Non basta l’esposizione del documento per far desumere la sostituzione di persona e l’obiettivo di trarne un vantaggio. A maggior ragione quando, come in questo caso, il conducente beccato dalla polizia municipale ha un’autorizzazione personale in quanto portatore di handicap.
Pass per disabili ben visibile sul parabrezza. Ma, come succede spesso in Italia, è solo un bluff, peraltro subito scoperto. Eppure si può ritenere plausibile l’ipotesi dell’errore, e non della malafede Cassazione, sentenza numero 14039/2013, Quinta Sezione Penale, depositata oggi . Sostituzione. A finire sotto accusa è un automobilista, per avere esposto sul parabrezza della propria vettura il «contrassegno di invalidità della madre», oramai defunta. Per i giudici – sia di primo che di secondo grado – non vi sono dubbi sulla condotta tenuta dall’uomo ecco spiegata la condanna per il «delitto di sostituzione di persona». Evidentemente, secondo i giudici, l’obiettivo era quello di procurare a sé un vantaggio assolutamente illegittimo. Ma è proprio questo elemento a dover essere messo in discussione, secondo l’uomo. Quest’ultimo, difatti, sostiene che non è lecito parlare di «sostituzione di persona» senza «dichiarazioni atte a trarre in inganno», e in questa vicenda lui aveva «subito ammesso che il permesso esposto non era suo, consegnandolo agli agenti». Per giunta, aggiunge l’uomo, si è trattato di «errore» difatti, egli ha «esposto il tagliando rilasciato alla madre, pur avendo l’autorizzazione per il parcheggio in spazi riservati gli invalidi» in quanto «portatore di handicap». Errare Ebbene, per i giudici di Cassazione, è plausibile la tesi dell’uomo, è plausibile, cioè, pensare che si sia trattato di semplice errore. Perché, da un lato, egli era «titolare di una propria autorizzazione, a causa di accertato personale handicap, così che con l’esposizione del contrassegno intestato alla madre egli non avrebbe voluto sostituire alla propria persona quella della defunta madre, ma avrebbe commesso un semplice errore», e perché, dall’altro, nessun elemento è riscontrabile – oltre le dichiarazioni «rese alla polizia municipale» – che possa far pensare che si sia trattato di «un’azione consapevolmente volta ad ingannare e non un comportamento dovuto ad errore». Lacuna, questa, troppo evidente e troppo grave perché si possa davvero pensare di contestare il reato di «sostituzione di persona». Di conseguenza, nessun addebito è possibile nei confronti dell’automobilista.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 21 dicembre 2012 – 25 marzo 2013, numero 14039 Presidente Zecca – Relatore Savani In fatto e diritto Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di L’Aquila ha confermato la sentenza emessa in data 15 maggio 2006 dal Tribunale di Teramo, appellata da M.M., dichiarato responsabile del delitto di sostituzione di persona, accertato il 27 gennaio 2005. Propone ricorso per cassazione l’imputato articolato su quattro motivi. Con il primo deduce difetto di motivazione sugli elementi costitutivi della responsabilità. Con il secondo motivo deduce, inosservanza ed erronea applicazione della legge. La semplice esposizione del contrassegno di invalidità della madre di per sé non integrerebbe il reato di sostituzione di persona, se non suffragato da dichiarazioni atte a trarre in inganno in quanto il fatto costitutivo del delitto di sostituzione di persona consisterebbe nell’indurre taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona o attribuendo a sé o ad altri un falso nome o un falso stato ovvero una qualità cui la legge attribuisca effetti giuridici, nel caso di specie l’imputato avrebbe subito ammesso che il permesso esposto non era suo consegnandolo agli agenti. Inoltre avrebbe esposto per errore il tagliando, rilasciato alla madre pur avendo avuto dal 31 agosto 2004 l’autorizzazione per il parcheggio in spazi riservati agli invalidi in quanto esso stesso portatore di handicap, e la Corte di Appello avrebbe fondato il proprio convincimento sulle dichiarazioni da lui rilasciate al momento della contestazione senza considerare la certificazione medica prodotta, sulle condizioni di mente del prevenuto sulle sue scarse possibilità di controllo emotivo e comportamentale. Con il terzo motivo lamenta la mancata assunzione di prova decisiva invero nella sua deposizione il teste della P.M. avrebbe escluso che l’autonzzazione, in esame avesse durata di cinque anni e sarebbe stato compito della pubblica accusa dimostrare invece era stata rilasciata per un tempo inferiore. Con il quarto motivo deduce l’intervenuta prescrizione del reato che si dovrebbe prescrivere in anni sei e mesi tre, risultante, dall’aumento di un quarto del termine di prescrizione di anni cinque previsto per il delitto. Osserva il Collegio che la Corte d’appello ha escluso la fondatezza del rilievo dell’appellante - che al momento del fatto egli sarebbe stato titolare di una propria autorizzazione al posteggio privilegiato a causa di accertato personale handicap, così che con l’esposizione del contrassegno intestato alla madre egli non avrebbe voluto sostituire alla propria persona di soggetto non autorizzato quella della defunta madre, ma avrebbe commesso un semplice errore posto che era risultato poi titolare di autorizzazione con scadenza 31 agosto 2009 - semplicemente riferendosi a sue dichiarazioni rese alla polizia municipale sul momento del rilascio della propria personale autorizzazione e una tale argomentazione della Corte di merito pare del tutto insufficiente non avendo, e probabilmente non potendo avere, alcun ulteriore riferimento di carattere oggettivo, tale da dimostrare che si era trattato di un’azione consapevolmente volta ad ingannare e non un comportamento dovuto ad errore. Il limite dell’accertamento in questione unito alla mancanza di precisi elementi di prova tali da dimostrare che oltre all’esposizione del contrassegno non a lui intestato il M. avesse posto in essere un qualche ulteriore qualificante comportamento positivo suscettivo di trarre in inganno sulla propria persona, rendono evidente la carenza di prova quanto meno dell’elemento soggettivo del reato insufficientemente esplorato dai giudici del merito con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perche il fatto non costituisce reato. Le altre questioni restano assorbite. P.Q.M. La Corte annulla senza rinvio la impugnata sentenza perché il fatto non costituisce reato.