L’impugnazione della decisione di primo grado diretta ad una diversa determinazione della riparazione del pregiudizio patito, rimettendo in discussione la complessiva e unitaria liquidazione al riguardo, necessariamente si estende anche al computo degli interessi pur se non sia stato specificamente criticato il criterio adottato sul punto della decisione impugnata.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 11687 del 26 maggio 2014. Il fatto. Un uomo conveniva davanti al Tribunale di Civitavecchia il conducente, la proprietaria e l’assicuratrice di un automobile che, non rispettando il segnale di stop, aveva investito il ciclomotore da lui condotto, arrecando gravi danni al mezzo a alla sua persona. I convenuti venivano condannati al risarcimento dei danni e la sentenza veniva modificata, ma solo in relazione alla somme da liquidare, in appello. L’attore ricorre per cassazione, soprattutto per quanto riguarda la decorrenza degli interessi compensativi la cui liquidazione il Giudice d’Appello aveva ritenuto coperta da giudicato, perché non esplicitamente richiesti in secondo grado. L’impugnazione si estende anche al computo degli interessi. Il ricorso merita di essere accolto l’impugnazione della decisione di primo grado diretta ad una diversa determinazione della riparazione del pregiudizio patito, rimettendo in discussione la complessiva e unitaria liquidazione al riguardo, necessariamente si estende anche al computo degli interessi pur se non sia stato specificamente criticato il criterio adottato sul punto della decisione impugnata. Il creditore non vanta un diritto autonomo sugli interessi. Questo perché il risarcimento del danno da fatto illecito costituisce un debito di valore e, in caso di ritardato pagamento, il creditore non vanta un diritto autonomo sugli interessi che svolgono solo una funzione compensativa del patrimonio de danneggiato, il quale deve essere reintegrato qual’era all’epoca del prodursi del danno. La sentenza impugnata va, quindi, annullata affinché si proceda a una corretta quantificazione dei danni personali e patrimoniali subiti.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 27 marzo – 26 maggio 2014, numero 11687 Presidente Berruti – Relatore Lanzillo Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 19 giugno 1994 P.G. ha convenuto davanti al Tribunale di Civitavecchia Pr.Ma. , la s.r.l. Cooperativa Bravetta e la s.p.a. Italiana Incendio e Rischi Diversi, rispettivamente conducente, proprietaria ed assicuratrice dell'automobile Mercedes 200, che il omissis , in omissis - omettendo di rispettare un segnale di stop - ha investito il ciclomotore da lui condotto, arrecando gravi danni al mezzo ed alla sua persona. Si è costituita ed ha resistito alla domanda la sola compagnia assicuratrice. Esperita l'istruttoria anche tramite consulenza tecnica medicolegale, il Tribunale ha attribuito la responsabilità del sinistro alla colpa esclusiva del Pr. e ha condannato i convenuti, in via fra loro solidale, al risarcimento dei danni, quantificati in £ 295.400.000, detratta la somma di L. 150 milioni, già pagata dalla compagnia assicuratrice. Proposto appello principale dalla s.p.a. Italiana Assicurazioni, subentrata alla Italiana Incendio, e incidentale dal P. , con sentenza 13 marzo - 6 giugno 2007 numero 2562 la Corte di appello di Roma, previo esperimento di nuova CTU, in parziale riforma della sentenza di primo grado ha quantificato i danni in L. 385.516.448 e - tenuto conto delle somme già corrisposte - ha condannato i responsabili al pagamento di Euro 80.645,730, oltre interessi legali sulla somma capitale di Euro 69.188,170, a decorrere dalla sentenza di primo grado, ed oltre alle spese di appello. Con atto notificato il 17 - 29 luglio 2008 il P. propone quattro motivi di ricorso per cassazione, illustrati da memoria. Gli intimati non hanno depositato difese. Motivi della decisione 1.- Con il primo motivo, denunciando violazione dell'articolo 132 numero 4 cod. proc. civ. ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, il ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia liquidato i danni facendo riferimento alle conclusioni di cui al suo atto di citazione in appello, e non invece alle diverse domande da lui proposte all'udienza fissata per la precisazione delle conclusioni, in relazione all'esito del nuovo accertamento peritale. Rileva che il CTU nominato in appello ha accertato che il grave trauma cranico e le lesioni cerebrali che ne sono seguite, residuando crisi epilettiche e gravi alterazioni della personalità, hanno comportato un grado di invalidità permanente pari al 50% del totale, con riferimento alla vita di relazione, ed al 30% del totale, con riferimento alla capacità lavorativa specifica oltre ad un periodo di centoventi giorni di invalidità temporanea assoluta. Soggiunge che, di conseguenza, all'udienza di precisazione delle conclusioni ha specificato le domande proposte con l'atto di appello - ove aveva chiesto che l'invalidità permanente venisse quantificata in una percentuale non inferiore al 45%, quanto al danno biologico, e non inferiore al 20% quanto all'incidenza sulla capacità lavorativa chiedendo che il risarcimento venisse determinato in base a parametri non inferiori a quelli indicati dal CTU quindi in non meno fra l'altro di Euro 200.000,00 in risarcimento del danno biologico di Euro 100.000,00 in risarcimento dei danni morali, di Euro 75.504,90 per la diminuzione della capacità lavorativa specifica e di Euro 4.800,00 per il periodo di inabilità temporanea totale. La Corte di appello si è sensibilmente discostata da questi valori, pur dichiarando contraddittoriamente di volersi uniformare alle domande dell'infortunato. 2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di molteplici disposizioni di legge in tema di valutazione dei danni alla persona, ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, con particolare riguardo al danno biologico, al danno morale, al danno esistenziale e al danno patrimoniale futuro per il pregiudizio alla capacità lavorativa specifica. Lamenta che il danno biologico sia stato calcolato in una percentuale ridotta rispetto a quella accertata dal CTU e con decorrenza dalla data della sentenza di primo grado anziché dalla data dell'illecito che i conteggi della Corte di appello, pur se rapportati alla percentuale di invalidità da essa indicata, darebbero un importo superiore a quello liquidato che non gli è stato attribuito il risarcimento del danno esistenziale che i danni biologici, morali e patrimoniali futuri sarebbero stati liquidati sulla base di calcoli incomprensibili. 3.- I due motivi, che vanno congiuntamente esaminati perché connessi, sono fondati, nei termini che seguono. La Corte di appello è incorsa in errore ed in palese incongruenza od illogicità della motivazione, poiché ha più volte giustificato le somme concretamente liquidate in ristoro delle varie voci di danno adducendo a motivo la conforme richiesta dell'infortunato, richiesta che invece conforme non è, ove si abbia riguardo alle conclusioni definitive, precisate dall'appellante nell'apposita udienza. Mentre nell'atto di appello il P. aveva chiesto che l'invalidità permanente venisse quantificata in una percentuale non inferiore al 45%, quanto al danno biologico, e non inferiore al 20% quanto all'incidenza sulla capacità lavorativa, all'udienza di precisazione delle conclusioni ha chiesto che il risarcimento venisse determinato in base a parametri non inferiori a quelli indicati dal CTU nominato in appello, il quale ha confermato l’inadeguatezza delle valutazioni del primo giudice, accogliendo nella sostanza i rilievi critici mossi dall'appellante alla precedente perizia, ed ha quantificato il danno biologico in una percentuale del 50% del totale ed il danno patrimoniale da inabilità lavorativa specifica nel 30%. La Corte di appello, per contro, ha liquidato il danno biologico sulla base di una percentuale di inabilità del 45 %, ed il danno patrimoniale sulla base di una percentuale del 20%, con motivazione insufficiente, illogica e comunque viziata dall'erronea convinzione di adeguarsi alle domande dell'appellante. Essa infatti dopo avere premesso che il CTU ha quantificato l'incidenza del danno biologico non solo con riferimento alla vita di relazione, ma in ossequio anche ai codici 2302 e 2005 della tabella indicativa delle percentuali di invalidità per le minorazioni e malattie invalidanti di cui al supplemento della Gazzetta ufficiale numero 47 del 26/2/1992, il primo afferente ad esiti di sofferenza organica accertata strumentalmente che comporti gravi disturbi del comportamento, ed il secondo attribuibile per le crisi epilettiche sporadiche sentenza, pag. 6 , riconoscendo così la correttezza della valutazione e la sua conformità a specifici indici normativi, si è discostata dalle conclusioni del perito, sul rilievo che l'incidenza dei postumi sull'integrità psicofisica .rapportata anche alle percentuali di diverse e importanti invalidità di cui alle tabelle medico-legali in uso Convegni di Corno e Perugia del 1967 e 1968 , può essere .più congruamente quantificata in percentuale del 45% peraltro indicata dalla stessa parte con l'atto di appello considerate le percentuali relative agli esiti di breccia cranica valutata ad esempio nel 25% di frattura cranica senza postumi neurologici, ovvero di gravi alterazioni della favella o di perdita di arti motivazione che ribadisce la conformità della valutazione peritale alle tabelle medico-legali in uso, ma ciò nonostante ne disattende le conclusioni, richiamando insussistenti indicazioni di parte e considerazioni mediche sugli effetti della breccia cranica , di significato a dir poco oscuro e di cui non viene in alcun modo spiegato il collegamento con la necessità di ridurre la percentuale di invalidità dal 50% al 45%. Parimenti, l'incidenza dell'invalidità sulla capacità lavorativa specifica è stata ridotta dal 30% al 20%, in considerazione di quanto innanzi osservato in termini di percentuale invalidante e in considerazione dell'azienda familiare in cui è inserito il P. , come d'altra parte indicato dalla parte nell'atto di appello ove quanto osservato circa la percentuale invalidante non è adeguatamente motivato, come si è detto, e la richiesta del P. in realtà non sussiste. Donde l'insufficienza e l'illogicità della motivazione anche su questo punto. Quanto al risarcimento dei danni morali, infine, è stato ritenuto congruo l'importo di L. 120 milioni richiesto dalla parte , senza ulteriore motivazione mentre il ricorrente aveva chiesto, nelle conclusioni definitive, la somma di Euro 100.000,00, nettamente superiore. Il giudizio relativo alla quantificazione dei danni alla persona, nei loro risvolti personali e patrimoniali, deve essere quindi interamente riveduto, restando assorbite le ulteriori censure di cui al secondo motivo. 4.- Il terzo motivo lamenta violazione di legge e vizi di motivazione quanto alla decorrenza degli interessi compensativi, e per avere la Corte di appello ritenuto coperta da giudicato la richiesta di liquidazione di detti interessi sulle somme dovute in risarcimento dei danni, perché non esplicitamente richiesti con l'atto di appello. Osserva il ricorrente che la domanda di riforma della sentenza di primo grado per la parte che attiene alla quantificazione dei danni comprende in sé anche la domanda di corresponsione degli interessi sulla somma liquidata, pur se questa domanda non sia stata espressamente formulata Cass. civ. S.U. numero 8521 del 2007 . 4.1.- Il motivo è fondato. La giurisprudenza citata dal ricorrente ha chiarito che la formazione della cosa giudicata per mancata impugnazione di un dato capo della sentenza, può verificarsi solo con riferimento ai capi che siano completamente autonomi, perché concernenti questioni affatto indipendenti da quelle investite dai motivi di gravame e fondate su autonomi presupposti di fatto e di diritto, tali da consentire che ciascun capo conservi efficacia precettiva anche se gli altri vengono meno. Non può invece formarsi il giudicato sulle affermazioni contenute nella mera premessa logica della statuizione adottata, ove quest'ultima sia oggetto del gravame Cass. civ. S.U. 5 aprile 2007 numero 8521 e precedenti ivi cit. . Ne consegue che l'impugnazione della decisione di primo grado diretta ad una diversa determinazione della riparazione del patito pregiudizio, rimettendo in discussione la complessiva e unitaria liquidazione al riguardo, necessariamente si estende anche al computo degli interessi pur se non sia stato specificamente criticato il criterio adottato sul punto nella decisione impugnata Cass. 20 febbraio 2003, numero 2580, che evidenzia come il giudice di appello, dovendo procedere alla rideterminazione del risarcimento del danno in accoglimento del gravame di una delle parti, sostituisce integralmente la propria decisione sul punto a quella del primo giudice anche con riguardo alla pronuncia - accessoria e dipendente - in ordine agli interessi, i quali hanno natura compensativa del mancato godimento della somma liquidata Cass. civ. numero 8521/2007, cit. . Il risarcimento del danno da fatto illecito costituisce infatti debito di valore ed, in caso di ritardato pagamento, gli interessi non costituiscono un autonomo diritto del creditore come nelle obbligazioni pecuniarie , ma svolgono una funzione compensativa tendente a reintegrare il patrimonio del danneggiato qual'era all'epoca del prodursi del danno. La loro attribuzione costituisce pertanto una mera modalità o tecnica liquidatoria del danno. 4.- In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata è annullata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, affinché proceda alla quantificazione dei danni personali e patrimoniali subiti dal ricorrente sulla base della corretta disamina e della puntuale valutazione di tutti gli atti e i documenti di causa e delle domande di parte, e perché si uniformi ai principi sopra enunciati evidenziati in rilievo quanto alla domanda di pagamento degli interessi. 5.- La Corte di rinvio deciderà anche sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte di cassazione accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.