Investe un pedone che muore dopo 6 anni, ma il nesso causale non è interrotto

Il nesso causale tra la condotta dell’automobilista e il decesso del ferito non può dirsi interrotto da un eventuale errore dei sanitari.

Lo ha sottolineato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 44763, depositata il 6 novembre 2013, con cui ha altresì precisato che anche il comportamento colposo del pedone investito costituisce mera concausa dell’evento lesivo. Il caso. Un uomo, che viaggiava a bordo della propria autovettura ad una velocità superiore ai limiti consentiti, investiva un pedone intento ad attraversare la sede stradale al di fuori delle strisce pedonali, determinandone così, per propria colpa, il decesso, avvenuto a distanza di circa 6 anni dal sinistro. Per tali fatti, l’automobilista veniva condannato, nel merito, a 8 mesi di reclusione e si vedeva sospendere la patente di guida per 6 mesi. Per l’imputato non era impossibile avvistare il pedone. Chiamata a decidere sul ricorso per cassazione proposto dall’imputato, la Quarta Sezione Penale della S.C. ricorda che, in tema di reati commessi con violazione delle norme sulla circolazione stradale, «il comportamento colposo del pedone investito dal conducente di un veicolo costituisce mera concausa dell’evento lesivo, che non esclude la responsabilità del conducente» e «può» – si legge in sentenza - «costituire causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l’evento, soltanto nel caso in cui risulti del tutto eccezionale, atipico, non previsto né prevedibile», cioè quando il conducente si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone ed osservarne per tempo i movimenti, «che risultino attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile». E, nella fattispecie, non è emersa alcuna repentinità nel relativo attraversamento, né alcuna imprevedibilità nel comportamento del pedone. L’eventuale errore dei sanitari non interrompe il nesso causale tra la condotta dell’automobilista e il decesso. Esprimendosi in ordine al decesso avvenuto a 6 anni di distanza dal sinistro, gli Ermellini - come già fatto dalla Corte territoriale - hanno ribadito il principio di diritto secondo cui «l’eventuale errore dei sanitari nella prestazione delle cure alla vittima di un incidente stradale non può ritenersi causa autonoma e indipendente, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui che ha causato l’incidente e la successiva morte del ferito».

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 22 ottobre – 6 novembre 2013, numero 44763 Presidente Brusco – Relatore Dell’Utri Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza resa in data 19.11.2012, la Corte d'appello di Catanzaro ha integralmente confermato la sentenza in data 28.6.2011 con la quale il Tribunale di Cosenza ha condannato C.N. alla pena di otto mesi di reclusione, oltre alla sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per la durata di sei mesi, in relazione al delitto di omicidio colposo commesso, con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, ai danni di M.F. , avendo l'imputato, a bordo della propria autovettura condotta a velocità superiore ai limiti consentiti, investito la vittima intenta ad attraversare la sede stradale al di fuori delle strisce pedonali, così determinandone, per propria colpa, il decesso, avvenuto, in data omissis , a distanza di circa sei anni dal sinistro verificatosi il omissis . Avverso la sentenza d'appello, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, sulla base di quattro motivi d'impugnazione. 2.1. - Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per mancata assunzione di una prova decisiva, con particolare riguardo all'espletamento di una perizia destinata alla ricostruzione dell'esatta dinamica del sinistro, nella specie operata, dai giudici del merito, sulla base di elementi istruttori del tutto incerti, di per sé inidonei a fornire alcuna conferma in ordine all'effettiva condotta colposa dell'imputato e, segnatamente, della violazione dei limiti di velocità nell'occasione allo stesso contestata, oltre che dell'effettiva collocazione del pedone nel campo del sinistro al momento del fatto. 2.2. - Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza d'appello per violazione di legge, in relazione agli articolo 589 c.p. e 190 c.d.s., avendo la corte territoriale omesso di considerare adeguatamente il determinante rilievo assunto dal comportamento gravemente imprudente nella specie osservato dal pedone ai fini della produzione dell'evento lesivo allo stesso occorso, avendo quest'ultimo proceduto all'attraversamento della strada percorsa dall'imputato in modo improvviso e repentino, sì da a impedire ogni possibile manovra idonea a scongiurare il verificarsi dell'evento. Sotto altro profilo, il ricorrente si duole del mancato accertamento, ad opera della corte territoriale, dell'idoneità in concreto, dell'eventuale comportamento alternativo lecito dell'imputato, ad evitare l'evento, trascurando un'adeguata considerazione della c.d. “causalità della colpa” del conducente, in presenza di una macroscopica imprudenza rilevata nel comportamento della vittima. 2.3. - Con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge in relazione alla ricostruzione del nesso di causalità a monte del decesso del M. , operato dalla corte territoriale sulla base di una consulenza medica lacunosa e nel suo complesso inidonea a fornire adeguate certezze circa l'effettiva riconducibilità del decesso della vittima e in particolare dell'arresto cardiaco dalla stessa subito al sinistro stradale oggetto di causa nella specie verificatosi ben sei anni prima di detto decesso , avendo lo stesso consulente medico espressamente sottolineato di non aver potuto verificare l'adeguatezza delle cure giudicate peraltro “particolarmente costose” prestate al M. nel corso degli anni da quest'ultimo trascorsi in stato di coma. 2.4. - Con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio inflitto all'imputato, ingiustificatamente stabilito, dai giudici del merito, in misura superiore al minimo edittale in contrasto con gli obiettivi indici desumibili dalla concreta entità del fatto valutabile ai sensi dell'articolo 133 c.p Considerato in diritto 3. - Ritiene preliminarmente la corte di evidenziare l'inconferenza della doglianza sollevata dal ricorrente con riguardo alla pretesa mancata assunzione di una prova decisiva tale asseritamente essendo la perizia invocata nel corso del giudizio , valendo al riguardo il richiamo all'insegnamento di questa giurisprudenza di legittimità secondo cui deve ritenersi “prova decisiva”, ai sensi dell'articolo 606 lett. d c.p.p., quella sola prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia Cass., Sez. 2, numero 16354/2006, Rv. 234752 Cass., Sez. 6, numero 14916/2010, Rv. 246667 , ovvero quella prova che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante Cass., Sez. 3, numero 27581/2010, Rv. 248105 . Con particolare riguardo al procedimento peritale, peraltro, questa stessa corte di legittimità ha ripetutamente statuito il principio, consolidatosi nel tempo, in forza del quale la perizia non può farsi rientrare nel concetto di “prova decisiva”, giacché la sua disposizione, da parte del giudice, in quanto legata alla manifestazione di un giudizio di fatto, ove assistito da adeguata motivazione, è insindacabile ai sensi dell'articolo 606, lett. d c.p.p. v. Cass., Sez. 5, numero 12027/1999, Rv. 214873 e successive conformi fino a Cass., Sez. 4, numero 14130/2007, Rv. 236191 . Nel caso di specie, la corte territoriale ha adeguatamente motivato, in termini di coerenza logica e congruità argomentativa, la decisione di non disporre la perizia invocata dalla difesa, avendo evidenziato come non vi fosse spazio per procedere alla richiesta rinnovazione dell'istruttoria, stante la completezza del dibattimento celebrato in primo grado, idoneo a consentire un'adeguata ricostruzione dell'esatta dinamica del sinistro, attraverso il contenuto delle deposizioni dei testi assunti e i dati oggettivi rilevati nell'immediatezza del fatto v. p. 2 della sentenza d'appello . Nel merito della ricostruzione del sinistro, la corte territoriale ha evidenziato come le censure sollevate dalla difesa avverso la sentenza di primo grado non fossero valsi a scalfire il “granitico quadro probatorio” emerso dall'istruttoria dibattimentale, sottolineando come il verbale di sopralluogo redatto nell'immediatezza dagli operanti intervenuti sul posto non presentasse alcuna imprecisione, né alcuna carenza, avendo fedelmente riportato tutti gli elementi salienti del sinistro per come accertati sul luogo dell'incidente cfr. pag. 2 cit. . In particolare, la corte territoriale ha rilevato come le circostanze costituite dai danni riportati dall'autovettura dell'imputato per come descritti negli atti , e dal fatto che la vittima fosse stata sbalzata lontano dalla vettura a seguito dell'urto, valessero a confermare come la velocità nell'occasione tenuta dall'imputato fosse particolarmente sostenuta, e certamente non adeguata e commisurata alle condizioni di tempo e di luogo esistenti su quel tratto di strada, trattandosi di zona trafficata, con movimento di persone legato all'occasionale celebrazione di una “festa della birra” in corso di svolgimento nelle vicinanze. Proprio il ricorso di tali specifiche circostanze - anche in assenza di eventuali limiti di velocità imposti in loco - avrebbe dovuto indurre, nel conducente l'autovettura, la consapevolezza dell'obbligo di tenere una condotta di guida particolarmente prudente e attenta, dovendosi ragionevolmente presumere l'elevata probabilità della presenza di persone in transito sulla sede stradale, con la conseguente prevedibilità della circostanza per cui eventuali incidenti o investimenti di pedoni avrebbero potuto essere evitati unicamente adottando una condotta di guida attenta, caratterizzata da ridotta velocità di transito e prontezza di riflessi. Nel caso di specie, viceversa, proprio l'assenza di alcuna traccia di frenata in corrispondenza del punto d'urto tra la vettura dell'imputato e la vittima era valsa a dimostrare ragionevolmente, secondo la corte d'appello, come il C. procedesse distrattamente alla guida - probabilmente propria causa della festa in corso - per tale ragione non avvedendosi del pedone, se non nel momento del relativo attraversamento della sede stradale. Riprendendo il contenuto delle testimonianze puntualmente riproposte nel corpo della motivazione, la corte territoriale ha sottolineato come nelle condizioni di movimento e presenza di persone così ricostruiti, l'imputato, là dove avesse avuto la necessaria attenzione e cura alla guida, ben avrebbe avuto la possibilità di avvistare il pedone all'inizio del suo attraversamento stradale e non già quando lo stesso si trovava a metà della carreggiata e azionare tempestivamente il sistema frenante che a bassa velocità avrebbe determinato un arresto in pochi metri della vettura condotta , così evitando il sinistro, quanto meno nelle rovinose conseguenze nella specie determinatesi. Quanto all'incidenza causale del comportamento stradale tenuto dalla vittima, la corte territoriale ha correttamente richiamato i principi sul punto sanciti dalla giurisprudenza di legittimità in forza dei quali, in caso di attraversamento stradale di pedoni fuori dalle apposite strisce, deve ritenersi che il conducente di autoveicoli sia tenuto a rallentare la velocità, fino a interrompere la marcia, al fine di evitare incidenti che potrebbero derivare proprio dalla mancata cessione della precedenza in favore del pedone, dovendo il conducente dell'autovettura vigilare al fine di avvistare il pedone, implicando il relativo avvistamento la percezione di una situazione di pericolo in presenza della quale lo stesso conducente è tenuto a porre in essere gli accorgimenti necessari a prevenire il rischio di investimento, salva l'ipotesi di un'oggettiva e assoluta impossibilità per il conducente di avvistare il pedone, al di là di ogni possibile adempimento degli obblighi di diligenza cfr. Cass., Sez. 4, numero 3347/1994, Rv. 197931 Cass., Sez. 4, numero 40908/2005, Rv. 232422 . Varrà altresì richiamare, sul punto, il principio di recente statuito da questa corte, ai sensi del quale, in tema di reati commessi con violazione di norme sulla circolazione stradale, il comportamento colposo del pedone investito dal conducente di un veicolo costituisce mera concausa dell'evento lesivo, che non esclude la responsabilità del conducente e può costituire causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l'evento, soltanto nel caso in cui risulti del tutto eccezionale, atipico, non previsto né prevedibile, cioè quando il conducente si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone ed osservarne per tempo i movimenti, che risultino attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile cfr. Cass., Sez. 4, numero 23309/2011, Rv. 250695 Cass., Sez. 4, numero 10635/2013, Rv. 255288 . Nel caso di specie, la corte territoriale ha espressamente evidenziato come, dal complesso degli elementi istruttori acquisiti, non fossero emersi elementi per poter sostenere il ricorso di fatti tali da rendere impossibile per l'imputato l'avvistamento del pedone, non essendo emersa alcuna repentinità nel relativo attraversamento, né alcun imprevedibilità nel comportamento dello stesso v. pag. 6 della sentenza impugnata . Quanto alla censura sollevata dal ricorrente in relazione all'operato del consulente tecnico medico, rileva il collegio come la corte territoriale ne abbia correttamente evidenziato l'infondatezza, avendo detto consulente riferito di aver esaminato tutta la documentazione medica disponibile in relazione alla condizione e alla storia clinica del M. salva l'irrilevante documentazione riguardante le cliniche riabilitative nelle quali il M. aveva fatto ingresso in stato di coma irreversibile , e avendo lo stesso confermato la sussistenza di uno stretto nesso di causalità tra il sinistro oggetto di causa e le lesioni riportate dal M. in occasione dello stesso, senza che la successiva immobilizzazione al letto imposta dallo stato di coma in cui M. era caduto - o la successiva complessiva gestione sanitaria dello stesso - avessero spiegato alcuna incidenza causale di per sé sola determinante nella provocazione del decesso del paziente avvenuta per arresto cardiocircolatorio conseguente a shock ed insufficienza multiorganica . Anche in relazione a tale ultimo aspetto, la corte territoriale ha in ogni caso correttamente richiamato l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità ai sensi del quale l'eventuale errore dei sanitari nella prestazione delle cure alla vittima di un incidente stradale non può ritenersi causa autonoma e indipendente, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui che ha causato l'incidente e la successiva morte del ferito Cass., Sez. 4, numero 41293/2007, Rv. 237838 , dovendo ritenersi, in particolare, che, in tema di lesioni personali seguite dal decesso della vittima, l'eventuale negligenza o imperizia dei medici, ancorché di elevata gravità, non elide, di per sé, il nesso causale tra la condotta lesiva e l'evento morte, in quanto l'intervento dei sanitari costituisce, rispetto al soggetto leso, un fatto tipico e prevedibile, anche nei potenziali errori di cura, mentre ai fini dell'esclusione del nesso di causalità occorre un errore del tutto eccezionale, abnorme, da solo determinante l'evento letale, conseguendone, in tal caso, l'applicabilità dell'articolo 41, comma 1 e non dell'articolo 41, comma 2, c.p. Cass., Sez. 5, numero 29075/2012, Rv. 253316 abnormità ed eccezionalità nella specie del tutto escluse. La motivazione così complessivamente compendiata dalla corte territoriale deve ritenersi pienamente esauriente e del tutto immune da alcun vizio d'indole logica o giuridica, tale da sfuggire integralmente ad ognuna delle censure contro di essa rivolte dall'odierno ricorrente. Quanto infine al trattamento sanzionatorio inflitto all'imputato, la corte territoriale - con motivazione logicamente coerente e adeguatamente argomentata - ha evidenziato come lo stesso dovesse considerarsi pienamente congruo e coerente ai fatti di causa fatti che lo stesso giudice d'appello ha ritenuto caratterizzati da particolare gravità, soprattutto perché verificatisi in pieno centro abitato dove notoriamente l'attenzione del conducente stradale deve essere maggiore stante l'elevata prevedibilità dell'attraversamento pedonale. 4- - Il complesso delle argomentazione che precedono, nell'attestare l'integrale infondatezza di tutte le doglianze avanzate dall'imputato con il ricorso proposto in questa sede, impone il rigetto dello stesso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.