre 2010 il Tribunale di Lanciano, così riformando la decisione assunta dal locale giudice di pace, ha assolto M D.L. dall'imputazione di minaccia in danno di L L. per insussistenza del fatto e dall'imputazione di ingiuria per non aver commesso il fatto. Ha ritenuto il giudice di appello che l'espressione “te la faccio pagare”, utilizzata dalla D.L. nelle circostanze di cui all'imputazione, non presentasse i connotati della prospettazione di un male ingiusto e notevole, sia per la sua genericità, sia perché non proveniente da soggetto di riconosciuta pericolosità quanto al biglietto recante il termine “bugiarda”, rinvenuto dalla persona offesa sotto la porta della sua abitazione, ha ritenuto il giudicante che non ne fosse certa la provenienza dall'imputata, essendo mancato qualsiasi accertamento grafologico e non risultando che la L. fosse in possesso delle cognizioni tecniche per attribuire la paternità di un manoscritto. 2. Hanno proposto separati ricorsi per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello dell'Aquila e la parte civile, deducendo due motivi sostanzialmente coincidenti. 2.1. Col primo motivo ambedue i ricorrenti impugnano il giudizio negativo espresso dal Tribunale in ordine alla configurabilità del delitto di minaccia osservano che la giurisprudenza di legittimità esclude a tal fine che sia necessaria una effettiva intimidazione della persona offesa, bastando l'attitudine ad intimorire, quando il male ingiusto può essere dedotto dalla situazione contingente. 2.2. Col secondo motivo censurano la ratio decidendi posta a base dell'assoluzione dall'imputazione di ingiuria osservano che, se il giudice di merito riteneva indispensabile un accertamento di natura tecnica per l'individuazione dell'autore dello scritto, aveva il potere-dovere di provvedere egli stesso all'espletamento di una perizia, anziché limitarsi a constatarne la mancanza. Considerato in diritto 1. Il primo motivo d'impugnazione, comune ai due ricorsi proposti dall'accusa pubblica e privata, è fondato e meritevole di accoglimento. 1.1. Il Tribunale ha negato valenza intimidatoria all'espressione “te la faccio pagare”, sul presupposto che ad integrare il delitto di minaccia fosse indispensabile la prospettazione di un male non solo ingiusto, ma anche “notevole” e ha ricollegato siffatto requisito alla personalità dell'agente, del quale dovrebbe esigersi la notoria pericolosità, negando conseguentemente la configurabilità del reato nella contraria ipotesi. 1.2. La tesi giuridica che struttura la suesposta linea argomentativa è contraria al diritto, per due concorrenti ragioni. In primo luogo la norma incriminatrice non richiede affatto che il male minacciato debba essere “notevole” analizzando, anzi, il testo dell'articolo 612 cod. penumero si perviene a conclusione opposta, considerando che la gravità della minaccia è oggetto di specifica previsione nel secondo comma, che infatti le assegna il valore di circostanza aggravante mentre nessuna particolare qualificazione del male minacciato è richiesta dal primo comma, nel quale la tenuità della pena edittale ben si attaglia alla repressione di fatti di modesta entità. In secondo luogo nulla autorizza a ritenere che per la penale perseguibilità del fatto sia richiesta la notoria pericolosità dell'autore della minaccia. Una tale interpretazione - che indurrebbe ad escludere assurdamente la punibilità di qualsiasi minaccia, se rivolta da soggetto sconosciuto alla persona offesa - non trova alcun sostegno nella lettera della norma, né nella ratio che la sostiene. È appena il caso di aggiungere - a confutazione di un incidentale rilievo che è dato cogliere nella motivazione - che neppure il carattere generico del male minacciato esclude la punibilità, alla stregua di un principio già enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema Sez. 5, numero 31693 del 07/06/2001, Tretter, Rv. 219851 . 2. Fondato è anche il secondo motivo. 2.1. La prova della riconducibilità alla mano dell'imputata dello scritto offensivo, rinvenuto dalla L. sotto la porta della sua abitazione, è stata ravvisata dal giudice di primo grado nella deposizione della stessa L. , la quale aveva affermato di avervi riconosciuto la grafia dell'imputata, ad essa nota. Il giudice di appello, per poter motivatamente pervenire a conclusione diversa, avrebbe dovuto argomentare il giudizio di inattendibilità della persona offesa, che nella sentenza neppure è esplicitamente formulato certamente non poteva sorreggere la decisione in base alta mera constatazione della mancanza di un accertamento grafologico, atteso che l'eventuale incertezza avrebbe potuto essere da lui rimossa attraverso l'espletamento di una perizia, nell'esercizio del relativo potere-dovere riconosciutogli dall'ordinamento. 2.2. Alla luce di quanto suesposto, la pronuncia di assoluzione della D.L. dall'imputazione di ingiuria si rivela priva di logica motivazione. 3. La sentenza impugnata deve essere, conseguentemente, annullata in ogni sua parte. Il giudice di rinvio, che si designa nello stesso Tribunale di Lanciano in persona di altro magistrato , sottoporrà la vicenda a rinnovata disamina nell'osservanza dei principi suesposti. 4. La pronuncia sulle spese di parte civile seguirà al definitivo. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Lanciano.