I comproprietari partecipano in modo paritario all'utilizzo del bene comune

Il comproprietario che estenda l'utilizzo privato della cosa comune a danno degli altri deve riconoscere loro un indennizzo.

L'uso del bene comune deve essere ispirato al principio di utilizzo paritario, pertanto, nel caso in cui si tratti di bene anche solo potenzialmente produttivo di frutti, il comproprietario che estenda l'utilizzo privato a danno degli altri è tenuto a versare loro un indennizzo. Detto debito costituisce debito di valore dunque deve essere attualizzato. Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 20394, depositata il 5 settembre 2013. Il caso. Tre persone fisiche sono titolari - pro quota indivisa - di un patrimonio composto da vari beni immobili, gestito con metodo assembleare secondo la disciplina propria della comunione. Uno di questi immobili è occupato ed utilizzato esclusivamente da uno dei comproprietari. L'assemblea imponeva a quest'ultimo soggetto il pagamento del canone locativo e, contestualmente, lo compensava con il credito scaturente dalle rendite derivanti dagli altri beni. Il soggetto occupante impugnava la predetta delibera instando affinché fosse annullata, i convenuti, proponevano domanda riconvenzionale affinché il soggetto occupante fosse condannato a versare in loro favore una indennità per occupazione illegittima. Il Tribunale dichiarava nulla la delibera assembleare e condannava l'attore al pagamento di una indennità per illegittima occupazione del cespite. La Corte d'Appello riformava la decisione del Tribunale, chiarendo che non esisteva alcun rapporto di locazione e che il soggetto occupante fruiva legittimamente dell'immobile in qualità di partecipante alla comunione art. 1103 c.c. , quindi, in qualità di possessore in buona fede art. 1148 c.c. non doveva alcun indennizzo agli altri comproprietari. Parte soccombente in appello proponeva ricorso per cassazione. Il diritto del singolo partecipante alla comunione. Nel caso in cui un bene sia assegnato pro quota indivisa ad una pluralità di soggetti, ciascuno può servirsi della cosa purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di fare parimenti uso, di contro, devono ritenersi escluse quelle condotte che determino l'estensione del diritto a favore di un partecipante con drastica riduzione o totale esclusione del diritto degli altri partecipanti. Sul punto, si segnala Cass. n. 17208/2008 In tema di uso della cosa comune secondo i criteri stabiliti nel comma 1 dell’art. 1102 c.c., lo sfruttamento esclusivo del bene da parte del singolo che ne impedisca la simultanea fruizione degli altri non è riconducibile alla facoltà di ciascun condomino di trarre dal bene comune la più intensa utilizzazione, ma ne integra un uso illegittimo in quanto il principio di solidarietà cui devono essere informati i rapporti condominiali richiede un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione . Il bene comune, per sua natura, non consente ai comproprietari un uso paritario. Pertanto, la sua gestione dovrà essere effettuata rimettendosi alla volontà assembleare che deve perseguire l'obbiettivo della equa utilizzazione del bene comune mediante uso diretto del bene o anche mediante uso indiretto es. cessione in locazione con distribuzione del ricavato . La gestione assembleare guida anche il criterio della gestione ordinaria e straordinaria del cespite. Per la sentenza della Cassazione. n. 5085/2006 dall'ambito delle attività consentite al comproprietario a norma dell'art. 1102 vanno escluse quelle che si risolvono nell'attrazione di un bene comune o di una sua parte nella sfera di disponibilità esclusiva di un singolo, come avviene allorché si diminuisce la consistenza originaria di un muro maestro e si ingloba il volume vuoto così ottenuto in una porzione immobiliare di proprietà individuale. Di quello spazio, infatti, viene sia alterata la destinazione, sia impedito un paritario uso da parte degli altri condomini, i quali non vi hanno accesso . Indennizzo per la maggiore occupazione. Se l'uso paritario è impedito dal comproprietario che attrae il bene nella sua disponibilità esclusiva e, osserva la S.C., il bene comune è potenzialmente fruttifero, colui che lo utilizza in modo esclusivo è tenuto a corrispondere agli altri comproprietari - a titolo di indennizzo per la maggiore occupazione - i frutti civili che, nel caso in commento, possono essere individuati facendo riferimento ai canoni di locazione riferibili ad immobili di tipologie similari. Per estratto Cass. n. 7881/2011 nel caso in cui uno dei comunisti utilizzi il bene quale esclusivo possessore e non consenta all'altro comproprietario, nonostante la richiesta formulata, di godere per la sua quota del bene comune ex art. 1102 c.c., quest'ultimo ha il diritto di essere comunque indennizzato per la compressione del suo diritto. Il conguaglio in denaro che sia riconosciuto ad un condividente esprime l'equivalente economico di una porzione di tale bene e pertanto costituisce debito di valore, da adeguarsi, anche d'ufficio e in grado di appello, alla stregua della lievitazione del prezzo di mercato del bene . Nel caso in esame, osserva la corte, è processualmente provata l'occupazione esclusiva di alcuni partecipanti a danno di tutti gli altri ed è altrettanto certa la capacità del bene di produrre frutti civili, per conseguenza diretta, colui che occupa in modo esclusivo il cespite è tenuto ad indennizzare gli altri comproprietari. Inoltre, contrariamente a quanto statuito dalla corte territoriale, l'indennizzo non può essere escluso ex art. 1148 c.c., infatti, detta norma disciplina il caso - assolutamente diverso dalla fattispecie in commento - in cui il possessore in buona fede deve restituire i frutti civili o naturali a colui che rivendica la proprietà del bene. Pertanto, la S.C., ha accolto il ricorso e rinviato la causa ad altra corte territoriale affinché decida applicando i principi di diritto esposti in parte superiore.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 16 maggio - 5 settembre 2013, n. 20394 Presidente Triola – Relatore Manna Svolgimento del processo C.C. e L. , partecipanti per la quota indivisa di 1/3 alle comunioni ereditarie dei nonni materni, comunioni cui partecipavano le zie d.P.A. e d.P.V. , portatrici ciascuna della quota di 1/3, impugnavano innanzi al Tribunale di Napoli la delibera 9.7.1998 adottata a maggioranza dall'assemblea delle comunioni stesse. Con tale delibera era stato imposto loro il pagamento di un canone di locazione in corrispettivo del godimento di un immobile ereditario di cui essi soltanto godevano, e stabilito che tale obbligazione dovesse estinguersi per compensazione con il loro credito sulle rendite prodotte da altri cespiti comuni. Ritenendo illegittima la delibera sotto vari profili, incluso quello inerente al potere stesso dell'assemblea di operare una sorta di prelievo forzoso della quota parte delle rendite loro spettanti, C.C. e L. convenivano in giudizio d.P.A. e V. e T.G. , amministratore delle comunioni. I convenuti resistevano e proponevano domanda riconvenzionale di condanna degli attori al pagamento di un'indennità per il godimento esclusivo dell'immobile. Il Tribunale con sentenza non definitiva dichiarava nulla la deliberazione impugnata, per difetto del requisito di liquidità ed esigibilità dei crediti regolati in compensazione, e con sentenza definitiva accoglieva la domanda riconvenzionale, condannando gli attori a pagare alla comunione, a titolo di indennità per il godimento del bene, la somma di Euro 42.000,00. Gravate entrambe le pronunce dagli attori, la Corte d'appello di Napoli rigettava la domanda riconvenzionale. La Corte territoriale, rilevato il giudicato interno sul punto della sentenza non definitiva che aveva escluso l'esistenza di un rapporto di locazione fra le parti, riteneva non condivisibile la sentenza definitiva nella parte in cui aveva affermato il diritto di d.P.A. e V. alla percezione di un'indennità per il godimento esclusivo di tale cespite ad opera dei C. . Ciò in quanto, argomentava la Corte partenopea, dall'art. 1103 c.c. derivava il diritto di ciascun partecipante a godere e disporre della cosa comune nei limiti della propria quota non quale conduttore o assegnatario, dunque, ma come comproprietario in buone fede, fermi restando i limiti imposti dall'art. 1102 c.c. Limiti che - contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado -non erano stati superati in danno delle d.P. , giacché, non essendo emerso che gli altri partecipanti alla comunione avessero avuto interesse a godere anch'essi dell'immobile, i C. non erano possessori in mala fede, sicché ai sensi dell'art. 1148 c.c. potevano ritenere i frutti civili fino alla domanda giudiziale. Quest'ultima, tuttavia, era stata formulata sulla base di un asserito diritto sic et simpliciter della comunione all'indennità che non essendo fondata su di una delibera ad hoc di concessione in locazione si pone in contrasto con l’art. 1103 c.c Sarebbe stato quindi necessario , proseguiva la Corte distrettuale, che l'assemblea avesse adottato preventivamente una delibera con cui assegnare in locazione l'immobile eventualmente ai compartecipanti alla comunione e solo dalla relativa domanda giudiziale di pagamento del canone sarebbero decorsi i frutti civili da corrispondersi dal possessore di buona fede art. 1148 c.c. e che per quanto detto sopra in materia di comunione in genere non decorrono automaticamente così, testualmente, si legge a pag. 4 della sentenza impugnata . Per la cassazione di tale sentenza d.P.A. e V. hanno proposto separati ricorsi, cui C.C. e L. hanno resistito con controricorso. Con ordinanza depositata il 10.1.2013 questa Corte ha disposto che il ricorso di d.P.A. fosse notificato anche a T.G. e a d.P.V. . In esito a ciò, T.G. è rimasto intimato. d.P.A. e C.C. e L. hanno depositato memoria. Motivi della decisione 1. - Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., in quanto proposti contro la medesima sentenza. 2 - Con l'unico motivo dell'impugnazione principale d.P.A. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1102, 1103 e ss. e 1148 c.c Sostiene parte ricorrente che l'art. 1102 c.c. vieta al singolo partecipante di attrarre la cosa comune o una sua parte nell'orbita della propria disponibilità esclusiva e di sottrarla in tal modo alla possibilità di godimento degli altri contitolari. Da tale norma, prosegue, si ricava che l'uso esclusivo del bene comune integra un abuso allorché nega il pari diritto rectius , la pari facoltà n.d.r. di godimento degli altri partecipanti alla comunione, ai quali pertanto spetta un corrispettivo per il godimento non esercitato. Inoltre, l'obbligo d'indennizzare gli altri partecipanti non può essere negato richiamando l'art. 1148 c.c., la cui operatività è limitata ai rapporti tra possessore e aventi diritto alla restituzione, e non ai rapporti fra partecipanti ad una comunione. 3. - Il primo motivo del ricorso proposto da d.P.V. deduce, in relazione all'art. 360, n. 4 c.p.c, la violazione dell'art. 112 c.p.c. e del principio del tantum devolutum, quantum appellatum . Si sostiene che gli stessi C. , nell'impugnare la sentenza di primo grado, avevano ammesso di dovere alle comproprietarie un giusto corrispettivo del godimento esclusivo che essi avevano avuto del bene comune. Essi, infatti, avevano censurato la sentenza del Tribunale sotto altro profilo, quello dell'asserita violazione dell'art. 1105 c.c Pacifico che tale godimento era avvenuto senza contrasto fra le parti, la determinazione di tale corrispettivo, avevano sostenuto gli appellanti, avrebbe dovuto essere effettuata non in sede contenziosa, ma attraverso apposita delibera dell'assemblea dei comproprietari o, in difetto, con ricorso in sede di volontaria giurisdizione ai sensi dell'art. 1105 c.c L'interpretazione estensiva dei motivi d'appello costituisce un error in procedendo che vizia di nullità la sentenza. 4. - Le medesime considerazioni sono a base del secondo mezzo d'impugnazione, sotto il diverso profilo della violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c., nonché dell'omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia, in relazione ai nn. 3 e 5 dell'art. 360 c.p.c., riguardo all'interpretazione del motivo d'appello formulato dai C. . 5. - Col terzo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1102, 1103 e 1148 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c Richiamandosi a Cass. n. 7716/90, parte ricorrente deduce che il condividente di un bene immobile che durante la comunione abbia goduto dell'intero bene da solo e senza un titolo giustificativo, deve corrispondere agli altri, quale ristoro per la privazione dell'utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili, identificati con il corrispettivo del godimento dell'immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri. 6. - Il primo motivo del ricorso di d.P.A. e il terzo del ricorso di d.P.V. , da esaminare congiuntamente per la loro identità di oggetto, sono fondati. 6.1. - Nel sistema della comunione del diritto di proprietà per quote ideali, ciascun partecipante gode del bene comune in maniera diretta e promiscua, cioè come può purché non ne alteri la destinazione e non impedisca l'esercizio delle pari facoltà di godimento che spettano agli altri comproprietari art. 1102 c.c. . Allorché per la natura del bene o per qualunque altra circostanza non sia possibile un godimento diretto tale da consentire a ciascun partecipante alla comunione di fare parimenti uso della cosa comune, i comproprietari possono deliberarne l'uso indiretto a maggioranza o all'unanimità, secondo il tipo di uso deliberato cfr. artt. 1105 e 1108 c.c. . Tuttavia, prima e indipendentemente da ciò, nel caso in cui la cosa comune sia potenzialmente fruttifera, il comproprietario che durante il periodo di comunione abbia goduto l'intero bene da solo senza un titolo che giustificasse l'esclusione degli altri partecipanti alla comunione, deve corrispondere a questi ultimi, quale ristoro per la privazione dell'utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili, con riferimento ai prezzi di mercato correnti, frutti che, identificandosi con il corrispettivo del godimento dell'immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, possono -solo in mancanza di altri più idonei criteri di valutazione - essere individuati nei canoni di locazione percepibili per l'immobile cfr. Cass. nn. 7881/11 e 7716/90, entrambe pronunciate in ipotesi di giudizio di divisione . 6.1.1. - Nel caso che ne occupa, dalla sentenza impugnata si ricava a che oggetto di comunione è un fondo pare di capire, urbano e dunque una cosa per definizione idonea a produrre frutti civili e b che C.C. e L. ne hanno goduto in via esclusiva. Sulla base di tali premesse di fatto, la Corte d'appello a parte l'erroneo richiamo all'art. 1103 c.c., che non disciplina il godimento del bene, ma gli atti di disposizione della quota ha falsamente applicato invece delle sopra citate norme sulla comunione l'art. 1148 c.c., che disciplina il caso, affatto diverso, della sorte dei frutti naturali o civili percepiti dal possessore di buona fede il quale debba restituire la cosa al rivendicante. Tale norma regola l'attribuzione dei frutti nel conflitto esterno tra possessore in buona fede e proprietario, e dunque non può operare per discipinare il diverso problema della ripartizione interna fra più comproprietari dei frutti ritratti o ritraibili dalla cosa comune. Nella situazione in esame non vi è alcun conflitto tra possesso e proprietà, atteso che tutti i partecipanti alla comunione devono ritenersi proprietari e possessori della cosa comune, d.P.A. e V. solo animo , C.C. e L. et corpus . 7. - L'accoglimento dei suddetti motivi assorbe l'esame delle restanti censure del ricorso incidentale, proposto da d.P.V. . 8. - Per le considerazioni svolte la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli, che nel decidere la controversia si atterrà al seguente principio di diritto in materia di comunione del diritto di proprietà, allorché per la natura del bene o per qualunque altra circostanza non sia possibile un godimento diretto tale da consentire a ciascun partecipante alla comunione di fare parimenti uso della cosa comune, secondo quanto prescrive l'art. 1102 c.c., i comproprietari possono deliberarne l'uso indiretto. Tuttavia, prima e indipendentemente da ciò, nel caso in cui la cosa comune sia potenzialmente fruttifera, il comproprietario che durante il periodo di comunione abbia goduto l'intero bene da solo senza un titolo che giustificasse l'esclusione degli altri partecipanti alla comunione, deve corrispondere a questi ultimi, quale ristoro per la privazione dell'utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili, con riferimento ai prezzi di mercato correnti, frutti che, identificandosi con il corrispettivo del godimento dell'immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, possono - solo in mancanza di altri più idonei criteri di valutazione - essere individuati nei canoni di locazione percepibili per l'immobile . 9. - Ai sensi dell'art. 385, 3 comma c.p.c. il giudice di rinvio provvederà altresì sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale e il terzo del ricorso incidentale, assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli, che provvederà anche sulle spese di cassazione.