Nel caso di sanzioni amministrative trova applicazione il principio di colpevolezza. Anche se si è soci con potere di rappresentanza, ciò che rileva ai fini della determinazione della responsabilità, è l’aver concretamente partecipato o concorso alla predisposizione dell’atto.
Così ha deciso la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 4074, depositata il 19 febbraio 2013. L’omessa dichiarazione IVA 1992. Una donna è socia di capitale di un’azienda immobiliare, società di fatto, ed ha il potere di rappresentarla. Riceve avviso di irrogazione di sanzione per mancata dichiarazione dell’IVA per il 1992. L’impugnazione dell’avviso, respinta in primo grado, trova riconoscimento davanti alla Commissione Tributaria Regionale, l’8 marzo 2001. L’amministrazione finanziaria ricorre in Cassazione. In base ai chiarimenti richiesti dalla Corte stessa il 2 ottobre 2009, risulta che in applicazione dell’articolo 16, legge numero 289/2002, sulla chiusura delle lite fiscali pendenti, la contribuente abbia versato quanto dovuto, ma senza che mai ne fosse presentata la necessaria istanza. Per questo la Corte ritiene di dover decidere nel merito. Non ha mai gestito direttamente la società. Nel giudizio d’appello è emerso che la contribuente «non si era mai personalmente interessata della gestione societaria, condotta esclusivamente dall’altro socio» che aveva effettivamente curato la gestione della società di fatto. Il principio di colpevolezza. La Corte di Cassazione ritiene che correttamente la Commissione Tributaria Regionale ha applicato il principio di colpevolezza previsto, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, dall’articolo 5, d.lgs. numero 472/1997, che prevede appunto che «ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa». Tale norma ha introdotto con efficacia retroattiva il «principio di personalità della responsabilità in materia di sanzioni». Pertanto la contribuente «non può rispondere a titolo di sanzione amministrativa relativa ad atto sottoscritto dal detto amministratore, in quanto non vi ha partecipato né ha concorso a parteciparvi». La Corte respinge quindi i motivi di ricorso, anche perché «non investono la considerazione che costituisce la principale ratio della decisione impugnata».
Corte di Cassazione, sez. Tributaria Civile, sentenza 19 maggio 2011 – 19 febbraio 2013, numero 4074 Presidente Pivetti – Relatore Bernardi Fatto M.L., socia della s.d.f. L. Immobiliare, ha impugnato l'avviso di irrogazione di sanzioni comminate alla società per la mancata presentazione della dichiarazione Iva 1992. Il ricorso è stato respinto in primo grado ed accolto in appello. L'Amministrazione finanziaria ricorre avverso la sentenza della CTR. La contribuente resiste con controricorso. Motivi Risulta da relazione dell'Ufficio prodotta a seguito dell'ordinanza di questa corte 2 ottobre 2009, con la quale si chiedevano chiarimenti in proposito, che la ricorrente ha versato quanto dovuto a definizione della controversia in base all'articolo 16 della legge 289/2002, ma né a suo nome né a quelli della società di fatto o dell’altro suo socio E.L. risulta mai presentata corrispondente istanza di definizione della lite. La causa va dunque decisa nel merito. La CTR ha accolto l'appello delta contribuente osservando che era risultato in giudizio che ella figurava socio di capitale della società di fatto ma non si era mai personalmente interessata della gestione societaria, condotta esclusivamente dall'altro socio. Trattandosi di sanzioni, doveva trovare applicazione l'articolo 8 primo comma del D.lgs. 472/1997, che ha introdotto il principio di colpevolezza «pertanto L.M. non può rispondere a titolo di sanzione amministrativa relativa ad atto sottoscritto dal detto amministratore, in quanto non vi ha partecipato né ha concorso a parteciparvi». Col ricorso si deduce violazione degli articolo 48 e 56 Dpr 633/72 e dell'articolo 3 D. L.vo 472/1992. Si osserva che la sanzione è stata irrogata alla società di fatto e notificata a M.L. quale socia con potere di rappresentanza. E sì lamenta l'erroneo riferimento, contenuto nella sentenza impugnata, ai settimo comma dell'articolo 48 dpr 633/1972, inconferente alla fattispecie nella quale non si configura alcuna obiettiva incertezza di applicazione della normativa. Le doglianze sono inammissibili perché non investono la considerazione che costituisce la principale ratio della decisione impugnata, autonoma dai rilievi oggetto delle critiche svolte col ricorso. E cioè che - in forza del principio di personalità della responsabilità in materia di sanzioni, introdotto con efficacia retroattiva dall'articolo 5 primo comma del D.lgs. 472/1997 - di quelle irrogate con l'avviso impugnato doveva rispondere soltanto il socio E.L., che aveva effettivamente curato l'amministrazione della società di fatto, e non anche la ricorrente che non si era mai ingerita nella gestione sociale. E' giustificata la compensazione delle spese del giudizio. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Compensa le spese.