Il lavoratore è vincolato alle direttive del datore: irrilevante il diverso nomen iuris dato dalle parti

Elemento indefettibile del rapporto di lavoro subordinato è la subordinazione, intesa come vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro. Pertanto, ove il lavoratore sia assoggettato a rigorose e vincolanti disposizioni d’ordine, di vigilanza e di controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative, diviene irrilevante il nomen iuris che al rapporto di lavoro sia dato dalle parti, in contrasto con le concrete modalità di svolgimento del rapporto medesimo.

Lo afferma la Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza n. 21074, pubblicata il 16 settembre 2013. Il caso opposizione a cartella di pagamento di contributi, sanzioni e somme aggiuntive in relazione a rapporti di collaborazione ritenuti dall’Inps di natura subordinata. Un’azienda proponeva opposizione avverso la cartella di pagamento notificata dall’Inps, in quanto l’ente previdenziale riteneva sussistere la natura subordinata in rapporti di lavoro, qualificati di natura autonoma, con alcune lavoratrici, svolgenti attività di vendita di prodotti forniti dall’azienda ricorrente. Il tribunale del lavoro respingeva l’opposizione. Analogamente la Corte d’Appello respingeva il gravame proposto dall’azienda, ravvisando sussistere i nel caso in esame i requisiti del lavoro subordinato. Ricorreva in Cassazione l’azienda per la riforma della pronuncia d’appello. Il vincolo di subordinazione Più volte la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito alla subordinazione, quale elemento cardine per l’individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto di collaborazione. Elemento indefettibile del rapporto di lavoro subordinato e distintivo da quello di natura autonoma è la subordinazione, intesa come vincolo di soggezione personale del prestatore di lavoro al potere direttivo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non soltanto al loro risultato mentre assumono carattere sussidiario ed indiziario altri elementi del rapporto, quali ad esempio l’osservanza dell’orario di lavoro, la continuità della prestazione lavorativa, l’inserimento della prestazione nell’organizzazione aziendale ed il coordinamento della stessa con l’attività imprenditoriale, l’assenza di rischio per il lavoratore. e l’irrilevanza o meno del nomen iuris. Tutti gli elementi menzionati, definibili come sussidiari, non valgono da sé soli a surrogare la subordinazione come sopra specificata né possono assumere valore decisivo ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro. Possono essere globalmente valutati come indizi di subordinazione, ogni qualvolta non sia agevole l’apprezzamento diretto dell’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo del datore di lavoro. Similmente non è idoneo a surrogare il criterio della subordinazione il nomen iuris dato dalle parti al rapporto di lavoro. L’autoqualificazione del rapporto costituisce un elemento da cui non si può prescindere in linea generale ma assume rilievo decisivo nella qualificazione del rapporto soltanto ove non si ponga in contrasto con le concrete modalità di svolgimento del rapporto. Le precise direttive del datore di lavoro fanno propendere per la subordinazione . La Corte di merito, come peraltro il giudice di primo grado, ha ravvisato che nel rapporto oggetto di causa le lavoratrici erano assoggettate ad una costante attività di vigilanza e controllo da parte del datore di lavoro circa lo svolgimento delle prestazioni assoggettate dunque al potere direttivo, organizzativo e di controllo, sì che non poteva dubitarsi della natura subordinata del rapporto. La valutazioni degli indici caratterizzanti il rapporto di collaborazione costituisce giudizio di merito, non censurabile in sede di legittimità. E secondo la Suprema Corte, la sentenza impugnata appare priva di vizi logici ed immune da contraddittorietà o incongruenze. Con rigetto del relativo motivo di censura. L’omessa o infedele denuncia integra evasione contributiva. Un altro motivo di ricorso riguarda la qualificazione della violazione perpetrata. Secondo l’azienda ricorrente non vi era volontà nell’azienda di occultare i dati dei lavoratori al fine di non far fronte agli obblighi contributivi e dunque doveva applicarsi al caso di specie la meno grave omissione contributiva , anziché la evasione contributiva . Ma, affermano i giudici di legittimità, l’omessa o infedele denuncia mensile all’Inps dei rapporti di lavoro e retribuzioni integra evasione contributiva, ai sensi dell’articolo 116 comma 8 lettera b della Legge n. 388 del 2000. Ciò in quanto l’omessa o infedele denuncia fa presumere la volontà del datore di lavoro di occultare i dati allo specifico fine di non versare i contributi dovuti. Viceversa l’omissione contributiva si configura quando il mancato pagamento riguarda somme il cui ammontare è rilevabile dalle denunce o registrazioni obbligatorie.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 15 maggio 16 settembre 2013, n. 21074 Presidente Lamorgese Relatore Filabozzi Svolgimento del processo La società Perlier spa poi Uniland spa ha proposto opposizione alla cartella di pagamento con cui le era stata ingiunto il pagamento di contributi, somme aggiuntive e sanzioni relative al periodo settembre 1998-maggio 2002. L'opposizione è stata respinta dal Tribunale di Trento con sentenza che è stata confermata dalla Corte d'appello della stessa città, che ha rigettato l'appello proposto dalla società, ritenendo di dover confermare, in particolare, le statuizioni con cui era stata accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con alcune lavoratori che avevano svolto attività di vendita al dettaglio dei prodotti forniti dalla Perlier e quella con cui le somme aggiuntive erano state determinate con riferimento all'ipotesi prevista dall'art. 116, comma 8, lett. b della legge n. 388/2002, e cioè con riferimento all'ipotesi dell'evasione contributiva, anziché con riferimento all'ipotesi prevista dalla lett. a dello stesso articolo, ritenendo, con riguardo a quest'ultimo punto, che non rilevasse la circostanza che il datore di lavoro aveva provveduto alla denuncia e alla registrazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa formalmente posti in essere in contrasto con la reale natura subordinata degli stessi rapporti. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società Uniland spa affidandosi a tre motivi di ricorso cui resiste con controricorso l'Inps, anche quale mandatario della SCCI, Società di cartolarizzazione dei crediti Inps spa. L'Esatri spa non ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione 1.- Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 2084 e 2222 c.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto la sussistenza dell'elemento della subordinazione non attribuendo rilevanza al nomen iuris che era stato dato dalle parti al rapporto di lavoro e sulla base di elementi di natura meramente sussidiaria, quali lo svolgimento di una attività di vendita anziché promozione dei prodotti, l'alternanza delle prestatrici con rapporto di lavoro autonomo con la dipendente responsabile del negozio, l'esecuzione della prestazione e l'organizzazione del negozio secondo criteri generali stabiliti dall'azienda per tutti i negozi, la reiterazione dei contratti di lavoro autonomo in funzione delle esigenze aziendali, il controllo telematico su vendite e incassi, l'obbligo delle prestatici di contattare il capo area nel caso in cui non fossero state in grado di rendere la prestazione. 2.- Con il secondo motivo, denunciando violazione dell'art. 116, comma 8, della legge n. 388 del 2000, si sostiene che avrebbero dovuto essere applicate non già le sanzioni ricollegate all'ipotesi di evasione contributiva, ma quelle dovute in relazione alla più lieve ipotesi di omissione. 3.- Con il terzo motivo si denuncia il difetto di motivazione in ordine alla sussistenza della intenzione specifica di non versare i contributi o premi che deve concorrere, insieme all'occultamento dei rapporti di lavoro o delle retribuzioni, per integrare l'ipotesi della evasione contributiva. 4.- Il primo motivo è infondato. Questa Corte ha più volte ribadito che, ai fini della distinzione del rapporto di lavoro subordinato da quello autonomo, costituisce requisito fondamentale il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall'emanazione di ordini specifici, oltre che dall'esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell'esecuzione delle prestazioni lavorative. L'esistenza di tale vincolo va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell'incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato sia di rapporto di lavoro autonomo. In sede di legittimità è censurabile solo la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto - incensurabile in tale sede, se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici - la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice di merito ad includere il rapporto controverso nell'uno o nell'altro schema contrattuale cfr. ex plurimis, Cass. 2728/2010, Cass. 23455/2009, Cass. 9256/2009, Cass. 14664/2001 . 5.- È stato altresì precisato cfr. ex plurimis Cass. n. 4500/2007 che elemento indefettibile del rapporto di lavoro subordinato - e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo - è la subordinazione, intesa come vincolo di soggezione personale del prestatore di lavoro al potere direttivo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non già soltanto al loro risultato, mentre hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria altri elementi del rapporto di lavoro quali, ad esempio, la collaborazione, l'osservanza di un determinato orario, la continuità della prestazione lavorativa, l'inserimento della prestazione medesima nell'organizzazione aziendale e il coordinamento con l'attività imprenditoriale, l'assenza di rischio per il lavoratore e la forma della retribuzione , i quali - lungi dal surrogare la subordinazione o, comunque, dall'assumere valore decisivo ai fini della prospettata qualificazione del rapporto - possono, tuttavia, essere valutati globalmente, appunto, come indizi della subordinazione stessa, tutte le volte che non ne sia agevole l'apprezzamento diretto a causa di peculiarità delle mansioni, che incidano sull'atteggiarsi del rapporto. Inoltre, non è idoneo a surrogare il criterio della subordinazione nei precisati termini neanche il nomen iuris che al rapporto di lavoro sia dato dalle sue stesse parti c.d. autoqualificazione , il quale, pur costituendo un elemento dal quale non si può in generale prescindere, assume rilievo decisivo ove l’autoqualificazione non risulti in contrasto con le concrete modalità di svolgimento del rapporto medesimo. 6.- Nella specie, il giudice di appello, confermando la sentenza di primo grado, ha accertato non solo che l'oggetto e le modalità delle prestazioni rese dalle lavoratrici erano diverse da quelle previste nei contratti di collaborazione coordinata e continuativa donde l'irrilevanza dell'autoqualificazione data dalle parti al rapporto di lavoro , ma anche, e soprattutto, che nello svolgimento di tali prestazioni le lavoratrici erano assoggettate a rigorose e vincolanti disposizioni d'ordine con riferimento alla collocazione dei prodotti nel negozio e all'allestimento delle vetrine, con riferimento all'approvvigionamento dei prodotti, alle giacenze ed a riassorbimento ed ai prezzi da applicare alla clientela . Ha inoltre accertato che la società aveva adottato misure organizzative idonee a consentire l'esercizio di un controllo assiduo sull'attività svolta dalle lavoratrici, sia attraverso il collegamento telematico, sia attraverso l'uso dello scanner , sia mediante l'obbligo di comunicare ogni sera l'ammontare dell'incasso giornaliero. Da tali circostanze i giudici di merito hanno tratto la conclusione che le lavoratrici erano assoggettate in concreto al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro, oltre che ad una assidua attività di vigilanza e controllo dell'esecuzione delle prestazioni lavorative, sì che non poteva dubitarsi della sussistenza dell'elemento della subordinazione, così come definito dalla giurisprudenza della S.C 7.- Non ravvisandosi pertanto nell'iter argomentativo della decisione impugnata i vizi e le violazioni lamentati dalla ricorrente, il primo motivo deve essere rigettato. 8.- Anche il secondo ed il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente per riguardare problematiche strettamente connesse, sono infondati. Questa Corte ha già affermato cfr. Cass. n. 10509/2012, Cass. n. 28966/2011 e, da ultimo, Cass. n. 4188/2013 , infatti, che in tema di obblighi contributivi verso le gestioni previdenziali e assistenziali, l'omessa o infedele denuncia mensile all'Inps attraverso i modelli DM10 circa rapporti di lavoro e retribuzioni erogate integra evasione contributiva , ex art. 116, comma 8, lett. b , della legge n. 388 del 2000, e non la meno grave omissione contributiva di cui alla lettera a della medesima norma, in quanto l'omessa o infedele denuncia fa presumere l'esistenza della volontà datoriale di occultare i dati allo specifico fine di non versare i contributi o premi dovuti. E, sulla scorta di tale orientamento, ha precisato che in tema di violazioni contributive, ove il lavoratore, adibito ad attività ordinaria, figuri nelle scritture del datore di lavoro, ad esempio, come apprendista, il mancato pagamento dei relativi contributi integra l'ipotesi dell'evasione contributiva e non quella, meno grave, dell'omissione di cui all'art. 116, comma 8, lett. a della legge n. 388 del 2000, che riguarda solo il mancato versamento delle somme il cui ammontare è rilevabile dalle denunce o registrazioni obbligatorie Cass. n. 6204/2012, Cass. n. 5773/2012 . La sentenza impugnata risulta del tutto conforme a tali principi e non merita dunque le censure che le sono state mosse con il secondo ed il terzo motivo. 9.- Il ricorso non può pertanto trovare accoglimento. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza della ricorrente nei confronti dell'Istituto previdenziale e vengono liquidate facendo riferimento alle disposizioni di cui al d.m. 20 luglio 2012, n. 140 e alla tabella A ivi allegata, in vigore al momento della presente decisione artt. 41 e 42 d.m. cit . Non deve provvedersi in ordine alle spese nei confronti della Esatri spa, rimasta intimata. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 50,00 oltre Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge. Nulla per le spese nei confronti della Esatri spa.