L’appartamento ha un portoncino sicuro ... non c’è danneggiamento di bene esposto alla pubblica fede!

Il reato di danneggiamento aggravato di cui all’art. 625 comma 7 c.p., per essere un bene esposto alla pubblica fede, può avere ad oggetto sia beni mobili che beni immobili, dato che l’ambito di applicazione della norma ha riguardo alla qualità, destinazione e condizione delle cose ivi indicate e non anche alla natura mobile o immobile del bene danneggiato.

Tuttavia, tale ipotesi non può dirsi integrata qualora il bene immobile, sebbene dismesso” o non abitato”, sia ancora dotato di strutture, barriere o impedimenti, preordinate in modo permanente ad assicurarne l’inviolabilità da parte di terzi. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 30543 del 16 luglio 2013. Il reato di danneggiamento e di invasione di edifici. A seguito di occupazione abusiva di un immobile di proprietà dell’Enel, il Tribunale di Teramo condannava gli imputati dei reati di danneggiamento dei locali dell’immobile suddetto, per avere asportato dei termosifoni, forato il soffitto del bagno e sporcato con lo spray le pareti dell’appartamento, nonché di violenza o minaccia a pubblico ufficiale, per avere impedito alla Polizia di compiere atti del proprio ufficio, e più precisamente consistiti nella identificazione dei prevenuti e nell’allontanamento degli stessi dall’edificio, strattonando e sferrando calci e pugni ai predetti agenti, per conseguire l’impunità dai reati di invasione di edifici e danneggiamento. Infine, del reato di cui all’art. 5 L. 152/1975 per avere indossato dei passamontagna in luogo aperto al pubblico e senza giustificato motivo che avevano reso difficoltoso il loro riconoscimento. La sentenza dei primi giudici veniva parzialmente riformata in appello, dalla Corte dell’Aquila, che, assolveva gli imputati da quest’ultima imputazione perché il fatto non sussiste, ritenendo la continuazione tra il reato di danneggiamento e quello di violenza o minaccia pubblico ufficiale. Gli imputati proponevano personalmente entrambi gli stessi motivi di ricorso. Esercizio arbitrario delle proprie ragioni? In primo luogo, lamentavano inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 336 in relazione al 393 c.p. esercizio arbitrario delle proprie ragioni in quanto i pubblici ufficiali operanti avrebbero dato causa alla reazione degli occupanti, eccedendo con atti al limite delle proprie attribuzioni in quanto, ad esempio, l’intervento sarebbe stato effettuato senza una specifica richiesta dei titolari del bene, stante che si trattava di un immobile privato o l’insufficienza di una richiesta orale di intervento non formalizzata . L’esposizione alla pubblica fede e la sua applicabilità. In secondo luogo, i ricorrenti censuravano l’impugnata sentenza stante l’improprio riconoscimento dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede in relazione al danneggiamento per cui sono stati condannati. Ed invero, affermavano che l’immobile, di proprietà di un soggetto privato, era chiuso, dotato di portoncino di ingresso ed infissi e che vi era stata, per l’appunto, effrazione sulla stessa. La Corte ritiene inammissibile il primo motivo di ricorso, accogliendo, invece, il secondo. Declaratoria di inammissibilità. In particolare, spiega come l’inammissibilità o infondatezza dei motivi comprende tutte quelle censure che richiedano una diversa valutazione del compendio processuale, soprattutto quando vi sia una doppia decisione conforme dei giudici di merito che abbiano dato ampia e logica motivazione della scansione degli eventi e della correttezza dell’attività della Polizia giudiziaria in tutte le fasi procedimentali. Inaccessibilità dell’immobile quale causa ostativa alla configurabilità dell’aggravante. Con riguardo al secondo motivo, invece, la pronuncia in esame evidenzia come la norma di cui all’art. 625 n. 7 c.p., che prevede un aumento di pena nel caso in cui il reato riguardi un bene esposto alla fede pubblica, faccia, tuttavia, riferimento alla qualità, destinazione e condizione delle cose di cui si tratta e ciò a prescindere che siano beni esposti siano mobili o immobili. Di contro, nel caso di specie, il bene, di proprietà dell’Enel, risultava essere chiuso e dotato di un portoncino di ingresso avente, ovviamente, la funzione di impedire l’ingresso, ma sul quale, tuttavia, vi erano evidenti segni di effrazione. Proprio lo scasso della porta aveva dato inizio all’azione criminosa ascritta agli imputati. In conseguenza di ciò, ritiene la Corte, pertanto, che l’aggravante ritenuta non può essere applicata al caso di specie, in quanto l’immobile quand’anche non abitato o dismesso era comunque dotato di un portoncino di ingresso chiuso e di infissi alle finestre, ovvero di strutture, barriere o impedimenti che consentivano di renderlo inaccessibile a terzi e quindi, non certamente esposto alla pubblica fede.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 10 - 16 luglio 2013, n. 30543 Presidente Di Virginio – Relatore Lanza Ritenuto in fatto 1. D.B.G. e T.S. , unitamente a Basile Dimitri, Paolini Serena sono stati tratti a giudizio dinanzi al Tribunale di Teramo e condannati con sentenza 9 febbraio 2009, da loro appellata e dal Procuratore della Repubblica per rispondere A del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv., 336 e 61 n. 2 c.p., perché, in concorso tra loro ed in esecuzione di un unico disegno criminoso, al fine di impedire all'ispettore della Polizia di Stato C.G. ed al maresciallo ordinario dei Carabinieri P.C. di compiere atti del proprio ufficio, consistiti nell'identificazione dei prevenuti e nell'allontanamento degli stessi dall'edificio dai medesimi abusivamente occupato, avevano usato violenza nei confronti dei citati pubblici ufficiali, violenza consistita nello strattonare e nello sferrare numerosi calci e pugni ai predetti con l'aggravante di avere commesso il fatto per conseguire l’impunità dai reati di invasione di edifici e di danneggiamento B del delitto di cui agli artt. 110, 635, 20 comma n. 3 c.p. anche in relazione all'art. 625, n. 7 c.p. , perché, in concorso tra loro, volontariamente avevano danneggiato i locali dell'appartamento posto al secondo piano di un edificio di proprietà dell'Enel Servizi s.r.l., incastrando grosse sbarre di ferro nei muri laterali al portone, asportando dai muri i termosifoni, praticando un grosso foro nel soffitto del bagno ed un ulteriore foro sulla copertura in legno del tetto, nonché imbrattando con scritte di vernice spray i muri del predetto locale con le aggravanti di aver commesso il fatto su bene destinato ad uso pubblico ed esposto per natura e destinazione alla pubblica fede D del reato di cui all'art. 5 della legge n. 152/75 e 61 n. 2 c.p., perché, al fine di procurarsi l'impunità per i reati di danneggiamento ed invasione arbitraria di edifici quest'ultimo stralciato , in luogo aperto al pubblico e senza giustificato motivo avevano utilizzato passamontagna e cappucci che rendevano difficoltoso il loro riconoscimento. 2. La Corte di appello di L'Aquila con sentenza 1 dicembre 2010, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Teramo, ha assolto gli imputati dal reato loro ascritto al capo D, perché il fatto non sussiste, dichiarandoli invece colpevoli del reato di cui al capo B ritenuta la continuazione tra detto reato e quello di cui al capo A , e ritenute altresì le concesse attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata al più grave reato sub A , e rideterminando la pena per ciascun imputato in mesi sette di reclusione. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono stati personalmente sottoscritti dai due ricorrenti con identiche e comuni argomentazioni nei due atti di gravame. 1.1. Con un primo motivo di impugnazione, quanto al CAPO A, viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonché vizio di motivazione sotto il profilo dell'applicazione dell'art. 336 cod. pen. in connessione con gli artt. 393 bis cod. pen. avendo i pubblici ufficiali C. e P. dato causa alla condotta reattiva degli accusati eccedendo con atti arbitrari i limiti delle loro attribuzioni. In particolare si sostiene a l'illegittimità dell'intervento della Polizia giudiziaria in quanto effettuato all'interno di una proprietà privata Enel servizi s.p.a. senza una valida richiesta ad opera dei legali proprietari b l'assenza di validità della richiesta formulata dal dr. Ch. in quanto espressa oralmente per telefono e senza alcuna successiva formalizzazione c l'irrilevanza della denuncia-querela depositata alle 14,35 dal dr. S. procuratore dell'Enel s.p.a., che l'aveva redatta ma che aveva dato incarico per il deposito ad altra persona che ha l'avrebbe sottoscritta e trasmessa via fax d l'insufficienza di una richiesta orale per l'intervento, dovendo i pubblici ufficiali attendere la richiesta certa e scritta di un responsabile legale dell'Enel e la proporzione della condotta reattiva dogli imputati all'azione dei pubblici ufficiali stessi f l'inesistenza di un pericolo di crollo g la ricorrenza di una mera resistenza passiva. Il motivo non può essere accolto sia per infondatezza che per inammissibilità delle doglianze dedotte. L'esito di inammissibilità e/o infondatezza comprende tutte le censure che sono sostanzialmente finalizzate ad una diversa valutazione del compendio processuale, con difforme valutazione della ritualità dell'atto di querela, della ricostruzione della dinamica dei fatti e delle interazioni degli accusati con la Polizia giudiziaria, avuto riguardo alla doppia conforme decisione dei giudici di merito i quali hanno dato ampia giustificazione della scansione degli eventi, della ritualità della querela e della correttezza e necessità dell'intervento dei pubblici ufficiali in tutte le sue fasi esecutive. 1.2. Con un secondo motivo si lamenta quanto al capo B l'impropria attribuzione al danneggiamento dell'aggravante ex art. 625 n. 7 cod. pen. posto che l'immobile, di proprietà di un soggetto privato, era chiuso, dotato di portoncino d'ingresso ed infissi, e che l'effrazione ha riguardato la porta di ingresso. Il motivo è fondato. È ben vero che il reato di danneggiamento aggravato, per essere la cosa danneggiata esposta alla pubblica fede, può avere ad oggetto sia le cose mobili che quelle immobili, poiché l'ambito di applicazione dell'aggravante ha riguardo alla qualità, alla destinazione e alla condizione delle cose indicate nell'art. 625 n. 7 cod. pen. e non anche alla natura mobile o immobile del bene danneggiato cfr. Cass. pen. sez. 2, 23550/2009 Rv. 244234 Massime precedenti Conformi N. 8367 del 1985 Rv. 170517, N. 287 del 1987 Rv. 175190, N. 2889 del 2004 Rv. 228552 , tuttavia non può intendersi integrata l'ipotesi di danneggiamento aggravato, ai sensi dell'art. 635 n. 3 in relazione all'art. 625 n. 7 cod. pen., quando l'immobile, pure non abitato o dismesso come nella specie, sia ancora dotato di strutture, barriere od impedimenti, preordinati in modo permanente ad assicurarne l'inviolabilità da parte di terzi vds. Cass. Pen. sez. 2, 44331/2010 Rv. 249181 . Nella specie, infatti, il bene di proprietà dell'Enel risultava chiuso, dotato di portoncino d'ingresso ed infissi, tant'è che l'azione illecita attribuita agli imputati ha avuto necessariamente inizio con l'effrazione della porta di ingresso, che costituiva l'impedimento il quale, per la sua funzionale idoneità, era tale da escludere l'affidamento dell'immobile stesso alla fede pubblica. L'aggravante contestata va pertanto esclusa. Ne consegue l'annullamento della sentenza impugnata, limitatamente a detta aggravante in relazione al capo B , con rinvio alla Corte di appello di Perugia per la determinazione della pena e rigetto nel resto. P.Q.M. Annulla, limitatamente alla circostanza aggravante contestata in relazione al reato di cui al capo b , la sentenza impugnata e rinvia per la determinazione della pena, alla Corte di appello di Perugia. Rigetta il ricorso nel resto.