12 anni senz’acqua per la recisione delle tubature, ma il mancato godimento dell’immobile deve essere dimostrato

Chi agisce per ottenere un risarcimento deve fornire la prova certa e concreta del danno e del suo nesso causale. Può farsi ricorso alla liquidazione in via equitativa solo a condizione che l’esistenza del danno sia comunque dimostrata sulla scorta di elementi idonei a fornire parametri plausibili di quantificazione.

Con queste parole si è espressa la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6086, depositata il 12 marzo 2013. Monolocale a secco. Un uomo e una donna, comproprietari di un monolocale, in cui non abitano, chiedono il risarcimento danni al locatario che, prima di andarsene ha tranciato le tubature dell’acqua e disattivato il relativo contatore, intestato alla moglie. Il Tribunale lo condanna ad un risarcimento di 58mila euro, anche per il mancato godimento dell’immobile da parte dei proprietari. La Corte d’Appello conferma in tutto la sentenza, tranne che in relazione a quest’ultimo punto. Provato il comportamento doloso nella recisione. Per questo i proprietari ricorrono per cassazione. Il condannato, con ricorso incidentale, sostiene che c’erano delle ragioni dietro le sue condotte il condominio aveva deciso di eliminare l’impianto comune per dotarsi di condutture singole, per cui non ci sarebbe una sua responsabilità dolosa. La Corte rileva però che l’uomo non si è mai espressamente protestato estraneo alla tranciatura , per cui se ne è potuto accertare il comportamento doloso, visto che l’appartamento è rimasto privo di fornitura idrica per effetto della eliminazione dell’unico contatore . Per il risarcimento deve essere data prova certa del danno. I ricorrenti principali, proprietari dell’immobile, sostengono che erroneamente non è stato considerata come sussistente la mancanza di godimento del bene, che era destinato alla locazione. Dall’istruttoria sarebbe infatti emerso che il monolocale, fin dalla costruzione, era destinato a tale finalità. Con il difetto di fornitura idrica non si è potuta fare alcuna locazione. La Corte ritiene infondato tale motivo di ricorso, perché è chiaro il principio secondo cui chi chiede una condanna al pagamento del risarcimento danni, deve fornire la prova certa e concreta del danno per consentirne la liquidazione, che può essere disposta per via equitativa solo se l’esistenza del danno sia comunque dimostrata sulla scorta di elementi idonei a fornire parametri plausibili di quantificazione . Si sono disinteressati del bene per troppo tempo. Quando si è proprietari di un bene, c’è una presunzione circa le utilità normalmente conseguibili nell’esercizio delle facoltà di godimento e disponibilità del bene . Ma tale presunzione salta quando risulti accertato che il domino si sia intenzionalmente e per lungo periodo disinteressato dell’immobile od abbia omesso di esercitare su di esso ogni fora di utilizzazione . In questo caso i due proprietari non hanno in alcun modo dimostrato il lucro cessante derivante dal mancato affitto, sia perché non erano state allegate concrete ed effettive occasioni di locazioni , sia perché il problema della mancanza d’acqua è perdurato per 12 anni. Per questi motivi la Corte respinge i ricorsi, principale ed incidentale.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 10 gennaio 12 marzo 2013, n. 6086 Presidente Trifone Relatore Uccella Svolgimento del processo Il Tribunale di Livorno il 15 aprile 2003 condannava Ba.Ma. al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 58.617 a favore di S P. e D B. , anche per mancato godimento dell'immobile di cui erano proprietari e conseguenti alla interrotta erogazione dell'acqua, essendo state tranciate le tubazioni di adduzione e disattivato il relativo contatore. Su gravame del Ba. la Corte di appello di Firenze il 24 febbraio 2006 ha respinto la domanda risarcitoria per mancato godimento dell'immobile e confermato nel resto la sentenza di prime cure. Avverso siffatta decisione propongono ricorso per cassazione il P. e la B. , affidandosi a quattro motivi e depositando memoria. Resiste il Ba. che propone ricorso incidentale, articolato ' in un unico motivo. Motivi della decisione 1. - I due ricorsi sono riuniti ex art. 335 c.p.c In riferimento alla vicenda oggetto del presente giudizio osserva il Collegio che per priorità logica va esaminato per primo il ricorso incidentale del Ba. . 2. - Con l’unico motivo violazione e falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c. e difetto di motivazione in estrema sintesi il Ba. lamenta che il giudice dell'appello, così come quello di prime cure, abbia omesso di considerare quanto emerso dal materiale probatorio, ritualmente acquisito, ossia che l'acqua veniva temporaneamente interrotta a tutte le unità condominiali per limitarne l’uso, ma non per volontà di esso B. tanto che il P. , pur dichiarando di essere privo di acqua, continuava a pagare la fornitura p.6 controricorso . Ed, inoltre, la mancanza di acqua nell'immobile principale del P. sarebbe stata causata dalla concorde decisione dei condomini di eliminare l’impianto comune per dotarsi di condutture singole p. 7 . Ne conseguirebbe che sarebbe priva di motivazione la statuizione del giudice dell'appello sulla responsabilità dolosa del Ba. p. 8 . In merito al motivo così come illustrato osserva il Collegio che esso va disatteso. Di vero, il giudice dell'appello, sulla base della CTU e sulla circostanza che il Ba. non si è mai espressamente protestato estraneo alla tranciatura p. 3 sentenza impugnata ha potuto accertare la responsabilità dolosa dello stesso, anche in considerazione del fatto che l’appartamento rimase privo di fornitura idrica per effetto della eliminazione dell'unico contatore intestato a Bi.Do. , moglie del Ba. p. 3 sentenza impugnata . Appare, quindi, evidente che nessun vizio di motivazione è riscontrabile né alcuna violazione dell'art. 115 c.p.c., che, del resto, con richiami a prove testimoniali e al contenuto della CTU, espletata in appello, non sembra essere stato disatteso, contrariamente a quanto afferma il Ba. , il quale non contesta quanto riferito in sentenza, ossia che egli non si è mai protestato estraneo alla tranciatura, formulando, invece, interrogativi che non scalfiscono il convincimento del giudice a quo espresso in sentenza. 3. - Ciò posto, e passando all'esame del ricorso principale, anche rispetto ad esso per priorità logica, va scrutinato il secondo motivo violazione ed erronea applicazione degli artt. 832, 1223, 1226, 2056, 2697 c.c. artt. 113, 115, 116 c.p.c. e vizio di motivazione , con il quale i ricorrenti lamentano che il giudice dell'appello circa la perdita di occasioni per locare l’immobile, da loro prospettata, abbia respinto la domanda per difetto di prova, precisando che sin dalla fase istruttoria, come rilevato dal primo consulente di cui si avvalse il tribunale, era emerso che il monolocale fu destinato fin dalla costruzione, quando si trovava nella disponibilità del Ba. , a locazione. E ciò, a loro avviso, in contrasto con molteplici decisioni di merito e di questa Corte, che pure indicano, che avrebbero ritenuto che in tal caso il danno sarebbe in re ipsa p. 9-10 ricorso . La censura va disattesa anche lì dove con il mero richiamo nella intestazione all'art. 1226 c.c. sembra concernere una valutazione equitativa del danno. Di vero, in linea di principio va affermato che l’attore, il quale abbia proposto una domanda di condanna al risarcimento dei danni da accertare e liquidare nel medesimo giudizio ha l’onere di fornire la prova certa e concreta del danno, cosi da consentirne la liquidazione, oltre che la prova del nesso causale tra il danno ed i comportamenti addebitati alla controparte. Può, invero, farsi ricorso alla liquidazione in via equitativa allorché sussistano i presupposti di cui all'art. 1226 c.c., solo a condizione che l’esistenza del danno sia comunque dimostrata sulla scorta di elementi idonei a fornire parametri plausibili di quantificazione. Ed, inoltre, il danno in re ipsa subito dal proprietario sul presupposto della utilità normalmente conseguibile nell'esercizio delle facoltà di godimento e disponibilità del bene insite nel diritto dominicale, pur costituendo oggetto di una presunzione juris tantum, non va riconosciuto quando risulti accertato che il domino si sia intenzionalmente e per lungo periodo disinteressato dell'immobile od abbia omesso di esercitare su di esso ogni forma di utilizzazione. Nel caso di specie, il giudice dell'appello è giunto a ritenere del tutto macante la prova del lucro cessante a perché non erano state allegate concrete ed effettive occasioni di locazioni, di cui nemmeno nel ricorso vi è traccia b perché il problema - della mancanza d'acqua-sussisteva sin dal 1988 ed è durato fino al 2000 p. 3 sentenza impugnata . Pertanto, nessuna violazione di legge né vizio di motivazione sono riscontrabili. 4. - Con il primo motivo violazione e falsa applicazione degli artt. 1227, 2697 c.c. e 113, 115, 116 c.p.c. e vizio di motivazione i ricorrenti assumono che il giudice dell'appello abbia ritenuto che essi - all'epoca attori - non si sarebbero attivati per ridurre i danni, ma poi non ne avrebbe tenuto conto, allorché ha deciso rigettando in toto la domanda risarcitoria del danno per mancanza di prova p. 5 ricorso . La censura sembra mancare di interesse, una volta esclusa la voce risarcitoria da lucro cessante, anche perché la sentenza di primo grado è stata confermata in riferimento ai danni subiti per la realizzazione di un nuovo impianto di approvvigionamento idrico v.p. 4 sentenza impugnata . 5. - Con il terzo motivo violazione art. 112 c.p.c. e vizio di motivazione i ricorrenti, pur riconoscendo che la sentenza impugnata, in merito a quella parte di danno liquidato dal tribunale per la realizzazione di un nuovo sistema idrico, abbia statuito che si era formato il giudicato per difetto di apposita impugnazione, assumono che vi sarebbe carenza di motivazione e non si comprenderebbe se tale statuizione abbia influito anche sul governo delle spese p. 12 ricorso . Al riguardo, osserva il Collegio che già così come formulata la censura evidenzia di per sé che nessun vizio ex articolo c.p.c. è denunciato e che nulla di più di quanto affermato poteva argomentare il giudice a quo. 6.-Di qui il rigetto del quarto motivo violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. anche con riferimento all'articolo c.p.c. , con il quale i ricorrenti assumono che la sussistenza dei giusti motivi avrebbe dovuto essere motivata p. 13 ricorso . Infatti, il richiamo ai giusti motivi è argomentato nel corpo della decisione, allorché il giudice dell'appello fa riferimento all'esito della lite, ossia al fatto che vi è stata una soccombenza reciproca e il rigetto nella sua totalità del presente ricorso non consente di accogliere la richiesta di condanna contro il resistente alla spese del giudizio e a quelle attinenti alla CTU poste per 1/3 a carico di essi ricorrenti dal giudice a quo. Conclusivamente, i ricorsi vanno respinti, ma l’esito delle fasi di merito e la reciproca soccombenza in questo giudizio concretano giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di questo giudizio. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.